In house pluripartecipato e onere motivazionale ex art. 34, comma 20, d.l. n. 179 del 2012

16 Maggio 2016

È illegittimo l'affidamento diretto a società in house di un servizio pubblico locale qualora la relazione che l'ente affidante deve predisporre e pubblicare sul sito internet, ai sensi dell'art. 34, comma 20, del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, non contenga alcuna valutazione di tipo concreto, riscontrabile, controllabile, intellegibile e pregnante sui profili della convenienza, anche non solo economica, della gestione prescelta.

Il Consiglio di Stato – pronunciandosi in ordine alla legittimità di un affidamento diretto del servizio pubblico di igiene urbana disposto da un Comune a favore di una società dallo stesso partecipata congiuntamente ad altri enti locali – offre importanti precisazioni in ordine all'affidamento in house e ai principi espressi dall'art. 34, comma 20, del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito in l. 17 dicembre 2012, n. 221.

Il Collegio, pur ritenendo di poter prescindere – ai fini della decisione – dall'esame della natura in house della società affidataria, ricorda che le condizioni del c.d. in house pluripartecipato trovano disciplina nell'art. 12 della dir. 2014/24/UE (e ora anche dall'art. 5 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50) e che già la sentenza CGUE, Sez. III, 29 novembre 2012, C-182/11 e C-183/11 aveva enucleato una serie di requisiti, analoghi a quelli contenuti nella successiva direttiva, ritenendo riconducibile al modello in house le ipotesi in cui (i) gli organi decisionali dell'organismo controllato siano composti da rappresentanti di tutti i soci pubblici partecipanti, ovvero siano formati tra soggetti che possono rappresentare più o tutti i soci pubblici partecipanti; (ii) i soci pubblici siano in grado di esercitare congiuntamente un'influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative dell'organismo controllato; (iii) l'organismo controllato non persegua interessi contrari a quelli di tutti i soci pubblici partecipanti. Si tratta di requisiti che – sottolinea la pronuncia – “comportano delicate valutazioni da effettuarsi sul crinale dell'insindacabilità delle scelte amministrative da un lato e delle scelte imprenditoriali civilistiche dall'altro”. Analogamente, nell'escludere la rilevanza ai fini del decidere del rispetto della condizione «della prevalente attività dedicata agli enti affidanti», la decisione ricorda che in proposito l'ordinanza Cons. St., Sez. V, 20 ottobre 2015, n. 4793 ha rimesso alla Corte di Giustizia, ai sensi dell'art. 267 TFUE, la soluzione delle questioni pregiudiziali (i) se, nel computare l'attività prevalente svolta dall'ente controllato, debba farsi anche riferimento all'attività imposta da un'Amministrazione pubblica non socia a favore di enti pubblici non soci e (ii) se, nel computare l'attività prevalente svolta dall'ente controllato, debba farsi anche riferimento agli affidamenti nei confronti degli enti pubblici soci prima che divenisse effettivo il requisito del c.d. controllo analogo.

Il Collegio ha ritenuto, invece, illegittimo l'affidamento diretto disposto nella fattispecie posta al suo esame poiché la relazione da rendersi ai sensi dell'art. 34, comma 20, d.l. n. 179 del 2012, conv. in l. n. 221 del 2012, ove l'ente affidante avrebbe dovuto dare conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta, non conteneva una dettagliata e specifica motivazione sul punto.

La sentenza ricorda che la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto – sulla scorta della sentenza Corte cost., 20 luglio 2012, n. 199 – che i servizi pubblici locali di rilevanza economica possono essere gestiti indifferentemente mediante il ricorso al mercato, attraverso il c.d. parternariato pubblico – privato, ossia per mezzo di affidamento a società mista, o attraverso l'affidamento diretto a società in house. Tale ultimo modello, pertanto, non si configura – a normativa vigente – come ipotesi eccezionale e residuale di gestione dei servizi pubblici locali, costituendo, al contrario, una delle tre normali forme organizzative utilizzabili.

La decisione di avvalersene costituisce frutto di una scelta ampiamente discrezionale compiuta dall'ente, che sfugge, dunque, al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, a meno che – sottolinea il Collegio a conferma delle conclusioni del TAR – non sia manifestamente inficiata da illogicità, irragionevolezza, irrazionalità ed arbitrarietà ovvero non sia fondata su di un altrettanto macroscopico travisamento dei fatti. Aggiunge poi la sentenza che «proprio in ossequio ai principi di trasparenza e democraticità dei processi decisionali pubblici (sanciti dalla norma cardine dell'art. 3, l. n. 241 del 1990) detta scelta deve essere adeguatamente motivata circa le ragioni di fatto e di convenienza che la giustificano»; principi che trovano conferma nel dettagliato e aggravato onere motivazionale, cui il citato art. 34, comma 20, subordina la legittimità della scelta della concreta modalità di gestione dei servizi pubblici locali.

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