La Corte di Giustizia precisa la distinzione tra la concessione per lo sfruttamento economico di beni demaniali e la concessione di servizi

Ginevra Greco
16 Luglio 2016

Non sono concessioni di servizi le concessioni che non vertono su una prestazione di servizi determinata dell'ente aggiudicatore, bensì sull'autorizzazione a esercitare un'attività economica in un'area demaniale. Sia la disciplina di armonizzazione prevista dall'articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno, sia la disposizione del diritto primario ex art. 49 TFUE devono essere interpretate nel senso che ostano a una misura nazionale che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico‑ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati

La Corte ricorda che una concessione di servizi è caratterizzata, in particolare, da una situazione in cui un diritto di gestire un servizio determinato viene trasferito da un'autorità aggiudicatrice a un concessionario e questi dispone, nell'ambito del contratto concluso, di una certa libertà economica per determinare le condizioni di gestione di tale diritto, restando parallelamente in larga misura esposto ai rischi connessi. Non vi rientrano invece le concessioni che non vertono su una prestazione di servizi determinata dell'ente aggiudicatore, bensì sull'autorizzazione a esercitare un'attività economica in un'area demaniale.

La sentenza precisa che tale interpretazione è inoltre corroborata dal considerando 15 della direttiva 2014/23, il quale precisa che taluni accordi aventi per oggetto il diritto di un operatore economico di gestire determinati beni o risorse del demanio pubblico, in regime di diritto privato o pubblico, quali terreni, mediante i quali lo Stato fissa unicamente le condizioni generali d'uso dei beni o delle risorse in questione, senza acquisire lavori o servizi specifici, non dovrebbero configurarsi come «concessione di servizi» ai sensi di tale direttiva.

In conclusione, la Corte ha pertanto escluso l'applicabilità della direttiva sulle concessioni di servizi alle concessioni di beni del demanio marittimo, con riferimento alle quali, premesso che spetta al giudice nazionale determinare la normativa applicabile a tali concessioni (non di servizi), ha chiarito che, nell'ipotesi in cui esse rientrassero nell'ambito di applicazione dell'art. 12 della direttiva 2006/123 dovrebbero essere qualificate come autorizzazioni. Con l'ulteriore implicazione che, secondo il paragrafo 1 di tale disposizione, il rilascio di autorizzazioni, qualora il loro numero sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali, deve essere soggetto a una procedura di selezione tra i candidati potenziali che deve presentare tutte le garanzie di imparzialità e di trasparenza, in particolare un'adeguata pubblicità. Tale articolo, infatti, deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico‑ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati.

Nel caso in cui, invece, non si potesse applicare l'art. 12 della direttiva 2006/123, tali concessioni rimarrebbero comunque soggette all'art. 49 TFUE. Ricorda infatti la Corte che a tale riguardo, è stato statuito che le autorità pubbliche, qualora intendano assegnare una concessione che non rientra nell'ambito di applicazione delle direttive relative alle diverse categorie di appalti pubblici, sono tenute a rispettare le regole fondamentali del Trattato FUE, in generale, e il principio di non discriminazione, in particolare. Nello specifico, qualora siffatta concessione presenti un interesse transfrontaliero certo, la sua assegnazione in totale assenza di trasparenza ad un'impresa con sede nello Stato membro dell'amministrazione aggiudicatrice costituisce una disparità di trattamento a danno di imprese con sede in un altro Stato membro che potrebbero essere interessate alla suddetta concessione in violazione dell'articolo 49 TFUE.

Anche se esula dall'ambito del presente portale, sembra utile segnalare che, con riferimento alla vexata questio della compatibilità con il diritto UE delle proroghe automatiche delle predette concessioni, la sentenza afferma che le proroghe attuate dalla normativa nazionale potrebbero mirare a consentire ai concessionari di ammortizzare i loro investimenti: in tale ipotesi una siffatta disparità di trattamento potrebbe essere giustificata da motivi imperativi di interesse generale, in particolare dalla necessità di rispettare il principio della certezza del diritto. In tal senso, è stato statuito che il principio della certezza del diritto non può essere invocato per giustificare una disparità di trattamento vietata in forza dell'articolo 49 TFUE, quando come nei procedimenti principali, al momento dell'attribuzione delle concessioni era stato dichiarato che i contratti aventi un interesse transfrontaliero certo dovevano essere soggetti a obblighi di trasparenza.