Insindacabilità del “fatto” di reato commesso e della sua qualificazione operata dal giudice penale

16 Novembre 2016

La stazione appaltante non ha alcun potere di sindacare la qualificazione del reato commesso dal legale rappresentante p.t. di una società concorrente in una gara d'appalto così come risulta insindacabile la ricostruzione del fatto operata dal giudice in sede penale.Viceversa, ai fini della partecipazione del concorrente ad una gara pubblica, ciò che rileva è la concreta incidenza della fattispecie penale sulla professionalità morale del concorrente, la cui valutazione è rimessa al giudizio dell'Amministrazione.

La sentenza affronta il tema della sindacabilità – da parte della Pubblica Amministrazione – della qualificazione del reato commesso dal legale rappresentante di una società concorrente, ai fini della sua partecipazione ad una gara pubblica.

Nella fattispecie in esame, CONSIP aveva provveduto a revocare l'abilitazione alla piattaforma MePA ad un operatore poiché – in sede di rinnovo delle dichiarazioni sostitutive richieste per il mantenimento dell'abilitazione – il suo legale rappresentante aveva rilasciato una dichiarazione dalla quale risultava a suo carico una condanna penale (decreto penale di condanna) mai precedentemente segnalata.

Sul punto, l'operatore economico si limitava a dedurre un palese errore del giudice penale, posto che il legale rappresentante aveva esclusivamente ritardato il pagamento di una contravvenzione ex art. 21, comma 2, d.lgs. n. 758 del 1994 con la conseguenza che non si sarebbe consumato – contrariamente a quanto emerso dal provvedimento di condanna – il reato di mancato invio della documentazione ex art. 4, comma 7, l. n. 628 del 1961.

Sulla questione così prospettata, il Collegio ha osservato che l'Amministrazione non ha alcun potere di sindacare la qualificazione del reato nonché la ricostruzione del fatto, quale operata dal giudice penale, laddove – viceversa – ha il dovere di valutarne la concreta incidenza sulla professionalità morale del concorrente.

Il Collegio ha tuttavia precisato che l'Amministrazione – ai fini di una positiva valutazione della professionalità morale dell'operatore-concorrente – deve essere posta nelle condizioni di operare concretamente tale valutazione.

Cosa che, nel caso di specie, non era avvenuta, avendo il concorrente dichiarato – fino alla data di aggiornamento delle dichiarazioni richieste per il mantenimento dell'abilitazione e contrariamente al vero – l'insussistenza di precedenti penali.

A ciò si aggiunga che nella fattispecie, sempre secondo il giudizio del Collegio, per ormai pacifico orientamento giurisprudenziale, nelle gare pubbliche non può trovare ingresso il c.d. “falso innocuo” in quanto lo stesso risulta incompatibile con l'obbligo di dichiarazione previsto dall'art. 38, comma 2, d.lgs. n. 163 del 2006.

In conclusione, l'omissione – ovvero la falsa attestazione circa l'esistenza di precedenti penali – deve comportare irrimediabilmente l'esclusione del concorrente dalla gara in quanto viene impedito alla stazione appaltante di valutarne l'effettiva gravità e – conseguentemente – l'affidabilità professionale e morale dell'operatore.

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