Sull’onere di indicare il valore della concessione nel vigore del d.lgs. n. 163 del 2006, anche alla luce del nuovo Codice

Leonardo Droghini
19 Giugno 2017

Ai sensi dell'art. 29 d.lgs. n. 163 del 2006 sussiste l'onere della stazione appaltante di indicare nel bando di gara il fatturato generato dalla concessione, non essendo sufficiente ad individuare il valore della concessione la mera indicazione del canone concessorio, come conferma la disciplina prevista dal nuovo codice all'art. 167.

L'impresa ricorrente ha impugnato il bando di gara di una procedura per l'affidamento di una concessione di servizi per aver indicato come “valore della concessione” il solo costo o canone della stessa e non il fatturato. Tale circostanza renderebbe impossibile una corretta e consapevole formulazione dell'offerta economica da parte degli aspiranti aggiudicatari per la mancanza di un serio parametro di riferimento, consentendo l'immediata impugnazione del bando.

La questioneaffrontata riguarda, dunque, la necessità di indicare, nel bando di gara, come “valore della concessione”, il c.d. “ristorno” e cioè il costo o canone della concessione, oppure il (presunto) fatturato generato dal consumo dei prodotti da parte degli utenti del servizio.

Il Consiglio di Stato – ribaltando la decisione del giudice di prime cure che aveva giudicato la mancata puntuale indicazione del fatturato consustanziale al rischio di impresa gravante sul concessionario – accoglie il ricorso in appello.

Deve ritenersi che, anche nel vigore del previgente d.lgs. 163 del 2006, sussistesse effettivamente l'onere della stazione appaltante di indicare il fatturato generato dalla concessione, ai sensi dell'art. 29 d.lgs. n. 163 del 2006. La stessa AVCP, nella deliberazione n. 9 del febbraio 2002, ha precisato che il concetto di “importo totale pagabile”, che, ai sensi dell'art. 29 del citato d.lgs, funge da base di calcolo del valore della concessione, ricomprende il flusso dei corrispettivi pagati dagli utenti per i servizi in concessione, e non il mero canone a carico del concessionario.

Questa impostazione risulta d'altronde confermata dall'art. 8, comma 2, della direttiva 2014/23/UE, in base al quale: «…Il valore di una concessione è costituito dal fatturato totale del concessionario generato per tutta la durata del contratto, al netto dell'IVA, stimato dall'amministrazione aggiudicatrice o dall'ente aggiudicatore, quale corrispettivo dei lavori e dei servizi oggetto della concessione, nonché per le forniture accessorie a tali lavori e servizi. Tale valore stimato è valido al momento dell'invio del bando (...)».Orbene, se è vero che tale disposizione, il cui contenuto è oggi trasposto nell'art. 167 del d.lgs. n. 50 del 2016, non è applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, la stessa risulta comunque idonea a orientare un'interpretazione delle norme previgenti conforme al diritto europeo, consentendo di escludere anche nell'assetto anteriore che il valore della concessione potesse essere riconnesso sic et simpliciter all'importo del canone concessorio. Tale onere non può che ricadere sull'Amministrazione che, in quanto soggetto “interno” alla procedura di gara, può attingere a informazioni diverse e ulteriori rispetto all'aspirante aggiudicatario, che certamente rientrano nella sua sfera di controllo e rendono più agevole desumere il dato da indicare quale valore della concessione.

In conclusione, la mancata previa stima approssimativa del fatturato compiuta dalla stazione appaltante comporta l'integrale annullamento del bando di gara e la necessità di una sua rinnovazione.

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