Divieto assoluto di rinegoziazione

Redazione Scientifica
20 Gennaio 2017

É illegittimo e meritevole di annullamento il provvedimento con cui la stazione appaltante dispone una modifica postuma della normativa di gara e delle condizioni contrattuali dopo l'aggiudicazione dell'appalto, trattandosi di determinazioni che...

É illegittimo e meritevole di annullamento il provvedimento con cui la stazione appaltante dispone una modifica postuma della normativa di gara e delle condizioni contrattuali dopo l'aggiudicazione dell'appalto, trattandosi di determinazioni che, violando apertamente la par condicio tra i concorrenti, i quali hanno formulato le proprie offerte sulla base delle originarie condizioni poste a gara, comporta l'illegittimità di tutti gli atti della procedura di affidamento.

La rinegoziazione delle condizioni contrattuali a valle dell'aggiudicazione, oltre ad essere ex se illegittima per violazione dei principi posti a presidio dell'evidenza pubblica, è una pratica che non può essere giustificata nemmeno dal lungo lasso di tempo in cui si è svolta la procedura selettiva e dalla richiesta dell'aggiudicatario di rivedere alcune condizioni negoziali in conseguenza delle mutate circostanze a fronte del lungo tempo trascorso dalla formulazione dell'offerta.

L'ordinamento, infatti, in dette ipotesi (commi 7 e 9 dell'art. 11 cod. contr. pubbl.) prevede, rispettivamente, l'irrevocabilità dell'offerta presentata in sede di gara e il termine entro il quale permane questo vincolo per l'impresa offerente, scaduto il quale l'aggiudicatario può sciogliersi da esso.

La previsione di questo termine massimo ha la duplice finalità di consentire alla stazione appaltante, da un lato, di effettuare tutte le verifiche «circa l'insussistenza dei presupposti per un eventuale intervento in autotutela sull'aggiudicazione», e dall'altro lato «di offrire all'impresa aggiudicataria un rimedio nell'ipotesi del mancato rispetto dei termini per lo svolgimento di quelle verifiche», sempre nel presupposto dell'immodificabilità dell'offerta, il quale rappresenta un ovvio predicato della sua irrevocabilità, oltre che del principio di par condicio e dell'essenza stessa della procedura ad evidenza pubblica.

Nessuna modifica di queste condizioni è possibile una volta che la gara si sia conclusa con l'individuazione dell'offerta, posto che l'operatore economico privato può modulare le proprie condizioni sulla base fissata dall'amministrazione in sede di gara, ma non già dopo che questa si è conclusa, privando così di significato la selezione competitiva appena svoltasi.

Quando la procedura di gara dovesse procrastinarsi in modo inaccettabile, e quando il bando non preveda un termine antecedente all'aggiudicazione, un ritiro dell'offerta giustificato dalla sua sopravvenuto mutamento essenziale delle originarie condizioni di convenienza economica per l'impresa è da ritenersi in astratto legittimo, tenuto tra l'altro conto dei principi di «economicità, efficacia, tempestività e correttezza» che informano le procedure ad evidenza pubblica (art. 2, comma 1, d.lgs. n. 163 del 2006); non può invece ritenersi consentito al concorrente, per intuibili considerazioni e reciproche ragioni di correttezza e serietà, addurre solo ad aggiudicazione definitiva questo mutamento di scenario per negoziare una modifica delle condizioni del contratto fino ad allora accettate.

Ad ulteriore conferma di quanto rilevato si osserva che anche in caso di subentro nel contratto per effetto dello scioglimento del rapporto con l'originario aggiudicatario in corso di esecuzione, nei casi previsti dall'art. 140 del previgente codice dei contratti pubblici, l'affidamento dell'appalto al concorrente interpellato dall'amministrazione che segue in graduatoria «avviene alle medesime condizioni già proposte dall'originario aggiudicatario in sede in offerta» (comma 2).

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