Il Consiglio di Stato sottopone alla Corte di Giustizia la disciplina dell'obbligo dichiarativo dell'assenza di condanne penali in capo agli amministratori cessati e del potere di valutazione delle condotte dissociative dell'impresa

Claudio Fanasca
20 Aprile 2016

Il Consiglio di Stato rimette alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea la questione pregiudiziale sulla compatibilità con l'art. 45, paragrafi 2, lett. c) e g), e 3, lett. a), direttiva 2004/18/CE e, in generale, con i principi di diritto eurounitario in materia di appalti pubblici.
Massima

Il Consiglio di Stato rimette alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea la questione pregiudiziale sulla compatibilità con l'art. 45, paragrafi 2, lett. c) e g), e 3, lett. a), direttiva 2004/18/CE e, in generale, con i principi di diritto eurounitario in materia di appalti pubblici, dell'art. 38, comma 1, lett. c), d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, nella parte in cui estende il contenuto dell'obbligo dichiarativo sull'assenza di sentenze definitive di condanna, ivi comprese le sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell'art. 444 c.p.p., ai soggetti cessati dalle cariche sociali nell'anno antecedente la pubblicazione del bando e configura una correlativa causa di esclusione dalla gara, qualora l'impresa non dimostri che vi sia stata completa ed effettiva dissociazione dalla condotta penalmente sanzionata, rimettendo alla discrezionalità della stazione appaltante una valutazione sull'integrazione della condotta dissociativa che le consenta di introdurre a carico dell'impresa, su un piano effettuale, a pena di esclusione dalla gara, i) oneri informativi e dichiarativi relativi a vicende penali non ancora definite con sentenza irrevocabile, ii) oneri di dissociazione spontanea indeterminati quanto alla tipologia delle condotte scriminanti, al relativo riferimento temporale (anche anticipato rispetto al momento di irrevocabilità della sentenza penale) e alla fase della procedura in cui devono essere assolti e iii) oneri di leale collaborazione dal contorno indefinito, genericamente fondati sulla clausola di buona fede.

Il caso

Nell'ambito di una procedura per l'affidamento di una concessione mediante finanza di progetto, ai sensi dell'art. 153, commi 1-14, d.lgs. n. 163 del 2006, la stazione appaltante ha ammesso con riserva, in attesa di chiarimenti, un'associazione temporanea di imprese sul presupposto che costituiva fatto notorio (siccome appreso da un quotidiano locale) che un soggetto, cessato dalla carica sociale di amministratore delegato della mandataria nell'anno precedente la pubblicazione del bando, risultava essere stato condannato con sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'art. 444 c.p.p., divenuta poi irrevocabile in corso di gara, in un momento successivo alla presentazione dell'autodichiarazione sui requisiti di moralità professionale.

In sede di chiarimenti, l'ATI ha rappresentato che la sentenza penale (ex art. 444 c.p.p., pertanto pronunciata in camera di consiglio) era stata pubblicata, e successivamente divenuta irrevocabile, solo dopo la presentazione delle dichiarazioni ex art. 38, comma 1, lett. c), e che erano stati posti in essere una serie di atti idonei a dimostrare una tempestiva, effettiva e completa dissociazione della società dalla condotta del soggetto condannato (quali l'immediata rimozione da tutte le cariche sociali, il riassetto interno degli organi di gestione societaria, il riscatto delle azioni da esso detenute e l'avvio di un'azione di responsabilità).

A scioglimento della riserva, anche sulla scorta del parere reso dall'interpellata Autorità Nazionale Anticorruzione, la stazione appaltante ha disposto l'esclusione dell'ATI in ragione della rilevata insufficienza e tardività della dissociazione della mandataria dalla condotta penalmente rilevante posta in essere dall'amministratore cessato, per effetto dalla omessa tempestiva comunicazione degli eventi connessi al giudizio penale, pur non ancora definito, concernenti lo stesso, in violazione del dovere di leale collaborazione.

L'ATI ha impugnato il provvedimento di esclusione dinanzi al competente TRGA Bolzano che, con sentenza 27 agosto 2015, n. 270, ha respinto il ricorso ravvisando, in sintesi, (i) una violazione del dovere di leale collaborazione e di correttezza nei confronti della stazione appaltante, per aver l'impresa negligentemente omesso di indicare nelle autodichiarazioni rese in sede di gara l'esistenza di un procedimento penale a carico dell'amministratore cessato, e (ii) la non configurabilità di una dissociazione completa, effettiva e tempestiva dalla condotta penalmente rilevante dello stesso.

Con ricorso in appello proposto dinanzi al Consiglio di Stato il raggruppamento escluso ha censurato la sentenza sotto diversi profili e, in particolare, ha contestato l'errata interpretazione dell'art. 38, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 163 del 2006, anche alla luce della normativa e dei principi di diritto eurounitario. Si sono costituiti in giudizio per resistere all'appello sia la stazione appaltante sia l'impresa nel frattempo divenuta aggiudicataria della procedura di gara.

Nella memoria di replica depositata in vista dell'udienza pubblica, l'ATI appellante ha altresì formulato, in via subordinata, questione di illegittimità costituzionale dell'art. 38 c.c.p. per contrasto con gli artt. 2, 27, comma 1, e 41 Cost., e/o questione di incompatibilità con il diritto euro-unitario, in particolare con riguardo agli artt. 45 direttiva 2004/18/CE e art. 57 direttiva 2014/24/UE e ai principi di diritto eurounitario, che presiedono alla disciplina dei contratti pubblici, chiedendo il relativo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, ai sensi dell'art. 267 TFUE.

La questione

Con l'ordinanza in commento il Consiglio di Stato ha ritenuto di sottoporre al vaglio della Corte di Giustizia dell'Unione Europea la questione pregiudiziale della compatibilità con il diritto euro-unitario della previsione dell'art. 38, comma 1, lett. c), c.c.p. nella parte in cui estende ai soggetti cessati dalle cariche sociali, ivi specificate, nell'anno antecedente la pubblicazione del bando di gara, l'obbligo dichiarativo in ordine all'assenza di sentenze di condanna definitive, ivi comprese le sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'art. 444 c.p.p., e configura una correlativa causa di esclusione dalla gara allorché l'impresa non dimostri che vi sia stata completa ed effettiva dissociazione dalla condotta penalmente sanzionata, rimettendo alla discrezionalità della stazione appaltante una valutazione sull'integrazione della condotta dissociativa che le consenta di introdurre a carico dell'impresa una serie di oneri dichiarativi, informativi e di leale collaborazione dai contorni indefiniti.

La soluzione giuridica

Il Consiglio di Stato ha preliminarmente osservato che il soggetto cessato aveva rivestito la carica di amministratore delegato munito di rappresentanza legale della mandataria dell'ATI fino a una data ricompresa nell'anno antecedente la pubblicazione del bando di gara e, in particolare, fino alla data delle sue dimissioni a seguito di misure cautelari restrittive della libertà personale, applicategli per i reati che hanno condotto alla pronuncia della sentenza di patteggiamento de qua. Tale sentenza, pronunciata in camera di consiglio, è stata pubblicata completa di motivazione, e successivamente divenuta irrevocabile, solo dopo le dichiarazioni sull'assenza di cause ostative ex art. 38, comma 1, lett. c), c.c.p. rese in sede di gara dal legale rappresentante della mandataria.

Su tale presupposto, il Collegio ha rilevato la non configurabilità della causa escludente della falsità delle dichiarazioni rese in sede di gara, dal momento che l'obbligo dichiarativo in parola sorge solo con l'irrevocabilità delle sentenze penali contemplate dalla citata disposizione normativa; e ciò anche in aderenza all'art. 45 direttiva 2004/18/CE, ove si fa esclusivo riferimento alle pronunce di condanna passate in giudicato conformemente alle disposizioni di legge dello Stato.

Il Consiglio di Stato ha ulteriormente considerato che la pendenza del procedimento penale a carico dell'amministratore cessato era di pubblico dominio prima della pubblicazione e del passaggio in giudicato della sentenza, tanto che l'ATI appellante era stata ammessa alla gara con riserva, e che l'autorità di gara aveva acquisito il certificato del casellario giudiziale relativo al predetto soggetto, da cui risultava la pronuncia della sentenza penale e la data in cui la stessa era divenuta irrevocabile. In tale contesto, la stazione appaltante ha escluso il raggruppamento in ragione dell'insufficiente e tardiva dimostrazione della dissociazione dalla condotta penale; l'inadeguatezza della condotta dissociativa è stata desunta dall'amministrazione principalmente in base all'elemento indiziario costituito dalla mancata tempestiva comunicazione alla stessa stazione appaltante degli eventi connessi al giudizio penale, pur non ancora definito, concernenti l'amministratore cessato, siccome intesa e qualificata come violazione del dovere di leale collaborazione gravante sulla concorrente.

Al riguardo, il Collegio ha evidenziato come la motivazione resa dalla stazione appaltante sia sostanzialmente conforme all'interpretazione dell'art. 38, comma 1, lett. c), c.c.p. nella parte sui soggetti cessati dalla carica nell'anno antecedente la pubblicazione del bando, rinvenibile nel parere fornito dall'interpellata Autorità Nazionale Anticorruzione, oltre che nell'orientamento giurisprudenziale ivi richiamato; il riferimento è, in particolare, alla giurisprudenza che, pure in presenza del compimento di attività costituenti indice della dissociazione, afferma la legittimità dell'esclusione dalla gara di un'impresa, allorché quest'ultima ometta una spontanea dichiarazione del passaggio in giudicato della sentenza di condanna a carico di un proprio amministratore che sia intervenuta successivamente alla dichiarazione sui requisiti di moralità, ma prima dell'aggiudicazione (Cons. St., Sez. IV, 22 dicembre 2014, n. 6284).

Così riscostruito l'orientamento giurisprudenziale richiamato, il Consiglio di Stato ha ravvisato la necessità, ai fini della decisione della causa, di investire la Corte di Giustizia dell'Unione Europea della questione pregiudiziale sulla compatibilità con il diritto eurounitario di una normativa nazionale, quale quella di cui all'art. 38, comma 1, lett. c), c.c.p. nella parte in cui estende il contenuto dell'ivi previsto obbligo dichiarativo sull'assenza di sentenze definitive di condanna, comprese le sentenze di applicazione della pena su richiesta, ai soggetti titolari di cariche sociali cessati nell'anno antecedente la pubblicazione del bando e configura una correlativa causa di esclusione dalla gara, qualora l'impresa non dimostri che vi sia stata completa ed effettiva dissociazione dalla condotta di rilievo penale, rimettendo alla discrezionalità della stazione appaltante una valutazione sull'integrazione della condotta dissociativa che le consenta di introdurre a carico dell'impresa, su un piano effettuale, a pena di esclusione dalla gara, i) oneri informativi e dichiarativi relativi a vicende penali non ancora definite con sentenza irrevocabile, ii) oneri di dissociazione spontanea indeterminati quanto alla tipologia delle condotte scriminanti, al relativo riferimento temporale (anche anticipato rispetto al momento di irrevocabilità della sentenza penale) e alla fase della procedura in cui devono essere assolti e iii) oneri di leale collaborazione dal contorno indefinito, genericamente fondati sulla clausola di buona fede. Tutto ciò individuando quali parametri del giudizio di compatibilità l'art. 45, paragrafi 2, lett. c) e g), e 3, lett. a), direttiva 2004/18/CE e i principi di diritto eurounitario di tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto, di parità di trattamento, di proporzionalità e di trasparenza, di divieto di aggravio del procedimento e di massima apertura alla concorrenza del mercato degli appalti pubblici, nonché di tassatività e determinatezza delle fattispecie sanzionatorie.

Sulla scorta di tali considerazioni, ai sensi dell'art. 267 TFUE, il Consiglio di Stato ha investito la Corte di Giustizia dell'Unione Europea della seguente questione pregiudiziale: «Se osti alla corretta applicazione dell'art. 45, paragrafi 2, lettere c) e g), e 3, lett. a) della Direttiva 2004/18/CEdel Parlamento europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004 e dei principi di diritto europeo di tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto, di parità di trattamento, di proporzionalità e di trasparenza, di divieto di aggravio del procedimento e di massima apertura alla concorrenza del mercato degli appalti pubblici, nonché di tassatività e determinatezza delle fattispecie sanzionatorie, una normativa nazionale, quale quella dell'art. 38, comma 1, lett. c), d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) e successive modificazioni, nella parte in cui estende il contenuto dell'ivi previsto obbligo dichiarativo sull'assenza di sentenze definitive di condanna (comprese le sentenze di applicazione della pena su richiesta delle pari), per i reati ivi indicati, ai soggetti titolari di cariche nell'ambito delle imprese concorrenti, cessati dalla carica nell'anno antecedente la pubblicazione del bando, e configura una correlativa causa di esclusione dalla gara, qualora l'impresa non dimostri che vi sia stata completa ed effettiva dissociazione dalla condotta penalmente sanzionata di tali soggetti, rimettendo alla discrezionalità della stazione appaltante la valutazione sull'integrazione della condotta dissociativa che consente alla stazione appaltante di introdurre, su un piano effettuale, a pena di esclusione dalla gara: (i) oneri informativi e dichiarativi relativi a vicende penali non ancora definite con sentenza irrevocabile (e, quindi, per definizione di esito incerto), non previsti dalla legge neppure in ordine ai soggetti in carica; (ii) oneri di dissociazione spontanea, indeterminati quanto alla tipologia delle condotte scriminanti, al relativo riferimento temporale (anche anticipato rispetto al momento di irrevocabilità della sentenza penale) e alla fase della procedura in cui devono essere assolti; (iii) oneri di leale collaborazione dal contorno indefinito, se non con richiamo alla clausola generale della buona fede».

Osservazioni

La pronuncia in commento si segnala per aver sollevato un problema di compatibilità con il diritto eurounitario della normativa nazionale, di cui all'art. 38, comma 1, lett. c), laddove prevede che il requisito di moralità professionale deve sussistere anche in capo ai soggetti cessati dalla carica nell'anno antecedente la data di pubblicazione del bando di gara e configura quale causa di esclusione l'omessa dissociazione da parte dell'impresa rispetto alla condotta penalmente rilevante accertata con sentenza definitiva di condanna, sostanzialmente rimettendo alla stazione appaltante un'ampia discrezionalità nella valutazione dell'adeguatezza della predetta condotta dissociativa.

In particolare, il Consiglio di Stato ravvisa una possibile incompatibilità del diritto interno sia rispetto allo specifico tenore letterale dell'art. 45 direttiva 2004/18/CE, ove, per quanto di interesse, si prevede soltanto che l'operatore economico possa essere escluso in caso di condanna con sentenza passata in giudicato, conformemente alle disposizioni di legge dello Stato, per un reato che incida sulla sua moralità professionale ovvero in caso di false dichiarazioni rese in sede di gara, sia soprattutto rispetto ai più generali principi di matrice eurounitaria in tema di trasparenza, massima apertura delle procedure di gara e tassatività delle cause di esclusione. Sotto questo profilo, appare evidente la logica garantista che ha ispirato il Consiglio di Stato nel rilevare come la discrezionalità riconosciuta dalla normativa nazionale alle stazioni appaltanti nella valutazione delle condotte dissociative rischi di fatto di tradursi in arbitrarietà, laddove si consideri che la predetta discrezionalità può estrinsecarsi nell'imposizione all'impresa concorrente, sostanzialmente a pena di esclusione, di oneri dichiarativi, informativi e di leale collaborazione rispetto ai soggetti cessati dalla carica che non sono predeterminati dalla legge, nemmeno per quelli ancora in carica, né tantomeno sono adeguatamente definiti nei propri contorni quanto alla tipologia delle condotte scriminanti, al relativo riferimento temporale e alla fase della procedura in cui devono essere assolti.

Ciò che rende impossibile, in contrasto con i più elementari principi di certezza del diritto e di prevedibilità delle conseguenze dei propri comportamenti, per l'operatore economico individuare le condotte e gli adempimenti necessari ai fini della partecipazione alla procedura di gara, con conseguente compromissione anche del diritto, costituzionalmente ed eurounitariamente garantito, di libertà di iniziativa economica. Peraltro, l'eccessiva discrezionalità che sembrerebbe riconosciuta alla stazione appaltante rischia di compromettere in radice il principio di parità di trattamento, funzionale al corretto esplicarsi della libera concorrenza, che deve necessariamente sorreggere lo svolgimento delle gare pubbliche.

Al riguardo, del resto, vale la pena osservare che la vigente formulazione dell'art. 38, comma 1, lett. c), prevede, quanto ai soggetti cessati dalla carica, che l'operatore economico può evitare l'esclusione dimostrando la «completa ed effettiva dissociazione» dalla condotta di reato; si noti che l'espressione utilizzata prima delle modifiche apportate con il d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito dalla l. 12 luglio 2011, n. 106, faceva invece riferimento all'«adozione di atti o misure di completa dissociazione» e l'attuale diversa formulazione della norma, secondo l'allora Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici (determinazione n. 1 del 16 maggio 2012), sarebbe sintomatica della volontà del legislatore di distinguere, in un'ottica sostanzialista, tra la prova dell'intervenuta, effettiva e completa, dissociazione e la formale adozione di atti e misure a ciò destinati.

Ebbene, l'onere di fornire detta prova gravante sull'operatore economico non è univocamente definito e possono essere individuati una serie di indici rivelatori dell'effettività della dissociazione, quali, a titolo esemplificativo, l'estromissione del soggetto dalla compagine sociale e/o da tutte le cariche sociali con la prova concreta che non vi sono collaborazioni in corso, il licenziamento e il conseguente avvio di un'azione risarcitoria, la denuncia penale. Tuttavia, proprio secondo la richiamata visione sostanzialista, in relazione allo specifico caso concreto, non è possibile definire con certezza se le predette condotte siano di per sé idonee a dimostrare l'effettiva dissociazione ovvero, al contrario, finiscano per assumere secondo la stazione appaltante un carattere meramente formale. In tale contesto, del resto, si inserisce pure quell'orientamento giurisprudenziale, citato proprio nella pronuncia in commento, secondo cui perdono di efficacia sostanziale tutte quelle attività costituenti indice della dissociazione, laddove l'impresa ometta una spontanea dichiarazione del passaggio in giudicato della sentenza di condanna a carico di un proprio amministratore che sia intervenuta successivamente alla dichiarazione sulla sussistenza dei requisiti di moralità, ma prima dell'aggiudicazione, fondandosi tale obbligo dichiarativo sul dovere di leale collaborazione e correttezza nei confronti della stazione appaltante (Cons. St., Sez. IV, 22 dicembre 2014).

A tale proposito si osserva che, se da un lato, può ritenersi doveroso l'accertamento in concreto della circostanza dell'effettiva dissociazione, dall'altro, come correttamente sembra avere rilevato il Consiglio di Stato, non pare giustificabile che da ciò derivino ulteriori, e non legalmente previsti, adempimenti connessi agli oneri dichiarativi, che sono altra cosa rispetto all'effettiva dissociazione.

Guida all'approfondimento

In dottrina, sul requisito di ordine generale dell'assenza di condanne penali, si vedano S. BACCARINI-G. CHINÈ-R. PROIETTI, Codice dell'appalto pubblico, Milano, 2015, 491; G. GRECO, I requisiti di ordine generale, in M.A. SANDULLI–R. DE NICTOLIS–R. GAROFOLI (a cura di), Trattato sui contratti pubblici, Milano, 2008, 1267.

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