Diritto al subentro nel contratto in forza di una sentenza passata in giudicato e sopravvenuta interdittiva antimafia

Maria Stella Bonomi
21 Luglio 2016

Nel caso in cui vi sia un giudicato che abbia riconosciuto il diritto del ricorrente al subentro nel contratto, la sopravvenuta informativa antimafia interviene in un contratto ormai “in corso” con la conseguenza che ogni eventuale annullamento è illegittimo qualora non sia preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento.

La sentenza esamina il rapporto tra il diritto al subentro nel contratto in forza di una sentenza passata in giudicato e la sopravvenuta interdittiva antimafia.

La stazione appaltante, nel caso di specie, mentre dava mandato ai propri uffici di dare corso al subentro nel contratto a favore della ricorrente in ottemperanza ad una decisione del Consiglio di Stato, veniva a conoscenza che la stessa impresa era stata raggiunta da un'interdittiva prefettizia antimafia.

L'Amministrazione, pertanto, richiedeva un parere all'ANAC, in ordine alla possibilità di escludere la suddetta impresa dalla gara che rispondeva confermando l'efficacia interdittiva dell'informativa antimafia. Conformandosi al parere dell'ANAC l'Amministrazione disponeva l'annullamento d'ufficio dell'affidamento alla nuova aggiudicataria.

L'impresa, che nel frattempo aveva ottenuto la certificazione liberatoria dall'interdittiva ex art. 91, comma 5 del d.lgs n. 159 del 2011, impugnava il suddetto annullamento , dolendosi inter alia, della violazione dell'obbligo di comunicazione di avvio del procedimento di cui all'art. 7, l. n. 241 del 90.

In via preliminare, il TAR chiarisce che l'informativa antimafia è una misura cautelativa che il legislatore ha munito di una disciplina volta a scongiurare, ove possibile, effetti economici negativi a danno dell'impresa e dell'occupazione ed interruzioni dei lavori pubblici negative per l'interesse generale, alla luce della generale convinzione che un efficace contrasto alla criminalità organizzata esiga non solo misure punitive ed interdittive, ma anche misure volte all'isolamento del fenomeno sul territorio e nella società. , In tale quadro, precisa la sentenza, l'istituto dell'amministrazione giudiziaria, con il sequestro integrale delle quote ex art. 34, comma 9, d.lgs. n. 159 del 2011, rappresenta uno strumento volto anche a garantire la continuità occupazionale e a scongiurare ripercussioni economiche a danno dell'impresa e pertanto, l'art. 38, comma 1-bis d.lgs. 163 del 2006, rende inopponibile all'impresa qualsivoglia preesistente causa di esclusione afferente ai requisiti generali.

Ebbene, il Collegio afferma che, in presenza di un giudicato che dichiari l'inefficacia di un contratto e il diritto al subentro a favore di un operatore, quest'ultimo è in realtà parte di un "contratto in corso" seppure non ancora tempestivamente attivato dall'Amministrazione resistente. Di conseguenza, risulta fondata la censura con cui viene contestato il mancato avviso dell'avvio del procedimento, dovendo l'Amministrazione assumere una “decisione, circa il mantenimento o meno del contratto”, scaturente dalla “valutazione delle misure di esclusione concretamente adottate” nei confronti delle imprese colpite dall'interdittiva.

Di conseguenza, conclude il Collegio, l'Amministrazione dovrà nuovamente valutare in contraddittorio con il commissario prefettizio e l'amministratore giudiziario la sussistenza delle condizioni per il mantenimento del rapporto negoziale in corso, dovendo a tale riguardo considerare “alla stregua del principio comunitario e nazionale di irretroattività relativamente alle mutate circostanze della realtà” sia l'intervenuta amministrazione giudiziaria, sia il successivo aggiornamento in senso liberatorio della certificazione antimafia delle imprese interessate.