Requisiti previsti dalle norme di garanzia qualità e gestione ambientale: il C.d.S. interpreta in chiave sostanzialista gli artt. 43 e 44 d.lgs. 163/2006

Marco Cappai
21 Novembre 2016

In materia di norme di garanzia della qualità e di gestione ambientale di cui agli artt. 43 e 44 del d.lgs. n. 163 del 2006, la produzione di un certificato rilasciato da un ente non accreditato non può comportare ex se l'esclusione dell'operatore economico da una procedura di gara, ma impone alla stazione appaltante una valutazione in ordine all'effettivo possesso dei requisiti in capo al concorrente.
Massima

In materia di norme di garanzia della qualità e di gestione ambientale di cui agli artt. 43 e 44 del d.lgs. n. 163 del 2006 (per le procedure concorsuali successive al 19 aprile 2016, v. allo stesso modo art. 87, commi 1 e 2 d.lgs. n. 50 del 2016), la produzione di un certificato rilasciato da un ente non accreditato non può comportare ex se l'esclusione dell'operatore economico da una procedura di gara, ma impone alla stazione appaltante una valutazione in ordine all'effettivo possesso dei requisiti in capo al concorrente; valutazione che ben può avvenire anche attraverso l'esame della certificazione non accreditata da questi fornita, giacché il Legislatore ha prediletto un approccio sostanzialista, inteso a contemperare l'esigenza di ammettere alla gara le sole imprese in possesso dei requisiti posti dalla lex specialis con il generale favor partecipationis che informa la disciplina degli appalti.

Il caso

La pronuncia trae origine da una gara di appalto per la manutenzione ordinaria di opere murarie comunali. La società posizionatasi terza in graduatoria rilevava che alcune delle certificazioni di qualità e di gestione ambientale richieste dal disciplinare di gara e prodotte sia dalla aggiudicataria che dalla società seconda classificata non avrebbero potuto essere valutate dalla stazione appaltante, in quanto emesse da soggetti non accreditati dall'ente designato dal Governo (i.e. Accredia, designato dal Governo il 22 dicembre 2009). Da ciò la ricorrente deduceva la violazione degli artt. 4 e 5 del regolamento n. 765/2008/CE, degli artt. 43 e 44 del d.lgs. n. 163 del 2006 – applicabili ratione temporis alla procedura concorsuale in rilievo – e della lex specialis di gara, nonché, sotto vari profili, l'eccesso di potere. La sentenza di primo grado respingeva il gravame (TAR Campania, Napoli, Sez. V, 4 febbraio 2016, n. 1008). Parte soccombente ha appellato la pronuncia.

La questione

La decisione in commento affronta la questione della sussistenza in capo alla stazione appaltante di un obbligo di automatica esclusione del concorrente che abbia prodotto certificati di qualità e di gestione ambientale non accreditati, nel caso in cui il disciplinare di gara abbia richiesto il possesso di determinati requisiti ma non abbia specificato che gli stessi debbano necessariamente risultare da certificati accreditati.

Le soluzioni giuridiche

Prima di pronunciarsi sulla questione sottoposta al suo vaglio, il Consiglio di Stato ha offerto una ricostruzione della normativa in rilievo, onde individuarne le finalità e la ratio ispiratrice. Analogamente a quano oggi previsto dall'art. 87, commi 1 e 2, d.lgs. n. 50 del 2016, gli artt. 43 e 44, d.lgs. n. 163 del 2006 dispongono che qualora la lex specialis di gara richieda la presentazione di certificati idonei ad attestare l'ottemperanza a determinate norme in materia di garanzia della qualità e di gestione ambientale, i concorrenti possono produrre: a) certificati rilasciati da organismi indipendenti dotati di caratteristiche conformi alle serie delle norme europee relative alla certificazione (i.e. enti accreditati), rilasciati secondo sistemi di assicurazione della qualità basati sulle serie di norme europee vigenti in materia; b) certificati equivalenti rilasciati da organismi stabiliti in altri Stati membri (i.e. enti accreditati in altri Stati membri), rilasciati secondo le medesime modalità; c) altre prove relative all'impiego di misure equivalenti di garanzia della qualità prodotte dagli operatori economici. Secondo la giurisprudenza, si tratta di strumenti utili allo stesso modo per consentire al concorrente di dimostrare il possesso dei requisiti soggettivi richiesti per partecipare alla procedura di gara (Cons. St., Sez. V, 12 novembre 2013, n. 5375). La giurisprudenza ha inoltre precisato che la disciplina in esame costituisce la sintesi tra le contrapposte esigenze di garantire con sufficiente grado di certezza il rispetto degli standard di qualità e di gestione ambientale e, al contempo, di mantenere tale onere probatorio entro la cornice dei canoni di ragionevolezza e proporzionalità, in modo tale da preservare l'interesse pubblico alla massima partecipazione (Cons. St., Sez. V, 9 settembre 2013, n. 4471).

Ciò che distingue le ipotesi sub a) e b), da un lato, e l'ipotesi sub c), dall'altro lato, è unicamente il diverso valore probatorio attribuito alla documentazione prodotta: mentre nel primo caso opera una presunzione assoluta in ordine al possesso dei requisiti di qualità e di gestione ambientale da parte del concorrente, nel secondo caso il possesso di tali requisiti deve essere oggetto di scrutinio da parte della stazione appaltante. Ne viene che la produzione di un certificato rilasciato da un ente non accreditato non può comportare ex se l'esclusione da una procedura di gara, ma impone all'Amministrazione una valutazione in ordine al concreto possesso dei requisiti in capo al concorrente.

Nel caso di specie, l'aggiudicataria e la seconda classificata avevano prodotto certificati non rilasciati dall'ente nazionale accreditato. Da tale circostanza parte appellante inferiva il non possesso dei requisiti da parte dell'aggiudicatario e del secondo classificato. La doglianza investiva unicamente l'aspetto formale della “provenienza” della documentazione prodotta, ma non era supportata da alcuna contestazione, dal punto di vista sostanziale, in ordine all'effettivo mancato possesso dei requisiti necessari. Al riguardo il Consiglio di Stato ha affermato che, in assenza di una previsione del disciplinare di gara che richiedesse espressamente certificati accreditati ed in mancanza di indizi probatori in ragione dei quali si potesse trarre il mancato possesso dei requisiti da parte dell'aggiudicataria e della seconda classificata, non poteva ravvisarsi alcun uso illegittimo del potere discrezionale in capo alla stazione appaltante circa il giudizio di equivalenza delle prove offerte. Di qui il rigetto dell'appello.

Osservazioni

La sentenza offre un'applicazione “sostanzialista” della normativa rilevante in materia di norme di garanzia della qualità e di norme di gestione ambientale, costituita nel caso di specie dagli artt. 43 e 44 del d.lgs. n. 163 del 2016, ma non modificata, sul punto, dall'art. 87, commi 1 e 2 del d.lgs. n. 50 del 2016. Chiave di volta del ragionamento seguito dal Consiglio di Stato è la considerazione delle finalità sottese all'istituto: da un lato, l'esigenza che i concorrenti attestino il possesso dei requisiti con sufficiente grado di certezza; dall'altro lato, la necessità che la stazione appaltante ancori il relativo scrutinio ai basilari canoni di ragionevolezza e proporzionalità, così da favorire la massima partecipazione concorsuale (da ultimo, TAR Lazio, Latina, Sez. I, 12 febbraio 2016, n. 87). Dalla corretta rappresentazione degli interessi in gioco si ricava che per i certificati “accreditati” (indifferente se da un ente nazionale o di altro Stato membro), considerata la fonte “qualificata” della certificazione ed il grado di certezza che detta provenienza è in grado di generare, opera una “presunzione assoluta” di possesso dei requisiti da parte del concorrente, della quale la stazione appaltante deve limitarsi a prendere atto. Una simile presunzione – è evidente – soddisfa altresì l'interesse alla massima partecipazione concorsuale. Non esiste e non può esistere, di contro, una presunzione assoluta che operi in negativo, nel senso di portare formalisticamente a escludere il possesso dei requisiti per il solo fatto che i certificati prodotti dall'operatore economico non siano accreditati.

Al riguardo è interessante notare che, nella formulazione testuale introdotta dal d.lgs. n. 50 del 2016, il mosaico degli interessi in gioco sembra essersi arricchito di alcuni elementi ulteriori. In particolare, sia per le norme di qualità (art. 87, comma 1) che per le norme di gestione ambientale (art. 87, comma 2) viene oggi previsto che le cc.dd. “prove equivalenti” possono essere prodotte solo «qualora gli operatori economici interessati non avessero la possibilità di ottenere tali certificati entro i termini richiesti per motivi non imputabili agli stessi operatori economici». In questo modo il Legislatore indica una preferenza per i certificati di provenienza “accreditata”, in quanto maggiormente idonei a realizzare le esigenze di speditezza della procedura, affrancando la stazione appaltante dell'onere di valutare la documentazione presentata, e, al contempo, propedeutici alla riduzione del contenzioso, comprimendo sensibilmente il margine di discrezionalità dell'Amministrazione procedente. Il correttivo appare meritevole di apprezzamento.

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