Reciproci inadempimenti: disapplicazione della risoluzione ex art. 136 d.lgs. 163/06 in favore della risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c.

Paolo Del Vecchio
30 Dicembre 2016

Nell'eventualità che l'atto di esercizio del potere di autotutela sia riconosciuto legittimo, non è precluso alla stessa pubblica amministrazione di chiedere al giudice ordinario o agli arbitri, in via riconvenzionale, la risoluzione giudiziale del contratto per inadempimento dell'appaltatore, trattandosi di due rimedi aventi natura giuridica diversa e caratterizzati da presupposti e modalità di attuazione diversi.
Massima

Nell'eventualità che l'atto di esercizio del potere di autotutela sia riconosciuto legittimo, non è precluso alla stessa pubblica amministrazione di chiedere al giudice ordinario o agli arbitri, in via riconvenzionale, la risoluzione giudiziale del contratto per inadempimento dell'appaltatore, trattandosi di due rimedi aventi natura giuridica diversa e caratterizzati da presupposti e modalità di attuazione diversi.

Il caso

L'amministrazione convenuta aveva indetto gara d'appalto per la realizzazione del Policlinico Universitario in località S. Clemente - Caserta. La parte attrice, in proprio e quale capo gruppo mandataria dell'A.T.I. aggiudicatrice dell'appalto e stipulante il relativo contratto, adiva il giudice ordinario chiedendo di accertare e dichiarare l'illegittimità ed illiceità della risoluzione del contratto adottata dalla amministrazione, in quanto asseritamente assunta in spregio dell'art. 136 d.lgs. n. 163 del 2006 e in assenza assoluta di ogni presupposto sia in ordine al ritardo che in ordine alla gravità dello stesso e, per l'effetto disapplicarlo.

Inoltre, in via subordinata, chiedeva di dichiarare risolto il contratto di appalto per grave inadempimento della Stazione appaltante, e, per l'effetto, presentava domanda di risarcimento del danno.

La parte convenuta assumeva il grave inadempimento dell'appaltatrice e la legittimità dell'intervenuta risoluzione autoritativa deliberata dall'amministrazione committente ex art. 136 d.lgs. n. 163 del 2006, ovvero, in via subordinata, della risoluzione giudiziale ex art. 1453 c.c. e, per l'effetto, spiegava domande riconvenzionali di risarcimento dei danni.

La questione

La questione giuridica sottesa al caso di specie riguardava preliminarmente la verifica in ordine all'effettiva sussistenza delle ragioni legittimanti la risoluzione autoritativa assunta ex art. 136 c.c.p. e se, per l'effetto, disapplicarla e, in via subordinata, valutare le domande avanzate dalle parti di risoluzione del contratto e di risarcimento danni conseguenti.

Le soluzioni giuridiche

Nell'ipotesi di accertamento incidentale dell'illegittimità della risoluzione giudiziale del contratto per inadempimento dell'appaltatore ex art. 136 del d.lgs. n. 163 del 2006 è necessario procedere alla verifica in ordine all'effettiva sussistenza delle ragioni legittimanti la risoluzione autoritativa.

Sebbene la norma citata applicabile alla fattispecie in oggetto si riferisca letteralmente a generici ritardi, risulta evidente che la risoluzione del contratto può essere pronunciata soltanto in caso di ritardo di tale gravità, da compromettere irrimediabilmente l'osservanza del termine di esecuzione.

Inoltre, è presupposto necessario che le ragioni del ritardo siano interamente addebitabili alla negligenza dell'appaltatore e non dipendano, invece, anche solo come concausa rilevante, da fatti addebitabili all'amministrazione o alla direzione dei lavori.

Alla luce dei principi giurisprudenziali l'azionabilità della disposizione di cui all'art. 136 c.c.p. da parte della stazione appaltante postula l'esclusiva addebitabilità all'appaltatore del significativo ritardo nell'esecuzione dell'opera pubblica.

Nel caso di specie, l'appaltatrice assumeva l'addebitabilità del ritardo alla committente, in ragione del carattere non esecutivo del progetto fornito, dell'indisponibilità delle aree di intervento per mancato completamento delle procedure espropriative e degli aggravi nell'esecuzione dovuti alla cd. “sorpresa geologica”.

La stazione appaltante opponeva che la variante migliorativa era stata disposta non per sanare le carenze del progetto, ma per contenere il ritardo già accumulato dalla società per cause alla stessa imputabili e lamentava l'inadeguatezza dell'organizzazione produttiva e del sistema di lavorazione praticato dalla società.

Il Collegio, riguardo l'esclusiva addebitabilità, nel caso di specie ha effettuato una valutazione articolata della esecutività degli elaborati progettuali, con riferimento alle singole parti dell'opera, evidenziando il diverso grado di specificità e le effettive e concrete possibilità di esecuzione, sottolineando, con riferimento ad alcune parti, la realizzabilità concreta delle stesse.

Tali circostanze, nella misura in cui evidenziano dei profili di criticità nell'esecuzione della principale obbligazione a carico della stazione appaltante consentono di escludere l'elemento dell'esclusiva addebitabilità del ritardo all'appaltatore, che per costante orientamento giurisprudenziale costituisce il presupposto per la risoluzione ex art. 136 d.lgs. n. 163 del 2006.

Pertanto il collegio, accertata in via incidentale l'illegittimità della risoluzione della committente e, disapplicato l'atto adottato ex art. 136 cit., procede alla disamina delle reciproche domande risolutorie avanzate dalla parti.

Va osservato che quando sussistono inadempimenti reciproci colpevoli, deve procedersi alla valutazione della loro importanza, al fine di individuare quello che giustifichi la pronuncia di risoluzione (Cass. civ. n. 13365 del 2006).

In tal caso opera il criterio della proporzionalità secondo cui il giudice non può limitarsi ad accertare, con riguardo al complesso delle prestazioni dovute da entrambi, chi si sia reso inadempiente per primo, con l'automatica conseguenza di dichiarare risolto il contratto per colpa di questi, ma deve valutare l'importanza dei singoli inadempimenti, considerando il nesso economico di interdipendenza tra le singole prestazioni, che si integra con quello di causalità.

Nei contratti con prestazioni corrispettive non è consentito al giudice di merito in caso di inadempienze reciproche di pronunciare la risoluzione ai sensi dell'art 1453 c.c., o di ritenere la legittimità del rifiuto di adempiere a norma dell'art 1460 c.c. in favore di entrambe le parti, in quanto la valutazione della colpa dell'inadempimento ha carattere unitario dovendo lo stesso addebitarsi esclusivamente a quel contraente che, con il proprio comportamento prevalente, abbia alterato il nesso di interdipendenza che lega le obbligazioni assunte mediante il contratto e perciò dato causa al giustificato inadempimento dell'altra parte. (Cass. civ.n. 14648 del 2013).

Ciò posto, è noto che lo scioglimento del contratto per inadempimento presuppone da parte del giudice la valutazione della non scarsa importanza dell'inadempimento stesso, avuto riguardo all'interesse dell'altra parte (Cons. St., Sez. V, sent. n. 2061 del 2013).

Nei contratti con prestazioni corrispettive, ai fini della pronuncia di risoluzione per inadempimento in caso di inadempienze reciproche, il giudice di merito è tenuto in primo luogo a formulare una valutazione soggettiva dei rispettivi inadempimenti e comportamenti delle parti, al fine di stabilire se e quale di esse si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti e, dunque, causa del comportamento della controparte e della conseguente alterazione del sinallagma contrattuale. Tale valutazione deve, inoltre, essere operata alla stregua di un criterio oggettivo, attraverso la verifica che l'inadempimento abbia inciso in modo apprezzabile nell'economia complessiva del rapporto (Corte di Cass., Sez. II, n. 7083 del 2006; Corte di Cass., Sez. II, n. 9046 del 2012; Cons. di Stato, Sez. IV, n. 6297 del 2012).

Dall'esame peritale si evince l'ambito delle condotte rilevanti; infatti è rimasto accertato che l'appaltatrice ha goduto della piena disponibilità dell'area di esecuzione dei lavori, risultando, la mancata consegna di alcune particelle, ininfluente ai fini dello svolgimento delle attività e pertanto circostanza non idonea ad incidere effettivamente sull'andamento dei lavori e sull'organizzazione di impresa del soggetto esecutore.

Si è ritenuto che non sono ravvisabili gli estremi della c.d. sorpresa geologica”, invocata dall'attrice, risultando le condizioni dell'area come accertate in corso di lavoro sovrapponibili a quelle indicate in elaborati progettuali, così escludendosi che la dilatazione dei tempi di esecuzione dell'opera sia da ascriversi alla peggiore composizione del terreno lamentata dall'appaltatrice come non rappresentata dalla committente e riscontrata solo in corso d'opera.

Quanto poi al delicato profilo dell'incidenza causale, sull'andamento dei lavori, dei tempi per l'approvazione della variante migliorativa e delle perizie suppletive, che l'attrice assume essersi rivelate necessarie in considerazione del carattere non esecutivo dei progetti a base di gara, la questione va affrontata tenendo conto della complessità dell'opera oggetto di appalto.

Alla luce delle risultanze dell'esame peritale, deve quindi escludersi che il progetto dell'intera opera possa qualificarsi come “non esecutivo”, essendo tale carattere ravvisabile solo ove esso presenti carenze ed indefinizioni tali da non consentire che ogni elemento sia identificabile in forma, tipologia, qualità, dimensione e prezzo e che contenga calcoli esecutivi delle strutture e particolari costruttivi delle stesse non esaustivi, e tali da non consentirne in alcun modo la cantierabiltà.

Alla luce di quanto esposto, il collegio dichiarato risolto il contratto per inadempimento della parte attrice rigetta la domanda di risoluzione per inadempimento della stazione appaltante e condanna l'attrice alla penale per il ritardato adempimento delle obbligazioni assunte dall'esecutore dei lavori pubblici, al risarcimento danni per concorso del fatto colposo del creditore.

Osservazioni

In definitiva, alla luce dell'evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia, sembra assolutamente in linea con l'orientamento prevalente la decisione adottata dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con la sentenza 14 novembre 2016, n. 3759.