Quando e quali sono i danni risarcibili nel caso di legittimo “ritiro” in autotutela degli atti di una gara pubblica?

22 Settembre 2016

Il “ritiro” legittimo di una procedura di gara nel momento immediatamente antecedente alla sottoscrizione del relativo contratto implica, di norma, una posizione di responsabilità riconducibile alla previsione dell'art. 1337 c.c. e comporta, pertanto, il risarcimento del danno mediante rimborso delle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative e ristoro della perdita di ulteriori occasioni di stipulazione con altri di contratti, altrettanto o maggiormente vantaggiosi.
Massima

Il “ritiro” legittimo di una procedura di gara nel momento immediatamente antecedente alla sottoscrizione del relativo contratto implica, di norma, una posizione di responsabilità riconducibile alla previsione dell'art. 1337 c.c. e comporta, pertanto, il risarcimento del danno mediante rimborso delle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative e ristoro della perdita di ulteriori occasioni di stipulazione con altri di contratti, altrettanto o maggiormente vantaggiosi.

Il caso

Una impresa impugnava il provvedimento con il quale l'amministrazione del Comune di Roma aveva disposto, in via amministrativa, il “ritiro” in autotutela – una sorta di contestuale revoca ed annullamento d'ufficio – degli atti (graduatorie provvisorie e assegnazioni definitive) della gara per l'affidamento in concessione di posteggi su area pubblica, siti in Piazza Navona di Roma, da assegnarsi per le attività connesse alla festività della Befana. Detto provvedimento era stato preceduto da un conforme parere dell'ANAC.

Nello specifico, oltre all'annullamento dell'atto di ritiro adottato, la suddetta ricorrente chiedeva il risarcimento del danno subito puntualmente allegando, a tal fine, che nelle more della stipulazione del contratto, in quanto titolare della legittima aspettativa di risultare assegnatario di uno o più posteggi, aveva commissionato la realizzazione dei nuovi banchi (così come richiesto dalla stessa lex specialis) nonché assunto altri impegni ed obbligazioni relativamente alla merce e ai prodotti da vendere. Quanto alle singole sottovoci di danno, veniva puntualmente richiesto: a) il rimborso dalle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative svolte in vista della conclusione del contratto (c.d. danno emergente); b) il ristoro della perdita di ulteriori occasioni di stipulazione con altri di contratti altrettanto o maggiormente vantaggiosi, impedite proprio dalle trattative indebitamente interrotte; c) il ristoro dell'utile economico che sarebbe derivato dalla gestione del servizio messo in gara (c.d. lucro cessante).

Le questioni

Fino a quale momento procedimentale la stazione appaltante può disporre il “ritiro” in autotutela (revoca e/o annullamento d'ufficio) degli atti di una gara pubblica? In quali ipotesi, inoltre, è dovuto il ristoro dei danni subiti da chi, essendosi utilmente collocato in graduatoria, aveva già legittimante risposto un'aspettativa nell'affidamento dell'appalto?

La soluzione giuridica

Risolta in senso negativo l'eccezione preliminare di inammissibilità del gravame per carenza di legittimazione passiva sollevata dall'Autorità nazionale anticorruzione relativamente alla propria posizione processuale di amministrazione resistente – in quanto, pur non avendo il parere da quest'ultima rilasciato certamente natura provvedimentale, né indirettamente valore obbligatorio o vincolante, l'incidenza di quest'ultimo viene ritenuto determinante nella fattispecie perché sostanzialmente integrativo della motivazione ob relationem del provvedimento di autotutela adottato – il TAR adito risponde, nel merito, con chiarezza ed esaustività ad entrambe le suddette domande.

In primo luogo viene rilevato, quanto alla domanda di annullamento, che secondo l'orientamento prevalente delle giurisprudenza amministrativa l'unico limite alla possibilità di esercitare il potere di riesame della procedura di gara è costituito dall'avvenuta stipulazione del contratto; per altro verso, che, ai fini motivazionali, occorre ulteriormente distinguere a seconda che il “ritiro” degli atti di gara sia intervenuto anteriormente all'aggiudicazione definitiva (nel qual caso, potendosi riconoscere in capo al concorrente solo un principio di affidamento – rectius, una mera aspettativa – non è infatti necessario un particolare sforzo motivazionale) oppure successivamente a quest'ultima ma prima della stipula del contratto (ipotesi in cui, invece, è richiesto un particolare e più aggravato onere di motivazione a sostegno del provvedimento di secondo grado).

Atteso, tuttavia, che nella fattispecie la procedura di assegnazione era stata ritirata durante la fase compresa tra l'approvazione della graduatoria – dal collegio giudicante ritenuta funzionalmente equivalente all'aggiudicazione definitiva – e l'assegnazione effettiva del posteggio – a sua volta riqualificata come corrispondente alla stipula del contratto - la domanda di annullamento viene respinta essendo stata ritenuto legittimo l'atto impugnato sia dal punto di vista strettamente procedimentale sia nel merito, non essendo state rinvenute alcuna delle illegittimità oggetto di censura.

In secondo luogo, con specifico riguardo al secondo interrogativo, viene nel contempo evidenziato che la riscontrata tempestività procedimentale del provvedimento di “ritiro” impugnato non aveva invero eliso tutti i margini di rilevanza giuridica dell'agere amministrativo: la revoca di una procedura di gara anteriormente alla sua conclusione con la sottoscrizione del contratto (o assegnazione del posteggio, nel caso di specie), di norma implica, infatti, una posizione di responsabilità riconducibile alle previsioni di cui all'art. 1337 c.c., fonte dell'obbligo di rimborso delle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative svolte in vista della conclusione del contratto (danno emergente) e di ristoro della perdita di ulteriori occasioni di stipulazione con altri di contratti altrettanto o maggiormente vantaggiosi. Viene viceversa escluso, dalle voci risarcibili, il mancato utile economico che sarebbe derivato dalla gestione del servizio messo in gara posto che non era certo che all'esito dell'eventuale riedizione in termini diversi della stessa gara l'interessato sarebbe comunque risultato aggiudicatario dei posteggi banditi.

Ciò premesso in via generale, anche la richiesta risarcitoria è stata rigettata nel merito dalla pronuncia in esame non essendo stata accompagnata l'analitica allegazione delle voci di danno da altrettanto puntuali elementi probatori.

Osservazioni

La sentenza in rassegna, pur se ampiamente apprezzabile, merita tuttavia due osservazioni: l'una critica, l'altra di approfondimento.

Quanto alla prima, non può invero non sottolinearsi che, pur risolvendo la decisione in esame una controversia involgente una procedura di affidamento sui generis quanto all'oggetto, risultano però carenti le ragioni per cui l'adito TAR abbia ritenuto equivalenti l'approvazione della graduatoria all'aggiudicazione definitiva e l'assegnazione del posteggio alla stipula del contratto.

L'eventuale riqualificazione della graduatoria e dell'assegnazione del posteggio rispettivamente in aggiudicazione provvisoria ed aggiudicazione definitiva avrebbe infatti escluso, già dal punto di vista astratto, qualsiasi spatium decidendi alla domanda risarcitoria (anche se poi nel concreto l'esito è stato comunque di rigetto per motivi probatori) venendo meno, in base a quanto esposto, il presupposto dell'affidamento tutelabile durante la prima delle suddette fasi procedimentale (si è visto che nella fattispecie il “ritiro” degli atti è intervenuto prim'ancora dell'assegnazione dei posti).

Relativamente, infine, al secondo profilo, deve per completezza evidenziarsi che in passato si è sviluppato in giurisprudenza un vivace dibattito in ordine alla distinzione tra ambito di applicazione della revoca in autotutela dell'aggiudicazione e recesso civilistico dal contratto di appalto pubblico: querelle sopita in ultimo solo da Cons. St., Ad. plen., 20 giugno 2014, n. 14.

Alla tesi in un primo momento sostenuta dal Consiglio di Stato, secondo la quale è sempre legittimo l'esercizio del potere di revoca degli atti amministrativi del procedimento ad evidenza pubblica, anche a stipulazione contrattuale avvenuta (Cons. St., Sez. VI, 17 marzo 2010, n. 1554; Cons. St., Sez. VI, 27 novembre 2012, n. 5993; Cons. St., Sez. IV, 14 gennaio 2013, n. 156), facevano infatti da contraltare le argomentazioni, diametralmente opposte, sostenute dalla Suprema Corte di Cassazione, per cui tutte le vicende successive alla stipulazione del contratto danno invero luogo a questioni relative alla sua validità ed efficacia, anche se dovute all'esercizio di poteri pubblicistici in autotutela, essendosi ormai costituito tra le parti, pubblica e privata, un rapporto giuridico paritetico intercorrente tra situazioni soggettive da qualificare in termini di diritti soggettivi e di obblighi giuridici(Cass., Sez. un., 26 giugno 2003, n. 10160; Id, 17 dicembre 2008, n. 29425 ).

Così riassunto il dibattito, Cons. St., Ad. plen., 20 giugno 2014 n. 14 ha condiviso pienamente tale ultimo orientamento interpretativo statuendo – con maggior nettezza – il principio generale per cui una volta intervenuta la stipulazione del contratto per l'affidamento dell'appalto, l'amministrazione non può più esercitare il potere di revoca, dovendo invece operare con l'esercizio del diritto di recesso.

Mentre, infatti, la fase dell'aggiudicazione ha carattere pubblicistico, in quanto retta da poteri amministrativi attribuiti alla stazione appaltante per la scelta del miglior contraente a tutela della concorrenza, quella che ha inizio con la stipulazione del contratto, e che prosegue con l'attuazione del rapporto negoziale, è viceversa retta unicamente dalle norme civilistiche, avendo carattere esclusivamente privatistico: altrimenti opinando, infatti, la norma sul recesso sarebbe sostanzialmente inutile dal momento che l'amministrazione potrebbe sempre ricorrere alla meno costosa revoca ovvero decidere di esercitare il diritto di recesso secondo il proprio esclusivo giudizio, conservando in tale modo una ingiustificabile posizione privilegiata (fermo restando che la maggiore onerosità del recesso è bilanciata, nella prospettiva dell'amministrazione, dalla mancanza dell'obbligo di motivazione e del contraddittorio procedimentale).

Fanno eccezione a tale principio generale solo le seguenti due fattispecie specifiche: da un lato, la revoca del provvedimento concessorio, rispetto al quale è noto che il contratto ha natura accessiva, tant'è che in tal caso si verte in ipotesi di giurisdizione esclusiva (Cass., Sez. un., ord. 2 aprile 2007, n. 8094); dall'altro il “recesso” della stazione appaltante nel caso di misura interdittiva antimafia (di cui agli artt. 10 e 11, comma 2, d.P.R. n. 252 del 1998) che invero è più propriamente espressione del potere autoritativo di valutazione dei requisiti soggettivi del contraente: tale ultima ipotesi impropria di recesso, infatti, non trovando fondamento in inadempienze verificatesi nella fase di esecuzione, ma essendo, viceversa, consequenziale all'informativa del Prefetto, costituisce, al di là del nomen iuris, espressione del «potere pubblicistico diretto a soddisfare l'esigenza di evitare la costituzione o il mantenimento di rapporti contrattuali con imprese nei cui confronti sia emersi sospetti di collegamenti con la criminalità organizzata», con la conseguenza, in ultimo, che la giurisdizione appartiene stavolta al giudice amministrativo (Cass., Sez. Un., 29 agosto 2008, n. 21928).

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