Ambito di applicazione del nuovo rito “superaccelerato” e rapporti con la tutela cautelare

Giordana Strazza
22 Dicembre 2016

Il TAR chiarisce il rapporto tra il nuovo rito “ipercontratto” previsto dall'art. 120 c.p.a., comma 2-bis e 6-bis (di cui delimita l'ambito di applicazione) e la tutela cautelare, nella specie, monocratica, ex art. 56 c.p.a.

Il TAR chiarisce il rapporto tra il nuovo rito “superaccelerato” disciplinato dall'art. 120 c.p.a., comma 2-bis e 6-bis (di cui perimetra l'ambito di applicazione) e la tutela cautelare, nella specie, monocratica, ex art. 56 c.p.a.

La concessione di misure monocratiche, infatti, comporta obbligatoriamente (art. 56, comma 4, c.p.a.) la fissazione della camera di consiglio di cui all'art. 55, comma 5, c.p.a. e, quindi, il prosieguo del processo secondo le forme “tradizionali” del giudizio cautelare (sia pure, per le procedure di evidenza pubblica, con tutte le peculiarità previste dagli artt. 119 e 120 c.p.a.), che sembrano materialmente incompatibili con la disciplina del nuovo rito “ipercontratto”.

Occorre dunque verificare se, in base a una interpretazione sistematica del Codice del processo amministrativo e del nuovo Codice dei contratti, e anche in relazione alla normativa e giurisprudenza eurounitaria sulla tutela cautelare, sia ammissibile una lettura dei commi 2-bis e 6-bis dell'art. 120 c.p.a. tale da escludere o da rendere massimamente inutile la concessione di misure cautelari, con particolare riferimento a quelle monocratiche d'urgenza.

Secondo il TAR, per l'esigenza insopprimibile di effettività della tutela giurisdizionale, l'introduzione di tale speciale disciplina non può precludere al g.a. la possibilità di accordare la tutela cautelare nelle sue varie “forme”, inclusa quella monocratica.

Le esigenze deflattive del contenzioso, perseguite dalla nuova normativa, non possono arrivare al punto di imporre alle parti l'obbligatorietà di un regime processuale nel quale sia escluso a priori il ricorso alle misure cautelari, soprattutto monocratiche, perché «il sistema di cui agli artt. 55, 56 e 61 c.p.a. non è stato escluso dall'art. 120, comma 2-bis, c.p.a. e quindi resta perfettamente in vigore».

Del resto, lo stesso parere del Consiglio di Stato, pur ipotizzando, per le ipotesi di cui al nuovo rito accelerato, una limitazione dei casi di ricorso alla tutela cautelare «attesi i tempi strettissimi in cui si perviene alla decisione di merito», ha suggerito di non escludere la tutela cautelare, come era previsto invece nell'originario schema del codice appalti e l'ha di fatto considerata a contrario, per casi diversi da quelli ordinari. Ha inoltre quasi imposto la modifica (poi apportata) al comma 8 dell'art. 120 c.p.a., che nella versione originaria prevista dall'art. 204 dello schema di decreto legislativo prevedeva che il giudice «decide interinalmente sulla domanda cautelare, anche se ordina adempimenti istruttori, se concede termini a difesa, o se solleva o vengono proposti incidenti processuali, salvo quanto previsto al comma 6-bis», affermando che l'inciso sollevava ampi dubbi sulla sua legittimità costituzionale e comunitaria se interpretato come rispondente alla ratio della ordinaria non necessità della tutela cautelare nel rito superspeciale, e questo in ragione della indefettibilità della tutela cautelare medesima, la quale non può essere preclusa ex ante, in via generale, anche ove, di fatto, ed ordinariamente, ex post, non sia necessaria.

Secondo il TAR, il nuovo rito “ipercontratto” rischia di porsi in contrasto con le garanzie costituzionali di azione in giudizio e di tutela contro gli atti della pubblica amministrazione, ai sensi degli artt. 24 e 113 Cost., a causa dell'onere di immediata impugnativa dei provvedimenti di aggiudicazione e esclusione, nonostante l'assenza di un interesse concreto e attuale al ricorso.

Per il Collegio, inoltre, sorgono dubbi sulla concreta utilità della nuova disciplina in materia di immediata impugnazione dei provvedimenti di ammissione e di esclusione dalle procedure di affidamento se si ha riguardo all'ambito oggettivo di applicazione della normativa stessa.

Innanzitutto, la disciplina sostanziale, anche per effetto dei vincoli del diritto eurounitario, «non favorisce la netta distinzione tra la fase definitiva di cristallizzazione dei concorrenti ammessi e lo stadio successivo di valutazione». Di conseguenza, «il desiderio del legislatore del nuovo Codice di costruire un sistema processuale strettamente bifasico, si scontra, senza possibilità di conciliazione alcuna, con la presenza di tali e tante criticità di tipo sostanziale da far dubitare in partenza che l'accelerazione imposta dall'art. 204 d.lgs. 50/2016 sia effettivamente realizzabile, se non in pochissimi casi relativi ad un numero assai limitato di operatori economici partecipanti alla procedura, e qualora vi sia una sensibile distanza temporale tra la verifica dei requisiti di partecipazione e la fase valutativa delle offerte».

A titolo esemplificativo, il TAR evidenzia che: i) «in primo luogo, l'art. 57 della direttiva 2014/24/UE stabilisce che le amministrazioni aggiudicatrici escludono un operatore economico in qualunque momento della procedura qualora risulti che l'operatore economico si trovi, a causa di atti compiuti o omessi prima o nel corso della procedura, in una delle situazioni di cui ai paragrafi 1 e 2 (in sintesi, condanne penali per reati espressamente tipizzati, e violazioni di obblighi fiscali). Il d.lgs. 50 del 2016 ha recepito quest'obbligo all'articolo 80, co. 6. Da questo si deduce che la fase di ammissione non si conclude necessariamente mediante l'adempimento agli obblighi di pubblicazione di cui all'art. 29, co. 1, secondo periodo (…) e 76 co. 3 (…)». ii) In secondo luogo, il nuovo rito specialissimo è circoscritto solo ai provvedimenti di esclusione e ammissione emessi «all'esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali». «Ne discende che esso non sembra potersi applicare ai medesimi provvedimenti quando questi siano fondati su presupposti diversi da quelli di carattere soggettivo, il che è oggettivamente possibile, come chiarito dalla nota decisione dell'Adunanza Plenaria n. 9 del 25 febbraio 2014 (…). La disomogeneità del contenzioso de quo si estende anche alle ipotesi di impugnazione delle ammissioni, in quanto la contestazione di queste ultime involge solo parzialmente i requisiti di partecipazione sopra indicati, potendo avere riguardo ad ulteriori profili che l'art. 204 d.lgs. 50/2016 non ha assolutamente contemplato (a titolo esemplificativo, si pensi alla contestazione della intempestività della domanda di partecipazione alla gara; alla carenza di elementi essenziali dell'offerta) o con finalità diverse dalla contestazione dell'ammissione pure e semplice (per esempio, contestazione dell'ammissione altrui al fine di rideterminazione delle medie, oppure dell'ammissione del solo vincitore per ottenere lo scorrimento, come pure dell'ammissione di tutti gli altri concorrenti per ottenere la ripetizione della procedura)». iii) In terzo luogo, occorre contemperare il rito “superspeciale” e il rito ex art. 120, comma 6, in caso di impugnazione, uno actu, di provvedimenti assoggettati a riti differenti (come, ad esempio, l'aggiudicazione definitiva e la precedente ammissione). A tal proposito, il TAR Puglia, Bari, Sez. I, 7 dicembre 2016, n. 1367 (già segnalata su questo Portale), ha concluso per l'ammissibilità di un'impugnativa congiunta dei provvedimenti di ammissione e di aggiudicazione definitiva, in applicazione dell'art. 32, comma 1 c.p.a., sul cumulo, nello stesso giudizio, di domande connesse, ferma la proposizione di motivi aggiunti ex art. 43 c.p.a., con conseguente applicazione del rito di cui all'art. 120, comma 6, c.p.a.

Secondo il TAR Campania, dunque, nelle ipotesi appena evidenziate, non è applicabile il rito “superaccelerato” di cui ai commi 2-bis e 6-bis dell'art. 120 c.p.a. Di conseguenza, in tali casi, qualora il ricorso contenga una domanda cautelare deve essere assoggettato al rito ex art. 120, comma 6 c.p.a. e alle forme di tutela cautelare “tradizionali”.

Per il Collegio, tuttavia, la tutela cautelare “ante causam” e, soprattutto, quella monocratica d'urgenza, non può essere esclusa, e, anzi, deve essere garantita, anche nei casi di astratta ammissibilità del rito “superaccelerato”. «Esso, infatti, presenta gravissime lacune sotto il profilo delle garanzie del diritto di difesa delle parti (…). In ogni caso, il sistema degli artt. 29 e 76 d.lgs. 50/2016, se letto in correlazione con quello dei commi 2-bis e 6-bis dell'art. 120 c.p.a., conferma l'impossibilità, di fatto, di qualsiasi forma di tutela effettiva del concorrente e che sia conforme, quanto a garanzie minime, con quelle imposte dalla Direttiva 2007/66/CE, posto che è preclusa la valutazione dei presupposti minimi per la proposizione di un ricorso efficace (…). In questo quadro poco confortante, nel quale i dubbi di costituzionalità e compatibilità comunitaria delle disposizioni in questione sono acuiti dalla circostanza che “l'omessa impugnazione (n.d.r. delle esclusioni e delle ammissioni) preclude la facoltà di far valere l'illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, anche con ricorso incidentale” (art. 120, comma 2-bis, c.p.a., seconda parte), la possibilità di garantire alla parte la tutela cautelare soprattutto monocratica non può essere messa in discussione».

Secondo il TAR, ciò vale a maggior ragione nel caso di impugnazione immediata delle ammissioni.

Per conciliare le conclusioni sopra esposte con il nuovo “modello” introdotto all'art. 120 c.p.a., nel quale la valutazione delle esigenze cautelari della parte ricorrente «è fatta a monte dal legislatore”, il Collegio ritiene che “la richiesta di misure cautelari debba essere motivata in senso rafforzato, dovendo la parte appositamente giustificare non solo i contenuti della richiesta (sotto un profilo delle esigenze cautelari così come previste dal Codice del processo), ma la ragione stessa della domanda proposta, la quale, di fatto, costituisce una deroga al sistema processuale superaccelerato del comma 6-bis e rimette al giudice il potere di dettare i tempi della prima fase del giudizio, che sembravano essergli stati sottratti dalla nuova disciplina. (...) È infatti evidente che, così come si è verificato nel caso oggetto del presente giudizio, l'operare delle regole ordinarie di cui agli artt. 55 e ss. del Codice del processo amministrativo, si pone in contrasto con la disciplina di cui al comma 6 bis dell'art. 120, posto che è quanto meno difficile conciliare la fissazione della camera di consiglio “cautelare” con quella, a distanza di pochissimi giorni, di una camera di consiglio “camerale” sul medesimo oggetto, anche in ragione del fatto che il collegio ben potrebbe definire la causa già con sentenza in forma semplificata o rinviare di lì a massimo 45 giorni ad un'udienza pubblica, sempre definitiva, secondo il rito del comma 6 dell'art. 120 c.p.a.».

Secondo il TAR, dunque, in questi casi, ferma restando la necessità di giustificare la richiesta delle misure cautelari con una motivazione “rinforzata”, il rito di cui all'art. 120, comma 6, c.p.a. prevarrebbe, per ragioni logiche e anche temporali, su quello “superaccelerato” previsto dal comma 6-bis.