Sulla natura dell'eccezione di decadenza dal diritto di far valere le riserve

23 Marzo 2017

Negli appalti di opere pubbliche, l'eccezione di decadenza dell'appaltatore dal diritto di formulare e poi far valere in giudizio le riserve costituisce un'eccezione in senso stretto poiché nella disponibilità esclusiva della stazione appaltante, talché la parte pubblica che voglia proporre una tale eccezione deve allegare e comprovare i relativi fatti costitutivi nel rispetto delle prescrizioni sostanziali e processuali.
Massima

Negli appalti di opere pubbliche, l'eccezione di decadenza dell'appaltatore dal diritto di formulare e poi far valere in giudizio le riserve costituisce un'eccezione in senso stretto poiché nella disponibilità esclusiva della stazione appaltante, talché la parte pubblica che voglia proporre una tale eccezione deve allegare e comprovare i relativi fatti costitutivi nel rispetto delle prescrizioni sostanziali e processuali.

Il caso

Il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione trae origine dalla citazione in giudizio proposta dall'appaltatore con cui veniva richiesta la condanna del committente al pagamento delle somme di cui alle riserve formulate in relazione al contratto d'appalto d'opera pubblica inter partes stipulato. In particolare, sia in primo che in secondo grado, la domanda dell'appaltatore veniva rigettata, trovando accoglimento l'eccezione formulata dalla convenuta secondo cui l'attore sarebbe decaduto dal diritto di far valere le riserve poiché formulate tardivamente.

L'Appaltatore proponeva così ricorso in Cassazione contestando l'erroneità della sentenza in quanto la Corte d'Appello avrebbe accolto l'eccezione di inammissibilità della domanda sebbene questa fosse stata proposta in modo del tutto generico, mediante il richiamo indeterminato di tutte le norme contenute nel R.d. n. 350 del 1895 e nel d.P.R. n. 1063 del 1962, normative queste ratione temporis applicabili.

Non solo, il ricorrente lamentava anche la violazione dell'art. 2697 c.c., in quanto parte convenuta non avrebbe assolto al proprio onere probatorio, ovvero quello di dimostrare i fatti su cui l'eccezione si fonda.

La questione

La questione giuridica sottoposta all'esame della Corte di Cassazione concerne, dunque, la natura attribuita all'eccezione di decadenza dal diritto di formulare, nonché poi di far valere in giudizio, le riserve iscritte in contabilità dall'appaltatore.

Invero, principio da sempre presente nella normativa delle opere pubbliche, partendo dal R.d. del 1895 n. 350 sino alla più recente legislazione, nonché nelle emanande Linee Guida sul Direttore dei Lavori (art. 7.3.2.2.), è quello della tempestiva iscrizione delle riserve in contabilità a pena di decadenza.

Dunque, nel momento in cui l'appaltatore non rispetti i rigorosi limiti imposti dal Legislatore, nonché dalla giurisprudenza, nel formulare le riserve in contabilità, si vedrà preclusa la possibilità di agire in giudizio onde ottenere il ristoro dei maggiori oneri illegittimamente patiti nell'esecuzione dell'appalto. Proprio al fine di bloccare le pretese creditorie fatte valere dall'appaltatore, la Stazione Appaltante sarà portata a formulare l'eccezione di decadenza.

Necessario stabilire, allora, quale sia il regime applicabile a tale eccezione, tenendo a mente la nota suddivisione nelle due categorie, ovvero quella delle eccezioni in senso stretto, riservate esclusivamente alle parti, e quella delle eccezioni in senso lato, in cui entra in gioco il potere di rilievo di ufficio da parte del giudice.

La differenza tra le due categorie, non concerne esclusivamente la rilevabilità d'ufficio dell'eccezione, bensì il diverso regime processuale derivante dal combinato disposto degli artt. 166 e 167 c.p.c.

Invero, l'art. 166 c.p.c. afferma che il convenuto debba costituirsi in cancelleria almeno venti giorni prima dell'udienza di comparizione, depositando in cancelleria il proprio fascicolo contenente la comparsa di cui all'art. 167 c.p.c. Tale seconda norma prescrive che il convenuto, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio, ossia le c.d. eccezioni in senso stretto. Dunque, rilevanti conseguenze deriveranno dal considerare un'eccezione in senso stretto, ovvero in senso lato.

Infine, la Corte di Cassazione si è occupata di precisare quale sia l'onere probatorio cui, a norma del secondo comma dell'art. 2697 c.c., sia tenuto il convenuto che voglia eccepire l'efficacia dei fatti posti a fondamento delle pretese attoree, ossia che affermi la modifica o l'estinzione del diritto da questo fatto valere.

Le soluzioni giuridiche

Per risolvere la questione rimessa al vaglio della Corte di Cassazione è dunque necessario valutare e stabilire quale sia la natura da attribuire all'eccezione di decadenza dal diritto di far valere le riserve sollevata dalla Stazione Appaltante.

Ragionando in termini generali, quello della suddivisione delle eccezioni in due categorie – “in senso stretto” e “in senso lato” – è problema di non poco momento, sia, quanto alle conseguenze, in ragione del diverso regime processuale, ma soprattutto in quanto non è possibile ravvisare nell'ordinamento un elenco ben preciso e delineato di eccezioni da ricondurre all'una o all'altra species, essendo tale operazione rimessa all'interprete sulla scorta dell'attività ermeneutica di dottrina e giurisprudenza.

Limitando l'esame alle disposizioni contenute nel Codice Civile, ci si accorge che vi sono numerose ipotesi in cui il fatto estintivo, modificativo o impeditivo deve essere allegato dalla parte, ed ipotesi molto meno numerose in cui la legge indica tale fatto come rilevabile d'ufficio. Nell'ambito delle prime, dottrina e giurisprudenza hanno ricondotto, tra le altre, l'eccezione di compensazione art. 1242, di annullamento del contratto art. 1442, di rescissione del contratto 1449, di inadempimento art 1460, di vizi della cosa compravenduta art. 1465, di difformità o vizi dell'opera nell'appalto art 1667, di prescrizione 2938 e di decadenza 2938. Diversamente, nella categoria delle eccezioni rilevabili d'ufficio deve senza dubbio ricondursi l'art. 1421 c.c. relativo al rilievo di nullità.

Il problema che si pone, allora, è quale sia il regime della molteplicità di fatti estintivi, modificativi o impeditivi per i quali la legge non contempli alcuna disciplina, quali ad esempio il pagamento, la novazione, l'impossibilità di adempiere per caso fortuito o per causa di forza maggiore, e molti altri.

Come già anticipato, la giurisprudenza, ma soprattutto la dottrina, si sono affannate negli anni nell'individuare un criterio univoco in base al quale incanalare le diverse fattispecie nell'ambito dei due diversi regimi processuali.

A tutto ciò devono poi affiancarsi le regole, sostanziali e processuali, che dettano il regime probatorio cui sono soggette le parti nel far valere in giudizio le rispettive e contrapposte pretese.

A tal proposito, nella sentenza in commento la Cassazione opportunamente precisa che «in relazione all'opzione difensiva del convenuto consistente nel contrapporre alla pretesa attorea fatti ai quali la legge attribuisce autonoma idoneità modificativa, impeditiva o estintiva degli effetti del rapporto sul quale la predetta pretesa si fonda, occorre distinguere il potere di allegazione da quello di rilevazione».

Ebbene, precisa la Corte, mentre il primo compete esclusivamente alla parte e dovrà essere esercitato nei tempi e nei modi previsti dal rito applicabile, quanto al potere di rilevazione compete alla parte solamente nei casi in cui «la manifestazione della volontà della parte medesima sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva, ovvero quando singole disposizioni espressamente prevedano come indispensabile l'iniziativa di parte».

Dunque, quanto alla rilevabilità dei fatti modificativi, impeditivi o estintivi delle pretese fatte valere da controparte, la Corte di Cassazione mostra di aderire all'orientamento secondo cui il regime generale è quello che rimette tale potere a Giudice, ravvisandosi come necessaria la proposizione dell'eccezione solamente in ipotesi che potremmo definire residuali, specificamente previste.

Nel far applicazione di detto principio al caso di specie venuto in rilievo, la Suprema Corte ha ritenuto che non vi sia dubbio che l'eccezione di decadenza dell'appaltatore «dal diritto di formulare le riserve, negli appalti di opere pubbliche, costituisca un'eccezione in senso stretto, poiché in disponibilità esclusiva della stazione appaltante».

Chiarita la natura per quel che concerne l'onere di rilevabilità dell'eccezione, quanto al regime probatorio la Corte ha affermato che sia onere della parte che la solleva di allegare e comprovare i relativi fati costitutivi, non potendo il giudice rilevare detta decadenza d'ufficio.

Ebbene, ciò sta ad indicare che, l'eccezione di decadenza, in quanto ricondotta nell'alveo di quelle definite “in senso stretto”, sia rimessa all'esclusiva disponibilità della parte che voglia farla valere, cui consegue anche l'onere di provarne i fatti costitutivi, non potendo provvedervi in autonomia il Giudice.

Da tale inquadramento ne è scaturito l'accoglimento del ricorso, avendo la Cassazione giudicato l'eccezione proposta dalla Stazione Appaltante del tutto generica, sia in quanto richiamante in maniera indiscriminata ed indistinta tutte le norme contenute nelle fonti normative indicate (R.d. n. 350 del 1895 e d.P.R. n. 1063 del 1962), sia soprattutto in quanto non contenente alcuna indicazione dei fatti costitutivi posti a fondamento dell'eccezione a norma dell'art. 2697 c.c.

Osservazioni

La sentenza oggetto di commento presenta dei profili di particolare interesse non fosse altro per la particolare diffusione nell'ambito delle aule giudiziarie in cui si faccia questione di contratti d'appalto pubblico delle eccezioni di decadenza dal diritto di far valere in giudizio le riserve iscritte in contabilità. Invero, non è raro riscontrare contabilità d'appalto in cui l'esecutore dei lavori non presti particolare cura alla “coltivazione” delle proprie pretese nel corso dei lavori, pregiudicando in tal modo la possibilità di farle valere in giudizio. Proprio in virtù di ciò, è assai frequente riscontrare negli atti processuali delle Stazioni Appaltanti la formulazione dell'eccezione di decadenza dal diritto di far valere le riserve.

Ed allora, in ragione della natura di eccezione in senso stretto di tale decadenza, la Stazione Appaltante dovrà necessariamente farla valere nell'ambito della propria comparsa di costituzione depositata tempestivamente in giudizio, incorrendo altrimenti in una preclusione processuale a norma dell'art. 167 c.p.c.

Inoltre, e questo è l'aspetto maggiormente interessante della sentenza, il convenuto che proponga l'eccezione di decadenza, non potrà limitarsi alla semplice allegazione della circostanza, ma dovrà fornirne prova in ragione di quanto previsto dall'art. 2697 c.c.. Ciò sta a significare che non sarà – come invece spesso avviene nei Tribunali – l'appaltatore a dover dimostrare di aver iscritto tempestivamente la riserva, bensì la Stazione Appaltante a provare i fatti costitutivi della propria eccezione, ovvero la tardività dell'iscrizione.

Le conseguenze appaiono particolarmente rilevanti nelle peculiari ipotesi dei pregiudizi subiti dall'appaltatore dai c.d. fatti continuativi, ovvero quelle circostanze da cui derivino dei maggiori costi o oneri illegittimi, che non si manifestano immediatamente, con un unico evento, bensì è il loro protrarsi a far sorgere il pregiudizio per l'appaltatore. In tali ipotesi la giurisprudenza unanimemente riconosce la possibilità di iscrivere le relative riserve, non al sorgere del primo evento da cui derivi il pregiudizio, ma allorché l'appaltatore abbia piena contezza anche delle conseguenze economiche che ne possano derivare. Difatti, molte volte il primo evento che si manifesta non viene neppure percepito come pregiudizievole, ovvero l'appaltatore potrebbe ritenerlo quale circostanza transitoria da cui non derivi alcun rilevante maggior onere.

Ebbene, in queste ipotesi peculiari è accesa la contesa tra le parti di causa relativamente al momento in cui, non tanto l'appaltatore abbia percepito il disvalore dell'evento – e delle relative conseguenze – quanto oggettivamente era possibile averne contezza.

Evidente che tali ipotesi, seppur fondate su valutazioni quanto più oggettive possibile di percezione dell'evento pregiudizievole, si caratterizzino per un alto tasso di litigiosità.

Ed allora, facendo applicazione di quanto affermato dalla Cassazione, la Stazione Appaltante, qualora voglia eccepire la decadenza per tardività, sarà tenuta a dare dimostrazione del perché già in una fase antecedente all'iscrizione della riserva l'appaltatore fosse in grado di percepire il disvalore ed il pregiudizio derivante dall'evento, non potendosi ribaltare su di questo l'onere probatorio, e pretendere che sia l'appaltatore a fornire la prova del perché solo al momento in cui ha proceduto ad iscrivere la riserva ha percepito l'evento pregiudizievole.

Guida all'approfondimento

In dottrina si segnala:

A. CIANFLONE-G. GIOVANNINI, L'appalto di opere pubbliche, XII Edizione, Milano;

A. TORRENTE-P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, XXI Edizione, Milano;

F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, XV Edizione, Napoli;

A. CARRATTA-C. MANDRIOLI, Diritto Processuale Civile, Tomo II Il Processo Ordinario di Cognizione, XXV Edizione, Torino.

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