Sull’applicabilità della garanzia per gravi difetti anche agli interventi manutentivi e modificativi su immobili preesistenti

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24 Maggio 2017

In tema di contratto d'appalto, l'art. 1669 c.c. è applicabile, ricorrendone tutte le altre condizioni, non solo agli immobili di nuova costruzione, bensì anche alle opere di ristrutturazione edilizia e, in genere, agli interventi manutentivi o modificativi di lunga durata su immobili preesistenti che rovinino o presentino evidente pericolo di rovina, ovvero gravi difetti incidenti sul godimento e sulla normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest'ultimo.
Massima

In tema di contratto d'appalto, l'art. 1669 c.c. è applicabile, ricorrendone tutte le altre condizioni, non solo agli immobili di nuova costruzione, bensì anche alle opere di ristrutturazione edilizia e, in genere, agli interventi manutentivi o modificativi di lunga durata su immobili preesistenti che rovinino o presentino evidente pericolo di rovina, ovvero gravi difetti incidenti sul godimento e sulla normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest'ultimo.

Il caso

Il caso sottoposto all'attenzione delle Sezioni Unite della Cassazione concerne il regime di responsabilità dell'appaltatore per i vizi dell'opera realizzata, allorquando si tratti non già dell'esecuzione di un'opera ex novo, ovvero dell'edificazione di un nuovo edificio, bensì di interventi di manutenzione su di una costruzione già esistente.

Ebbene, mentre il Tribunale territoriale accoglieva la domanda della committente, condannando l'appaltatore al risarcimento del danno a titolo di responsabilità ex art. 1669 c.c., la Corte d'Appello ribaltava la decisione, affermando che ai fini dell'applicazione della garanzia decennale, la costruzione di un edificio o di altro bene immobile di lunga durata costituisse presupposto e limite di siffatta responsabilità.

Invero, i giudici del gravame affermavano che, trattandosi nel caso di specie interventi di mera ristrutturazione edilizia, comprendenti la realizzazione di nuovi balconi, di una scala e di nuovi solai ai sottotetti, e non già di realizzazione di un nuovo immobile, lo speciale regime di responsabilità previsto dall'art. 1669 c.c. non potesse trovare applicazione.

La questione

La questione giuridica giunta all'esame delle Sezioni Unite della Cassazione concerne, dunque, la portata e i limiti applicativi dell'art. 1669 c.c., ovvero di quella speciale forma di responsabilità dell'appaltatore per i gravi difetti che si presentino nel corso dei dieci anni dal compimento dell'opera.

In particolare, il principio di diritto su cui le Sezioni Unite sono state chiamate a pronunciarsi, stante il contrasto giurisprudenziale riscontrato in seno alla Suprema Corte, concerne la riconducibilità dell'art. 1669 c.c. anche alle opere edilizie eseguite su di un fabbricato preesistente e non già solo agli edifici di nuova costruzione.

Evidente come la risoluzione della questione interessi non solo i contratti d'appalto tra privati, bensì anche quelli aventi natura pubblicistica, stante il disposto dell'art. 102 d.lgs. n. 50 del 2017, il quale nel dettare una disciplina speciale e parzialmente derogatoria per i vizi dell'opera, fa in ogni caso

«

salvo quanto disposto dall'art. 1669 del codice civile».

Come bene evidenziato nell'ordinanza di rimessione alle S.U., ai fini della risposta al quesito è necessario chiarire ciò che possa considerarsi “opera” ai sensi dell'art. 1669 c.c., stabilendo quindi se in tale nozione vi rientrino anche interventi non consistenti tecnicamente in nuove costruzioni.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione ha affrontato ex professo la questione relativa all'applicabilità o meno dell'art. 1669 c.c. alle opere di ristrutturazione immobiliare in due sole occasioni, offrendo soluzioni opposte tra loro.

In particolare, la tesi che limita l'applicabilità dell'art. 1669 c.c. – fatta propria dalla sentenza n. 24143 del 2007 della Cassazione – poggia sull'interpretazione letterale della norma, secondo la quale il termine “opera” sarebbe rapportato a quello di «edifici o di altre cose immobili, destinate per loro natura a lunga durata», per poi connettere e disciplinare le conseguenze dei vizi costruttivi della medesima opera. In virtù di tale esegesi, la Corte ha ritenuto che la costruzione (ex novo) di un edificio o di altra cosa immobile, destinata per sua natura a lunga durata, «costituisca presupposto e limite di applicazione della responsabilità prevista in capo all'appaltatore».

Pertanto, secondo tale interpretazione, ove ricorra un'opera di mera riparazione o di manutenzione su manufatti già esistenti, e non «la costruzione di un edificio o di altre cose immobili, destinate per loro natura a lunga durata», l'unica norma applicabile sarebbe l'art. 1667 c.c., e non quella sulla responsabilità decennale.

Accanto a tale impostazione giurisprudenziale, in senso analogo deve richiamarsi quella dottrina minoritaria (Giannattasio) che ravvisa nell'art. 1669 c.c. una norma di carattere speciale rispetto alla disciplina di cui agli artt. 1667 e 1668 c.c., come tale insuscettibile di applicazione analogica, dettata a favore del committente sul presupposto che nelle opere di lunga durata alcuni difetti possano presentarsi anche a distanza di molto tempo. Per tale dottrina, l'art. 1669 c.c. riguarderebbe esclusivamente le opere eseguite ex novo sin dalle fondamenta, ovvero quelle dotate di una propria autonomia, come ad esempio le sopraelevazione degli edifici.

A tale ricostruzione esegetica si contrappone un'altra tesi, secondo la quale risponde ai sensi dell'art. 1669 c.c. anche l'autore di opere realizzate su di un edificio preesistente, allorché queste incidano sugli elementi essenziali dell'immobile, o su elementi secondari rilevanti per la sua funzionalità globale.

Proprio rispondendo alla tesi contraria sopra citata, con la sentenza n. 22553 del 2015 la Cassazione ha ritenuto opportuno distinguere all'interno dell'art. 1669 c.c. tra «edificio o altra cosa immobile destinata a lunga durata» e «opera». In particolare, si legge che «l'opera cui allude la norma non si identifica necessariamente con l'edificio o con la cosa immobile destinata a lunga durata, ma ben può estendersi a qualsiasi intervento, modificativo o riparativo, eseguito successivamente all'originaria costruzione dell'edificio». Aggiunge poi la Cassazione che «l'etimologia del termine costruzione non necessariamente deve essere ricondotta alla realizzazione iniziale del fabbricato, ma ben può riferirsi alle opere successivamente realizzate sull'edificio pregresso, che abbiano i requisiti dell'intervento costruttivo».

Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 7756 del 2017 aderiscono pienamente a tale secondo orientamento, sottolineando che i gravi difetti dell'opera rilevanti ai fini dell'art. 1669 c.c. siano anche quelli che riguardino elementi secondari ed accessori, purché idonei a compromettere la funzionalità globale dell'opera.

Osservazioni

Il principio espresso dalle Sezioni Unite della Cassazione appare pienamente condivisibile, stante l'irrazionalità di un trattamento diverso tra fabbricazione iniziale e ristrutturazione edilizia, potendo essere anche quest'ultima foriera dei medesimi gravi pregiudizi. Come sottolineato anche dalla dottrina maggioritaria, la norma prevede, quale presupposto ai fini della sua applicabilità, semplicemente il verificarsi della rovina totale o parziale, dell'evidente pericolo di rovina o dei gravi difetti, non andando a specificare se ciò debba avvenire con riferimento alla costruzione ex novo di un edificio.

Giova tra l'altro sottolineare che, sebbene la responsabilità prevista dall'art. 1669 c.c. possa definirsi speciale rispetto a quella di cui all'art. 1667 c.c., nella loro costruzione letterale entrambe le norme utilizzano il termine “opera”. Ed allora, se l'ordinaria responsabilità dell'appaltatore viene in rilievo anche in ipotesi di interventi su edifici già esistenti, non vi è motivo di attribuire al medesimo termine una diversa interpretazione nell'ambito dell'art. 1669 c.c.

Come già rappresentato, il principio affermato dalla Suprema Corte con specifico riguardo ad un appalto tra privati, dispiega i propri effetti anche nel campo degli appalti pubblici, essendo la responsabilità decennale prevista dall'art. 1669 c.c. espressamente richiamata dall'art. 102, comma 5 d.lgs. n. 50 del 2016 in tema di collaudo. Difatti, se per quel che concerne il regime, per così dire, ordinario di responsabilità per vizi e difetti dell'opera (1667 c.c.), in ambito pubblicistico è dettata una disciplina parzialmente derogatoria – potendo il committente agire nei confronti dell'appaltatore sino a che il certificato di collaudo non assuma carattere definitivo – in ogni caso si applicano le medesime regole quanto alla garanzia per i gravi vizi di cui all'art. 1669 c.c.

Proprio in virtù di tale regime di responsabilità, il comma 8 dell'art. 103 d.lgs. n. 50 del 2016 impone all'appaltatore (per i lavori di importo superiore al doppio della soglia comunitaria) «una polizza indennitaria decennale a copertura dei rischi di rovina totale o parziale dell'opera, ovvero dei rischi derivanti da gravi difetti costruttivi», vale a dire a copertura della responsabilità prevista dall'art. 1669 c.c.

Ed allora, come detto, il principio espresso dalle Sezioni Unite produrrà importanti effetti anche nell'ambito delle opere pubbliche, soprattutto tenendo a mente il contesto attuale, in cui la realizzazione di nuovi edifici e costruzioni sempre più lascia il passo ad interventi di riqualificazione, ovvero di ristrutturazione, anche per i quali, alla luce di quanto espresso dalla Cassazione, verrà in rilievo la responsabilità decennale dell'appaltatore.

Guida all'approfondimento

In dottrina si segnala:

A. CIANFLONE-G. GIOVANNINI, L'appalto di opere pubbliche, XII edizione, Milano.

C. GIANNATTASIO, L'appalto, in Trattato di diritto civile e commerciale, Milano.

D. RUBINO, L'appalto, in F. VASSALLI, Trattato di diritto civile, Torino.

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