La serietà dell’offerta non è un principio generale della disciplina dei contratti pubblici

Carlo M. Tanzarella
25 Maggio 2017

Secondo il Consiglio di Stato, la verifica di anomalia dell'offerta non costituisce espressione di un principio generale del settore dei contratti pubblici, di talché non deve obbligatoriamente essere accertata la sostenibilità della proposta presentata per l'affidamento di una concessione di servizi, a norma dell'art. 30 d.lgs. n. 163 del 2006.

Classificatasi al secondo posto in una gara, regolata dal previgente codice dei contratti pubblici, per l'affidamento in concessione del servizio di ristoro tramite distributori automatici di bevande e alimenti presso taluni presidi ospedalieri, l'impresa ricorrente ha impugnato il provvedimento di aggiudicazione definitiva, contestando l'omessa verifica, da parte della stazione appaltante, della congruità dell'offerta dell'aggiudicataria.

Secondo la tesi prospettata nel gravame, la serietà dell'offerta costituirebbe uno strumento posto a presidio dell'esigenza pubblicistica primaria di selezionare un contraente affidabile, sicché essa, proprio in quanto strettamente correlata ai principi di concorrenza, buona fede e corretta amministrazione, integrerebbe a sua volta un principio generale del settore, applicabile anche alle concessioni di servizi in accordo a quanto previsto dall'art. 30 d.lgs. n. 163 del 2006.

In punto di fatto, la ricorrente ha rilevato che l'aggiudicataria aveva offerto un canone annuo di concessione pari al quadruplo della base d'asta, incompatibile con una gestione seria del servizio, come attestato dai dati economici della gestione uscente.

Secondo il Consiglio di Stato, la tesi si fonda su un presupposto non condivisibile, vale a dire, sulla sussistenza di un obbligo per la stazione appaltante di attivare il sub-procedimento di verifica dell'anomalia: tale obbligo, invero, è espressamente escluso dallo stesso art. 30 d.lgs. n. 163 del 2006, secondo cui le procedure per l'affidamento di contratti di concessione di servizi non sono soggette alle norme contenute nella parte II del codice.

Né il disposto dell'art. 86 dello stesso codice potrebbe farsi rientrare, secondo il Giudice, nei principi generali dell'ordinamento di settore, poiché tale norma contiene regole puntuali, relative ai presupposti al ricorrere dei quali le stazioni appaltanti sono tenute a (o hanno una mera facoltà di) verificare l'eventuale anomalia dell'offerta.

A sostegno di tale ragionamento, viene richiamato il comma 3 del menzionato art. 86, che rimette al discrezionale apprezzamento dell'Amministrazione aggiudicatrice la scelta se dare o meno ingresso al procedimento di verifica di congruità al di fuori dei casi tassativi previsti dai commi precedenti della norma medesima: se ciò vale per le procedure di affidamento degli appalti pubblici, a maggior ragione esiste una mera facoltà, ampiamente discrezionale, di esaminare la serietà dell'offerta nel caso delle concessioni di servizi.

Da ultimo, il Consiglio di Stato indaga la funzione dell'istituto della verifica di anomalia alla luce dei principi generali indicati dall'art. 2 d.lgs. n. 163 del 2006, ritenendo che essa abbia la funzione di assicurare la corretta esecuzione del contratto ed atteggiandosi dunque quale cautela preventiva della stazione appaltante, allo scopo di prevenire inadempimenti del privato nella successiva fase di esecuzione della commessa.

Alla luce di ciò, la sentenza ritiene che anche da tale angolo visuale emerga la natura ampiamente discrezionale delle valutazioni sottese alla decisione di sottoporre a verifica di anomalia le offerte presentate in sede di gara.

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