La Suprema Corte ribadisce il principio della forma scritta degli accordi negoziali della p.a., essendo irrilevante il comportamento fattuale delle parti

25 Ottobre 2016

I contratti degli enti pubblici devono essere stipulati, a pena di nullità, in forma scritta, la quale assolve una funzione di garanzia del regolare svolgimento dell'attività amministrativa, permettendo d'identificare con precisione il contenuto del programma negoziale, anche ai fini della verifica della necessaria copertura finanziaria e dell'assoggettamento al controllo dell'autorità tutoria.
Massima

I contratti degli enti pubblici devono essere stipulati, a pena di nullità, in forma scritta, la quale assolve una funzione di garanzia del regolare svolgimento dell'attività amministrativa, permettendo d'identificare con precisione il contenuto del programma negoziale, anche ai fini della verifica della necessaria copertura finanziaria e dell'assoggettamento al controllo dell'autorità tutoria.

Il caso

La vicenda trae origine dalla richiesta di pagamento dei corrispettivi contrattuali da parte di un'impresa nei confronti di una pubblica amministrazione.

Rispetto a tale richiesta, la tesi difensiva dell'ente pubblico mirava a valorizzare il comportamento complessivo delle parti, sostenendo che l'emissione di fatture e l'effettuazione di pagamenti per importi inferiori a quello previsto dal contratto avessero comportato, nella specie, una modificazione del dettato contrattuale, con la determinazione di un prezzo ridotto.

La questione

La sentenza ha dovuto affrontare sotto un'angolazione particolare la tradizionale questione relativa alla dubbia efficacia negoziale di comportamenti fattuali delle parti in relazione a contratti conclusi con la pubblica amministrazione.

La Corte di appello aveva accolto la domanda della società e rigettato la tesi difensiva dell'amministrazione, ritenendo che i parametri qualitativi dell'opera e quelli economici di determinazione del prezzo, fìssati a garanzia della parità di trattamento tra gli offerenti, non fossero derogabili nel corso del rapporto e non potessero quindi essere superati da patti aggiunti o comportamenti concludenti successivi alla stipulazione, non essendo tali comportamenti idonei a far sorgere in capo alla committente obbligazioni diverse da quelle pattuite sulla base del bando di gara.

Di talché, ha escluso che eventuali comportamenti fattuali delle parti avessero comportato una modificazione del dettato contrattuale, con la determinazione di un prezzo ridotto, precisando che nei contratti stipulati in forma scritta ad substantiam la volontà negoziale dev'essere dedotta unicamente dal contenuto dell'atto, interpretato secondo i criteri di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non assumendo alcun valore a tal fine il comportamento delle parti.

In tale contesto, secondo la Corte di appello, al comportamento dell'appaltatrice non può attribuirsi né la portata di una rinuncia parziale al corrispettivo, la quale avrebbe comportato una modificazione del contratto, né l'effetto d'invertire l'onere della prova, incombendo alla committente la dimostrazione dell'intervenuta modifica del contratto, da fornire anch'essa con atto scritto ad substantiam.

Le soluzioni giuridiche

Nella sentenza in rassegna la Suprema Corte ha ribadito il principio secondo cui i contratti degli enti pubblici devono essere stipulati, a pena di nullità, in forma scritta, la quale assolve una funzione di garanzia del regolare svolgimento dell'attività amministrativa, permettendo d'identificare con precisione il contenuto del programma negoziale, anche ai fini della verifica della necessaria copertura finanziaria e dell'assoggettamento al controllo dell'autorità tutoria.

Da ciò consegue non solo l'esclusione della possibilità di desumere l'intervenuta stipulazione del contratto da una manifestazione di volontà implicita o da comportamenti meramente attuativi, ma anche la necessità che, salvo diversa previsione di legge, l'intera vicenda negoziale sia consacrata in un unico documento, contenente tutte le clausole destinate a disciplinare il rapporto.

Peraltro, tale principio trova applicazione non soltanto alla conclusione del contratto, ma anche all'eventuale rinnovazione dello stesso, a meno che la stessa non sia prevista come effetto automatico da una apposita clausola, nonché alle modificazioni che le parti intendano in seguito apportare alla disciplina concordata, non potendo esse essere introdotte in via di mero fatto mediante l'adozione di pratiche difformi da quelle precedentemente convenute, ancorché le stesse si siano protratte nel tempo e rispondano ad un accordo tacitamente intervenuto tra le parti in epoca successiva.

La ricaduta di questo regime formalistico, sul versante dell'interpretazione del contratto, è costituita dal principio secondo cui la ricerca della comune intenzione delle parti, ove il senso letterale delle parole presenti un margine di equivocità, deve aver luogo, con riferimento agli elementi essenziali del contratto, soltanto attingendo alle manifestazioni di volontà contenute nel testo scritto, mentre non è consentito valutare il comportamento complessivo delle parti, anche successivo alla stipulazione, in quanto la formazione del consenso non può spiegare rilevanza ove non sia stata incorporata nel documento scritto.

Nel caso di specie, peraltro, pur avendo richiamato i predetti principi, la Corte di appello ha comunque valutato la condotta tenuta dalle parti successivamente alla stipulazione del contratto, prendendo specificamente in considerazione la pratica eccepita dall'Amministrazione, consistente nell'avvenuta esecuzione e fatturazione di pagamenti per importi inferiori a quelli previsti dal contratto, ma escludendo la possibilità di desumerne l'intento dell'attrice di accettare una riduzione del corrispettivo pattuito, anche alla luce dell'avvenuta determinazione dello stesso nell'ambito di una procedura ad evidenza pubblica, e della conseguente alterazione che tale condotta avrebbe comportato nella par condicio dei partecipanti alla gara, oltre che nell'osservanza delle norme che disciplinano la contabilità pubblica.

Osservazioni

La sentenza merita di essere segnalata anche perché ha affermato il principio di diritto sopra esposto in funzione della nota evoluzione delle finalità sottese alla procedura ad evidenza pubblica.

Infatti, chiosa la Suprema Corte, non merita consenso la tesi per cui, in quanto volte essenzialmente a garantire la certezza del corrispettivo da pagare per il conseguimento della prestazione pattuita nell'interesse esclusivo dell'Amministrazione stessa, le disposizioni in tema di individuazione del contraente non precludono il raggiungimento di accordi in senso riduttivo, anche in via di mero fatto, traducendosi gli stessi in un risparmio di spesa per la committente: ciò in quanto la ratio della previsione di procedure competitive la scelta del contraente da parte degli enti pubblici non consiste infatti nel consentire all'Amministrazione di procurarsi la fornitura o il servizio richiesto al prezzo più basso, indipendentemente dalla qualità della prestazione ottenuta, ma nel permettere l'individuazione dell'offerta complessivamente più conveniente, sulla base di criteri preventivamente determinati ed applicati in modo trasparente, sì da evitare che, anche per effetto del meccanismo concorrenziale adottato, la vantaggiosità delle condizioni economiche prospettate si traduca in un minor valore tecnico-qualitativo della fornitura o del servizio offerto.

Il mero risparmio di spesa collegato alla richiesta di un corrispettivo più basso non costituisce pertanto l'unico scopo, e nemmeno quello principale, delle norme che disciplinano la contabilità pubblica e gli appalti pubblici, le quali hanno invece di mira il conseguimento di una prestazione tecnicamente e qualitativamente adeguata al miglior prezzo ragionevolmente compatibile con tale obiettivo.

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