Il venir meno delle risorse finanziarie consente la revoca in autotutela della gara ma è fonte di responsabilità precontrattuale

26 Aprile 2017

Il venir meno delle risorse finanziarie costituisce ragione valida e sufficiente per non dare corso alla stipulazione del contratto di appalto, nonostante l'aggiudicazione definitiva già intervenuta, e giustifica la revoca dell'intera procedura di gara.

La fattispecie. A seguito della proposizione di giudizio volto all'accertamento del silenzio inadempimento formatosi sull'atto di diffida con cui l'impresa ricorrente aveva sollecitato il Comune a stipulare il contratto d'appalto di lavori – avente ad oggetto alcuni progetti di riqualificazione edilizia di zone a forte disagio abitativo finanziati dallo Stato e dalla Regione di appartenenza – già alla stessa definitivamente aggiudicato, quest'ultimo disponeva la revoca della gara per carenza dei finanziamenti, a sua volta impugnata con ricorso per motivi aggiunti contenente anche domanda di risarcimento danni.

La sopravvenuta indisponibilità colposa delle risorse finanziarie costituisce valido motivo per disporre la revoca di una gara di appalto ma fonte di responsabilità precontrattuale. Essendo infatti venute meno le disponibilità finanziarie a seguito della perenzione delle somme annualmente stanziate dallo Stato e dalla Regione, e non potendo altresì anticipare per un periodo di tempo superiore ad un anno dalla sottoscrizione del contratto le somme previste a titolo di acconto, il Comune appaltante prendeva atto dell'impossibilità a procedere alla realizzazione dell'opera e revocava in autotutela l'intera procedura per sopravvenuti motivi di interesse pubblico di natura economico-finanziaria.

Così chiamato a pronunciarsi sulla legittimità del citato provvedimento di secondo grado il TAR del Lazio premette in limine litis in via generale, da un lato, che la revoca del provvedimento amministrativo è consentita dall'art. 21-quinquies l. n. 241 del 1990 per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento o di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario: clausole queste ultime di così ampia latitudine semantica da rimettere il valido esercizio all'apprezzamento ampiamente discrezionale dell'amministrazione procedente; dall'altro, che con specifico riferimento alle procedure di affidamento di contratti pubblici la revoca è invece inammissibile dopo la stipula del contratto d'appalto pubblico, dovendo utilizzarsi, in quest'ultima fase, il diverso strumento del recesso: al contrario, prima del perfezionamento del documento contrattuale l'aggiudicazione è invece pacificamente revocabile, in applicazione del richiamato art. 21-quinquies l. n. 241 del 1990 (ex multis, Cons. St., Sez. III, 29-11-2016, n. 5026).

Ciò detto in via generale, nella fattispecie viene conseguentemente stabilito che «in applicazione dei principi giuridici indicati, si deve ritenere che il venir meno delle risorse finanziarie costituisca ragione valida e sufficiente per non dare corso alla stipulazione del contratto, nonostante l'aggiudicazione definitiva già intervenuta. […] In difetto delle risorse, la stipulazione del contratto è oggettivamente impossibile e ciò basta a legittimare il provvedimento di revoca dell'intera procedura di gara».

Respinta quindi la domanda di annullamento, viene viceversa accolta una delle domande risarcitorie avanzate. Nella fattispecie, infatti, vengono ritenuti integrati entrambi i requisiti fondanti la responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c.: per un verso, l'affidamento diligente sul buon esito della fase precedente la stipulazione del contratto derivante oggettivamente dal provvedimento di aggiudicazione definitiva, idoneo di per sé ad ingenerare tale legittimo affidamento; per altro verso, il comportamento contrario alle regole di correttezza della parte pubblica non essendo giustificabile il ritardo con cui il Comune ha gestito la procedura.

Inoltre, come ritenuto da costante giurisprudenza (TAR Lazio, Sez. II, 14 settembre 2016, n. 9704) nel caso di responsabilità precontrattuale, il danno risarcibile deve essere commisurato non già all'interesse positivo, ovvero alle utilità economiche che il privato avrebbe tratto dall'esecuzione del contratto, ma al c.d. interesse negativo, da intendersi come interesse a non essere coinvolto in trattative inutili o, comunque, a non investire inutilmente tempo e risorse economiche partecipando a trattative destinate a rivelarsi inutili a causa del comportamento scorretto della controparte.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.