Il sindacato del giudice amministrativo sull’interdittiva antimafia

26 Giugno 2016

La sentenza richiama e applica una serie di principi e criteri enunciati dalla giurisprudenza amministrativa, in merito ai limiti del sindacato giurisdizionale sull' interdittiva prefettizia antimafia mantenendo fermo l'assunto che la valutazione ampiamente discrezionale in essa contenuta è soggetta al sindacato del giudice amministrativo unicamente sotto il profilo della “logicità ed irragionevolezza” in relazione alla rilevanza dei fatti accertati.

Nel corso dell'esecuzione di un appalto di lavori indetto dalla Seconda Università degli Studi di Napoli l'impresa, subappaltatrice del servizio di fornitura e traporto in cantiere di inerti calcarei e del noleggio a freddo di mezzi d'opera, veniva colpita da un'interdittiva prefettizia cosicché la stazione appaltante revocava la relativa autorizzazione. La società impugnava entrambi i provvedimenti contestando il vizio di motivazione e la carenza di istruttoria.

In via preliminare, il TAR richiama gli elementi che hanno portato all'emanazione dell'interdittiva antimafia. In particolare, il Collegio evidenzia che l'Autorità di pubblicasicurezza aveva accertato che l'assetto gestionale e proprietario della suddetta società manteneva rapporti con soggetti affiliati ad un clan camorristico e che dall'istruttoria erano emerse relazioni e intrecci parentali con un soggetto a sua volta “controllato in più occasioni con elementi di spicco del medesimo clan camorristico”.

Al fine di accertare la legittimità dei provvedimenti gravati, il TAR richiama analiticamente una serie di consolidati principi di carattere generale in materia di sindacato del giudice amministrativo sull'interdittiva antimafia. In dettaglio, le sentenze Cons. St., Sez. III, 21 gennaio 2015, n. 203; Id., 29 settembre 2015, n. n. 4541 avevano evidenziato che:

- l'interdittiva prefettizia antimafia costituisce una misura preventiva volta a colpire l'azione della criminalità organizzata impedendole di avere rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione; - tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità ed irragionevolezza in relazione alla rilevanza dei fatti accertati;

- essendo il potere esercitato espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, la misura interdittiva non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo sull'esistenza della contiguità dell'impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell'attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui si evinca il pericolo di ingerenza della criminalità organizzata nell'attività imprenditoriale;

- occorre individuare e indicare idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose, che sconsigliano l'instaurazione di un rapporto dell'impresa con la pubblica amministrazione, ma non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l'appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, potendo l'interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario anche se risalenti nel tempo;

- infine, gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l'esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata.

Con riferimento all'attualità del quadro indiziario da cui trarre la sussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa, il Collegio aggiunge che il rischio di inquinamento mafioso si può considerare “superato” non tanto e non solo per il trascorrere di un considerevole lasso di tempo dall'ultima verifica effettuata senza che sia emersa alcuna evenienza negativa, quanto anche per il “sopraggiungere di fatti positivi, idonei a dar conto di un nuovo e consolidato operare dei soggetti a cui è stato ricollegato il pericolo, che persuasivamente e fattivamente dimostrino l'inattendibilità della situazione rilevata in precedenza”. Il predetto criterio, precisa il TAR, subisce un temperamento solo nel caso in cui gli elementi di fatto, raccolti dalle forze di polizia, siano talmente risalenti nel tempo da non poter essere più considerati intrinsecamente idonei a supportare il giudizio di pericolo, anche per effetto di sopravvenienze quali la cessazione dell'attività imprenditoriale o l'esaurimento di determinati fenomeni organizzativi criminali.

Ebbene, in relazione al caso di specie, il TAR afferma che l'Autorità prefettizia abbia fatto “buon governo dei principi” e dei criteri sopra sintetizzati. Difatti, alla luce di una valutazione complessiva, i suddetti plurimi elementi indiziari riscontrati dall'Autorità di pubblica sicurezza “depongono univocamente per l'esistenza di un concreto ed effettivo pericolo di condizionamento esercitato dal clan, per il tramite di propri esponenti di spicco, “sia sull'assetto proprietario, sia sulla gestione societaria, sia infine sull'attività operativa dell'impresa ricorrente”. Inoltre, persiste l'attualità delle situazioni indizianti individuate a carico della compagine sociale, non solo perché non sono emersi eventi nuovi di segno contrario, valutabili da parte dell'autorità prefettizia, ma anche perché le situazioni indizianti si collocano in un periodo temporale non remoto.