La disciplina del partenariato pubblico-privato nel nuovo codice dei contratti pubblici

27 Luglio 2016

Il nuovo codice dei contratti pubblici ha introdotto per la prima volta una disciplina organica del partenariato pubblico privato di tipo contrattuale, dedicando all'istituto la Parte IV (artt. 179-199).Sulla base di tale premessa, l'articolo mira ad approfondire le caratteristiche e le potenzialità del PPP in rapporto alle peculiarità del contesto giuridico in cui operatori pubblici e privati si trovano ad operare attualmente.A tal fine, alla ricognizione dell'evoluzione nella disciplina normativa del PPP, segue l'analisi degli strumenti di varia natura che ne incentivano l'uso, nonché degli istituti che maggiormente enfatizzano l'iniziativa privata nella progettazione, realizzazione, gestione e finanziamento di infrastrutture e servizi pubblici.
Abstract

Il nuovo codice dei contratti pubblici ha introdotto per la prima volta una disciplina organica del partenariato pubblico privato di tipo contrattuale, dedicando all'istituto la Parte IV (artt. 179-199).

Sulla base di tale premessa, l'articolo mira ad approfondire le caratteristiche e le potenzialità del PPP in rapporto alle peculiarità del contesto giuridico in cui operatori pubblici e privati si trovano ad operare attualmente.

A tal fine, alla ricognizione dell'evoluzione nella disciplina normativa del PPP, segue l'analisi degli strumenti di varia natura che ne incentivano l'uso, nonché degli istituti che maggiormente enfatizzano l'iniziativa privata nella progettazione, realizzazione, gestione e finanziamento di infrastrutture e servizi pubblici.

Premessa

Prima di analizzare l'impatto delle previsioni del d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50 sul partenariato pubblico privato, occorre compiere una corretta esegesi di tale fenomeno.

Con il termine “partenariato pubblico-privato” (cui ci si riferisce usualmente anche con l'acronimo “PPP”) si fa riferimento a una serie di complesse forme di cooperazione tra il settore pubblico e quello privato attraverso le quali «le rispettive competenze e risorse si integrano per realizzare e gestire opere infrastrutturali in funzione delle diverse responsabilità ed obiettivi» (Decisione Eurostat, 11 febbraio 2004, “Treatment of public-private partnerships”, in www.utfp.it.).

Questo si verifica allorquando la pubblica Amministrazione, che intenda realizzare un progetto, consistente nella costruzione di un'opera e/o nella gestione di un servizio, qualificabili come pubblici o di pubblica utilità, ne affida, la realizzazione, la gestione, il finanziamento (e in alcuni casi anche la progettazione), in tutto o in parte, a operatori privati.

Le operazioni di PPP sono qualificate, di norma, da tre elementi distintivi e caratterizzanti:

a) una durata relativamente lunga della partnership;

b) la modalità di finanziamento del progetto, che deve essere garantito, benché non necessariamente in via esclusiva (spesso quote di finanziamento pubblico possono aggiungersi ai finanziamenti privati), dal settore privato;

c) la ripartizione della gestione dei rischi, che vanno suddivisi – previa una loro individuazione e quantificazione – in modo preciso, tra partner pubblico e partner privato (Il partner privato non deve necessariamente assumere tutti i rischi legati all'operazione: al contrario, la ripartizione si effettua, caso per caso, in funzione della capacità delle parti in questione di valutare, controllare e gestire gli stessi).

La codificazione del concetto di partenariato è avvenuta per la prima volta nel “Libro verde relativo ai partenariati pubblico-privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni”, presentato il 30 aprile 2004 [COM (2004), 327 definitivo].

Nel suddetto documento la Commissione delle Comunità Europee (oggi Unione Europea) ha definito i partenariati pubblico-privati come «forme di cooperazione tra le autorità pubbliche e il mondo delle imprese che mirano a garantire il finanziamento, la costruzione, il rinnovamento, la gestione o la manutenzione di un'infrastruttura o la fornitura di un servizio».

Questa definizione mette in evidenza come il ruolo dello Stato nella sfera economica si evolve da un ruolo di operatore diretto nel mercato ad un ruolo di organizzatore, regolatore e garante del rispetto dei principi di concorrenza e parità di trattamento, imposti dal Trattato e dalle direttive comunitarie in materia di appalti.

Data l'importanza del ruolo svolto dall'Amministrazione nell'ambito di tali forme di cooperazione, in termini di programmazione, indirizzo e controllo, nonché in termini economici, è stato sostenuto che le forme di PPP non costituiscono attuazione di un processo di privatizzazione delle funzioni pubbliche, bensì rappresentano un momento d'incontro tra pubblica Amministrazione e soggetti privati che può generare effetti positivi per la collettività, atteggiandosi a strumenti alternativi alla stessa privatizzazione (Risoluzione parlamento europeo, 26 ottobre 1996, n. 2043).

Anzi, è stato osservato che il partenariato tra Enti pubblici e privati è quanto di più lontano possibile dalle politiche di privatizzazione, in quanto presuppone necessariamente un rapporto giuridico – contrattuale o istituzionalizzato – tra soggetti pubblici e privati, che è estraneo alla riduzione della sfera pubblica e alla pubblicizzazione delle attività private.

Si deve quindi riconoscere che siffatte forme di collaborazione non presuppongono un passo indietro dello Stato, tipico del fenomeno delle privatizzazioni, ma concretizzano una diversa modalità di intervento pubblico che promuove e sostiene l'autonoma capacità di azione dei privati e delle formazioni sociali.

Coerentemente con tale impostazione, l'Assemblea di Strasburgo ha qualificato il PPP, in tutte le sue manifestazioni, come un possibile strumento di organizzazione e gestione delle funzioni pubbliche, riconoscendo alle Amministrazioni la più ampia facoltà di stabilire se avvalersi o meno di soggetti privati terzi, oppure di imprese interamente controllate, oppure, in ultimo, di esercitare direttamente i propri compiti istituzionali.

In questa prospettiva, il PPP può essere certamente considerato come una manifestazione del principio della sussidiarietà orizzontale, consacrato anche nell'articolo 118 della Costituzione, che favorisce l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale.

La sussidiarietà non deve essere intesa, però, come una sostituzione dei privati all'Amministrazione, bensì alla stregua di un rapporto di collaborazione tra soggetti pubblici e privati che concorrono a realizzare iniziative di pubblico interesse, attraverso una convergenza di risorse e di intenti. Come è stato incisivamente affermato dalla Sezione Consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato, «il principio di sussidiarietà orizzontale di cui all'art. 118, comma 4, Cost., costituisce il criterio propulsivo in coerenza al quale deve da ora svilupparsi, nell'ambito della società civile, il rapporto tra pubblico e privato anche nella realizzazione delle finalità di carattere collettivo» (Adunanza del 1° luglio 2002). Questa interpretazione, aggiunge la Sezione consultiva, “trova riscontro in una visione secondo cui lo Stato e ogni altra Autorità pubblica proteggono e realizzano lo sviluppo della società civile partendo dal basso, dal rispetto e dalla valorizzazione delle energie individuali, dal modo in cui coloro che ne fanno parte liberamente interpretano i bisogni collettivi emergenti dal “sociale” e si impegnano direttamente per la realizzazione di quelle che sulla base di tale parametro sono avvertite come utilità collettive, come esigenze proprie della comunità di cui fanno parte».

Infatti, il principio di sussidiarietà, nella sua versione più evoluta, non contempla il ritiro dello Stato dall'ambito economico, ma il crearsi di sinergia tra il soggetto pubblico e quello privato, fondamento indiscutibile della categoria del partenariato.

Si deve allora riconoscere che il partenariato costituisce una evidente manifestazione del passaggio ad un sistema di sussidiarietà orizzontale, espressione di un mutato e più trasparente assetto tra potere politico amministrativo e potere economico, in funzione di collaborazione reciproca.

La Commissione delle Comunità Europee (oggi Unione Eurepea) nel citato Libro verdeha individuato due macro-categorie di partenariato pubblico-privato, in base agli strumenti giuridici attraverso i quali si realizzano tali operazioni: il PPP “puramente contrattuale” e quello “istituzionalizzato”.

Il primo tipo di partenariato è basato esclusivamente su legami contrattuali tra i vari soggetti. Esso definisce vari tipi di operazioni, nelle quali uno o più compiti, più o meno ampi – tra cui la progettazione, il finanziamento, la realizzazione, il rinnovamento o lo sfruttamento di un lavoro o di un servizio – vengono affidati al partner privato.

Nell'ambito del PPP “contrattuale”, sono possibili diversi livelli di integrazione e collaborazione, a seconda del grado di coinvolgimento progettuale del partner privato.

Il PPP di tipo “istituzionalizzato”, invece, implica una cooperazione tra il settore pubblico e il settore privato in seno a un soggetto giuridico distinto e comporta, quindi, la creazione di un'entità detenuta congiuntamente dal partner pubblico e dal partner privato, la quale ha il compito di assicurare la fornitura di un'opera o di un servizio a favore del pubblico (il più limpido esempio, in tal senso, sono le società miste).

In entrambi i casi, la scelta del soggetto privato deve avvenire nel rispetto dei principi concorrenziali, al duplice scopo di garantire che le risorse versate dalle Autorità pubbliche per acquistare prodotti o per conferire a terzi il compito di prestare servizi o effettuare lavori siano bene utilizzate, nonchè di assicurare il rispetto del principio comunitario della parità di trattamento.

Nel nostro ordinamento è stata introdotta la definizione di contratti di partenariato pubblico privato dall'art. 15-ter d.lgs. 11 settembre 2008, n. 152 – recante il terzo decreto “correttivo” del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici) – che li ha definiti come accordi «aventi per oggetto una o più prestazioni quali la progettazione, la costruzione, la gestione o la manutenzione di un'opera pubblica o di pubblica utilità, oppure la fornitura di un servizio, compreso in ogni caso il finanziamento totale o parziale a carico di privati, anche in forme diverse, di tali prestazioni, con allocazione dei rischi ai sensi delle prescrizioni e degli indirizzi comunitari vigenti».

Tale disposizione, a titolo esemplificativo, ha inserito fra i contratti di detto tipo «la concessione di lavori, la concessione di servizi, la locazione finanziaria, il contratto di disponibilità, l'affidamento di lavori mediante finanza di progetto e le società miste», ovvero «l'affidamento a contraente generale quando il corrispettivo per la realizzazione dell'opera sia in tutto o in parte posticipato e collegato alla disponibilità dell'opera per il committente o per utenti terzi».

La definizione di contratto di partenariato pubblico-privato e il concetto di “trasferimento del rischio”

Il nuovo codice dei contratti pubblici ha introdotto per la prima volta una disciplina organica del partenariato pubblico privato di tipo contrattuale, dedicando all'istituto la Parte IV (artt. 179-199).

Il contratto di partenariato pubblico-privato è stato prospettato come un «contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto con il quale una o più stazioni appaltanti conferiscono a uno o più operatori economici per un periodo determinato in funzione della durata dell'ammortamento dell'investimento o delle modalità di finanziamento fissate, un complesso di attività consistenti nella realizzazione, trasformazione, manutenzione e gestione operativa di un'opera in cambio della sua disponibilità, o del suo sfruttamento economico, o della fornitura di un servizio connesso all'utilizzo dell'opera stessa, con assunzione di rischio secondo modalità individuate nel contratto, da parte dell'operatore» (cfr. art. 3, comma 1, lett. eee), a cui l'art. 180 fa espresso rinvio).

In attuazione del dettato della direttiva 2014/23/UE, il nuovo codice ha, inoltre, definito la nozione di rischio operativo, individuandolo nel «rischio legato alla gestione dei lavori o dei servizi sul lato della domanda o sul lato dell'offerta o di entrambi, trasferito al concessionario», nonché, i concetti di rischio di disponibilità (connesso«alla capacità, da parte del concessionario, di erogare le prestazioni contrattuali pattuite, sia per volume che per standard di qualità previsti»), di domanda (connesso «ai diversi volumi di domanda del servizio che il concessionario deve soddisfare, ovvero il rischio legato alla mancanza di utenza e quindi di flussi di cassa») e di costruzione (connesso «al ritardo nei tempi di consegna, al non rispetto degli standard di progetto»), la cui corretta allocazione in capo al partner privato è fondamentale ai fini della configurazione di un contratto di partenariato pubblico-privato e della contabilizzazione delle opere al di fuori del bilancio pubblico.

In particolare, è stato stabilito che nei contratti di partenariato pubblico-privato il trasferimento del rischio comporta l'allocazione effettiva e sostanziale in capo all'operatore economico, oltre che del rischio di costruzione (rischio insito anche nei contratti di appalto), anche del rischio di disponibilità o, “nei casi di attività redditizia verso l'esterno”, di domanda (art. 180, comma 3).

In tal modo, è stato chiarito che l'assunzione da parte del partner privato del rischio di gestione non è una prerogativa delle sole concessioni, ma rappresenta un fattore che qualifica tutti i contratti di partenariato.

Sul tema, assume un rilievo particolare l'art. 3, comma 1, lett. eee) del nuovo codice, che prevede espressamente l'applicabilità dei contenuti delle decisioni Eurostat a tutte le operazioni di PPP caratterizzate dalla traslazione dell'alea inerente alla gestione di una determinata attività in capo al soggetto privato.

Al riguardo, occorre ricordare che la decisione dell'Ufficio statistico dell'Unione Europea n. 18 dell'11 febbraio 2004 stabilisce che i contratti di partenariato non sono da registrare nei bilanci delle pubbliche Amministrazioni ai fini del calcolo dell'indebitamento netto e del debito, quando ricorrano le condizioni che il partner privato assume il rischio di costruzione e almeno uno tra il rischio di disponibilità e di domanda.

Di conseguenza, la condizione posta per collocare gli investimenti in partenariato pubblico-privato fuori bilancio (off-balance) è che vi sia un sostanziale trasferimento di rischio economico e operativo dalla sfera pubblica a quella privata; il che si verifica quando la parte del rischio trasferita al concessionario comporti «una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita dal concessionario non sia puramente nominale o trascurabile» [art. 3, comma 1, let. zz) del nuovo codice].

Soltanto allorquando si realizza tale evenienza le Amministrazioni potranno legittimamente realizzare progetti di pubblica utilità senza attingere alle risorse del bilancio.

Pertanto, l'assunzione del rischio di gestione da parte dell'operatore privato non è solo un elemento qualificante gli strumenti di partenariato, ma, coerentemente con quanto stabilito dalle decisioni Eurostat (a cui fa espresso richiamo il codice) rappresenta anche la condizione necessaria per contabilizzare fuori bilancio l'intervento che l'Amministrazione intende realizzare.

Le modalità “tipiche” e “atipiche” di finanziamento dei contratti di partenariato pubblico privato e l'ambito di estensione dei progetti finanziabili

Il nuovo codice dei contratti ha previsto diverse forme di contribuzione pubblica dirette a garantire l'equilibrio economico finanziario degli investimenti e della connessa gestione di un progetto affidato mediante le procedure di PPP.

Esse possono essere distinte in modalità “tipiche” e “atipiche” di finanziamento dei contratti di partenariato.

Con riferimento alle prime è stato stabilito che, ai fini del raggiungimento dell'equilibrio economico finanziario, le amministrazioni aggiudicatrici possono prevedere in favore dell' “operatore economico” la corresponsione di un contributo pubblico, la cessione di beni immobili che non assolvono più a funzioni di interesse pubblico, il riconoscimento di diritti di godimento su beni immobili nella disponibilità dell'amministrazione la cui utilizzazione sia strumentale e tecnicamente connessa all'opera da affidare in concessione (art. 180, comma 6).

La ratio legis sottesa alla previsione di modalità di finanziamento ulteriori rispetto a quelle derivanti direttamente dalla gestione dell'opera è evidentemente quella di consentire l'applicazione degli strumenti di partenariato non soltanto alle opere intuitivamente suscettibili di generare utili attraverso la loro gestione (cd. “calde”), ma anche a quei progetti che non sono in grado di “ripagarsi” autonomamente (cd. opere “fredde”) o che per “ripagarsi” richiedono una componente di contribuzione pubblica (cd. opere “tiepide”).

La norma ha dunque lo scopo di incrementare il richiamo di risorse private nella realizzazione di lavori pubblici e, al contempo, di ridurre l'onerosità finanziaria necessaria alla realizzazione di determinati investimenti.

Accanto alle modalità tipiche espressamente contemplate (corresponsione di un contributo pubblico, cessione di beni immobili, riconoscimento di diritti di godimento su beni immobili nella disponibilità dell'amministrazione), il nuovo codice ha previsto altresì la possibilità di individuare forme atipiche di finanziamento dei contratti di partenariato.

Invero, è stato specificato che i ricavi di gestione dell'operatore economico possono provenire da “qualsiasi altra forma di contropartita economica” (art. 180, comma 2).

Tale previsione mira, in particolare, a sfruttare l'elasticità che connota gli strumenti di partenariato e ad ampliare ulteriormente le sue opportunità di utilizzo per la realizzazione di progetti caratterizzati da bassi rendimenti e dalla conseguente impossibilità di raggiungere un equilibrio economico.

A titolo esemplificativo, una modalità atipica di finanziamento di un contratto di partenariato potrebbe essere quella di programmare un progetto complesso che preveda la realizzazione contestuale di opere “fredde” e “calde”, in cui i flussi di cassa prodotti dalla gestione di quest'ultime consentono di remunerare anche l'investimento necessario per la realizzazione delle prime.

In alternativa, il coinvolgimento dell'operatore economico privato potrebbe avvenire attraverso l'affidamento al concessionario della gestione di opere complementari che producono ricavi a favore di chi li gestisce.

In tal modo, la remunerazione non deriva direttamente dalla gestione dell'opera principale (o, almeno, non soltanto), bensì dai servizi e dalle forniture ad essa collaterali.

Dunque, l'espressa previsione della possibilità di attribuire al concessionario ulteriori risorse rispetto a quelle derivanti direttamente dalla gestione dell'opera realizzata – sebbene temperata dalla previsione di un limite («l'eventuale riconoscimento del prezzo, sommato al valore di eventuali garanzie pubbliche o di ulteriori meccanismi di finanziamento a carico della pubblica amministrazione, non può essere superiore al trenta per cento del costo dell'investimento complessivo, comprensivo di eventuali oneri finanziari») – fa emergere la delicatezza e l'importanza di una corretta e adeguata definizione della modalità e dell'intensità dell'intervento pubblico, che deve essere tale da contenere al massimo l'impegno finanziario per la pubblica Amministrazione, compatibilmente con la necessità di garantire la permanenza in capo al soggetto privato dell'alea economico finanziaria della gestione dell'opera e, al contempo, la bancabilità dell'intervento.

E ciò pone l'accento sulla necessità di un'Amministrazione dotata di elevate competenze negoziali e manageriali, che sia in grado di evitare che si ingeneri in capo agli operatori economici privati un margine di profitto incongruo e che, a fronte di ciò, ricada sulla collettività un prezzo troppo elevato per la realizzazione di un progetto di pubblica utilità.

Soltanto a queste condizioni è possibile sfruttare in modo pieno e vantaggioso per la collettività le potenzialità applicative del PPP, estendendo il suo utilizzo anche a quelle opere che a una prima analisi appaiono meno convenienti per l'investitore privato.

L'esclusione dell'appalto dalla nozione di partenariato pubblico-privato

L'ultimo comma dell'articolo 180 ha incluso tra i contratti di partenariato pubblico-privato la finanza di progetto, la concessione di costruzione e gestione, la concessione di servizi, la locazione finanziaria di opere pubbliche, il contratto di disponibilità, nonchè qualunque altra procedura di realizzazione in partenariato di opere o servizi che comporti il trasferimento del rischio di gestione in capo all'operatore privato.

Sebbene il codice abbia operato una distinta collocazione sistematica per la concessione (Parte III) e il partenariato pubblico privato (Parte IV), non è seriamente dubitabile che la prima rientri a pieno titolo tra gli strumenti di partenariato pubblico privato di tipo contrattuale.

Invero, la concessione è da sempre considerata l'istituto che corrisponde maggiormente al “modello tipo” di partenariato pubblico-privato di tipo contrattuale per durata del rapporto, impegno finanziario dei privati e, soprattutto, ripartizione dei rischi.

Tanto è vero che l'art. 180 del nuovo codice ha elencato tra le tipologie di contratti di partenariato anche la concessione di servizi e di lavori (comma 8), e, in più disposizioni, ha utilizzato indifferentemente il termine contratto di partenariato pubblico-privato e quello di concessione (comma 6), prospettando quest'ultimo come un contratto destinato a concludere le procedure di PPP di tipo contrattuale.

È stata inoltre prevista la diretta applicabilità della Parte III del Codice, recante la disciplina dei contratti di concessione, a tutte le procedure di affidamento dei contratti di partenariato (art. 179).

Del resto, la finanza di progetto è stata espressamente inclusa tra gli strumenti tipici di partenariato pubblico-privato di tipo contrattuale ed è stata concepita dallo stesso codice (cfr. art. 183, comma 10, lett. d, 11, 12) come una procedura finalizzata alla stipula di una concessione.

È stata invece confermata la scelta di escludere i contratti di appalto dalla nozione di partenariato pubblico-privato.

Tale scelta si pone in contrasto con il Libro verde adottato dalla commissione europea nel 2004 (“Libro verde relativo ai partenariati pubblico-privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni”)che include nella categoria del partenariato pubblico-privato di tipo contrattuale anche i contratti di appalto pubblico.

In realtà, il fatto che nello stesso Libro verde la Commissione Europea elenchi tra gli elementi caratterizzanti il PPP anche la ripartizione dei rischi, con trasferimento al privato di quelli normalmente a carico della parte pubblica, porta a escludere l'appalto dalla nozione di partenariato pubblico privato.

Invero, nello schema contrattuale dell'appalto non si rinvengono alcuni elementi che lo stesso Libro verde ha individuato come caratterizzanti le forme di partenariato.

Basti pensare all'elemento dell'apporto finanziario privato e, soprattutto, alla ripartizione dei rischi tra il partner pubblico e il partner privato, praticamente assenti nell'appalto, fatta eccezione per il solo rischio di costruzione.

Anche l'elemento della “lunga durata”, volto essenzialmente a consentire l'ammortamento degli investimenti e una ragionevole rendita dei capitali investiti, non è una caratteristica intrinseca di tale strumento contrattuale.

Appare quindi pienamente condivisibile la scelta operata dal legislatore di trattare disgiuntamente istituti in realtà assai diversi, come l'appalto, da un lato, nel quale il privato assume unicamente il rischio legato alla realizzazione dell'opera e mai i rischi legati alla disponibilità o alla domanda; la concessione, la finanza di progetto e gli altri istituti di partenariato pubblico-privato di tipo contrattuale, dall'altro, caratterizzati dal trasferimento in capo ai privati della responsabilità di gestione.

Le procedure di affidamento dei contratti di partenariato pubblico-privato: il coinvolgimento del privato nella progettazione di fattibilità e il project financing

In relazione alle procedure di affidamento dei contratti di partenariato pubblico-privato è stato stabilito che la scelta dell'operatore economico avvenga di regola «ponendo a base di gara il progetto definitivo e uno schema di contratto e di piano economico finanziario, che disciplinino l'allocazione dei rischi tra amministrazione aggiudicatrice e operatore economico»(art. 181, comma 2).

Tuttavia, lo stesso articolo fa salva la possibilità – in deroga al principio di tendenziale separazione tra progettazione e esecuzione – che i contratti di partenariato pubblico privato possano avere a oggetto anche la progettazione di fattibilità (art. 180, comma 1). Al riguardo, il nuovo codice degli appalti prevede che la progettazione sia articolata su tre livelli: progettazione di fattibilità, definitiva, esecutiva (art. 23); il precedente codice prevedeva, invece, quattro livelli di progettazione, ossia, lo studio di fattibilità, la progettazione preliminare, la progettazione definitiva, la progettazione esecutiva.

Quest'ultima disposizione, consentendo di rimettere al partner privato tutti i livelli di progettazione, mira a consentire, da un lato, alle Amministrazioni di beneficiare dell'apporto ideativo fornito dalle imprese; dall'altro all'operatore economico privato di impegnare le proprie risorse in un intervento di cui egli stesso è responsabile sin dalla fase iniziale.

La norma, dunque, si basa sull'idea di fondo secondo la quale le possibilità di successo dell'investimento saranno tendenzialmente maggiori in quei casi in cui si accetti di trasferire al partner privato un maggiore grado di libertà nella fase di ideazione e progettazione delle opere, nonchè maggiori livelli di responsabilità operativa nella loro gestione.

A questo riguardo, la procedura tipica di partenariato pubblico privato che enfatizza maggiormente l'iniziativa privata nella progettazione di opere di pubblici interesse è rappresentata dalla finanza di progetto, la cui disciplina è contenuta negli artt. 183 e ss del nuovo codice.

Essa prevede due distinte procedure di aggiudicazione sostanzialmente coincidenti con quelle già contemplate dal previgente d.lgs. n. 163 del 2006 all'art.153, commi 1-14 (c.d. procedura a gara unica), e comma 19 (iniziativa privata per opere fuori programmazione).

Per ragioni di semplificazione, sono state invece espunte le procedure più complesse in precedenza previste dal medesimo art. 153 ai commi 15 e 16, rispettivamente riguardanti la procedura c.d. a doppia gara e la procedura conseguente all'inerzia dell'amministrazione aggiudicatrice, ossia la procedura ad impulso privato, relativa alle opere inserite nell'elenco annuale (comma 16), per le quali le Amministrazioni aggiudicatrici non provvedevano alla pubblicazione dei bandi entro sei mesi dall'approvazione dello stesso elenco annuale.

Nell'attuale assetto, le procedure di project financing possono pertanto essere distinte in due tipologie: operazioni a iniziativa delle pubbliche Amministrazione e a iniziativa dei privati.

Il tratto comune di tali procedure risiede nel fatto che, mentre la modalità “ordinaria” di affidamento del contratto di partenariato pubblico-privato è caratterizzata dal confronto di proposte redatte dagli operatori economici concorrenti sulla base del progetto definitivo predisposto e messo a gara dalla stessa Amministrazione, in questi casi è più ampio lo spazio entro cui possono “muoversi” le proposte degli aspiranti promotori.

Invero, nelle operazioni di project financing a iniziativa pubblica l'Amministrazione si limita a predisporre in sede di programmazione delle opere pubbliche uno “studio di fattibilità” entro cui spetterà alle imprese definire il quadro progettuale dell'intervento (ai sensi dell'art. 183, comma 2, «Il bando di gara è pubblicato (…) ponendo a base di gara il progetto di fattibilità predisposto dall'amministrazione aggiudicatrice»); nell'ipotesi di project financing “a iniziativa privata” è rimessa all'iniziativa del privato finanche la possibilità di proporre un'idea realmente nuova, non prevista negli strumenti di programmazione della pubblica Amministrazione.

È evidente che la procedura di project financing a iniziativa privata rappresenta il contratto tipico di PPP più idoneo a consentire alle Amministrazioni di avvalersi dell'apporto ideativo degli operatori privati, essendo effettivamente rimesso a quest'ultimi la possibilità di assumere la responsabilità del progetto a partire dallo stadio iniziale del progetto medesimo.

Osservazioni conclusive

Alla luce delle precedenti considerazioni, è possibile evidenziare come le principali novità introdotte dal d.lgs. n. 50 del 2016 in tema di concessioni e di partenariato siano state dettate principalmente dall'applicazione della normativa europea.

In particolare, in attuazione della direttiva 2014/23 (cd. “direttiva concessioni”), è stata fornita una definizione di “rischio operativo” ed è stato introdotto l'obbligo di trasferimento del predetto rischio al partner privato.

In sostanza, nel disegno del legislatore delegato, l'effettivo trasferimento del rischio operativo al partner privato rappresenta l'elemento caratterizzante e imprescindibile delle concessioni e, in generale, delle operazioni di partenariato pubblico-privato.

Dal punto di vista del finanziamento degli interventi, il nuovo codice ha previsto la possibilità di ricorrere a forme atipiche di finanziamento dei contratti di partenariato, che si affiancano alle modalità tipiche espressamente contemplate, quali la corresponsione di un contributo pubblico, la cessione di beni immobili e il riconoscimento di diritti di godimento su beni immobili nella disponibilità dell'amministrazione.

Tale previsione è stata dettata dall'intento di sfruttare l'elasticità che connota gli strumenti di partenariato e di ampliare ulteriormente le sue opportunità di utilizzo per la realizzazione di progetti caratterizzati da una scarsa redditività.

Con riferimento alle procedure di affidamento dei contratti di partenariato, è stata prevista la generale possibilità di coinvolgere gli operatori economici privati nella progettazione, realizzazione, gestione e finanziamento di infrastrutture e servizi pubblici, stabilendo che i contratti di partenariato pubblico-privato possano avere a oggetto anche la progettazione di fattibilità.

Conformemente alla disciplina precedente, resta ferma la fondamentale distinzione tra procedure a iniziativa pubblica e privata: le prime sono basate sul progetto elaborato dall'Amministrazione e riguardano opere previste negli strumenti di programmazione della stessa pubblica Amministrazione; le seconde traggono origine dall'iniziativa dei privati e possono avere a oggetto anche progetti non previsti negli strumenti di programmazione della pubblica Amministrazione.

Al riguardo, è stato osservato come, anche nel nuovo codice, la procedura tipica di partenariato pubblico-privato che enfatizza maggiormente l'apporto ideativo di soggetti privati nella progettazione di opere di pubblico interesse è rappresentata dalla finanza di progetto.

Guida all'approfondimento

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C. VOLPE, In house providing, Corte di Giustizia, Consiglio di Stato e Legislatore nazionale. Un caso di convergenze parallele, in www giustizia-amministrativa.it, 2008.

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G. PALMA, Itinerari di diritto amministrativo, Padova, 1996.

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Più approfonditamente, sui partenariati pubblico-privato istituzionalizzati cfr.: A. RALLO, Sistemi di scelta del partner privato nelle società miste, in AA. VV.: G. DI GIANDOMENICO (a cura di), Le società miste locali per la gestione di pubblici servizi, Napoli, 1997, 143; M. PALLOTTINO, Le società miste locali e la realizzazione di opere e infrastrutture: un'ipotesi di “project financing”, in Contributi al diritto e alla scienza dell'amministrazione, parte I, 1998; M. P. CHITI (a cura di), Il partenariato pubblico-privato: concessioni, finanza di progetto, società miste, fondazioni, Napoli, 2009; R. MORZENTI PELLEGRINI, L'utilizzabilità delle società a capitale misto pubblico-privato per la gestione di servizi pubblici, tra precisazioni in ordine agli specifici requisiti legittimanti e residue necessità di chiarimenti, nota alla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI,16 marzo 2009, n. 1555, in Foro amm. Cons. St, 3 del 2009, 802-813; C. MARCOLUNGO, Il partenariato pubblico-privato istituzionalizzato. Un tentativo di ricostruzione, in M.P. CHITI (a cura di), Il partenariato pubblico-privato, Napoli, 2009, 194 e ss; O. FORLENZA, Gli estremi dell'ingerenza pubblica rendono rendono la società parte integrante della P.A., commento a TAR Puglia, Lecce, Sez. I, 24 febbraio 2010, n. 622, in Guida dir., 2010, fasc. 22, 88-94; G. TERRACCIANO, La natura giuridica delle società a partecipazione pubblica e dei consorzi per la gestione per la gestione dei servizi pubblici locali, in Foro. amm. TAR 2010, fasc. 7-8, 2733-2749; R. VILLATA, La riforma dei servizi pubblici locali, Torino, 2011; F. MASTRAGOSTINO (a cura di), La collaborazione pubblico-privato e l'ordinamento amministrativo, Torino, 2011; F. LIGUORI, Impresa privata e servizio sociale nella sanità riformata, Napoli 1995; M. LIBANORA, Le società miste pubblico-privato e le operazioni di project financing, Milano, 2011; S. VALAGUZZA, Società miste a partecipazione comunale: ammissibilità e ambiti, Milano, Giuffrè, 2012.

La definizione contenuta nell'art. 15-ter appare meno articolata di quella comunitaria, dato che ha elencato (anche se a titolo esemplificativo) sotto un'unica generale categoria, tutte le forme di PPP che la politica comunitaria si premura di catalogare distintamente in PPP contrattuali e PPP istituzionalizzati (C. RANGONE, Art. 3, c.15-ter, Decreto correttivo al Codice degli appalti pubblici, Convegno IGI 14 ottobre 2008, in www.igitalia.it).

Il tema del trasferimento del rischio non rappresenta di certo una novità, dato che da sempre è stato considerato necessario carattere delle varie forme di PPP di tipo contrattuale (ed in particolare delle concessioni e della finanza di progetto). Tuttavia né la normativa nazionale sinora in vigore, né la giurisprudenza, avevano chiarito il suo ambito preciso; salvo ribadire che si tratta del principale elemento distintivo rispetto agli appalti. A sottolineare l'imprescindibilità dell'elemento del rischio nelle procedure di PPP, cfr. TAR Sardegna, Sez. I, 10 marzo 2011, n. 213 (in www.giustizia-amministrativa.it), che, da un lato, aveva sottolineato come il rischio debba essere per il privato concreto e sostanziale (ovvero non meramente formale); dall'altro, era giunta a ritenere nulli i contratti che non assicurassero un'effettiva distribuzione dei rischi. In termini analoghi, si veda pure TAR Puglia, Bari, Sez. I, 19 novembre 2012, n. 1953, in Rivista Giuridica dell'Edilizia, I, 2013 (con nota di G. TAGLIANETTI, I limiti del contributo pubblico e il rischio di gestione nelle procedure di project financing, 165 e ss.) che ha ritenuto legittimo l'esercizio del potere di autotutela nei confronti di una procedura di project financing ritenendo che la previsione e l'ammontare del canone versato dall'Amministrazione avevano reso poco significativo qualsiasi rischio connesso al livello di domanda e alla gestione delle opere da parte del partner privato. E questa è la prospettiva anche della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, secondo cui, seppur con specifico riguardo al regime applicabile alla concessione di servizi, nel quadro del diritto comunitario, «per poter ritenere sussistente una concessione di servizi è necessario che l'amministrazione aggiudicatrice trasferisca il rischio di gestione, che essa corre, a carico completo o, almeno, significativo al concessionario» (Corte di Giustizia , Sez. III, 10 settembre 2009, causa c-206/08, in www.dirittodeiservizipubblici.it); pertanto, nel caso in cui i rischi legati alla gestione dell'opera non siano posti a carico del concessionario, “occorre qualificare l'operazione come appalto pubblico e non come concessione di lavori pubblici” e seguire la relativa procedura di aggiudicazione (Corte di Giustizia, 13 novembre 2008, causa c-437/07, Commissione delle Comunità Europee c. Repubblica italiana, in Urb. e appalti, 2009, 20). Non mancano altri esempi di sentenze della Corte di Giustizia che individuano il carattere distintivo delle concessioni nell'assunzione da parte del privato del rischio di gestione: 10 marzo 2011, C-274/09; 10 settembre 2009, C-206-08; 15 ottobre 2009, C–196/08, 13 ottobre 2005, C- 458/2003, Parking v. Brixen, in Foro it., 2006, IV, 76.

Sul rischio di gestione, quale elemento caratterizzante i contratti di partenariato pubblico-privato di tipo contrattuale, mi sia consentito citare G. TAGLIANETTI, Il partenariato pubblico privato e il rischio operativo. Dalla tradizionale concessione di costruzione e gestione al project financing, in Quaderni di Diritto e Processo Amministrativo, 21, Napoli, 2014.

Con riguardo all'integrazione di opere calde con opere fredde, può essere utile citare il caso del “Piano particolareggiato di Corso del Popolo” di Terni. Nella fattispecie, il Comune aveva l'esigenza di procedere alla sistemazione di un'area pari ad 1/8 del centro storico, dotando questa zona di una serie di opere a servizio della collettività, come un parcheggio pubblico interrato a ridosso del centro storico e del tribunale (opera calda), la sistemazione di una vasta area a verde pubblico (opera fredda), arredo urbano (opera fredda), passerella pedonale sul fiume Nera (opera fredda), parziale modifica della viabilità pubblica (opera fredda), realizzazione di edifici per uffici comunali (opera fredda). L'Amministrazione comunale, piuttosto che procedere direttamente alla realizzazione delle singole opere, attingendo alle risorse dal bilancio, ha realizzato un unico grande intervento, dando luogo ad una esperienza che può essere sinteticamente descritta come integrazione e composizione in un unico progetto di opere pubbliche “calde” e “fredde” (il caso di studio è stato analizzato in S. COPIELLO, Progetti urbani in partenariato. Studi di fattibilità e piano economico finanziario, Firenze, 2011). G. TAMBURI, Come applicare il project financing alle opere “calde” e alle opere “fredde”, in U. DRAETTA-C.VACCA (a cura di), Il project financing: caratteristiche e modelli contrattuali, Milano, 1995; F. MERUSI, La finanza di progetto: alcune riflessioni, in Studi e note dell'economia, 1998, 7-13.

M. MISCALI, Il project financing, inF. GALGANO (a cura di), I Contratti del commercio, dell'industria e del mercato finanziario, Torino, 1995, 749

M. RICCHI, La finanza di progetto nel codice dei contratti dopo il terzo correttivo, in Urb. e appalti, 2008, 12, 1375 ss; analoga nomenclatura è stata adottata anche da R. DE NICTOLIS, Le novità del terzo (e ultimo) decreto correttivo del codice dei contratti pubblici, in Urb. e appalti, 2008, 11, 1225 e ss.

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