Il contributo unificato in materia di contratti pubblici al vaglio della Corte di Giustizia

15 Marzo 2016

Il focus offre l'occasione per esaminare i caratteri peculiari della disciplina del contributo unificato nel-la materia dei contratti pubblici, ponendone in evidenza i profili di maggiore criticità che hanno indotto il TRGA di Trento a sollevare la questione pregiudiziale dinnanzi alla Corte di Giustizia UE; il presente scritto intende illustrare il contenuto della decisione della Corte comunitaria e l'interpretazione fornitane nei primi arresti giurisprudenziali e nella prassi.
Abstract

Il focus offre l'occasione per esaminare i caratteri peculiari della disciplina del contributo unificato nella materia dei contratti pubblici, ponendone in evidenza i profili di maggiore criticità che hanno indotto il TRGA di Trento a sollevare la questione pregiudiziale dinnanzi alla Corte di Giustizia UE; il presente scritto intende illustrare il contenuto della decisione della Corte comunitaria e l'interpretazione fornitane nei primi arresti giurisprudenziali e nella prassi.

La disciplina del contributo unificato in materia di contratti pubblici

fino al 2002

marca da bollo da versare al momento dell'iscrizione a ruolo

art. 13, comma 1, d.P.R. n. 115 del 2002

istituzione del contributo unificato fissato, di regola, in proporzione al valore della controversia

art. 13, comma 6-bis, d.P.R. n. 115 del 2002 (inserito dal d.l. n. 223 del 2006)

criterio per materia per i soli giudizi dinnanzi al giudice amministrativo (contributo unificato “ordinario” di 650€ ed importi specifici per determinate tipologie di controversie)

d.l. 6 luglio 2011, n. 98

nel settore degli appalti pubblici, CU aumentato fino a 2.000 € e, successivamente, incrementato fino a 4.000 €

l. n. 228 del 2012, a decorrere dal 1 gennaio 2013

(a) euro 2.000 quando il valore della controversia è pari o inferiore ad euro 200.000; (b) euro 4.000 per le controversie di importo compreso tra euro 200.000 e 1.000.000; (c) euro 6.000 per quelle di valore superiore a 1.000.000 di euro

art. 14, comma 3-ter, d.P.R. n. 115 del 2001

valore della lite: l'importo posto a base d'asta individuato dalle stazioni appaltanti negli atti di gara

art. 15, d.lgs n. 53 del 2010

CU dovuto per la proposizione del ricorso incidentale e per i motivi aggiunti che introducano domande nuove; circolare del 18 ottobre 2011 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa: il contributo unificato è dovuto in caso di impugnazione di un atto nuovo “di qualsivoglia natura e portata sostanziale”, ovvero che non sia stato gravato con il ricorso introduttivo del giudizio

art. 13, comma 1-bis, d.P.R. n. 115 del 2002

CU aumentato della metà per i giudizi di impugnazione

La rimessione alla Corte di Giustizia UE

L'occasione per sollevare la pregiudiziale comunitaria è sorta con riferimento ad un caso invero paradossale. Durante un giudizio proposto per l'annullamento dell'atto di affidamento diretto di servizi infermieristici, l'ente aggiudicatore aveva adottato una serie di provvedimenti successivi tutti finalizzati ad impedire comunque l'ammissione alla competizione della ricorrente, costringendola a gravare ciascuno di essi con atto di motivi aggiunti; conseguentemente, a fronte di un contratto da aggiudicare di modesto valore, l'associazione ricorrente era stata onerata di versamenti per CU di importo complessivo obiettivamente sproporzionato, addirittura superiore alla consistenza dell'utile ritraibile in caso di aggiudicazione del contratto controverso. Cosicché la ricorrente si determinava a gravare, con l'ultimo atto di motivi aggiunti, la nota del Segretariato Generale del Tar che le aveva intimato l'ennesimo pagamento a titolo di CU.

Il TAR – dopo aver risolto in senso favorevole l'eccezione di giurisdizione sollevata dalla difesa erariale (a favore del giudice tributario), avendo ritenuto che l'intimazione di pagamento fosse atto munito di consistenza e natura di provvedimento amministrativo emanato «nell'esercizio di discrezionalità tecnica (…) dell'uso ed interpretazione di norme processuali»– con una ordinanza coraggiosa e ben argomentata (n. 23/2014 in www.lexitalia.it ) sollevava dinanzi alla Corte di Giustizia UE la questione della compatibilità del sistema italiano con i principi ed i parametri operativi fissati dalle conferenti disposizioni della direttiva cd ricorsi n. 89/665, come successivamente modificata ed integrata.

Più in particolare il TRGA, con una decisione articolata e contenutisticamente molto ben strutturata, chiedeva alla Corte di pronunciarsi sulla adeguatezza e proporzionalità della normativa nazionale in tema di CU rispetto (i) al diritto di tutti gli operatori economici di agire in giudizio per la tutela dei propri interessi nel contesto del mercato dei contratti pubblici, (ii) all'effetto discriminatorio che ne deriva a scapito degli operatori economici meno abbienti, (iii) alla pienezza ed effettività del controllo giurisdizionale sugli atti della pubblica amministrazione nel particolare settore degli appalti pubblici.

Secondo il giudice remittente, numerosi erano gli indici rivelatori della complessiva irrazionalità del sistema concepito dal legislatore italiano: (a) il trattamento penalizzante riservato alle controversie da proporre dinnanzi al giudice amministrativo rispetto a quello applicabile con riferimento a giudizi di identico valore economico da attivare dinanzi al giudice ordinario o a quello tributario; (b) la moltiplicazione aritmetica dell'obbligo di pagamento del CU per il caso, frequentissimo nel contenzioso in materia di evidenza pubblica, di motivi aggiunti e di ricorsi incidentali proposti all'interno dell'unico giudizio; (c) l'irragionevole assunzione ai fini della commisurazione del CU di un parametro di calcolo teorico (il valore del contratto da aggiudicare) rispetto a quello effettivo, individuabile ad es. nel bene della vita cui l'impresa ricorrente aspira agendo in giudizio (l'utile ritraibile dall'aggiudicazione del contratto); (d) la finalità, dichiaratamente perseguita dal legislatore nazionale, di disincentivare il contenzioso in materia di appalti pubblici allo scopo di non ostacolare la realizzazione di opere e l'acquisizione di beni e servizi da parte delle P.A.

La sentenza 6 ottobre 2015, in causa C-61/14.

Con la sentenza del 6 ottobre scorso la Corte di Giustizia ha fornito una risposta esauriente (per quanto non soddisfacente) a tutti i profili del quesito pregiudiziale sollevato dal TRGA.

Sia consentita una brevissima digressione introduttiva su un profilo processuale estremamente delicato ma non sufficientemente indagato. Va infatti segnalata, per le implicazioni di portata generale, la declaratoria di ammissibilità al giudizio pregiudiziale delle parti (associazioni di categoria, ordini professionali) che avevano spiegato intervento adesivo nel giudizio a quo successivamente alla pubblicazione dell'ordinanza di rimessione; l'eccezione era stata sollevata dalla difesa erariale sul presupposto che, secondo l'art. 298 c.p.c., durante il giudizio sospeso non può essere adottato alcun atto processuale, fatta eccezione per le misure cautelari. In proposito la Corte ha fatto corretta applicazione della sua consolidata giurisprudenza, ritenendo che, rientrando i profili di ricevibilità nelle prerogative del giudice del rinvio, la circostanza che nel fascicolo trasmesso a Lussemburgo fossero già contenuti tutti gli atti di intervento induceva a considerare positivamente vagliata dal giudice a quo la questione della loro ammissibilità. La questione del resto è già stata affrontata dalla giurisprudenza nazionale: con ordinanza n. 5788 del 2012 il Consiglio di Stato ebbe infatti a dichiarare ammissibile, in via d'urgenza, l'atto di intervento nel giudizio sospeso ex art. 234 Trattato proposto da una associazione rappresentativa degli interessi di una categoria di imprese, sul presupposto che proprio la rimessione della questione pregiudiziale alla Corte comunitaria aveva fatto sorgere l'interesse dell'interveniente a partecipare al giudizio a quo e, conseguentemente, all'incidente comunitario.

Passando al merito, la Corte ha dapprima affrontato in generale il tema del contributo unificato da versare per la proposizione di un ricorso in materia di appalti pubblici, concludendo per la compatibilità del sistema italiano con riferimento a tutti i conferenti principi comunitari evocati nell'ordinanza di rimessione.

Quanto al canone della effettività della tutela giurisdizionale, secondo la Corte il regime italiano (che, da calcoli effettuati sulla base dei dati versati in atti, in nessun caso prevede il pagamento di un importo superiore al 2% dell'importo del contratto da aggiudicare) non è tale da rendere eccessivamente difficile l'esercizio del diritto di azione. Né tanto meno appare contrastare con il principio di proporzionalità la fissazione del CU in funzione del valore del contratto da affidare (e non del beneficio ritraibile dall'operatore economico in caso di aggiudicazione), in quanto per un verso numerosi altri Stati membri adottano il medesimo criterio di computo, sotto concorrente profilo qualunque altro metodo di calcolo risulterebbe complicato ed imprevedibile. La Corte poi esclude recisamente che l'applicazione del contributo violerebbe il canone di non discriminazione: innanzi tutto perché tutti gli operatori economici, di ogni nazionalità, sonotenuti a versare il CU nella stessa misura; inoltre perché la partecipazione di un'impresa ad una procedura di evidenza pubblica presuppone una adeguata capacità economica e finanziaria; infine, per quanto l'impresa ricorrente sia tenuta ad anticipare il CU, essa tuttavia ha diritto alla sua ripetizione nei confronti delle parti soccombenti, in caso di successo nel relativo contenzioso.

In sostanza per la Corte UE la disciplina italiana del contributo unificato in materia di affidamenti di contratti pubblici nell'an non risulta confliggente sotto alcun profilo con il conferente diritto comunitario.

Per converso, la Corte a determinate condizioni dubita invece della compatibilità col diritto comunitario con il diritto comunitario delle previsioni sull'obbligo di effettuare una pluralità di pagamenti a titolo di CU nell'ambito dell'unico giudizio, quando vengano proposti motivi aggiunti o ricorsi incidentali.

Ha così statuito che la percezione di tributi giudiziari multipli e cumulativi nel contesto del medesimo procedimento giurisdizionale amministrativo non si pone in contrasto, in linea di principio, né con l'art. 1, Direttiva 89/665, né con i principi di equivalenza e di effettività poiché costituisce una fonte di finanziamento dell'attività giurisdizionale degli Stati membri e dissuade l'introduzione di domande che siano manifestamente infondate o dilatorie; ha soprattutto affermato che la proposizione di una pluralità di atti da parte dello stesso ricorrente nel medesimo giudizio, anche se teleologicamente accomunati dalla finalità di ottenere il conseguimento dell'unico bene della vita (l'aggiudicazione del contratto/l'annullamento dell'intera gara), non comporta necessariamente identità di oggetto fra il ricorso e gli atti aggiuntivi.

Tuttavia, prosegue la Corte, tali obiettivi possono giustificare la plurima applicazione di tributi giudiziari solo se, per effetto della proposizione di impugnative incidentali o di motivi aggiunti, l'oggetto della controversia originaria ne risulti effettivamente distinto e considerevolmente ampliato; se queste due condizioni non ricorrono, l'obbligo di pagamento integrativo si pone in contrasto con l'accessibilità dei mezzi di ricorso e con il principio di effettività. La verifica in ordine alla sussistenza delle condizioni deve essere compiuta, caso per caso, dal giudice nazionale, il quale, se accerta la mancanza di uno dei due requisiti cumulativi, è tenuto a dispensare l'amministrato dall'obbligo di pagamento di tributi giudiziari cumulativi.

La Circolare del Segretariato Generale del 23 ottobre 2015

Pochi giorni dopo la pubblicazione della sentenza della Corte di Giustizia, il Segretariato Generale della GA ha diramato una circolare destinata al personale operativo e dichiaratamente finalizzata alla verifica di conformità con la pronuncia del giudice comunitario delle Istruzioni dettate con la precedente circolare dell'ottobre 2011 in tema di contributo unificato.

Ebbene, all'esito di una operazione ermeneutica non del tutto condivisibile, la circolare perviene alla conclusione di confermare le istruzioni rese nel 2011 in relazione alla definizione dei presupposti per la sottoposizione all'imposizione di motivi aggiunti e ricorsi incidentali.

Muovendo dall'assunto secondo cui per la Corte il presupposto impositivo non è il bene della vita per il quale il ricorrente agisce in giudizio, bensì l'aggravio che deriva al sistema della giustizia amministrativa in generale, ed al singolo processo in particolare, dalla proposizione di motivi aggiunti, la circolare ne fa derivare la (non agevolmente comprensibile) conseguenza che, per imporre il pagamento aggiuntivo in presenza di motivi aggiunti, le due condizioni fissate dal giudice comunitario (modificazione dell'oggetto del giudizio e suo considerevole ampliamento) non dovrebbero concorrere cumulativamente, ma opererebbero alternativamente: più chiaramente, per il Segretariato Generale l'obbligo di versamento del CU sussisterebbe sia nel caso in cui con i motivi aggiunti vengano impugnati atti diversi da quelli originariamente gravati senza ampliamento del thema decidendum (come ad es. accade quando in un giudizio proposto contro la propria esclusione, l'impresa, costretta ad impugnare anche l'aggiudicazione intervenuta nelle more, dovrebbe versare il CU aggiuntivo nonostante abbia denunciato nei confronti del nuovo atto solo profili di illegittimità derivata), sia nell'ipotesi in cui venga successivamente dedotto un motivo nuovo contro i medesimi atti impugnati con il ricorso introduttivo senza gravare atti diversi (come si verifica ad es. in un giudizio contro l'aggiudicazione a favore di altra impresa per motivi attinenti alle operazioni valutative, integrato successivamente alla acquisizione della documentazione di gara da censure specificamente rivolte alla illegittimità della sua ammissione alla gara per difetto di requisiti partecipativi).

Questa lettura della sentenza comunitaria tuttavia non persuade per due distinti ordini di ragioni. Essa infatti per un verso offre una soluzione ermeneutica sistematica che si pone tuttavia in contrasto con il tenore letterale della pronuncia: mentre la Corte declina le condizioni utilizzando la congiunzione e,la circolare invece altera la portata semantica della proposizione mediante l'arbitraria previsione di una disgiunzione che non compare nel testo della sentenza. Ma non basta, perché la circolare oblitera del tutto il vero elemento di originalità della sentenza comunitaria, che sta nella esplicita devoluzione all'autorità giurisdizionale (non alla potestà amministrativa degli uffici giudiziari) del potere di delibare nel caso concreto in ordine alla sussistenza dei presupposti per l'esenzione del tributo.

Le prime applicazioni giurisprudenziali

A quanto consta non sono numerose le decisioni dei giudici amministrativi che ad oggi hanno fatto applicazione dei principi dettati dalla Corte UE.

Va tuttavia fin d'ora registrato un serio problema di giurisdizione che ha indotto in diverse circostanze l'organo giudicante a declinare a favore del giudice tributario il sindacato sulla sussistenza delle condizioni per l'esenzione del CU con riferimento alla proposizione di motivi aggiunti.

Ed invero tanto TAR Puglia, n. 1649 del 2015, quanto TAR Sicilia, Catania, Sez. III, n. 295 del 2016 e TRGA, Sez. Trento, n. 140 del 2016 investiti della domanda di esenzione dal pagamento del CU in relazione ad atti di motivi aggiunti proposti nell'ambito di un contenzioso in materia di evidenza pubblica, hanno affermato il proprio difetto di giurisdizione rientrando la materia afferente all'an ed al quantum del contributo unificato nella giurisdizione del giudice tributario; a sostegno talune di queste pronunce richiamano Sez. un. n. 5995 del 2012 (confermativa dei principi fissati da Corte cost. n. 73 del 2005, e Sez. un. nn. 3007-3008/2008) la quale ha stabilito in modo risolutivo che la competenza a dirimere le controversie in tema di contributo unificato è del giudice tributario, avendo detto contributo evidenza natura giuridica di entrata tributaria.

Sul versante opposto va tuttavia registrata la sentenza del TAR Sicilia, Catania, Sez. IV n. 2840 del 2015, la quale, aderendo implicitamente alle argomentazioni sviluppate dal Tar trentino in sede di rimessione (ordinanza n. 23 del 2014), ha accolto la domanda di esenzione dal pagamento del CU avanzata dall'impresa ricorrente la quale, impugnata la propria esclusione per anomalia dell'offerta, aveva dovuto gravare con motivi aggiunti l'aggiudicazione definitiva nel frattempo pronunciata a favore della controinteressata; secondo il giudice siciliano la dispensa dal pagamento del contributo unificato nella specie costituisce applicazione del canone fissato dalla Corte di Giustizia in relazione all'accertamento del mancato ampliamento del thema decidendum per effetto dei motivi aggiunti, con i quali la ricorrente si era limitata a denunciare illegittimità derivata dai vizi già dedotti con il ricorso introduttivo. Significativo rilevare che la pronuncia ha correttamente interpretato la regula iuris della compresenza (e non dell'alternatività fatta propria dalla circolare) dei due requisiti fissata dalla Corte comunitaria, esonerando dal pagamento integrativo nonostante con i motivi aggiunti fosse stato gravato un atto diverso da quelli impugnati originariamente.

Il tema della individuazione della giurisdizione sulle domande di esenzione è obiettivamente delicato perché indubbiamente oggetto della contestazione è il presupposto impositivo, ciò che farebbe propendere per la giurisdizione tributaria; tuttavia le articolate argomentazioni contenute nell'ordinanza di rimessione del TRGA inducono fondati dubbi sulla correttezza della soluzione abdicativa fatta propria dalle sentenze richiamate.

Di particolare pregio sistematico le considerazioni sulla configurabilità, negli atti degli uffici giudiziari recanti l'intimazione di pagamento al CU, di profili di discrezionalità tecnica, presupponendo le relative determinazioni l'interpretazione di norme processuali (quale la nozione di domande nuove di cui all'art. 13, comma 6-bis, d.P.R. n. 115 del 2002) nonché la quantificazione dell'ampliamento del thema decidendum in termini di significativa consistenza o meno; e maxime il rilievo conclusivo secondo cui «la natura tributaria della prestazione imposta non radica sempre e comunque la giurisdizione tributaria(…)» Inei casi in cui «il procedimento di individuazione dei presupposti del tributo necessiti .. dell'intervento dell'azione amministrativa (…)» (del medesimo avviso la recentissima pronuncia del Cons. St., Sez. VI, n. 853 del 29 febbraio 2016, che – se pur con riferimento ad una diversa fattispecie, relativa al provvedimento con cui era stata incrementata una tassa portuale – ha affermato la giurisdizione del giudice tributario in tanto in quanto «trattasi di atti autoesecutivi, immediatamente lesivi, e non necessitanti di alcun ulteriore atto specificativo» (l'importo dell'imposta dovuta discendeva unicamente dal dato quantitativo delle merci movimentate).

In conclusione

Nelle more del consolidamento di stabili orientamenti giurisprudenziali in relazione alla giurisdizione competente, non vi è dubbio che per ottenere la esenzione del pagamento di contributi unificati ulteriori in seguito alla proposizione di motivi aggiunti e di ricorsi incidentali nei contenziosi in materia di evidenza pubblica occorra formulare apposita domanda/istanza nell'atto processuale integrativo, illustrandone le ragioni alla luce delle statuizioni contenute nella pronuncia comunitaria in punto di considerevole ampliamento dell'oggetto del giudizio; in tal modo, quand'anche il giudice amministrativo dovesse declinare la propria giurisdizione sullo specifico capo decisorio, la domanda potrebbe essere riproposta senza rischi di decadenze mediante riassunzione dinnanzi al giudice tributario in applicazione del principio della translatio judicii.

Quanto al merito, se non vi sono dubbi, ad avviso di chi scrive, sul diritto alla dispensa in tutti quei casi nei quali, attraverso i motivi aggiunti ed il ricorso incidentale, il perimetro sostanziale della controversia non assuma connotazioni strutturalmente differenti rispetto a quello delineato dal ricorso introduttivo (si pensi non solo ai motivi aggiunti denuncianti illegittimità derivata ma anche al ricorso incidentale cd speculare, con il quale il controinteressato contesti al ricorrente la medesima violazione sollevata nei suoi confronti allo scopo di neutralizzarne l'incidenza); per converso va riconosciuto che possono darsi casi nei quali, pur non contemplandosi nei motivi aggiunti l'impugnazione di atti differenti da quelli già gravati, tuttavia l'aggravio che ne deriva al sistema giudiziario può obiettivamente risultare considerevole: si consideri il ricorso proposto contro l'aggiudicazione per motivi formali (mancanza di un requisito partecipativo), integrato con motivi aggiunti contro lo stesso atto, ma deducendosi ad es. la erroneità/insufficienza/superficialità delle valutazioni compiute in sede di verifica della congruità dell'offerta, da cui può obiettivamente deriva una innegabile e considerevole estensione del thema disputandum sottoposto al sindacato giurisdizionale. La devoluzione all'autorità giurisdizionale (ad avviso di chi scrive auspicabilmente al giudice amministrativo anche per evidenti ragioni di concentrazione delle tutele) del potere di stabilire quando ricorrano i presupposti per l'esenzione dal pagamento è la migliore garanzia della corretta applicazione dei principi fissati dalla Corte UE.

Un'ultima notazione. Sul piano effettuale la necessità di proporre impugnative successive alla notificazione del ricorso introduttivo nei giudizi sull'aggiudicazione di contratti pubblici dipende essenzialmente dalla ritrosia di alcune amministrazioni aggiudicatrici a rilasciare copia integrale della documentazione di gara contestualmente alla diramazione delle decisioni sugli esiti della gara; se venisse generalizzata la prassi, già operativa da anni presso alcune stazioni appaltanti di grandi dimensioni, di mettere a disposizione di tutti i concorrenti in occasione della comunicazione ex art. 79, comma 5, tutti gli atti di gara, la necessità di proporre censure aggiuntive successivamente al ricorso introduttivo verrebbe notevolmente ridimensionata, con conseguenziale riduzione del fenomeno del cumulo dei contributi in questo settore.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario