L'art. 35 del d.l. n. 201 del 2011, conv., con modifiche, in l. 22 dicembre 2011, n. 214, ha aggiunto l'art. 21-bis alla l. 10 ottobre 1990, n. 287, attribuendo all'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) il peculiare e innovativo potere di impugnare dinanzi al Giudice amministrativo «gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato»
Inquadramento
L'art. 35 del d.l. n. 201 del 2011, conv., con modifiche, in l. 22 dicembre 2011, n. 214, ha aggiunto l'art. 21-bis alla l. 10 ottobre 1990, n. 287, attribuendo all'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) il peculiare e innovativo potere di impugnare dinanzi al Giudice amministrativo «gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato» (co. 1). La speciale legittimazione al ricorso sorge all'esito dell'attivazione
infruttuosa della fase pre-contenziosa procedimentalizzata dal co. 2, ai sensi del quale
«l'Autorità […] emette, entro sessanta giorni, un parere motivato, nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate. Se la pubblica amministrazione non si conforma nei sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere, l'Autorità può presentare,
tramite l'Avvocatura dello Stato, il ricorso, entro i successivi trenta giorni». Alle
controversie così instaurate si applica la disciplina di cui al Libro IV, Titolo V, del c.p.a. (co. 3), che comprende tanto lo speciale rito abbreviato di cui all'art. 119 c.p.a. quanto lo specialissimo rito di cui all'art. 120 c.p.a.
Trattasi di uno strumento di portata trasversale, che consente all'AGCM di intervenire
efficacemente - attraverso la prospettazione alla P.A. di un possibile ricorso giurisdizionale – in tutti i campi del diritto dell'economia e, evidentemente, anche a garanzia delle regole pro-concorrenziali che
tipicamente informano l'intera materia dei contratti pubblici.
Esso ha anticipato, pur con alcune differenze procedurali, il potere di impugnativa in
materia di taxi poi conferito all'Autorità di Regolazione dei Trasporti dall'art. 36, comma 2, lett. n), del d.l. n. 1 del 2012, conv. in l. 24 marzo 2012, n. 27, nonché quello affidato
all'ANAC dall'art. 52-ter d.l. n. 50 del 2017 (c.d. manovrina), introdotto dalla legge di
conversione n. 96 del 21 giugno 2017 e oggi disciplinato dall'art. 220 d. lgs. n. 36 del 2023, nonché quello affidato dall'art. 6 d. lgs. n. 20 del 2024 al neo-istituito Garante nazionale dei diritti delle persone con disabilità. Inoltre, la Banca d'Italia e la Consob sono legittimate ad impugnare una serie di deliberazioni delle società vigilate (v., inter alia, artt. 24, comma 2 e 25, comma 3 d. lgs. n. 385 del 1993 e artt. 14, comma 7; 64-bis, comma 8; 79-sexies, comma 11; 110, comma 1; 120, comma 5; 121, comma 6 e 122, comma 7 d. lgs. n. 58 del 1998).
(Vedi anche la Bussola di M. Lipari, Legittimazione processuale speciale dell'ANAC).
Profili di rilievo costituzionale
Profili di rilievo costituzionale
La disposizione ha destato dubbi di compatibilità costituzionale che, tuttavia, sono stati superati dalla giurisprudenza.
In particolare, è stato osservato che l'AGCM, quale Amministrazione affidataria della cura dell'interesse generale e diffuso al corretto funzionamento del mercato, è portatrice di un interesse sostanziale protetto dall'ordinamento (nella specie, nella forma dell'interesse legittimo), che si
soggettivizza in capo ad essa come posizione differenziata. È di conseguenza
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 21-bis sollevata in relazione agli artt. 24,103 e 113 Cost., che configurano il processo amministrativo come giurisdizione soggettiva, restando impregiudicata per il Legislatore la facoltà di derogare, attraverso una norma speciale di portata eccezionale, ai connotati dell'interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., costruendolo - nella specie - come interesse soddisfatto attraverso il ripristino della legalità concorrenziale violata (TAR Lazio, Roma, Sez. III-ter, 15 marzo 2013, n. 2720; TAR Toscana, Sez. I, 7 dicembre 2017, n. 1521; Consiglio di Stato, Sez. V, 30 aprile 2014, n. 2246; Sez. VI, 1° marzo 2023, n. 2192). Tale deroga, oltre ad
apparire compatibile con la più recente tendenza del processo amministrativo ad oggettivarsi, ponendosi per tale profilo in linea con la funzione di “giustizia
nell'amministrazione” assolta dal Consiglio di Stato ai sensi dell'art. 100 Cost., è inoltre giustificata dalla rilevanza assunta a livello euro-unitario dal bene giuridico concorrenza.
Si è del resto osservato che il potere attribuito all'AGCM dall'art. 21-bis presenta delle forti analogie con la procedura d'infrazione avviata dalla Commissione ex artt. 258-259 Tfue, essendo entrambi impostati come procedimenti a carattere giurisdizionale eventuale avviati dall'istituzione affidataria della cura di specifici interessi pubblici in occasione della
violazione degli stessi (TAR Lazio, n. 2720 cit.).
La Corte costituzionale (sent. n. 20 del 2013), a sua volta, ha rilevato che la novella non conferisce all'Autorità un “nuovo e generalizzato controllo di legittimità”, ma piuttosto,
integrando i già previsti poteri conoscitivi e consultivi dell'AGCM (artt. 21 e 22 legge n. 287
del 1990), prevede un potere d'iniziativa finalizzato a contribuire ad una più completa
tutela della concorrenza e del mercato e, comunque, non generalizzato, perché operante soltanto in ordine agli atti amministrativi anti-concorrenziali. In definitiva, detta
disposizione presenta un «perimetro ben individuato», compreso in una materia di competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2, lett. e, Cost.),
concernente anche la potestà regolamentare (art. 117, comma 6, I periodo, Cost.). Di
conseguenza, la norma non determina la surrettizia reintroduzione dei controlli statali sugli atti amministrativi delle Regioni, previsti dall'art. 125, comma 1, Cost. prima della sua
abrogazione con l. cost. n. 3 del 2001.
Ambito di applicazione della norma: a) Perimetro soggettivo
Stante la genericità della formula «qualsiasi amministrazione pubblica» impiegata dall'art. 21-bis, comma 1,l. 10 ottobre 1990, n. 287 la dottrina si è interrogata se prediligere – alla luce della portata eccezionale della norma – un'interpretazione restrittiva, circoscrivendo il
campo di azione dell'AGCM agli atti adottati dai soggetti elencati dall'art. 1, comma 2, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 o se, al contrario, privilegiare una “nozione funzionale” di amministrazione, desumibile dall'art. 7, comma 2, c.p.a. La seconda impostazione, in particolare, sarebbe idonea a ricomprendere nell'alveo dell'art. 21-bis l. 10 ottobre 1990, n. 287 tutti quei soggetti formalmente privati che tuttavia svolgono un'attività rivolta al conseguimento di interessi pubblici e, limitatamente a dette attività, vengono equiparati
alle P.A., con conseguente obbligo di agire nel rispetto delle regole del procedimento amministrativo (organismi di diritto pubblico; enti privati concessionari di un servizio pubblico; imprese pubbliche operanti nei settori speciali). In un primo momento l'AGCM ha mostrato di far propria l'interpretazione estensiva di “Amministrazione” laddove, dopo aver constatato l'esistenza di un fenomeno ipertrofico della nozione di p.A., ha affermato che “lo spazio di impugnativa” di cui essa dispone in virtù del nuovo potere “si amplia
notevolmente” (Relazione annuale AGCM sull'attività svolta, 31 marzo 2012, p. 22) e, coerentemente, ha indirizzato una segnalazione alla società pubblica Cotral S.p.A. (AS908 del 23 gennaio 2012, in Boll. n. 3/2012). Tale precedente è per tempo rimasto un caso isolato. Nel corso degli anni, tuttavia, l'Autorità ha progressivamente esteso, in via di prassi, l'ambito soggettivo della norma, indirizzando pareri sia a organismi di diritto pubblico (AS1758 del 2 aprile 2021, in Boll. n. 24/2021) che, a seguito di un chiarimento reso dal Consiglio di Stato in sede consultiva (Cons. St., Sez. I, parere 3 giugno 2022, n. 934), a bandi di gara adottati da imprese operanti nei settori speciali, anche se non rientranti tra le amministrazioni pubbliche e tra gli organismi di diritto pubblico, trattandosi di società che non svolgono funzioni pubbliche ma solo attività economiche, al cui esercizio l'atto attenzionato risulta finalizzato (AS1847 del 27 maggio 2022, in Boll. n. 26/2022). Per altro profilo, la circostanza
che «uno stesso soggetto possa avere la natura di ente pubblico a certi fini e rispetto a certi istituti, e possa, invece, non averla ad altri fini» (Cons. St.,Sez. VI, 26 maggio 2015, n. 2660) determina che, nel caso in cui un ente polifunzionale ponga in essere
condotte anticoncorrenziali, lo stesso potrà essere destinatario, ove abbia svolto attività
lato sensu imprenditoriale, di un provvedimento che accerti un'intesa restrittiva della concorrenza o un abuso di posizione dominante, e, quando abbia cagionato il vulnus
concorrenziale nell'esercizio di funzioni amministrative, di un parere ex art. 21-bis (con riferimento all'intesa restrittiva che il Consiglio nazionale forense avrebbe realizzato attraverso una “decisione di associazione di imprese”, v. Cons. St., Sez. VI, 22 marzo 2016,
n. 1164).
(Segue): b) Perimetro oggettivo
Salvo posizioni isolate, la dottrina è concorde nel non circoscrivere l'ambito materiale della norma ai soli atti della p.A. direttamente lesivi delle regole concorrenziali (artt. 101 e 102 TFUE, Reg. CE n. 139 del 2004; artt. 2,3 e 6, legge n. 287 del 1990), oltretutto di difficile prospettazione, ma a ricomprende al suo interno anche gli atti diretti alla “promozione
della concorrenza” (Corte cost., sent. n. 200 del 2012), coprenti, secondo una logica ex ante, l'intero spettro della regolazione. La tesi estensiva trova conferma nella consolidata prassi applicativa dell'Autorità, finora mai censurata dal Giudice amministrativo, la quale, per quanto qui di interesse, ha rivelato l'utilizzo più proficuo dello strumento proprio nei confronti di atti relativi a procedure di gara e di delibere prodromiche ad un affidamento diretto.
Quanto alla tipologia di vizio-motivo deducibile dall'Autorità nei ricorsi promossi ex art. 21-
bis, la dottrina dominante è incline ad ammettere, oltre al vizio di violazione e falsa
applicazione di legge, anche quello di eccesso potere, purché – va da sé – attraverso lo stesso non si trasmodi in valutazioni “meta-giuridiche” involgenti le modalità di esercizio della libertà d'impresa di cui all'art. 41 Cost. Sul punto si registra in ogni caso un atteggiamento prudente da parte dell'Autorità, che nei ricorsi sinora proposti ha
prevalentemente dedotto violazioni di legge (e/o illegittimità derivante
dall'incostituzionalità della norma attributiva del potere o dall'incompatibilità della stessa con il diritto dell'Unione Europea), oltre al corrispondente difetto di motivazione.
Rilevanza dello strumento nella materia dei contratti pubblici e coordinamento degli interventi dell'Autorità con l'Anac
Lo strumento introdotto dall'art. 21-bis riveste un'importanza centrale nell'aggiudicazione degli appalti pubblici, i quali devono essere “aperti alla concorrenza” (considerando n. 1 della direttiva 2014/24/Ue), criterio centrale anche in materia di aggiudicazione dei
contratti di concessione (considerando n. 3 della direttiva 2014/23/Ue) ed elevato infatti a principio generale dell'intero Codice dei contratti pubblici (art. 3 d. lgs. n. 36 del 2023). È infatti noto che nell'ambito del processo di graduale apertura dei mercati la garanzia di un'adeguata concorrenza “per” il mercato, affidata all'articolato sistema di
regole dell'evidenza pubblica, costituisce la fase intermedia per la transizione dai diritti di esclusiva conferiti senza gara dall'Amministrazione ad una compiuta liberalizzazione,
idonea a garantire un'effettiva concorrenza “nel” mercato (si veda in questo senso l'art. 13 del d. lgs. n. 36 del 2023). Proprio per queste ragioni, del resto, «l'Autorità, nella sua funzione di vigilanza sul corretto andamento dei mercati, ha sempre prestato la massima attenzione all'esigenza di evitare la presenza di fenomeni anticoncorrenziali nel settore degli appalti pubblici» (cfr. delibera AGCM del 18 settembre 2013, recante il “Vademecum per le stazioni appaltanti, volto all'individuazione di criticità concorrenziali nel settore degli appalti pubblici”, pt. 1).
In materia di affidamenti diretti o di c.d. in house providing, il potere previsto dall'art. 21- bis risulta particolarmente utile per rinforzare la vigilanza sulle modalità di affidamento dei servizi pubblici locali, andando a colmare il “vuoto operativo” lasciato dalla declaratoria
d'illegittimità costituzionale dell'art. 4d.l. n. 138 del 2011, convertito, con modifiche, nell'art. 4 della l. 14 settembre 2011, n. 148 (Corte cost., sent. n. 199 del 2012). In tale campo l'AGCM interviene applicando i principi di derivazione euro-unitaria, oggi codificati dagli artt. 7 d. lgs. n. 36 del 2023 e dal d. lgs. n. 201 del 2022.
Per quanto concerne le società in mano pubblica, l'art. 5, comma 3 del d. lgs. n. 175 del 2016 impone inoltre alle amministrazioni interessate di trasmettere all'AGCM «l'atto deliberativo di costituzione della società o di acquisizione della partecipazione diretta o indiretta», onde consentirle di valutare la sussistenza dei presupposti per esercitare il
potere di cui all'art. 21-bis della legge n. 287 del 1990.
Le marcate interferenze tra materia dei contratti pubblici e tutela della concorrenza rendono necessario un coordinamento amministrativo tra l'attività “trasversale”
dell'Antitrust e quella dell'autorità deputata alla vigilanza sui contratti pubblici. Di qui
l'adozione di appositi Protocolli d'intesa tra AGCM e Autorità Nazionale Anticorruzione-ANAC (25 settembre 2012; 11 dicembre 2014: 30 luglio 2024). Significativamente, i protocolli prevedono, inter
alia, l'inoltro da parte dell'AGCM all'ANAC del parere motivato inviato alle stazioni
appaltanti ai sensi dell'art. 21-bis, di modo che l'Autorità, in caso di mancata
conformazione da parte della p.A., possa tener conto delle osservazioni dell'ANAC in un eventuale giudizio davanti al TAR (rispettivamente: artt. 3; 1, lett. c; mentre all'art. 2, comma 1dell'ultimo protocollo è formalizzato un più generico impegno a scambiare informazioni).
Nel descritto contesto di leale collaborazione istituzionale si colloca anche la comunicazione congiunta AGCM-ANAC del 21 dicembre 2016 concernente gli affidamenti di appalti pubblici mediante adesione postuma a gare d'appalto bandite da altra stazione appaltante.
Aspetti processuali e procedimentali
La lacunosità del dato testuale della norma attributiva del potere ha alimentato svariati dubbi interpretativi sul piano sia processuale che procedimentale. Particolare importanza, dunque, ha assunto il ruolo di dottrina e giurisprudenza.
Come visto, l'art. 21-bis si limita infatti a delineare i principali step procedimentali che vincolano l'esercizio del nuovo potere (parere motivato dell'Autorità entro sessanta giorni; conformazione della p.A. nei successivi sessanta giorni, eventuale presentazione del ricorso giurisdizionale nei successivi trenta giorni; applicazione della disciplina di cui al Titolo V del Libro IV del c.p.a. alle controversie per tale via instaurate), senza però chiarire le modalità
di raccordo tra le singole fasi e, al contempo, lasciando spazio a molteplici dubbi di carattere tecnico-operativo.
Sotto il profilo procedimentale, si è discusso sull'individuazione del dies a quo di
decorrenza del termine di sessanta giorni entro il quale l'Autorità può emettere il parere motivato. La giurisprudenza ha risolto la questione affermando che il decorso del termine va riferito alla conoscenza non già di generiche criticità di carattere concorrenziale ascrivibili all'agire amministrativo, ma dello specifico atto anticoncorrenziale costituente l'oggetto dell'eventuale parere (TAR Lazio, n. 2720 cit.). In termini analoghi, il Consiglio di Stato ha affermato che il predetto termine «concerne un'attività che ha in sé natura amministrativa, e non di iniziativa processuale, con la conseguenza che non sussistono le condizioni per estendere ad esso i principi dettati dal Codice del processo amministrativo
per l'esercizio dell'azione in giudizio». Esso non decorre, pertanto, dalla mera pubblicazione
legale del provvedimento, bensì dal ricevimento da parte dell'AGCM di una specifica
comunicazione (di qualsiasi provenienza) recante gli elementi rilevanti dell'atto che del
parere dovrebbe formare oggetto (Sez. V, 9 marzo 2015, n. 1171; TAR Toscana, n. 1521 cit.). Viceversa, sarebbe per l'AGCM estremamente arduo, se non impossibile, esercitare il potere in discorso (TAR Veneto, Sez. I, 17 gennaio 2019, n. 51).
Sempre con riferimento alla fase procedimentale, ci si è chiesti se il termine di sessanta giorni entro il quale l'AGCM deve emettere il parere motivato termine peraltro introdotto in sede di conversione - abbia natura ordinatoria o perentoria. Al riguardo, gli approdi ermeneutici cui è pervenuta la giurisprudenza non sono univoci.
Orientamenti a confronto: Natura ordinatoria o perentoria del termine di sessanta giorni entro il quale l'Autorità emette il parere motivato
In mancanza di espressa previsione normativa in tal senso, l'eventuale tardività del parere rispetto alla scadenza di
tale termine non implica la decadenza dal potere di azione e la conseguente inammissibilità del ricorso proposto.
TAR Lazio, n. 2720 cit.
Laddove l'Autorità non intenda proporre ricorso giurisdizionale, non vi è alcuna ragione per considerare il
termine quale perentorio, costituendo esso esclusivamente
un presupposto consultivo e di riflessione per
l'Amministrazione circa la legittimità o meno dell'atto e risolvendosi quindi in un intervento sollecitatorio
all'esercizio del potere di autotutela. Al contrario, nel caso in cui il parere costituisca il presupposto per l'avvio di una fase pre-contenziosa prodromica alla proposizione del ricorso giurisdizionale da parte dell'Autorità, il medesimo termine deve considerarsi necessariamente perentorio, in quanto l'ordinamento non può tollerare che in materie
destinate a coinvolgere rilevanti e importanti interessi economici si mantenga a lungo l'incertezza in ordine alla composizione dei rapporti tra amministrazioni e soggetti privati coinvolti dall'attività amministrativa.
TAR Lazio, Roma, Sez. II-
quater,1° settembre 2014,
n. 9264
La tesi della natura ordinatoria o perentoria del termine a seconda della finalizzazione o meno della fase pre-
contenziosa alla proposizione di un ricorso giurisdizionale
non può trovare accoglimento, in quanto un termine o è perentorio o non lo è.
Il termine in questione ha natura perentoria.
Cons. St., n. 1171 cit., che, dopo aver disatteso l'orientamento
dell'appellata pronuncia TAR Lazio, n. 9264 cit., ha rilevato la non necessità,
nel caso di specie, di
addivenire a una soluzione interpretativa in ordine alla natura del termine.
Successivamente, il carattere perentorio del
termine è stato affermato
in termini espliciti da TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I, 29 giugno 2016, n. 1373
Quanto al rapporto intercorrente tra fase pre-contenziosa e fase giurisdizionale, l'Autorità, aderendo all'indirizzo dottrinario più estensivo, ha in un primo momento interpretato l'art. 21-bis quale norma attributiva di un “doppio set di poteri”: il primo, espresso dal comma 1, volto a sancire in via generale la legittimazione a ricorrere dell'AGCM, anche in via diretta nei casi di maggiore urgenza; il secondo, previsto dal comma 2, teso a disciplinare la
modalità ordinaria di esercizio, consistente in un procedimento bifasico a carattere dapprima amministrativo e, in un secondo (eventuale) momento, giurisdizionale. La
giurisprudenza ha però disatteso tale prospettazione, affermando che i primi due commi
dell'art. 21-bis non delineano, contrariamente a quanto sostenuto dall'Autorità, due poteri alternativi, ma devono esser letti unitariamente, sicché la previa espressione del parere
costituisce un presupposto per l'ammissibilità o la procedibilità del ricorso principale
dell'AGCM (TAR Lazio, n. 2720 cit.; TAR Lazio, Roma, Sez. II, 6 maggio 2013, n. 4451,
confermata sul punto da Consiglio di Stato, Sez. V, 30 aprile 2014, n. 2246). Ai fini della presentazione di motivi aggiunti di ricorso, invece, è stata in un primo momento negata la necessità per l'AGCM di attivare ex novo la fase pre-contenziosa (TAR Lazio, n. 2720 cit.). Il Consiglio di Stato ha inizialmente avallato questo orientamento, negando la necessità di emettere un nuovo parere in caso di rapporto di sicura connessione oggettiva e soggettiva tra la domanda del ricorso principale e quella spiegata nei motivi aggiunti (Sez. VI, 9 marzo 2015, n. 1171). Più recentemente, tuttavia, il Consiglio di Stato ha assunto una diversa posizione, affermando che l'AGCM può proporre motivi aggiunti (impropri) di ricorso senza esperire la fase pre-contenziosa unicamente quando impugna provvedimenti meramente confermativi. In presenza di atti successivi o consequenziali che, pur ponendosi in linea di continuità con quello originariamente gravato, contengano valutazioni ulteriori, l'AGCM è invece onerata di formulare il parere motivato (Sez. VI, 23 luglio 2020, n. 4715, che sembra riproporre la distinzione concettuale tra profili di illegittimità derivata, rispettivamente, caducante e viziante: tra le molte, Cons. St., Sez. VI, 19 gennaio 2024, n. 624). Detta impostazione trova riscontro in alcuni precedenti. Nella sua prassi, infatti, l'Autorità ha talora ritenuto di dover inviare il parere motivato anche se pendeva un giudizio e, (solo) a seguito della mancata conformazione da parte della p.A., di proporre motivi aggiunti, sempre ai sensi dell'art. 21-bis,
avverso il precedente provvedimento della catena procedimentale (cfr. AS1224 del 5 giugno 2015, in Boll. n. 39 del 2015).
Secondo il Consiglio di Stato, inoltre, a sostegno della tesi che legittimerebbe l'Autorità ad adire direttamente il TAR non può essere invocata la circostanza che questa, ove fosse
sempre tenuta al preventivo esperimento della fase pre-contenziosa, non potrebbe
ricorrere utilmente alla tutela cautelare, in quanto, secondo il Giudice di Palazzo Spada,
«non vi è alcuna ragione logico - sistematica che possa ragionevolmente escludere,
ricorrendone i presupposti, la richiesta da parte dell'Autorità delle misure cautelari ante causam di cui all'art. 61 c.p.a.» (n. 2246 cit., che però non sembra avvedersi
dell'inconciliabilità operativa tra i termini delineati dall'art. 61 c.p.a. e quelli descritti
dall'art. 21-bis, comma 2). Il predetto obiter dictum del Consiglio di Stato sembra peraltro superare implicitamente la parte della pronuncia appellata (TAR Lazio, II, n. 4451/2013 cit.) che aveva posto in dubbio la possibilità di individuare un concreto interesse dell'Autorità a presentare una domanda cautelare. Il Giudice di primo grado,
infatti, per un verso aveva rilevato che nel giudizio cautelare la valutazione del periculum in mora si apprezza soprattutto in funzione del concreto interesse al ricorso, nella specie (eccezionalmente) consistente nell'interesse al ripristino della legalità violata, e, per altro verso, aveva evidenziato che il “danno alla concorrenza” non si concreterebbe in un danno soggettivo ma, semmai, nel “danno alla struttura concorrenziale del mercato inteso in senso oggettivo”.
È controversa anche l'individuazione del dies a quo del termine di sessanta giorni entro il quale la p.A. può conformarsi al parere motivato trasmesso dall'Autorità. La questione non è priva di ricadute, giacché (indirettamente) idonea a incidere sulla valutazione della
tempestività del successivo ed eventuale ricorso. E infatti la decorrenza del termine di
trenta giorni entro il quale l'AGCM può adire il TAR si ricollega a sua volta allo spirare del termine di sessanta giorni concesso all'Amministrazione per conformarsi. Sul punto la
giurisprudenza ha chiarito che il termine di sessanta giorni entro cui la P.A. può conformarsi al parere trasmessole dall'Autorità (e, pertanto, il termine complessivo di novanta giorni dall'emissione del parere entro cui l'AGCM può eventualmente proporre
ricorso), decorre «non già dalla notifica del parere, ma dalla sua comunicazione», rilevando per l'Autorità il momento di formazione e comunicazione dell'atto, e non anche quello
(successivo) in cui l'Amministrazione lo abbia ricevuto (TAR Sicilia, Catania, Sez. IV, 3 marzo 2014, n. 676).
Ci si è inoltre chiesti se il termine di sessanta giorni decorrente dalla trasmissione del
parere debba essere considerato, ai fini della decorrenza del successivo termine di trenta giorni per la proposizione del ricorso, come dilatorio o acceleratorio.
Orientamenti a confronto: Natura dilatoria o acceleratoria del termine di sessanta giorni entro il quale l'Amministrazione intimata può conformarsi al parere reso dall'AGCM
Il Giudice di prima istanza ha in più pronunce favorito la tesi della natura
TAR
dilatoria del predetto termine, affermando che la tempestività del ricorso
Lazio,
rispetto alla scadenza del termine (successivo e perentorio) di trenta giorni è
n.
valutata con decorrenza dalla data in cui spira il termine di sessanta giorni entro
2720
il quale la p.A. può astrattamente presentare le proprie osservazioni, anche se,
cit.;
in concreto, la determinazione a ciò preordinata venga comunicata all'Autorità in
TAR
un momento precedente (TAR Lazio, n. 2720 cit.). Analogamente, il TAR Sicilia
Sicilia,
e il Consiglio di Stato hanno parlato di «termine complessivo di novanta giorni» per la proposizione del
n. 676
ricorso e, ancora più precisamente, di «termine di trenta giorni, decorrente dallo
cit.;
spirare del termine di sessanta dalla «comunicazione» del parere dell'Autorità
TAR
all'Amministrazione attiva» (n. 676 cit.; Consiglio di Stato, Sez. VI, 30 aprile 2018, n. 2583). In una successiva pronuncia il TAR
Lazio,
Lazio ha poi sottolineato l'esigenza di tenere distinto il momento di
sede
presentazione di osservazioni da parte della p.A., che potrebbe anche precedere
di
il termine di sessanta giorni, dal momento fino al quale l'Amministrazione
Roma,
intimata può in concreto conformarsi alle indicazioni contenute nel parere
Sez.
motivato, che, al contrario, sarebbe inderogabilmente di sessanta giorni. Tanto
III-
perché la funzione del nuovo potere è quella di favorire la composizione del
ter,
conflitto in una fase auspicabilmente pre-contenziosa, ricorrendo al Giudice
27
amministrativo solo in via di extrema ratio. In linea con l'intentio legis, quindi,
maggi
laddove l'Amministrazione intimata abbia risposto in termini negativi all'AGCM
o
prima del decorso dei sessanta giorni a sua disposizione, questa dovrebbe
2015,
comunque avere la possibilità di ravvedersi, decidendo di conformarsi al parere
n.
7546; Cons. St., Sez. VI, 30 aprile 2018, n. 2583
nell'intervallo di tempo residuo, magari all'esito di ulteriori confronti, anche informali (TAR Lazio, Roma, Sez. III-ter, 27 maggio 2015, n. 7546).
In riforma dell'ultima pronuncia richiamata, il Consiglio di Stato ha disatteso il diffuso orientamento del Giudice di prime cure, affermando che il termine di
trenta giorni per la proposizione del ricorso «inizia a decorrere, come in
qualunque altro caso in cui alla P.A. ne sia assegnato uno per statuire in modo espresso, o dall'atto definitivo di non conformazione (dunque in sé lesivo,
quand'anche immotivato o pretestuoso), o dal silenzio della P.A. stessa in caso di sua inerzia a fronte del parere negativo». Nella controversia in questione il mutamento di orientamento si è tradotto nella riforma della sentenza appellata nella parte in cui non ha rilevato la tardività del ricorso introduttivo. Il Consiglio di Stato si è tuttavia curato di precisare che, quantomeno in astratto, l'opzione ermeneutica per la natura acceleratoria del termine avvantaggia la stessa AGCM. E infatti questa non avrebbe «alcuna necessità d'attendere un ripensamento del destinatario nel residuo lasso di tempo fino alla scadenza stessa, poiché l'attesa in sé non serve a nulla e potendo tal ripensamento
avvenire a giudizio già instaurato e fintanto che non intervenga il giudicato”. Si verserebbe, in altri termini, in una di quelle ipotesi in cui “il termine […] è posto a favore del debitore della prestazione».
Consi glio di Stato, Sez. IV, 28
genna io 2016,
n.
323,
che ha riform ato sul punto TAR
Lazio, n.
7546
cit.
Entrando nel cuore della fase giurisdizionale, occorre poi evidenziare che - per come chiarito in giurisprudenza - il termine per incardinare un processo non può essere lasciato in maniera indefinita alla volontà delle parti, sicché il termine di trenta giorni per la
proposizione del ricorso da parte dell'Autorità va considerato perentorio (TAR Sicilia, n. 676 cit.).
Un altro dubbio interpretativo sorto dal testo laconico della novella è quello relativo all'individuazione del Giudice territorialmente competente per i giudizi promossi
dall'Autorità ai sensi dell'art. 21-bis. Facendo applicazione dei canoni ermeneutici elaborati dall'A.P. n. 29 del 26 luglio 2012, la giurisprudenza ha chiarito che i ricorsi instaurati
dall'Autorità ai sensi dell'art. 21-bisl. n. 287 del 1990 non sono attratti alla competenza
funzionale del TAR Lazio exart. 135, comma 1, lett. b), c.p.a., in quanto tale previsione è diretta alle controversie aventi ad oggetto i «provvedimenti dell'Autorità», e non già a
quelle da essa promosse (TAR Sicilia, n. 676 cit.). L'orientamento trova riscontro nella prassi applicativa dell'Autorità che, in svariati casi, ha proposto il ricorso innanzi il TAR competente secondo le regole ordinarie (v. ad es. anche TAR Calabria, n. 1373 cit.).
Anche l'individuazione del rito applicabile alle controversie instaurate dall'AGCM non è chiara, stante la genericità del rinvio di disciplina operato dall'art. 21-bis, comma 3, al Titolo V del Libro IV del c.p.a.. La giurisprudenza ha sul punto evidenziato che la norma non osta all'applicabilità – ratione materiae – del rito degli appalti di cui all'art. 120 c.p.a. La formula di rinvio, infatti, è talmente ampia da indurre ragionevolmente a ritenere, sia per la rilevanza del bene giuridico tutelato dalla norma che per la mancanza di diversi elementi di valutazione, che il legislatore non abbia inteso sottoporre le controversie in
questione al solo rito abbreviato di cui all'art. 119c.p.a.. Resta in ogni caso ferma la
necessità di verificare in concreto l'applicabilità delle altre specifiche disposizioni del titolo V alla fattispecie sottoposta all'esame del Giudice (Consiglio di Stato, n. 2246 cit.).
Di particolare importanza è apparsa anche la questione relativa all'esatta delimitazione dell'oggetto del giudizio promosso dall'Autorità. Sul punto, la giurisprudenza ha aderito alla posizione dottrinaria secondo la quale l'oggetto del ricorso instaurato per iniziativa
dell'AGCM è costituito dall'atto originario della P.A., ritenuto dalla stessa anticoncorrenziale e in quanto tale colpito dal parere, sicché il successivo atto attraverso il quale
l'Amministrazione decida di non conformarsi al parere emesso dall'Autorità ha natura endoprocedimentale. Conseguentemente - ove si determini a proporre ricorso - l'Autorità non è tenuta a impugnare l'atto non conformativo o parzialmente conformativo adottato dalla p.A. a seguito della ricezione del parere (TAR Lazio, n. 2720 cit.). Coerentemente con tale impostazione, si è chiarito che il mancato rispetto del parallelismo tra i vizi denunciati in sede di parere e quelli oggetto del ricorso giurisdizionale dell'Autorità comporta inevitabilmente la declaratoria di inammissibilità di quelli contenuti nel ricorso giurisdizionale che non siano stati enunciati anche in sede di parere pre-contenzioso (T.A.R. Friuli-V. Giulia, Trieste, Sez. I, 23 giugno 2021, n. 191; Cons. St., Sez. VI, 17 febbraio 2023, n. 1671). In radicale
controtendenza con questo indirizzo, però, altra giurisprudenza ha ritenuto che il parere inviato dall'AGCM miri a sollecitare un potere di annullamento d'ufficio ex art. 21-nonies l.
n. 241/1990. Con il risultato che l'eventuale provvedimento amministrativo di secondo
grado, oltre a tener conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, “dovrà essere assunto entro il termine ragionevole dei diciotto mesi e, ancora, dovrà risultare motivato con riferimento all'esistenza di un interesse pubblico, idoneo a giustificare lo stesso annullamento” (TAR Toscana, n. 1521 cit.). In questa seconda prospettazione, il
thema decidendum dell'ipotetico giudizio promosso dall'Antitrust sarebbe dunque ben più ristretto, coprendo i soli vizi propri del provvedimento stimolato (a seconda dei casi: il diniego espresso di autotutela o il silenzio rifiuto).
Anche la previsione del patrocinio obbligatorio dell'Avvocatura dello Stato non ha mancato di alimentare dubbi interpretativi, prontamente eccepiti in sede giurisdizionale. In proposito, il Giudice amministrativo ha chiarito che se è vero che l'AGCM, nell'esercizio del potere di impugnativa, deve obbligatoriamente servirsi del patrocinio della difesa erariale, è altrettanto vero che la stessa può senz'altro avvalersi del patrocinio di un avvocato del libero foro nell'ipotesi in cui, al momento dell'esercizio dell'azione giurisdizionale, l'atto per tale via gravato sia stato già impugnato da soggetti privati e, nel relativo giudizio,
l'Amministrazione (statale) intimata si sia costituita per mezzo dell'Avvocatura dello Stato (TAR Lazio, n. 2720 cit.). Lo stesso vale nell'ipotesi in cui il ricorso venga proposto
dall'AGCM avverso una p.A. difesa ex lege dall'Avvocatura dello Stato, e questo a
prescindere dalla circostanza che l'ordinario metodo di risoluzione indicato dall'art. 43 del
R.D. 1611/1933 implicherebbe, a rigore, la soluzione del conflitto a favore
dell'Amministrazione attrice o ricorrente (TAR Lazio, n. 7546 cit., che richiama in proposito il «parere espresso [dalla stessa Avvocatura] in data 1° ottobre 2013 su sollecitazione
dell'Autorità». La pronuncia è stata confermata sul punto da Consiglio di Stato, n. 323 cit., nonché, successivamente, da TAR Calabria, n. 1373 cit.).
Dati di sintesi
Il 5 dicembre 2023 l'Autorità ha pubblicato un documento di sintesi intitolato “Esiti dell'attività di advocacy nel biennio 2021-2022”, che offre un utile spaccato degli interventi ex art. 21-bis compiuti dal 1° gennaio 2021 al 31 dicembre 2022, aggiornando i relativi dati al 31 ottobre 2023.
Nello studio si rappresenta che nel biennio oggetto di osservazione l'Autorità ha attivato il potere in 56 casi (di cui 17 ai sensi dell'art. 5, comma 3 del d. lgs. n. 175 del 2016). La percentuale di successo (adeguamento parziale o totale della p.A. intimata, anche in esito all'eventuale giudizio amministrativo) è stata del 67% (65% per quelli ai sensi del TUSPP).
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Sommario
Ambito di applicazione della norma: a) Perimetro soggettivo
(Segue): b) Perimetro oggettivo
Rilevanza dello strumento nella materia dei contratti pubblici e coordinamento degli interventi dell'Autorità con l'Anac