28 Marzo 2018

L'art. 35 del d.l. n. 201 del 2011, conv., con modifiche, in l. 22 dicembre 2011, n. 214, ha aggiunto l'art. 21-bis alla l. 10 ottobre 1990, n. 287, attribuendo all'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) il peculiare e innovativo potere di impugnare dinanzi al Giudice amministrativo «gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato»
Inquadramento

Contenuto in fase di aggiornamento autorale di prossima pubblicazione

L'art. 35 del d.l. n. 201 del 2011, conv., con modifiche, in l. 22 dicembre 2011, n. 214, ha aggiunto l'art. 21-bis alla l. 10 ottobre 1990, n. 287, attribuendo all'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) il peculiare e innovativo potere di impugnare dinanzi al Giudice amministrativo «gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato» (co. 1). La speciale legittimazione al ricorso sorge all'esito dell'attivazione infruttuosa della fase pre-contenziosa procedimentalizzata dal co. 2, ai sensi del quale «l'Autorità […] emette, entro sessanta giorni, un parere motivato, nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate. Se la pubblica amministrazione non si conforma nei sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere, l'Autorità può presentare, tramite l'Avvocatura dello Stato, il ricorso, entro i successivi trenta giorni». Alle controversie così instaurate si applica la disciplina di cui al Libro IV, Titolo V, del c.p.a. (co. 3), che comprende tanto lo speciale rito abbreviato di cui all'art. 119 c.p.a. quanto lo specialissimo rito di cui all'art. 120 c.p.a.

Trattasi di uno strumento di portata trasversale, che consente all'AGCM di intervenire efficacemente - attraverso la prospettazione alla P.A. di un possibile ricorso giurisdizionale – in tutti i campi del diritto dell'economia (si pensi ad esempio alla forma di controllo “necessario” prevista, in materia di società pubbliche, dall'art. 5, comma 3 del d.lgs. n. 175 del 2016) e, evidentemente, anche a garanzia delle regole pro-concorrenziali che tipicamente informano l'intera materia dei contratti pubblici.

Esso ha anticipato, pur con alcune differenze procedurali, il potere di impugnativa in materia di taxi poi conferito all'Autorità di Regolazione dei Trasporti dall'art. 36, comma 2, lett. n), del d.l. n. 1 del 2012, conv. in l. 24 marzo 2012, n. 27, nonché quello affidato all'ANAC dall'art. 52-ter d.l. n. 50 del 2017 (c.d. manovrina), introdotto dalla legge di conversione n. 96 del 21 giugno 2017.

(Vedi anche la Bussola di M. Lipari, Legittimazione processuale speciale dell'ANAC).

Profili di rilievo costituzionale

La disposizione ha destato dubbi di compatibilità costituzionale che, tuttavia, sono stati ad oggi superati dalla giurisprudenza.

In particolare, è stato osservato che l'AGCM, quale ente affidatario della cura dell'interesse generale al corretto funzionamento del mercato, è portatrice di un interesse sostanziale protetto dall'ordinamento (nella specie, nella forma dell'interesse legittimo), che si soggettivizza in capo ad essa come posizione differenziata. È di conseguenza manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 21-bis sollevata in relazione agli artt. 24, 103 e 113 Cost., che configurano il processo amministrativo come giurisdizione soggettiva, restando impregiudicata per il Legislatore la facoltà di derogare, attraverso una norma speciale di portata eccezionale, ai connotati dell'interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., costruendolo - nella specie - come interesse soddisfatto attraverso il ripristino della legalità concorrenziale violata (TAR Lazio, Roma, Sez. III-ter, 15 marzo 2013, n. 2720; TAR Toscana, Sez. I, 7 dicembre 2017, n. 1521). Tale deroga, oltre ad apparire compatibile con la più recente tendenza del processo amministrativo ad oggettivarsi, ponendosi per tale profilo in linea con la funzione di “giustizia nell'amministrazione” assolta dal Consiglio di Stato ai sensi dell'art. 100 Cost., è inoltre giustificata dalla rilevanza assunta a livello euro-unitario dal bene giuridico concorrenza.

Si è del resto osservato che il potere attribuito all'AGCM dall'art. 21-bis presenta delle forti analogie con la procedura d'infrazione avviata dalla Commissione ex artt. 258-259 Tfue, essendo entrambi impostati come procedimenti a carattere giurisdizionale eventuale avviati dall'istituzione affidataria della cura di specifici interessi pubblici in occasione della violazione degli stessi (TAR Lazio, n. 2720 cit.).

La Corte costituzionale (sent. n. 20 del 2013), a sua volta, ha rilevato che la novella non conferisce all'Autorità un “nuovo e generalizzato controllo di legittimità”, ma piuttosto, integrando i già previsti poteri conoscitivi e consultivi dell'AGCM (artt. 21 e 22 legge n. 287 del 1990), prevede un potere d'iniziativa finalizzato a contribuire ad una più completa tutela della concorrenza e del mercato e, comunque, non generalizzato, perché operante soltanto in ordine agli atti amministrativi anti-concorrenziali. In definitiva, detta disposizione presenta un «perimetro ben individuato», compreso in una materia di competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2, lett. e, Cost.), concernente anche la potestà regolamentare (art. 117, comma 6, I periodo, Cost.). Di conseguenza, la norma non determina la surrettizia reintroduzione dei controlli statali sugli atti amministrativi delle Regioni, previsti dall'art. 125, comma 1, Cost. prima della sua abrogazione con l. cost. n. 3 del 2001.

Ambito di applicazione della norma: a) Perimetro soggettivo

Stante la genericità della formula «qualsiasi amministrazione pubblica» impiegata dall'art. 21-bis, comma 1,l. 10 ottobre 1990, n. 287 la dottrina si è interrogata se prediligere – alla luce della portata eccezionale della norma – un'interpretazione restrittiva, circoscrivendo il campo di azione dell'AGCM agli atti adottati dai soggetti elencati dall'art. 1, comma 2, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 o se, al contrario, privilegiare una “nozione funzionale” di amministrazione, desumibile dall'art. 7, comma 2, c.p.a. La seconda impostazione, in particolare, sarebbe idonea a ricomprendere nell'alveo dell'art. 21-bisl. 10 ottobre 1990, n. 287 tutti quei soggetti formalmente privati che tuttavia svolgono un'attività rivolta al conseguimento di interessi pubblici e, limitatamente a dette attività, vengono equiparati alle P.A., con conseguente obbligo di agire nel rispetto delle regole del procedimento amministrativo (organismi di diritto pubblico; enti privati concessionari di un servizio pubblico; imprese pubbliche operanti nei settori speciali). In un primo momento l'AGCM ha mostrato di far propria l'interpretazione estensiva di “Amministrazione” laddove, dopo aver constatato l'esistenza di un fenomeno ipertrofico della nozione di p.A., ha affermato che “lo spazio di impugnativa” di cui essa dispone in virtù del nuovo potere “si amplia notevolmente” (Relazione annuale AGCM sull'attività svolta, 31 marzo 2012, p. 22) e, coerentemente, ha indirizzato una segnalazione alla società pubblica Cotral S.p.A. (AS908 del 23 gennaio 2012, in Boll. n. 3/2012). Deve tuttavia rilevarsi che tale precedente rimane un caso isolato, ad oggi non replicato nella prassi applicativa dell'Autorità. La circostanza che «uno stesso soggetto possa avere la natura di ente pubblico a certi fini e rispetto a certi istituti, e possa, invece, non averla ad altri fini» (Cons. St.,Sez. VI, 26 maggio 2015, n. 2660) determina inoltre che, nel caso in cui un ente polifunzionale ponga in essere condotte anticoncorrenziali, lo stesso potrà essere destinatario, ove abbia svolto attività lato sensu imprenditoriale, di un provvedimento che accerti un'intesa restrittiva della concorrenza o un abuso di posizione dominante, e, quando abbia cagionato il vulnus concorrenziale nell'esercizio di funzioni amministrative, di un parere ex art. 21-bis (con riferimento all'intesa restrittiva che il Consiglio nazionale forense avrebbe realizzato attraverso una “decisione di associazione di imprese”, v. Cons. St., Sez. VI, 22 marzo 2016, n. 1164).

(Segue): b) Perimetro oggettivo

Salvo posizioni isolate, la dottrina è concorde nel non circoscrivere l'ambito materiale della norma ai soli atti della p.A. direttamente lesivi delle regole concorrenziali (artt. 101 e 102 TFUE, Reg. CE n. 139 del 2004; artt. 2, 3 e 6, legge n. 287 del 1990), oltretutto di difficile prospettazione, ma a ricomprende al suo interno anche gli atti diretti alla “promozione della concorrenza” (Corte cost., sent. n. 200 del 2012), coprenti, secondo una logica ex ante, l'intero spettro della regolazione. La tesi estensiva trova conferma nella consolidata prassi applicativa dell'Autorità, finora mai censurata dal Giudice amministrativo, la quale, per quanto qui di interesse, ha rivelato l'utilizzo più proficuo dello strumento proprio nei confronti di atti relativi a procedure di gara e di delibere prodromiche ad un affidamento diretto.

Quanto alla tipologia di vizio-motivo deducibile dall'Autorità nei ricorsi promossi ex art. 21-bis, la dottrina dominante è incline ad ammettere, oltre al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, anche quello di eccesso potere, purché – va da sé – attraverso lo stesso non si trasmodi in valutazioni “meta-giuridiche” involgenti le modalità di esercizio della liberta d'impresa di cui all'art. 41 Cost. Sul punto si registra in ogni caso un atteggiamento prudente da parte dell'Autorità, che nei ricorsi sinora proposti ha prevalentemente dedotto violazioni di legge (e/o illegittimità derivante dall'incostituzionalità della norma attributiva del potere o dall'incompatibilità della stessa con il diritto dell'Unione Europea), oltre al corrispondente difetto di motivazione.

Rilevanza dello strumento nella materia dei contratti pubblici e coordinamento degli interventi dell'Autorità con l'Anac

Lo strumento introdotto dall'art. 21-bis riveste un'importanza centrale nell'aggiudicazione degli appalti pubblici, i quali devono essere “aperti alla concorrenza” (considerando n. 1 della direttiva 2014/24/Ue), criterio centrale anche in materia di aggiudicazione dei contratti di concessione (considerando n. 3 della direttiva 2014/23/Ue) ed elevato infatti a principio generale dell'intero Codice dei contratti pubblici (art. 30, comma 1 d. lgs. n. 50 del 2016). È infatti noto che nell'ambito del processo di graduale apertura dei mercati la garanzia di un'adeguata concorrenza “per” il mercato, affidata all'articolato sistema di regole dell'evidenza pubblica, costituisce la fase intermedia per la transizione dai diritti di esclusiva conferiti senza gara dall'Amministrazione ad una compiuta liberalizzazione, idonea a garantire un'effettiva concorrenza “nel” mercato (si veda in proposito l'art. 8 del d. lgs. n. 50 del 2016). Proprio per queste ragioni, del resto, «l'Autorità, nella sua funzione di vigilanza sul corretto andamento dei mercati, ha sempre prestato la massima attenzione all'esigenza di evitare la presenza di fenomeni anticoncorrenziali nel settore degli appalti pubblici» (cfr. delibera AGCM del 18 settembre 2013, recante il “Vademecum per le stazioni appaltanti, volto all'individuazione di criticità concorrenziali nel settore degli appalti pubblici”, pt. 1).

In materia di affidamenti diretti o di c.d. in house providing, il potere previsto dall'art. 21-bis risulta particolarmente utile per rinforzare la vigilanza sulle modalità di affidamento dei servizi pubblici locali, andando a colmare il “vuoto operativo” lasciato dalla declaratoria d'illegittimità costituzionale dell'art. 4d.l. n. 138 del 2011, convertito, con modifiche, nell'art. 4 della l. 14 settembre 2011, n. 148 (Corte cost., sent. n. 199 del 2012). In tale campo l'AGCM interviene applicando i principi di derivazione euro-unitaria, oggi codificati dagli artt. 5 e 192 d. lgs. 18 aprile 2016, n. 50.

Per quanto concerne le società in mano pubblica, l'art. 5, comma 3 del d. lgs. n. 175 del 2016 impone inoltre alle amministrazioni interessate di trasmettere all'AGCM «l'atto deliberativo di costituzione della società o di acquisizione della partecipazione diretta o indiretta», onde consentirle di valutare la sussistenza dei presupposti per esercitare il potere di cui all'art. 21-bis della legge n. 287 del 1990.

Le marcate interferenze tra materia dei contratti pubblici e tutela della concorrenza rendono necessario un coordinamento amministrativo tra l'attività “trasversale” dell'Antitrust e quella dell'autorità deputata alla vigilanza sui contratti pubblici. Di qui l'adozione di appositi Protocolli d'intesa tra AGCM e Autorità Nazionale Anticorruzione-ANAC (25 settembre 2012; 11 dicembre 2014). Significativamente, i protocolli prevedono, inter alia, l'inoltro da parte dell'AGCM all'ANAC del parere motivato inviato alle stazioni appaltanti ai sensi dell'art. 21-bis, di modo che l'Autorità, in caso di mancata conformazione da parte della p.A., possa tener conto delle osservazioni dell'ANAC in un eventuale giudizio davanti al TAR (rispettivamente: art. 3 e art. 1, lett. c).

Nel descritto contesto di leale collaborazione istituzionale si colloca anche la comunicazione congiunta AGCM-ANAC del 21 dicembre 2016 concernente gli affidamenti di appalti pubblici mediante adesione postuma a gare d'appalto bandite da altra stazione appaltante.

L'esigenza di un coordinamento tra le due autorità appare inoltre vieppiù importante alla luce del rafforzamento dei poteri dell'ANAC per opera del d. lgs. n. 50 del 2016. Nell'attuale assetto, l'ANAC concorre infatti a delimitare ex ante lo spazio di intervento dell'AGCM, dal momento che il Legislatore del 2016, abbandonando lo schema “rigido” del regolamento attuativo (v. il d.P.R. n. 207 del 2010), ha affidato al primo soggetto il compito di attuare il nuovo Codice degli appalti, mediante strumenti di soft regulation (artt. 213, comma 2). Simmetricamente, i poteri dell'ANAC sono stati rinforzati anche in una dimensione ex post. Con evidenti finalità deflattive, il parere precontenzioso disciplinato dal previgente art. 6, comma 7, lett. n), d. lgs. n. 163 del 2006 è stato elevato da “non vincolante” a “vincolante” per le parti che lo hanno richiesto, fatta salva la sua impugnabilità davanti al Giudice amministrativo (art. 211, comma 1). Era stato inoltre introdotto uno strumento sollecitatorio che, pur con alcune significative differenze, rispondeva a una logica simile all'art. 21-bis l. n. 287/1990, essendo teso a favorire, almeno in prima battuta, un momento di dialogo collaborativo tra Amministrazioni. Nel caso in cui avesse riscontrato dei “vizi di legittimità”, l'ANAC avrebbe potuto infatti indirizzare alla stazione appaltante una “raccomandazione […] ad agire in autotutela e a rimuovere altresì gli eventuali effetti degli atti illegittimi, entro un termine non superiore a sessanta giorni” (art. 211, comma 2). Diversamente dal potere previsto dall'art. 21-bis, la mancata conformazione alla raccomandazione da parte della stazione appaltante non avrebbe legittimato l'ANAC ad adire il Giudice amministrativo, ma avrebbe potuto indurre la stessa a irrogare di una sanzione amministrativa pecuniaria tra i 250 ed i 25.000 € “a carico del dirigente responsabile”. Il Consiglio di Stato in sede consultiva ha evidenziato le criticità della previsione, sia in quanto di difficile armonizzazione con il “sistema delle autonomie” e con i principi e criteri direttivi rinvenibili nella legge delega, sia, “sul crinale della ragionevolezza”, perché correlava una sanzione pecuniaria ad un “provvedimento amministrativo di cui [era] da presumere la legittimità fino a prova contraria”. L'Adunanza ha quindi concluso – come del resto già auspicato anche in dottrina (M.A. Sandulli, Natura ed effetti dei pareri dell'AVCP, in www.federalismi.it, n. 25/2013, p. 17) – che “è da preferire […] una riformulazione in chiave di controllo collaborativo, ispirata alla disciplina dettata dall'art. 21-bis della legge n. 287 del 1990”, attribuendo dunque all'ANAC un “potere di impugnativa” in materia di appalti, che potrebbe sommarsi alla corrispondente attribuzione dell'AGCM in subiecta materia (Ad. Comm. spec. del 21 marzo 2016, parere n. 855 del 1° maggio 2016, pp. 222-224). Come noto, il Legislatore delegato aveva deciso di mantenere inalterata la struttura del predetto potere sollecitatorio, sicché il Consiglio di Stato ha ribadito le proprie preoccupazioni nel parere richiesto dall'ANAC sullo «schema di regolamento in materia di attività di vigilanza sui contratti pubblici di cui all'art. 211, comma 2, e 213 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50». In particolare, l'Adunanza ha sottolineato nuovamente la natura di “annullamento mascherato” dell'istituto in parola e ha altresì prospettato i possibili vizi dell'art. 21-nonies, comma 1 della legge n. 241 del 1990, nonché di eccesso di delega, stante il carattere generico del comma 1, lett. t) della legge delega n. 11 del 2016, invocato come base normativa del potere di raccomandazione vincolante (v. Ad. comm. spec. del 16 novembre 2016, parere n. 2777 del 28 dicembre 2016, ptt. 5.2-5.3.1). A seguito di tale parere, la disposizione è stata integralmente abrogata in sede di correttivo al Codice degli appalti (d. lgs. n. 56 del 2017).

L'art. 52-terd.l. n. 50 del 2017, introdotto dalla legge di conversione 21 giugno 2017, n. 96 (c.d. manovrina), ha infine aggiunto il comma 1-bis all'art. 211 del nuovo Codice. Ancorché con talune differenze rispetto al corrispondente potere affidato all'AGCM, la norma in parola si segnala per aver attribuito anche all'ANAC la legittimazione «ad agire in giudizio per l'impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture».

Aspetti processuali e procedimentali

La lacunosità del dato testuale della norma attributiva del potere ha alimentato svariati dubbi interpretativi sul piano sia processuale che procedimentale, rimessi alla composizione dottrinaria e giurisprudenziale.

Come visto, l'art. 21-bis si limita infatti a delineare i principali step procedimentali che vincolano l'esercizio del nuovo potere (parere motivato dell'Autorità entro sessanta giorni; conformazione della p.A. nei successivi sessanta giorni, eventuale presentazione del ricorso giurisdizionale nei successivi trenta giorni; applicazione della disciplina di cui al Titolo V del Libro IV del c.p.a. alle controversie per tale via instaurate), senza però chiarire le modalità di raccordo tra le singole fasi e, al contempo, lasciando spazio a molteplici dubbi di carattere tecnico-operativo.

Sotto il profilo procedimentale, si è discusso sull'individuazione del dies a quo di decorrenza del termine di sessanta giorni entro il quale l'Autorità può emettere il parere motivato. La giurisprudenza ha risolto la questione affermando che il decorso del termine va riferito alla conoscenza non già di generiche criticità di carattere concorrenziale ascrivibili all'agire amministrativo, ma dello specifico atto anticoncorrenziale costituente l'oggetto dell'eventuale parere (TAR Lazio, n. 2720 cit.). In termini analoghi, il Consiglio di Stato ha affermato che il predetto termine «concerne un'attività che ha in sé natura amministrativa, e non di iniziativa processuale, con la conseguenza che non sussistono le condizioni per estendere ad esso i principi dettati dal Codice del processo amministrativo per l'esercizio dell'azione in giudizio». Esso non decorre, pertanto, dalla mera pubblicazione legale del provvedimento, bensì dal ricevimento da parte dell'AGCM di una specifica comunicazione (di qualsiasi provenienza) recante gli elementi rilevanti dell'atto che del parere dovrebbe formare oggetto (Sez. V, 9 marzo 2015, n. 1171; TAR Toscana, n. 1521 cit.).

Sempre con riferimento alla fase procedimentale, ci si è chiesti se il termine di sessanta giorni entro il quale l'AGCM deve emettere il parere motivato termine peraltro introdotto in sede di conversione - abbia natura ordinatoria o perentoria. Al riguardo, gli approdi ermeneutici cui è pervenuta la giurisprudenza non sono univoci.

Orientamenti a confronto: Natura ordinatoria o perentoria del termine di sessanta giorni entro il quale l'Autorità emette il parere motivato

In mancanza di espressa previsione normativa in tal senso, l'eventuale tardività del parere rispetto alla scadenza di tale termine non implica la decadenza dal potere di azione e la conseguente inammissibilità del ricorso proposto.

TAR Lazio, n. 2720 cit.

Laddove l'Autorità non intenda proporre ricorso giurisdizionale, non vi è alcuna ragione per considerare il termine quale perentorio, costituendo esso esclusivamente un presupposto consultivo e di riflessione per l'Amministrazione circa la legittimità o meno dell'atto e risolvendosi quindi in un intervento sollecitatorio all'esercizio del potere di autotutela. Al contrario, nel caso in cui il parere costituisca il presupposto per l'avvio di una fase pre-contenziosa prodromica alla proposizione del ricorso giurisdizionale da parte dell'Autorità, il medesimo termine deve considerarsi necessariamente perentorio, in quanto l'ordinamento non può tollerare che in materie destinate a coinvolgere rilevanti e importanti interessi economici si mantenga a lungo l'incertezza in ordine alla composizione dei rapporti tra amministrazioni e soggetti privati coinvolti dall'attività amministrativa.

TAR Lazio, Roma, Sez. II-quater,1° settembre 2014, n. 9264

La tesi della natura ordinatoria o perentoria del termine a seconda della finalizzazione o meno della fase pre-contenziosa alla proposizione di un ricorso giurisdizionale non può trovare accoglimento, in quanto un termine o è perentorio o non lo è.

Detto termine ha natura perentoria.

Cons. St., n. 1171 cit., che, dopo aver disatteso l'orientamento dell'appellata pronuncia TAR Lazio, n. 9264 cit., ha rilevato la non necessità, nel caso di specie, di addivenire a una soluzione interpretativa in ordine alla natura del termine. Successivamente, il carattere perentorio del termine è stato affermato in termini espliciti da TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I, 29 giugno 2016, n. 1373

Quanto al rapporto intercorrente tra fase pre-contenziosa e fase giurisdizionale, l'Autorità, aderendo all'indirizzo dottrinario più estensivo, ha in un primo momento interpretato l'art. 21-bis quale norma attributiva di un “doppio set di poteri”: il primo, espresso dal comma 1, volto a sancire in via generale la legittimazione a ricorrere dell'AGCM, anche in via diretta nei casi di maggiore urgenza; il secondo, previsto dal comma 2, teso a disciplinare la modalità ordinaria di esercizio, consistente in un procedimento bifasico a carattere dapprima amministrativo e, in un secondo (eventuale) momento, giurisdizionale. La giurisprudenza ha però disatteso tale prospettazione, affermando che i primi due commi dell'art. 21-bis non delineano, contrariamente a quanto sostenuto dall'Autorità, due poteri alternativi, ma devono esser letti unitariamente, sicché la previa espressione del parere costituisce un presupposto per l'ammissibilità o la procedibilità del ricorso principale dell'AGCM (TAR Lazio, n. 2720 cit.; TAR Lazio, Roma, Sez. II, 6 maggio 2013, n. 4451, confermata sul punto da Consiglio di Stato, Sez. V, 30 aprile 2014, n. 2246). Ai fini della presentazione di motivi aggiunti di ricorso, invece, è stata negata la necessità per l'AGCM di attivare ex novo la fase pre-contenziosa (TAR Lazio, n. 2720 cit.). A questo ultimo proposito si rileva che, nella sua prassi, l'Autorità ha talora ugualmente ritenuto di dover inviare il parere motivato e, (solo) a seguito della mancata conformazione da parte della p.A., di proporre motivi aggiunti al ricorso promosso, sempre ai sensi dell'art. 21-bis, avverso il precedente provvedimento della catena procedimentale (cfr. AS1224 del 5 giugno 2015, in Boll. n. 39 del 2015). Una siffatta prassi rischia però di prestare il fianco a improprie rimessioni in termini, soprattutto se si considera che il terzo comma dell'art. 21-bis assoggetta i giudizi promossi dall'AGCM ai riti abbreviati di cui al Libro IV, Titolo V c.p.a.. Ne viene che, ove si ammetta l'applicabilità dell'art. 120 c.p.a. ai giudizi promossi dall'AGCM in materia di lavori pubblici, i motivi aggiunti di ricorso andrebbero presentati entro trenta giorni, mentre il dies a quo per emettere il parere motivato - per come visto - sarebbe di sessanta giorni. Tale circostanza potrebbe indurre l'AGCM, se incorsa nella predetta decadenza processuale, a percorrere strumentalmente la via pre-contenziosa. Anche al di fuori delle controversie regolate dall'art. 120 c.p.a., la proposizione dei motivi aggiunti solo all'esito dell'infruttuoso esperimento della fase pre-contenziosa risulterebbe comunque tardiva. In entrambi gli scenari descritti, verrebbero dunque inevitabilmente pregiudicate le “esigenze di celerità e buon funzionamento” che informano i riti speciali, come rilevato anche dalla giurisprudenza (cfr. TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 8 luglio 2016, n. 1356).

Secondo il Consiglio di Stato, inoltre, a sostegno della tesi che legittimerebbe l'Autorità ad adire direttamente il TAR non può essere invocata la circostanza che questa, ove fosse sempre tenuta al preventivo esperimento della fase pre-contenziosa, non potrebbe ricorrere utilmente alla tutela cautelare, in quanto, secondo il Giudice di Palazzo Spada, «non vi è alcuna ragione logico - sistematica che possa ragionevolmente escludere, ricorrendone i presupposti, la richiesta da parte dell'Autorità delle misure cautelari ante causam di cui all'art. 61 c.p.a.» (n. 2246 cit., che però non sembra avvedersi dell'inconciliabilità operativa tra i termini delineati dall'art. 61 c.p.a. e quelli descritti dall'art. 21-bis, comma 2). Il predetto obiter dictum del Consiglio di Stato sembra peraltro superare implicitamente la parte della pronuncia appellata (TAR Lazio, Roma, Sez. II, 6 maggio 2013, n. 4451) che aveva posto in dubbio la possibilità di individuare un concreto interesse dell'Autorità a presentare una domanda cautelare. Il Giudice di primo grado, infatti, per un verso aveva rilevato che nel giudizio cautelare la valutazione del periculum in mora si apprezza soprattutto in funzione del concreto interesse al ricorso, nella specie (eccezionalmente) consistente nell'interesse al ripristino della legalità violata, e, per altro verso, aveva evidenziato che il “danno alla concorrenza” non si concreterebbe in un danno soggettivo ma, semmai, nel “danno alla struttura concorrenziale del mercato inteso in senso oggettivo”.

È controversa anche l'individuazione del dies a quo del termine di sessanta giorni entro il quale la p.A. può conformarsi al parere motivato trasmesso dall'Autorità. La questione non è priva di ricadute, giacché (indirettamente) idonea a incidere sulla valutazione della tempestività del successivo ed eventuale ricorso. E infatti la decorrenza del termine di trenta giorni entro il quale l'AGCM può adire il TAR si ricollega a sua volta allo spirare del termine di sessanta giorni concesso all'Amministrazione per conformarsi. Sul punto la giurisprudenza ha chiarito che il termine di sessanta giorni entro cui la P.A. può conformarsi al parere trasmessole dall'Autorità (e, pertanto, il termine complessivo di novanta giorni dall'emissione del parere entro cui l'AGCM può eventualmente proporre ricorso), decorre «non già dalla notifica del parere, ma dalla sua comunicazione», rilevando per l'Autorità il momento di formazione e comunicazione dell'atto, e non anche quello (successivo) in cui l'Amministrazione lo abbia ricevuto (TAR Sicilia, Catania, Sez. IV, 3 marzo 2014, n. 676).

Ci si è inoltre chiesti se il termine di sessanta giorni decorrente dalla trasmissione del parere debba essere considerato, ai fini della decorrenza del successivo termine di trenta giorni per la proposizione del ricorso, come dilatorio o acceleratorio.

Orientamenti a confronto: Natura dilatoria o acceleratoria del termine di sessanta giorni entro il quale l'Amministrazione intimata può conformarsi al parere reso dall'AGCM

Il Giudice di prima istanza ha in più pronunce favorito la tesi della natura dilatoria del predetto termine, affermando che la tempestività del ricorso rispetto alla scadenza del termine (successivo e perentorio) di trenta giorni è valutata con decorrenza dalla data in cui spira il termine di sessanta giorni entro il quale la p.A. può astrattamente presentare le proprie osservazioni, anche se, in concreto, la determinazione a ciò preordinata venga comunicata all'Autorità in un momento precedente (TAR Lazio, n. 2720 cit.). Analogamente, il TAR Sicilia ha parlato di «termine complessivo di novanta giorni» per la proposizione del ricorso e, ancora più precisamente, di «termine di trenta giorni, decorrente dallo spirare del termine di sessanta dalla «comunicazione» del parere dell'Autorità all'Amministrazione attiva» (n. 676 cit.). In una successiva pronuncia il TAR Lazio ha poi sottolineato l'esigenza di tenere distinto il momento di presentazione di osservazioni da parte della p.A., che potrebbe anche precedere il termine di sessanta giorni, dal momento fino al quale l'Amministrazione intimata può in concreto conformarsi alle indicazioni contenute nel parere motivato, che, al contrario, sarebbe inderogabilmente di sessanta giorni. Tanto perché la funzione del nuovo potere è quella di favorire la composizione del conflitto in una fase auspicabilmente pre-contenziosa, ricorrendo al Giudice amministrativo solo in via di extrema ratio. In linea con l'intentio legis, quindi, laddove l'Amministrazione intimata abbia risposto in termini negativi all'AGCM prima del decorso dei sessanta giorni a sua disposizione, questa dovrebbe comunque avere la possibilità di ravvedersi, decidendo di conformarsi al parere nell'intervallo di tempo residuo, magari all'esito di ulteriori confronti, anche informali (TAR Lazio, Roma, Sez. III-ter, 27 maggio 2015, n. 7546).

TAR Lazio, n. 2720 cit.; TAR Sicilia, n. 676 cit.; TAR Lazio, sede di Roma, Sez. III-ter, 27 maggio 2015, n. 7546

In riforma dell'ultima pronuncia richiamata, il Consiglio di Stato ha disatteso il diffuso orientamento del Giudice di prime cure, affermando che il termine di trenta giorni per la proposizione del ricorso «inizia a decorrere, come in qualunque altro caso in cui alla P.A. ne sia assegnato uno per statuire in modo espresso, o dall'atto definitivo di non conformazione (dunque in sé lesivo, quand'anche immotivato o pretestuoso), o dal silenzio della P.A. stessa in caso di sua inerzia a fronte del parere negativo». Nella controversia in questione il mutamento di orientamento si è tradotto nella riforma della sentenza appellata nella parte in cui non ha rilevato la tardività del ricorso introduttivo. Il Consiglio di Stato si è tuttavia curato di precisare che, quantomeno in astratto, l'opzione ermeneutica per la natura acceleratoria del termine avvantaggia la stessa AGCM. E infatti questa non avrebbe «alcuna necessità d'attendere un ripensamento del destinatario nel residuo lasso di tempo fino alla scadenza stessa, poiché l'attesa in sé non serve a nulla e potendo tal ripensamento avvenire a giudizio già instaurato e fintanto che non intervenga il giudicato”. Si verserebbe, in altri termini, in una di quelle ipotesi in cui “il termine […] è posto a favore del debitore della prestazione».

Consiglio di Stato, Sez. IV, 28 gennaio 2016, n. 323, che ha riformato sul punto TAR Lazio, n. 7546 cit.

Entrando nel cuore della fase giurisdizionale, occorre poi evidenziare che - per come chiarito in giurisprudenza - il termine per incardinare un processo non può essere lasciato in maniera indefinita alla volontà delle parti, sicché il termine di trenta giorni per la proposizione del ricorso da parte dell'Autorità va considerato perentorio (TAR Sicilia, n. 676 cit.).

Un altro dubbio interpretativo sorto dal testo laconico della novella è quello relativo all'individuazione del Giudice territorialmente competente per i giudizi promossi dall'Autorità ai sensi dell'art. 21-bis. Facendo applicazione dei canoni ermeneutici elaborati dall'A.P. n. 29 del 26 luglio 2012, la giurisprudenza ha chiarito che i ricorsi instaurati dall'Autorità ai sensi dell'art. 21-bisl. n. 287 del 1990 non sono attratti alla competenza funzionale del TAR Lazio exart. 135, comma 1, lett. b), c.p.a., in quanto tale previsione è diretta alle controversie aventi ad oggetto i «provvedimenti dell'Autorità», e non già a quelle da essa promosse (TAR Sicilia, n. 676 cit.). L'orientamento trova riscontro nella prassi applicativa dell'Autorità che, in svariati casi, ha proposto il ricorso innanzi il TAR competente secondo le regole ordinarie (v. ad es. anche TAR Calabria, n. 1373 cit.).

Anche l'individuazione del rito applicabile alle controversie instaurate dall'AGCM non è chiara, stante la genericità del rinvio di disciplina operato dall'art. 21-bis, comma 3, al Titolo V del Libro IV del c.p.a.. La giurisprudenza ha sul punto evidenziato che la norma non osta all'applicabilità – ratione materiae – del rito degli appalti di cui all'art. 120 c.p.a. La formula di rinvio, infatti, è talmente ampia da indurre ragionevolmente a ritenere, sia per la rilevanza del bene giuridico tutelato dalla norma che per la mancanza di diversi elementi di valutazione, che il legislatore non abbia inteso sottoporre le controversie in questione al solo rito abbreviato di cui all'art. 119c.p.a.. Resta in ogni caso ferma la necessità di verificare in concreto l'applicabilità delle altre specifiche disposizioni del titolo V alla fattispecie sottoposta all'esame del Giudice (Consiglio di Stato, n. 2246 cit.).

Di particolare importanza è apparsa anche la questione relativa all'esatta delimitazione dell'oggetto del giudizio promosso dall'Autorità. Sul punto, la giurisprudenza ha aderito alla posizione dottrinaria secondo la quale l'oggetto del ricorso instaurato per iniziativa dell'AGCM è costituito dall'atto originario della P.A., ritenuto dalla stessa anticoncorrenziale e in quanto tale colpito dal parere, sicché il successivo atto attraverso il quale l'Amministrazione decida di non conformarsi al parere emesso dall'Autorità ha natura endoprocedimentale. Conseguentemente - ove si determini a proporre ricorso - l'Autorità non è tenuta a impugnare l'atto non conformativo o parzialmente conformativo adottato dalla p.A. a seguito della ricezione del parere (TAR Lazio, n. 2720 cit.). In radicale controtendenza con questo indirizzo, altra giurisprudenza ha invece ritenuto che il parere inviato dall'AGCM miri a sollecitare un potere di annullamento d'ufficio ex art. 21-nonies l. n. 241/1990. Con il risultato che l'eventuale provvedimento amministrativo di secondo grado, oltre a tener conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, “dovrà essere assunto entro il termine ragionevole dei diciotto mesi e, ancora, dovrà risultare motivato con riferimento all'esistenza di un interesse pubblico, idoneo a giustificare lo stesso annullamento” (TAR Toscana, n. 1521 cit.). In questa seconda prospettazione, il thema decidendum dell'ipotetico giudizio promosso dall'Antitrust sarebbe dunque ben più ristretto, coprendo i soli vizi propri del provvedimento stimolato (a seconda dei casi: il diniego espresso di autotutela o il silenzio rifiuto).

Anche la previsione del patrocinio obbligatorio dell'Avvocatura dello Stato non ha mancato di alimentare dubbi interpretativi, prontamente eccepiti in sede giurisdizionale. In proposito, il Giudice amministrativo ha chiarito che se è vero che l'AGCM, nell'esercizio del potere di impugnativa, deve obbligatoriamente servirsi del patrocinio della difesa erariale, è altrettanto vero che la stessa può senz'altro avvalersi del patrocinio di un avvocato del libero foro nell'ipotesi in cui, al momento dell'esercizio dell'azione giurisdizionale, l'atto per tale via gravato sia stato già impugnato da soggetti privati e, nel relativo giudizio, l'Amministrazione (statale) intimata si sia costituita per mezzo dell'Avvocatura dello Stato (TAR Lazio, n. 2720 cit.). Lo stesso vale nell'ipotesi in cui il ricorso venga proposto dall'AGCM avverso una p.A. difesa ex lege dall'Avvocatura dello Stato, e questo a prescindere dalla circostanza che l'ordinario metodo di risoluzione indicato dall'art. 43 del R.D. 1611/1933 implicherebbe, a rigore, la soluzione del conflitto a favore dell'Amministrazione attrice o ricorrente (TAR Lazio, n. 7546 cit., che richiama in proposito il «parere espresso [dalla stessa Avvocatura] in data 1° ottobre 2013 su sollecitazione dell'Autorità». La pronuncia è stata confermata sul punto da Consiglio di Stato, n. 323 cit., nonché, successivamente, da TAR Calabria, n. 1373 cit.).

Le (non poche) incertezze applicative sorte intorno allo strumento impugnatorio di cui all'art. 21-bis sembrano auspicabilmente dirigersi verso una progressiva diminuzione, resa possibile dallo sforzo chiarificatore della dottrina e della giurisprudenza. È da segnalare al riguardo la prima decisione con cui il TAR del Lazio ha accolto un ricorso promosso dall'Autorità senza peraltro dover vagliare eccezioni in rito (TAR Lazio, Roma, Sez. I-ter, 13 giugno 2016, n. 6755, che ha definito il giudizio sorto all'esito della mancata conformazione della Regione Lazio al parere AS1239 del 7 ottobre 2015, in Boll. n. 47/2015).

Casistica

Nei primi anni di esercizio del potere l'Autorità ha formulato svariati pareri relativi alla materia dei contratti pubblici. La maggior parte degli interventi ha avuto ad oggetto specifiche previsioni dei bandi di gara o atti comunque adottati nel corso di procedure a evidenza pubblica. Alcuni di questi, inoltre, hanno mirato a sollecitare la liberalizzare di specifici settori e, in subordine, a favorire l'indizione di una gara a evidenza pubblica per l'assegnazione e/o il rinnovo delle concessioni all'interno del settore medesimo. L'AGCM, infine, ha monitorato svariate delibere di enti locali aventi ad oggetto l'affidamento diretto di servizi pubblici. Si riportano di seguito due esempi:

Pareri ex art. 21-bis in materia di contratti pubblici

AS1184 del 16 febbraio 2015, in Boll.n. 14/2015

1) In una gara per l'affidamento in concessione dei servizi di trasporto pubblico locale, determina un indebito vantaggio competitivo per l'incumbent la previsione che pone un obbligo – e non già una facoltà o, al limite, un obbligo temperato da meccanismi di alleviamento degli oneri finanziari – di subentro nell'universalità di beni mobili e immobili attualmente impegnati per lo svolgimento dei relativi servizi;

2) Non è «concorrenzialmente accettabile» che la lex specialis rimetta all'incumbent il compito di determinare alcune voci attinenti la gestione dei servizi, tanto più quando detta determinazione sia rinviata a un momento successivo all'aggiudicazione della gara.

Esito: conformativo

AS1243 del 28 ottobre 2015, in Boll. n. 48/2015

1) Il sistema di gestione dell'affidamento in forma diretta, concretando una deroga alle regole dell'evidenza pubblica, è sottoposto a stretta interpretazione. Di conseguenza, i tre requisiti cumulativi per procedere all'affidamento diretto (proprietà pubblica; svolgimento dell'attività prevalente in favore dell'ente affidante il servizio pubblico; controllo analogo) devono sussistere al momento dell'affidamento, non essendo ammessi affidamenti diretti condizionati al successivo avveramento di uno o più requisiti;

2) In ogni caso, nella fattispecie non ricorre il requisito della c.d. attività prevalente, il quale si estende anche all'attività svolta dalle controllate dell'affidataria.

Esito: presentazione di osservazioni ed evidenze convincenti da parte dell'Amministrazione, a seguito delle quali l'AGCM ha deciso di non ricorrere al TAR

Dati di sintesi

Il 10 dicembre 2015 l'Autorità ha pubblicato un documento di sintesi intitolato “Esiti dell'attività di advocacy nel biennio 2013-2014”.

Nello studio si rappresenta che dall'introduzione dell'art. 21-bisl.n. 287 del 1990, avvenuta nel 2011, all'ottobre 2015, l'Autorità ha adottato 62 pareri e che, al netto del contenzioso pendente, nello stesso periodo il 40% degli interventi dell'Autorità ha sortito effetto positivo, mentre il restante 60% ha portato a un esito non conformativo.

In disparte lo studio citato, sembra inoltre utile concludere la trattazione evidenziando - coerentemente con le premesse di sistema sopra svolte - come il potere di impugnativa introdotto dall'art. 21-bis l.n. 287 del 1990 abbia trovato impiego proficuo soprattutto nella specifica materia dei contratti pubblici, come attestano i seguenti dati, relativi al quadriennio 2012-2015:

  • nel 2012, su un totale di 16 pareri, l'Autorità ne ha formulati 5 inerenti alla necessità di liberalizzare il mercato e, in subordine, di indire una gara a evidenza pubblica per l'assegnazione e/o il rinnovo delle concessioni all'interno del settore medesimo e 3 aventi ad oggetto atti di gara;
  • nel 2013, su un totale di 18 pareri, l'Autorità ne ha formulati 2 aventi ad oggetto atti di gara e 1 rivolto a una delibera di affidamento diretto di un servizio pubblico;
  • nel 2014, su un totale di 7 pareri, l'Autorità ne ha formulato 1 rivolto a una delibera prodromica all'affidamento diretto di un servizio pubblico;
  • nel 2015, su un totale di 18 pareri, l'Autorità ne ha formulati ben 9 aventi ad oggetto atti di gara;
  • nel 2016, su un totale di 11 pareri, l'Autorità ne ha formulati 5 aventi ad oggetto atti di gara e/o delibere di affidamento senza gara (anche attraverso il meccanismo elusivo dell'adesione postuma) e 3 in materia di affidamenti in house.
Sommario