Affidamento in house

29 Maggio 2020

L'in house è un istituto di derivazione comunitaria delineato dalla giurisprudenza quale deroga al sistema dell'evidenza pubblica. Nell'ambito dell'in house l'affidamento dell'appalto o della concessione avviene tra un'amministrazione aggiudicatrice e un soggetto da essa formalmente distinto, in quanto dotato di personalità giuridica autonoma, che è stato però appositamente istituito per effettuare le prestazioni in favore della prima.
Inquadramento

Contenuto in fase di aggiornamento autorale di prossima pubblicazione

L'in house è un istituto di derivazione comunitaria delineato dalla giurisprudenza quale deroga al sistema dell'evidenza pubblica.

Nell'ambito dell'in house l'affidamento dell'appalto o della concessione avviene tra un'amministrazione aggiudicatrice e un soggetto da essa formalmente distinto, in quanto dotato di personalità giuridica autonoma, che è stato però appositamente istituito per effettuare le prestazioni in favore della prima.

Per rientrare nell'alveo delle società in house, la giurisprudenza comunitaria, a partire dalla nota sentenza Teckal (Corte giust. CE, 18 novembre 1999, C-107/98), ha individuato le seguenti due condizioni cumulative:

  1. una di tipo strutturale, e cioè l'amministrazione aggiudicatrice deve esercitare sul soggetto affidatario, giuridicamente distinto, «un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi»;
  2. l'altra di tipo operativo-funzionale, e cioè il soggetto affidatario deve «realizz[are] la parte più importante della propria attività con l'ente o con gli enti pubblici che lo controllano» (c.d. requisito del collegamento funzionale-teleologico od operativo).
Codificazione dell'affidamento in house

L'in house è stato codificato con le Direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE che, pur non utilizzando mai la locuzione società in house, ne individuano i requisiti al fine di escludere tali soggetti dal proprio ambito di applicazione (art. 12 Direttiva 2014/24/UE, art. 17 Direttiva 2014/23/UE e art. 28 Direttiva 2014/24/UE).

Prima dell'adozione delle predette direttive l'unica ipotesi di affidamento diretto poteva rinvenirsi nel Regolamento UE n. 1370 del 2006, relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia, che, all'art. 5, consentiva «di procedere all'aggiudicazione diretta di contratti di servizio pubblico a un soggetto giuridicamente distinto su cui l'autorità competente a livello locale, o, nel caso di un gruppo di autorità, almeno una di esse, esercita un controllo analogo a quello che esercita sulle proprie strutture».

A livello nazionale, l'istituto dell'in house è stato poi codificato con il d.lgs. n. 50 del 2016, così come modificato dal d.lgs. n. 56 del 2017 (Nuovo codice appalti) - che ha recepito nel nostro ordinamento le menzionate direttive 23/2014/UE - 24/2014/UE - 25/2014/UE - e successivamente dal d.lgs. n. 175 del 2016, così come modificato dal d.lgs. n. 100 del 2017 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, TUSP).

Le caratteristiche dell'in house: il controllo analogo

Come anticipato, fin dalla sua formulazione, l'in house presuppone quale condizione legittimante la sussistenza del cd. controllo analogo.

Secondo quanto previsto dall'art. 5, comma 2, Nuovo codice appalti, un'amministrazione esercita su una persona giuridica un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi qualora eserciti un'influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata.

Analoga definizione è contenuta nell'art. 2, comma 1, lett. c) del TUSP.

Secondo la giurisprudenza il controllo analogo sulla società in house deve essere esercitato effettivamente ed essere strutturale e funzionale, presupponendo il modello in house la mancanza di «un rapporto contrattuale intersoggettivo tra aggiudicante e affidatario, perché quest'ultimo è, in realtà, solo la longa manus del primo» (Corte Giust. UE, 29 novembre 2012, C-182/11; Corte Cost., sent. 20 marzo 2013, n. 46).

Il controllo effettivo si esplica attraverso previsioni statutarie o patti parasociali che attribuiscono all'ente affidante capacità e poteri diversi dai normali poteri che il codice civile attribuisce al socio, ancorché totalitario, fino al punto di sottrarre agli organi societari ogni rilevante autonomia gestionale.

In altre parole, affinché si realizzi un controllo analogo è necessario che all'ente affidante siano devoluti poteri particolarmente penetranti, che gli consentano di indirizzare l'attività e di assumere le decisioni strategiche più importanti.

In tale ottica, l'art. 16, TUSP prevede che il controllo analogo possa (rectius, debba) essere realizzato attraverso:

  • previsioni statutarie delle società per azioni che contengano clausole in deroga delle disposizioni dell'art. 2380-bis e dell'art. 2409-novies c.c.;
  • previsioni statutarie delle società a responsabilità limitata che prevedano l'attribuzione all'ente o agli enti pubblici soci di particolari diritti, ai sensi dell'art. 2468, comma 3, c.c.;
  • la conclusione di appositi patti parasociali, che possono avere durata superiore a cinque anni, in deroga all'art. 2341-bis, comma 1, c.c.

In particolare, l'art. 2380-bis c.c. dispone per le società per azioni, con norma ritenuta di natura imperativa, che la gestione dell'impresa spetti esclusivamente agli amministratori. La possibilità (rectius, necessità) che lo statuto delle società in house deroghi a tale impostazione si risolve, dunque, nella necessaria compressione dei poteri tradizionalmente conferiti all'organo gestionale, cui fa da contraltare l'estensione di quelli conferiti ai singoli soci, se del caso attraverso l'assemblea.

A tali ipotesi sembrerebbe, peraltro, riconducibile la possibilità, prevista dall'art. 9, comma 7,TUSP che, ai sensi dell'art. 2449 c.c., il socio pubblico nomini o revochi direttamente uno o più componenti di organi interni della società e disponga la loro eventuale revoca secondo quanto previsto dall'art. 2400 c.c.

Del pari, a titolo esemplificativo e certamente non esaustivo, costituirebbero una compressione dei poteri tradizionalmente affidati all'organo gestionale, eventuali previsioni statutarie che impongano agli amministratori di attenersi agli indirizzi gestionali forniti dall'ente affidante, che li obblighino ad una puntuale rendicontazione sullo stato di attuazione degli obiettivi, che sottopongano determinati atti particolarmente rilevanti all'autorizzazione preventiva dell'ente affidante.

Analogamente, si ritiene che il riferimento all'art. 2468 c.c., debba essere letto nel senso di prevedere, per le società a responsabilità limitata, che l'atto costitutivo attribuisca all'ente affidante «particolari diritti riguardanti l'amministrazione della società o la distribuzione degli utili».

Infine, l'art. 16 TUSP dispone che, in ogni caso, i requisiti del controllo analogo possano essere acquisiti anche mediante la conclusione di patti parasociali e che gli stessi possano avere una durata superiore a quella normativamente prevista di 5 anni. La possibilità di sottoscrivere patti parasociali finalizzati a rendere operativi poteri di indirizzo e forme di controllo in capo ai soci pubblici era stata già ammessa dalla giurisprudenza (Cons. St., Sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 762).

In tal senso, in via esemplificativa, si è fatto ricorso a patti parasociali che garantiscono all'ente pubblico la possibilità di nominare i propri rappresentanti in seno agli organi di gestione e di controllo; che consentono di esercitare direttamente la propria influenza in seno all'assemblea; attraverso i quali i firmatari si impegnano a votare in assemblea, su questioni che riguardano i servizi prestati in uno specifico ambito territoriale, in conformità alla volontà espressa dall'ente locale direttamente interessato (nelle ipotesi di in house congiunto di cui si dirà infra);

L'espresso richiamo contenuto nel TUSP ai patti parasociali ha destato perplessità in ordine all'eventualità che il legislatore intendesse assegnare ad essi «una valenza sostanzialmente sociale» ovvero se gli stessi mantengano efficacia obbligatoria come tradizionalmente riconosciuta a questo tipo di accordi extrasociali (Cons. St., parere, 21 aprile 2016, n. 968 reso sullo Schema di decreto legislativo recante Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica ha sottolineato - sub art. 16).

In proposito, può rilevarsi che l'art. 9, comma 5,TUSP, rubricato «Gestione delle partecipazioni pubbliche» ha specificato che il contrasto con impegni assunti mediante patti parasociali non determina l'invalidità delle deliberazioni degli organi della società partecipata, ferma restando la possibilità che l'esercizio del voto o la deliberazione siano invalidate in applicazione di norme generali di diritto privato.

La norma fuga, dunque, ogni dubbi in ordine alla valenza obbligatoria dei patti parasociali e conferma l'impostazione consolidata in dottrina e giurisprudenza in base alla quale la violazione dei patti parasociali non comporta l'invalidità delle delibere. Risulta, peraltro, pleonastico il richiamo alle norme generali di diritto privato, la cui vigenza è data per presupposta nel TUSP (art. 1).

Il Nuovo codice appalti prevede che il controllo analogo possa essere esercitato anche da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall'amministrazione partecipante (art. 5, comma, 2 ultimo periodo, c.d. controllo analogo indiretto).

Trattasi di un modulo riconducibile, nella prassi, alle holding di partecipazioni, in cui l'amministrazione A esercita il controllo analogo sull'ente B, che a sua volta esercita il controllo analogo sull'ente C. In questo caso, ancorché manchi un collegamento diretto fra A e C, è ammesso l'affidamento diretto dal primo soggetto al secondo.

Ulteriore declinazione del controllo analogo è, poi, la figura del controllo analogo congiunto che viene in considerazione nelle ipotesi in cui la società sia partecipata da più amministrazioni ed esse esercitino congiuntamente fra loro un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi.

Ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. d) del TUSP il controllo analogo congiunto consiste nella «situazione in cui l'amministrazione esercita congiuntamente con altre amministrazioni su una società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi» e, affinché il controllo analogo congiunto possa realizzarsi, è necessario che restino contestualmente soddisfatte le seguenti condizioni dettate dall'art. 5, comma 5, Nuovo codice appalti:

  • gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti. Singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti;
  • tali amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori sono in grado di esercitare congiuntamente un'influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica;
  • la persona giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici o degli enti aggiudicatori controllanti.

Le regole dettate dagli artt. 2 del TUSP e 5 Nuovo codice appalti erano già state affermate dalla giurisprudenza secondo cui il controllo analogo può essere esercitato in forma congiunta senza che sia necessaria una quota minima di partecipazione al capitale sociale e senza che sia necessario che venga esercitato individualmente da ciascun autorità (ossia che ciascun socio, anche di minoranza, abbia il controllo individuale sulla società), essendo bensì sufficiente che ciascuna delle autorità partecipi sia al capitale sia agli organi direttivi dell'entità suddetta. Ciascun socio pubblico deve, inoltre, conservare il controllo in relazione alle scelte che incidono sul segmento di attività che interessa il territorio di propria competenza. A tal proposito, è stato osservato, ad esempio, che un efficace strumento consiste nella introduzione di un potere di veto in relazione a decisioni direttamente incidenti sulla qualità, quantità e prezzo del servizio nell'ambito territoriale del socio pubblico, ovvero nel diritto di recesso nel caso in cui l'organo amministrativo adotti provvedimenti in contrasto con le direttive impartite dall'ente socio con riguardo ai servizi da espletare nel proprio ambito territoriale. Nell'in house congiunto è frequente il ricorso ai patti parasociali (Cons. St., Sez. V, 18 luglio 2017, n. 3554; TAR Lombardia, Sez. IV, 23 dicembre 2016, n. 2474; Cons. St., Sez. V, 14 ottobre 2014, n. 5080; Cons. St., Sez. III, 27 aprile 2015, n. 2154; Corte di Giust. UE, Sez. III, 29 novembre 2012, C-183/11).

L'art. 5, comma 2, ultimo periodo, del Nuovo codice appalti declina, infine, sue ulteriori tipologie di affidamenti in house, ossia:

  • l'in house c.d. verticale capovolto, in cui il soggetto controllato, essendo a sua volta amministrazione aggiudicatrice, affida il contratto al soggetto controllante. In tali casi i due soggetti si trovano in una relazione sostanzialmente bidirezionale, ancorché il tradizionale controllo appare rovesciato;
  • l'in house orizzontale, in cui vi sono tre soggetti di cui due (A e B) sono controllati da un unico soggetto C. In tale caso l'affidamento avviene da A verso B ed esso è considerato legittimo poiché, sebbene manchi una relazione diretta fra i due soggetti, può ritenersi che gli stessi siano con C in un rapporto di delegazione interorganica.

In evidenza

Il Consiglio di Stato, nel parere, 14 marzo 2017, n. 638 sullo schema di decreto correttivo al TUSP ha osservato (sub art. 16) che con il correttivo non vengono superati i problemi di compatibilità fra l'in house e il modello azionario, con particolare riferimento alle seguenti questioni:

  • «le modifiche statutarie che consentirebbero l'attribuzione di poteri gestionali al socio hanno carattere meramente facoltativo. Secondo il codice civile, nel modello azionario i poteri gestionali spettano unicamente agli amministratori. Pertanto, in assenza delle modifiche statutarie adottate in deroga all'art. 2380-bis non sarebbe possibile disporre affidamenti in house in favore di società per azioni, perché non potrebbe concretizzarsi il requisito del controllo analogo;
  • le modifiche statutarie consentite, quand'anche vengano adottate, non incidono sul regime di responsabilità degli amministratori, perché la disciplina non deroga espressamente al disposto dell'art. 2364 c.c., n. 5 che mantiene la responsabilità degli amministratori per gli atti eventualmente rimessi alla competenza dell'assemblea. Conseguentemente, gli amministratori sarebbero comunque responsabili per atti imposti dal socio;
  • non è prevista la possibilità di derogare all'art. 2355-bis c.c. il quale prevede che ogni vincolo alla trasferibilità delle azioni non possa eccedere il limite quinquennale. Il superamento del limite quinquennale è consentito solo per i patti parasociali, con chiare differenze rispetto al regime di opponibilità ai terzi».
(Segue): la compagine sociale

Una importante novità introdotta dai recenti interventi normativi - che costituisce una scelta di compromesso voluta dalla Germania per far fronte ad esigenze di diritto interno - attiene, inoltre, alla compagine sociale.

Ed infatti, in contrapposizione all'acquis giurisprudenziale sul punto - (Corte giust. CE, 18 dicembre 1999, n. C-107/99; Corte giust. UE, 6 aprile 2006, C-410/04; Cass. civ., Sez. Un., 16 dicembre 2013, n. 27993; Cass. civ., Sez. Un., 25 novembre 2013, n. 26283; Cons. St. Sez. VI, 26/5/2015, n. 2660) - che ha sempre predicato, al fine della sussistenza del requisito del controllo analogo, la necessità di una totale partecipazione pubblica al capitale della controllata restando esclusa la partecipazione, anche minoritaria e prospettica, di un'impresa privata - il combinato disposto degli artt. 16 TUSP e art. 5 Nuovo codice degli appalti ammette, in via eccezionale, la partecipazione diretta di capitali privati, purché la stessa sia prescritta dalla legislazione nazionale in conformità ai trattati e non comporti controllo o potere di veto né consenta l'esercizio di un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata.

In tal senso si rileva, peraltro, che non è stato introdotto alcun limite percentuale di partecipazione ed, anzi, si è deciso di basare la valutazione di ammissibilità del privato su criteri aperti quali l'assenza del controllo, del potere di veto o dell'influenza dominante sulla società.

Per completezza si segnala altresì che l'art. 16TUSP e l'art. 5 nuovo Codice appalti, nelle loro versioni originarie presentavano una differenza lessicale per quanto attiene alla partecipazione privata, essendo richiesto, nel primo caso, che la partecipazione di capitali privati sia prevista da norme di legge, nel secondo caso, che la partecipazione di capitali privati sia prescritta dalla legislazione nazionale, in conformità dei trattati (art. 5 comma 3).

Tale difformità lessicale è stata parzialmente corretta nelle versioni definitive dei due testi normativi, di modo che, attualmente sia l'art. 16, comma 1, TUSP che l'art. 5nuovo Codice appalti richiedono che la partecipazione sia prescritta dalla legge. Residua, tuttavia, un'incongruenza all'art. 5, comma 1, lett. c), Nuovo codice appalti ove permane la dizione di partecipazione previstadalla legislazione nazionale, in conformità ai trattati.

Suddetta discrasia, che come anticipato è stata parzialmente superata, ha indotto in un primo momento a chiedersi se il legislatore abbia inteso autorizzare forme di partecipazione di capitali privati meramente previste da disposizioni legislative ovvero se sia necessario che le suddette partecipazioni siano prescritte (quindi debbano sussistere obbligatoriamente) ex lege.

Secondo quanto indicato dal Consiglio di Stato nel Parere sullo schema di Testo unico società partecipate, l'intenzione del Legislatore non è stata quella di autorizzare in generale la partecipazione dei privati ma di rinviare alle specifiche disposizioni di legge che le «prevedono», con ciò intendendosi quelle «che “prescrivono” e dunque impongono la partecipazione dei privati (e non anche quelle che genericamente “prevedono” la partecipazione» (Parere del Cons. St., 21 aprile 2016, n. 968, sub art. 16; Cons. St., Sez. VI, 26 maggio 2015, n. 2660).

A riprova di tale lettura restrittiva in ordine all'ammissibilità di partecipazioni private, peraltro, si noti che i considerando n. 32 e 46, rispettivamente delle Direttive 24/2014/UE e 23/2014/UE prevedono che, pur dovendosi escludere la partecipazione del privato alle società in house sul presupposto che l'affidamento diretto costituirebbe per lo stesso un indubbio vantaggio rispetto ai suoi concorrenti, «tuttavia, date le particolari caratteristiche degli organismi pubblici con partecipazione obbligatoria, quali le organizzazioni responsabili della gestione o dell'esercizio di taluni servizi pubblici, ciò non dovrebbe valere nei casi in cui la partecipazione di determinati operatori economici privati al capitale della persona giuridica controllata è resa obbligatoria da una disposizione legislativa nazionale in conformità dei trattati, a condizione che si tratti di una partecipazione che non comporta controllo o potere di veto e che non conferisca un'influenza determinante sulle decisioni della persona giuridica controllata».

In altri termini la lettura dei considerando chiarisce che il termine «prescritte» debba essere inteso come imposte ex lege, esegesi che trova conferma altresì nella versione inglese delle direttive, ove si parla di «compulsory membership», ovvero di partecipazioni «required by national legislative provisions».

In evidenza

Il Consiglio di Stato nell'ambito del parere del 14 marzo 2017, n. 638 sul correttivo al TUSP aveva segnalato che sarebbe stato opportuno specificare, mediante l'introduzione di un apposito comma 1-bis dell'art. 16, che la scelta del socio privato doveva avvenire mediante gara e che il socio privato poteva avere solo la qualità di socio finanziatore e non di socio operativo. Tale indicazioni, tuttavia, non è state accolta nella versione definitiva del correttivo approvata con il D.gs. n. 100/2017 (Correttivo al TUSP).

(Segue): l'attività prevalente

Nella sua prima formulazione giurisprudenziale, l'in house presupponeva altresì che il soggetto affidatario «realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o con gli enti locali che la controllano” con la precisazione che “qualsiasi attività dell'ente affidatario che sia rivolta a persone diverse da quelle che lo controllano, ossia a persone che non hanno alcuna relazione di controllo con tale ente, quand'anche si trattasse di amministrazioni pubbliche, deve essere considerata come svolta a favore di terzi» (Corte giust. UE, 11 maggio 2006, C-340/04; Corte giust. CE, 18 novembre 1999, C-107/98).

Tale requisito è stata confermato, con alcune specificazioni, anche a seguito della codificazione dell'istituto.

In particolare, l'art. 4 TUSP specifica che, salvo quanto previsto dall'art. 16, le società in house operano in via prevalente con gli enti costituenti, partecipanti o affidanti.

L'art. 5,comma 1, lett. b), Nuovo codice appalti e l'art. 16, comma 3, TUSP precisano poi che oltre l'80% per cento del fatturato delle società in house deve essere effettuato nello svolgimento dei compiti a esse affidati dall'ente pubblico o dagli enti pubblici soci.

E' stato quindi introdotto uno specifico limite minimo allo svolgimento dell'attività con l'ente affidante/con gli enti affidanti, quantificato attraverso il parametro del fatturato.

La giurisprudenza ha precisato che al fine della verifica della sussistenza di tale requisito non si deve ricomprendere l'attività svolta dalla società in favore di amministrazioni pubbliche non sue socie, o a favore di enti territoriali a loro volta non soci e che dunque non esercitino su di essa alcun controllo. Tale ultima attività deve essere considerata come un'attività svolta a favore di terzi (Corte giust. UE, 8 dicembre 2016, C-553/15; Cons. di St, Sez. V, 19 agosto 2017, n. 4030).

Nella versione originaria il comma 3 dell'art. 16 del TUSP prevedeva altresì che lo statuto della società doveva prevedere che la produzione ulteriore rispetto al suddetto limite di fatturato fosse consentita solo a condizione che la stessa permetta di conseguire economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell'attività principale della società.

Il Consiglio di Stato in sede di parere sulla bozza di Correttivo al TUSP aveva proposto l'eliminazione di tale previsione, evidenziando che introduceva un'ulteriore limitazione alla qualificazione di un soggetto come in house che non trovava fondamento nel diritto dell'Unione Europea (parere Commissione Speciale 14 marzo 2017, n. 638).

Con il Correttivo al TUSP tale previsione è stata, dunque, espunta ed è stata inserito il comma 3-bis dell'art. 16 TUSP che precisa che «la produzione ulteriore rispetto al suddetto limite di fatturato, che può essere rivolta anche a finalità diverse, è consentita solo a condizione che la stessa permetta di conseguire economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell'attività principale della società». Rispetto alla precedente formulazione viene, quindi, specificato che la produzione ulteriore rispetto al suddetto limite di fatturato può essere rivolta anche a finalità diverse rispetto ai compiti affidati dalle amministrazioni pubbliche

Il TUSP si preoccupa altresì di disciplinare gli effetti del mancato rispetto di tale limite, prevedendo, da un lato, che ciò costituisce grave irregolarità ai sensi dell'art. 2409 c.c. (Denuncia al tribunale di gravi irregolarità) e dell'art. 15 TUSP (Monitoraggio, indirizzo e coordinamento sulle società a partecipazione pubblica), e dall'altro, che la società può sanare l'irregolarità se, entro tre mesi dalla data in cui la stessa si è manifestata, rinunci ad una parte dei rapporti con i soggetti terzi, sciogliendo i relativi rapporti contrattuali ovvero rinunci agli affidamenti diretti da parte dell'ente pubblico o degli enti pubblici soci, sciogliendo i relativi rapporti.

Nel caso di rinuncia agli affidamenti diretti, inoltre, l'art. 16, comma 6, TUSP prevede che la società può continuare la propria attività se e in quanto sussistano i requisiti di cui all'art. 4 TUSP e, a seguito della cessazione degli affidamenti diretti, perdono efficacia le clausole statutarie e i patti parasociali finalizzati a realizzare i requisiti del controllo analogo (v. supra).

Quanto alla soglia dell'80%, inoltre, l'art. 5, Nuovo codice appalti ne detta le modalità di calcolo, specificando che per determinare la percentuale delle attività occorre prendere in considerazione il fatturato totale medio, o una idonea misura alternativa basata sull'attività, quale i costi sostenuti dalla persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice o l'ente aggiudicatore nei settori dei servizi, delle forniture e dei lavori per i tre anni precedenti l'aggiudicazione dell'appalto o della concessione.

Se, a causa della data di costituzione o di inizio dell'attività della persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice o ente aggiudicatore, ovvero a causa della riorganizzazione delle sue attività, il fatturato o la misura alternativa basata sull'attività, quali i costi, non è disponibile per i tre anni precedenti o non è più pertinente, è sufficiente dimostrare, segnatamente in base a proiezioni dell'attività, che la misura dell'attività è credibile.

In evidenza

Il Consiglio di Stato, nel parere del 21 aprile 2016, n. 968 reso sullo schema del TUSP ha sottolineato (sub art. 16) che il potere di sanatoria non è previsto dal legislatore europeo né dalla legge delega e sembra contraddire la configurazione strutturale dell'in house ammettendo una estensione dell'attività nel mercato, salva la possibilità successiva di rimediare alla violazione commessa, con rischio di incidere, peraltro, su posizioni di terzi con cui la società è entrata in rapporto (il Consiglio di Stato ne suggeriva, pertanto, l'eliminazione).

(Segue): l'oggetto sociale

L'art. 4TUSP, inoltre, delinea la tipologia di attività che la società in house può svolgere, prevedendo che le stesse abbiano come oggetto sociale esclusivo una o più delle seguenti attività di cui alle lettere a), b), d) ed e) del comma 2:

  • produzione di un servizio di interesse generale, ivi inclusa la realizzazione e la gestione delle reti e degli impianti funzionali ai servizi medesimi [lett. a)];
  • progettazione e realizzazione di un'opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra amministrazioni pubbliche, ai sensi dell'art. 193 Nuovo codice appalti [lett. b)];
  • autoproduzione di beni o servizi strumentali all'ente o agli enti pubblici partecipanti o allo svolgimento delle loro funzioni, nel rispetto delle condizioni stabilite dalle direttive europee in materia di contratti pubblici e della relativa disciplina nazionale di recepimento [lett. d)];
  • servizi di committenza, ivi incluse le attività di committenza ausiliarie, apprestati a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all'art., 3, comma 1, lett. a), del Nuovo codice appalti [lett. e)].

Restano estranee all'elenco le sole attività di cui alla lett. c), da eseguirsi attraverso partenariato pubblico-privato (art. 17 TUSP).

In evidenza

Il Consiglio di Stato, nel parere n. 782 del 30 marzo 2017, avente ad oggetto lo schema di decreto correttivo al Nuovo codice appalti ha osservato (sub art. 5) «che sarebbe opportuno un coordinamento con il decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), che rappresenta la base legale di regolazione delle tipologie di società ammissibili, incluse le società in house. La definizione del tipo, in conformità alle regole europee, è contenuta, infatti, in tale decreto (art. 2), il quale ha limitato in modo rigoroso le attività che dette società possono porre in essere. L'ambito dei contratti pubblici costituisce appunto uno dei settori in cui il legislatore consente il loro intervento. Per ragioni di coerenza sistematica e al fine di assicurare una visione unitaria delle riforme amministrative in atto sarebbe, pertanto, opportuno che, in sede di correzione del testo in esame, si rinvii al d.lgs. n. 175 del 2016 in relazione alla definizione di in house, limitando la regolazione settoriale alla disciplina specifica». Tale rilievo non è stato accolto.

La scelta di avvalersi del modello in house: motivazione del provvedimento

L'affidamento in house, così come delineato nel nuovo quadro normativo, non configura un'ipotesi eccezionale e derogatoria di affidamento di un servizio, bensì una normale forma di organizzazione, risultato di una scelta discrezionale dell'amministrazione che sarà, tuttavia, tenuta ad esternare i motivi di convenienza economica di tale scelta, da ritenersi non sindacabile entro i limiti di non manifesta illogicità od irrazionalità.

Per le società in house viene pertanto a configurarsi un onere motivazionale a doppio livello, derivante dal combinato disposto degli artt. 5 TUSP e 192 Nuovo codice appalti.

Ed infatti, per quanto attiene alla costituzione di una società o all'acquisto di una partecipazione l'art. 5 TUSP prevede che il relativo atto deliberativo, deve essere analiticamente motivato con riferimento alle ragioni e alle finalità che giustificano tale scelta, anche sul piano della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria, nonché di gestione diretta o esternalizzata del servizio affidato. La motivazione deve anche dare conto della compatibilità della scelta con i princìpi di efficienza, di efficacia e di economicità dell'azione amministrativa.

D'altra parte, per quanto attiene all'affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, l'art. 192, comma 2, Nuovo codice appalti prevede che le stazioni appaltanti effettuano preventivamente la valutazione sulla congruità economica dell'offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all'oggetto e al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche.

In altre parole, fermo restando l'obbligo della PA di motivare la scelta di acquistare partecipazioni di società pubbliche ovvero di costituirne di nuove, è previsto in capo alla stessa un onere di motivazione in ordine alla scelta di procedere all'affidamento diretto - con riguardo alla convenienza del modello in house - che risponde all'esigenza di assicurare adeguati livelli di trasparenza, anche sul piano dell'efficienza amministrativa e del razionale impiego delle risorse pubbliche, consentendo, da parte degli interessati (ivi inclusa l'ANAC) un controllo sulla scelta effettuata dall'ente affidante.

In evidenza

Il Consiglio di Stato, nel parere 21 aprile 2016, n. 968 reso sullo schema di decreto legislativo recante il TUSP ha osservato (sub art. 16) che la regolazione delle società in house è oggetto di plurimi interventi di riforma, sia nel settore dei contratti pubblici che dei servizi pubblici locali. È necessario, pertanto, un coordinamento soprattutto con riguardo alla ricostruzione dei «requisiti identificativi e all'eventuale scelta, effettuata nello schema di decreto sui servizi pubblici locali, in ordine alla qualificazione del sistema di autoproduzione come sistema eccezionale – che in quanto tale imporrebbe di dare conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato – ovvero ordinario – che in quanto tale sarebbe il risultato di una libera scelta dell'autorità pubblica» (nel primo senso, tra gli altri, Cons. St., Sez. III, 7 maggio 2015, n. 2291; nel secondo senso, tra gli altri, Cons. St., Sez. V, 18 luglio 2017, n. 3554; Cons. St., Sez. V, 22 gennaio 2015, n. 257).

La scelta di avvalersi del modello in house, secondo il Collegio, «dovrebbe essere nel senso che, fermo restando specifiche prescrizioni imposte dal diritto europeo, la decisione di non esternalizzare l'attività deve essere rigorosamente motivata dimostrando che la scelta organizzativa interna si risolve in un maggiore vantaggio per i cittadini. La mancanza di una libera decisione da parte dell'amministrazione pubblica è maggiormente coerente con il principio generale di tutela della concorrenza che deve informare, alla luce di quanto prescritto dall'art. 1, l'impostazione sistematica dell'intero Testo unico. Questo vale soprattutto nel settore dei servizi di interesse economico generale: il ricorso al mercato e non all'in house può, infatti, costituire esso stesso, permettendo l'accesso di nuovi operatori, un utile strumento di liberalizzazione economica».

L'elenco delle amministrazioni che operano mediante affidamenti in house: le Linee guida dell'ANAC

Ulteriore elemento innovativo della disciplina dell'in house è costituito dall'istituzione di una sorta di albo dei soggetti che fanno ricorso all'in house, gestito dall'ANAC. L'art. 192, commi 1 e 3, del Nuovo codice appalti, così come modificato dal d.lgs. n. 56 del 2017, prevede, infatti che:

  • sia istituito presso l'ANAC, anche al fine di garantire adeguati livelli di pubblicità e trasparenza nei contratti pubblici, l'elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house;
  • l'iscrizione nell'elenco avviene su domanda dell'interessato - previo accertamento dei requisiti - secondo le modalità e i criteri che l'Autorità definisce con proprio atto. L'Autorità per la raccolta delle informazioni e la verifica dei predetti requisiti opera mediante procedure informatiche, anche attraverso il collegamento, sulla base di apposite convenzioni, con i relativi sistemi in uso presso altre Amministrazioni pubbliche ed altri soggetti operanti nel settore dei contratti pubblici. La domanda di iscrizione consente alle amministrazioni aggiudicatrici e agli enti aggiudicatori sotto la propria responsabilità, di effettuare affidamenti diretti dei contratti all'ente strumentale. Resta fermo l'obbligo di pubblicazione degli atti connessi all'affidamento diretto medesimo sul profilo del committente nella sezione Amministrazione trasparente, secondo quanto previsto dal d.lgs. n. 33 del 2013.

Il 15 febbraio 2017 l'ANAC ha adottato le Linee guida n. 7 «per l'iscrizione nell'elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house previsto dall'art. 192 del d.lgs. 50/2016» che sono state preventivamente sottoposte al Consiglio di Stato.

Le suddette linee guida disciplinano il contenuto dell'elenco; i soggetti legittimati a richiederne l'iscrizione; le modalità di presentazione della domanda; l'istruttoria tesa alla verifica dei requisiti richiesti ex lege e l'eventuale procedimento di cancellazione dall'elenco.

Esse, inoltre, esemplificano alcuni degli strumenti giuridici per realizzare il controllo analogo dell'ente aggiudicatario, individuando tre possibili momenti di controllo:

  1. ex ante, nell'ambito del quale vengono indicati, ad esempio, la previsione, nel documento di programmazione dell'amministrazione, degli obiettivi da perseguire con l'in house providing, anche mediante l'utilizzo di indicatori qualitativi e quantitativi nonché la preventiva approvazione, da parte dell'amministrazione dei documenti di programmazione, delle deliberazioni la preventiva approvazione, da parte dell'amministrazione, dei documenti di programmazione, delle deliberazioni;
  2. contestuale, esercitabile, ad esempio, attraverso la richiesta di relazioni periodiche sull'andamento della gestione, la verifica dello stato di attuazione degli obiettivi, con individuazioni delle azioni correttive in caso di scostamento o squilibrio finanziario, la previsione della possibilità di fornire indirizzi vincolanti sulle modalità di gestione economica e finanziaria dell'organismo in house, la previsione di controlli ispettivi, il potere di modifica degli schemi-tipo degli eventuali contratti di servizio con l'utenza;
  3. ex post, esercitabile, ad esempio, in fase di approvazione del rendiconto, dando atto dei risultati raggiunti dall'organismo in house e del conseguimento degli obiettivi prefissati e fornendo indicazioni di indirizzo sugli obiettivi per la programmazione successiva.

Secondo le Linee guida, sempre a titolo esemplificativo, sono idonei a configurare il controllo analogo anche gli elementi di seguito indicati:

  • il divieto di cessione delle quote a privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati previste dalla legislazione nazionale, in conformità dei trattati, che non esercitano un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata;
  • l'attribuzione all'amministrazione aggiudicatrice o all'ente aggiudicatore del potere di nomina e revoca quanto meno della maggioranza dei componenti degli organi di gestione, di amministrazione e di controllo;
  • l'attribuzione all'amministrazione aggiudicatrice o all'ente aggiudicatore dei poteri di direttiva e di indirizzo e del potere di veto sulla definizione dell'organigramma dell'organismo partecipato e sulle sue modifiche o di un parere vincolante in merito all'adeguatezza dell'assetto organizzativo adottato dalla società in funzione del perseguimento dell'oggetto sociale;
  • il vincolo per gli amministratori, nella gestione ordinaria e straordinaria, al rispetto delle prescrizioni impartite in sede di controllo analogo e trasfuse in appositi atti formali e vincolanti;
  • la disciplina precisa e puntuale dell'esercizio.

Il documento precisa altresì che il rigetto della domanda di iscrizione comporta l'impossibilità della PA di operare mediante affidamenti diretti nei confronti dei propri organismi in house (resta specificato, tuttavia, che il rigetto della domanda non preclude la possibilità di presentare una nuova domanda di iscrizione al ricorrere dei requisiti previsti dalla legge e dalle linee guida, ovvero una volta venuti meno gli elementi alla base del rigetto).

Le Linee guida prevedono che le domande di iscrizione all'Elenco possano essere presentate a partire da 90 giorni dopo l'entrata in vigore delle linee guida e a far data da tale momento la presentazione della domanda di iscrizione costituirà presupposto legittimante l'affidamento in house. Tale termine è stato posticipato più volte e, da ultimo, è stato fissato al 30 ottobre 2017.

Fino alla data in cui sarà consentita la presentazione delle domande, le amministrazioni «possono continuare ad effettuare affidamenti in house, sotto la propria responsabilità e nel rispetto delle disposizioni di cui all'art. 5 e ai commi 2 e 3 dell'art. 192 del codice».

Il Consiglio nel Stato nel parere reso sullo schema di linee guida (1 febbraio 2017, n. 287) si è espresso sulla natura giuridica dell'elenco e agli effetti dell'iscrizione, precisando che la domanda di iscrizione nell'elenco non costituisce un atto diretto ad assegnare all'amministrazione un titolo abilitativo necessario per procedere ad affidamenti diretti ma piuttosto ha la seguente duplice rilevanza. Da un lato, consente ex se di procedere all'affidamento senza gara, «rendendo operativa in termini di attualità concreta, senza bisogno dell'intermediazione di un'attività provvedimentale preventiva, la legittimazione astratta riconosciuta dal legislatore». Dall'altro lato, la domanda innesca una fase di controllo dell'ANAC sulla sussistenza dei presupposti previsti dalla normativa comunitaria e nazionale per gli affidamenti in house che:

  1. quando conduce ad un esito positivo, non si realizza mediante l'espressione di un consenso, incompatibile con l'assenza di un regime autorizzatorio, bensì si esaurisce nell'iscrizione che consolida una legittimazione già assicurata dalla presentazione della domanda;
  2. se si conclude con un esito negativo (diniego di iscrizione nell'elenco o cancellazione dallo stesso), si traduce in un atto di accertamento negativo (assimilabile a un provvedimento di esercizio del potere inibitorio analogo a quello del citato art. 19 della legge n. 241 del 1990) che «rende le amministrazioni incapaci (rebus sic stantibus) di procedere (per il futuro) ad affidamenti diretti a quella specifica società…. L'effetto pregiudizievole evidenziato da tale deminutio consente di qualificare tali atti alla stregua di provvedimenti amministrativi, esercizio di potere autoritativo, come tali impugnabili davanti agli organi della giustizia amministrativa».

A seguito dell'adozione del correttivo al Nuovo codice Appalti, l'ANAC ha predisposto una nuova stesura di linee guida che ha nuovamente sottoposto al Consiglio di Stato. Quest'ultimo, con parere del 5 settembre 2017, n. 1940 ha suggerito alcune modifiche. Nella nuova stesura, come si evince dal parere, coerentemente con i nuovi poteri attribuiti all'ANAC con l'art. 211, commi 1-bis e 1-ter (introdotti dal d.lgs. n. 50 del 2016 così come convertito dalla l. n. 96 del 2017), è stato previsto che nei casi in cui l'ANAC accerti l'assenza dei requisiti di legge che devono essere posseduti per l'iscrizione nell'Elenco e in quelli in cui disponga la cancellazione per la sopravvenuta carenza di tali requisiti, la stessa possa impugnare innanzi al TAR i contratti già aggiudicati mediante il modulo dell'in house. Il Consiglio di Stato ha condiviso tale previsione, suggerendone però una nuova formulazione nella quale l'oggetto dell'impugnazione sia l'atto amministrativo di affidamento e non i contratti.

In evidenza

Il Consiglio di Stato, nel parere n. 782 del 30 marzo 2017, avente ad oggetto lo schema di decreto correttivo al Nuovo codice appalti (sub art. 192) ha ribadito il suggerimento, già espresso nel parere sullo schema del Nuovo codice appalti (n. 855/2016), «di unificare, per esigenze sistematiche, le disposizioni contenute nell'art. 192 con quelle dell'art. 5 del codice, raccordando il tutto con le norme sulle partecipate in corso di definitiva approvazione. Si consiglia, dunque, di valutare l'opportunità di riprodurre il contenuto dell'art. 192 nel corpo dell'art. 5, sopprimendo, conseguentemente, lo stesso art. 192». Tale indicazione non è stata accolta nelle versione definitiva del correttivo al Nuovo codice appalti.

Società in house e regime degli affidamenti
L'art 16 del TUSP si conclude con la previsione che le società in house sono tenute all'acquisto di lavori, beni e servizi secondo la disciplina dettata dal Nuovo codice appalti. Anche in questo caso si tratta del recepimento di un principio già espresso in giurisprudenza secondo cui, se le società pubbliche sono tenute ad operare nel rispetto dell'evidenza pubblica, a fortiori le società strumentali, che delle prime costituiscono una longa manus, devono sottostare alla normativa sui contratti pubblici.

L'in house in materia di concessioni autostradali

L'art. 178 del Nuovo Codice appalti contiene una specifica disciplina in materia di affidamenti di concessioni autostradali. Nella sua prima formulazione tale norma prevedeva esclusivamente che l'affidamento di tali concessioni dovesse avvenire secondo le regole dell'evidenza pubblica. La norma, dunque, sulla base del tenore letterale, sembrava escludere la possibilità di avvalersi dell'istituto dell'in house. In sede di approvazione, la norma era stata, tuttavia, modificata, inserendo un espresso riferimento alla possibilità di ricorrere alla modalità di affidamento in house.

La norma è stata poi modificata con il Correttivo al Nuovo codice appalti che ha inserito il seguente comma 8-ter: «le concessioni autostradali relative ad autostrade che interessano una o più regioni possono essere affidate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a società in house di altre amministrazioni pubbliche anche appositamente costituite. A tal fine il controllo analogo di cui all'articolo 5 sulla predetta società in house può essere esercitato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti attraverso un comitato disciplinato da apposito accordo ai sensi dell'articolo 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241, che eserciti sulla società in house i poteri di cui al citato articolo 5». Anche in tal caso la norma non era prevista nella prima stesura sottoposta al Consiglio di Stato ma è stata inserita solo in sede di approvazione definitiva a seguito di una proposta espressa in sede parlamentare.

La norma introduce un'ipotesi di affidamento in house peculiare che sembrerebbe discostarsi dai principi comunitari e nazionali in materia, prevedendo la possibilità di effettuare tali affidamenti in favore di società partecipate da amministrazioni pubbliche diverse dall'amministrazione concedente e che, peraltro, appartengono a distinti plessi ordinamentali. Analogamente peculiare è l'esercizio del controllo analogo attraverso un comitato disciplinato da un accordo tra pubbliche amministrazioni di cui la norma non disciplina né le caratteristiche né il funzionamento.

Il fallimento delle società in house

La questione della fallibilità delle società pubbliche è stata da sempre molto dibattuta. La Corte di Cassazione già da tempo aveva affermato che «la scelta del legislatore di consentire l'esercizio di determinate attività a società di capitali, e dunque di perseguire l'interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico, comporta che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione dei principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto ed attesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra quanti operano all'interno di uno stesso mercato con identiche forme e medesime modalità» (Cass., Sez. I, 27 settembre 2013, 22209).

Tali principi sono stati recepiti nell'art. 14 TUSP che ha previsto che le società a partecipazione pubblica sono soggette alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo nonché ove ne ricorrano i presupposti a quelle in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza.

Anche dopo l'adozione di tale norma permaneva qualche dubbio in merito alla sua applicabilità rispetto alle società in house; dubbio che è stato di recente fugato dalla Corte di Cassazione che ha confermato la ‘fallibilità' delle società in house (Cass. civ., Sez. I, 7 febbraio 2017, n. 3196).

Sommario