Norme di garanzia della qualità

Fabio Balducci Romano
25 Luglio 2016

In base all'art. 87, comma 1, del nuovo Codice dei contratti pubblici, le amministrazioni aggiudicatrici possono richiedere la presentazione di certificati rilasciati da organismi indipendenti per attestare l'ottemperanza dell'operatore economico a determinate norme a garanzia della qualità, compresa l'accessibilità per le persone con disabilità, facendo riferimento ai sistemi di garanzia della qualità basati sulle serie di norme europee in materia e ai certificati rilasciati da organismi accreditati.
Inquadramento

Contenuto in fase di aggiornamento autorale di prossima pubblicazione

In base all'art. 87, comma 1, del nuovo Codicedei contratti pubblici, le amministrazioni aggiudicatrici possono richiedere la presentazione di certificati rilasciati da organismi indipendenti per attestare l'ottemperanza dell'operatore economico a determinate norme a garanzia della qualità, compresa l'accessibilità per le persone con disabilità, facendo riferimento ai sistemi di garanzia della qualità basati sulle serie di norme europee in materia e ai certificati rilasciati da organismi accreditati. Al riguardo, la disciplina del nuovo Codice è del tutto analoga a quella previgente, contenuta nell'art. 43 d.lgs. n. 163 del 2006, applicabile alle procedure di aggiudicazione avviate prima del 19 aprile 2016.

Tale disposizione trova applicazione sia per gli appalti di lavori, in cui il sistema accreditato di qualificazione è rimesso alle SOA, sia nel settore degli appalti di servizi e forniture. Secondo la giurisprudenza, poiché la norma costituisce espressione di principi generali, essa trova applicazione anche nel settore delle concessioni di servizi (v.: TAR Piemonte, Sez. I, 8 marzo 2013, n. 300; TAR Lazio, Latina, Sez. I, 22 maggio 2015, n. 420) e negli appalti esclusi (v.: Cons. St., Sez. VI, 12 novembre 2013, n. 5378, sul contratto di sponsorizzazione).

I principi generali del diritto dell'Unione europea, relativi al divieto di discriminazione in base alla nazionalità e al reciproco riconoscimento, impongono alle stazioni appaltanti di ammettere certificati equivalenti rilasciati da organismi stabiliti in altri Stati membri.

In ossequio al principio di proporzionalità, anch'esso di matrice europea, le amministrazioni aggiudicatrici devono ammettere, in luogo dei certificati, altre prove relative all'impiego di misure equivalenti di garanzia della qualità. Il nuovo Codice, tuttavia, ha limitato l'utilizzo di dette misure equivalenti, in conformità a quanto disposto dall'art. 62 della direttiva europea 2004/24/UE (v. infra).

Le norme di garanzia della qualità nelle direttive dell'Unione europea

L'istituto delle certificazioni a garanzia della qualità è stato inizialmente disciplinato dall'art. 33 della direttiva 92/50/CEE in materia di aggiudicazione di appalti di servizi. Esso stabiliva anzitutto che le amministrazioni aggiudicatrici nazionali, qualora richiedessero la presentazione di certificati rilasciati da organismi indipendenti per accertare la rispondenza del prestatore di servizi a determinate norme in materia di garanzia della qualità, dovessero riferirsi ai sistemi di garanzia della qualità basati sulla pertinente serie di norme europee, e certificati da organismi conformi alla serie di norme europee. Inoltre, la norma prevedeva che le medesime amministrazioni dovessero riconoscere i certificati equivalenti rilasciati da organismi stabiliti in altri Stati membri. Infine, la norma obbligava le stesse amministrazioni aggiudicatrici ad ammettere altre prove relative all'impiego di misure equivalenti di garanzia della qualità, se i prestatori di servizi che non avevano accesso a tali certificati o non avevano la possibilità di ottenerli entro i termini richiesti.

In seguito, l'art. 49 della direttiva 2004/18/CE, ha ripreso la norma della vecchia direttiva “servizi”, estendendone l'applicazione alle forniture e ai lavori. L'art. 49 è stato recepito in modo pedissequo dal citato art. 43 d.lgs. n. 163 del 2006.

La riforma del 2014 ha apportato solo limitate innovazioni all'istituto: la disciplina relativa alle norme di garanzia delle qualità e alle norme di gestione ambientale è stata riordinata e raccolta in un'unica disposizione, l'art. 62 della direttiva 2004/24/UE. Quest'ultimo, rispetto alla corrispondente norma dell'abrogata direttiva 2004/18/CE, precisa che l'ammissione di prove dell'impiego di misure equivalenti di garanzia della qualità, in luogo dei certificati, è subordinata alla contemporanea sussistenza di due condizioni, ossia: i) l'impossibilità dell'operatore economico, ad esso non imputabile, di ottenere tali certificazioni entro i termini richiesti; e ii) la dimostrazione, a carico dello stesso operatore economico, che le misure di garanzia della qualità proposte soddisfano le norme di garanzia della qualità richieste dall'amministrazione aggiudicatrice.

Inoltre, l'art. 62, rinviando all'art. 86 in materia di cooperazione amministrativa, stabilisce che gli Stati membri, su richiesta, si debbano scambiare reciprocamente le informazioni relative ai certificati e documenti presentati come prova del rispetto delle norme di garanzia della qualità, garantendo la riservatezza delle informazioni e la protezione dei dati personali.

La portata di tale onere a carico degli Stati membri risulta precisata dal considerando n. 128, che chiarisce che la direttiva non comporta l'obbligo per gli Stati membri di scambiare informazioni

che vanno al di là di quelle a cui le amministrazioni aggiudicatrici nazionali possono accedere.

Il testo della nuova disposizione europea sembra non lasciare margini di discrezionalità legislativa in sede di trasposizione.

Come ben noto, la direttiva 2014/24/UE ha abrogato la direttiva 2004/18/CE a decorrere dal 18 aprile 2016, ed ha fissato per tale data la scadenza del termine per il recepimento da parte degli Stati membri. L'art. 62 non figura tra le disposizioni la cui applicazione può essere rinviata (v. art. 90 dir. 2014/24/UE).

La l. 29 gennaio 2016, n. 11, con cui il Governo è stato delegato all'attuazione della direttiva 2014/24/UE, tra i principi e criteri direttivi per la trasposizione, ha previsto che si proceda alla revisione della disciplina vigente in materia di avvalimento, imponendo – per quanto qui interessa – che il contratto di avvalimento indichi nel dettaglio le risorse e i mezzi prestati, con particolare riguardo ai casi in cui l'oggetto di avvalimento sia costituito da certificazioni di qualità o certificati attestanti il possesso di adeguata organizzazione imprenditoriale ai fini della partecipazione alla gara, e prevedendo che non possa essere oggetto di avvalimento il possesso della qualificazione e dell'esperienza tecnica e professionale necessarie per eseguire le prestazioni da affidare (v. art. 1, comma 1, lett. zz), l. n. 11 del 2016). In tal modo, il legislatore ha inteso adeguare la normativa alla giurisprudenza amministrativa e alla prassi decisionale in materia, che – come si vedrà in seguito – esclude che la certificazione di qualità possa formare oggetto di avvalimento.

La certificazione di qualità quale requisito soggettivo di partecipazione

La certificazione di cui all'art. 87, comma 1,d.lgs. n.50 del 2016 è astrattamente qualificabile come un requisito soggettivo, in quanto attesta uno specifico status dell'imprenditore, che opera in conformità a certi standard internazionali per quanto attiene alla qualità dei processi produttivi della propria azienda.

Per tale motivo, secondo la giurisprudenza formatasi sull'art. 43 d.lgs. n. 163 del 2006, la certificazione di qualità, non può costituire elemento oggettivo di valutazione dell'offerta, ai fini della determinazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, non essendo consentita la commistione fra requisiti soggettivi di partecipazione e requisiti oggettivi dell'offerta (v. ANAC, parere di precontenzioso n. 201 del 10 novembre 2011; in giurisprudenza, v.: Cons. St., Sez. V, 7 aprile 2009,n. 2147).

In coerenza con la natura di requisito soggettivo, nel caso di raggruppamenti di imprese, la certificazione di qualità deve essere posseduta singolarmente da ciascuna impresa, a meno che non risulti che la certificazione richiesta sia incontestabilmente riferita solo ad una parte delle prestazioni, eseguibili da alcune soltanto delle imprese associate (v.: ANAC, parere di precontenzioso n. 114 del 21 maggio 2014; Id., parere di precontenzioso n. 206 del 19 dicembre 2012; in giurisprudenza, v.: Cons. St., Sez. V, 30 maggio 2005, n. 2765; Id., Sez. V, 25 luglio 2006, n. 4668).

La facoltà di richiedere, ai fini della partecipazione alla gara, il possesso della certificazione di qualità è generalmente riconosciuta alle stazioni appaltanti in virtù della discrezionalità che connota la loro attività, con l'avvertenza che sono ritenuti legittimi i requisiti richiesti dalla lex specialis che, pur essendo ulteriori e più restrittivi di quelli previsti dalla legge, rispettino il limite della logicità, della ragionevolezza e siano pertinenti e congrui rispetto all'oggetto del contratto. Secondo la prassi decisionale dell'ANAC, la clausola della lex specialis rispetta i predetti limiti qualora la certificazione di qualità richiesta sia riferita al settore oggetto dell'affidamento e rifletta l'esigenza di affidare l'appalto a un soggetto pienamente qualificato, anche in considerazione della peculiare natura degli utenti.

Sull'interpretazione di tale requisito, tuttavia, si registra una divergenza tra l'orientamento dell'ANAC, che appare più rigoroso, e quello della giurisprudenza amministrativa, che tende a favorire la partecipazione alle gare, limitando il potere delle stazioni appaltanti di introdurre clausole escludenti.

Orientamenti a confronto

Secondo l'ANAC, La certificazione prevista dall'art. 43 d.lgs. n. 163 del 2006, se richiesta dalla stazione appaltante con la lex specialis, costituisce condizione di partecipazione, in carenza della quale vi è il difetto dei requisiti minimi richiesti, con la conseguente esclusione dalla procedura (v. ANAC, parere di precontenzioso n. 155 del 25 settembre 2013).

È perciò legittima l'esclusione dalla gara disposta per omessa dichiarazione e dimostrazione del possesso della certificazione di qualità aziendale al fine del dimezzamento della cauzione provvisoria. A tale riguardo, l'Autorità ritiene che, affinché possa operare il beneficio del dimezzamento della cauzione provvisoria, sarebbe necessaria la produzione, unitamente all'offerta ed alla cauzione, della prova di essere in possesso della certificazione di qualità, mentre soltanto in relazione agli appalti di lavori pubblici, l'impresa che intenda usufruire del beneficio della riduzione della cauzione potrebbe limitarsi a manifestare detto intendimento con una dichiarazione di volontà, senza allegare il certificato di qualità, poiché il possesso di tale requisito risulta dall'attestato SOA (cfr.: AVCP, deliberazione 5 novembre 2009, n. 102; Id., deliberazione 17 aprile 2007 n. 112). Non dovrebbe invece ritenersi applicabile alla stazione appaltante il divieto, di cui all'art. 46 comma 1 bis del d.lgs. n. 163/2006, di introdurre cause di esclusione, poiché l'onere di segnalare e documentare il possesso della certificazione di qualità aziendale sarebbe previsto dall'art. 75, comma 7, dello stesso Codice (v.: ANAC, parere di precontenzioso n. 156 del 27 settembre 2012). In tal caso, non sarebbe neppure invocabile il c.d. “potere di soccorso” di cui all'art. 46 d.lgs. n. 163 del 2006 (v.: Id., parere di precontenzioso n. 94 del 7 maggio 2014).

Qualora non sia in possesso della certificazione, l'operatore economico può fornire altre prove relative all'impiego di misure equivalenti di garanzia, ad esempio, con la dimostrazione del possesso di certificati di sistemi di gestione per la qualità sostanzialmente equivalenti o superiori, nei contenuti di garanzia, a quello richiesto, oppure con dichiarazioni provenienti da soggetti terzi, di riconosciuta indipendenza e di comprovata capacità tecnica ed esperienza professionale specifica nel settore. Non assume rilevanza, tuttavia, il possesso di una certificazione relativa alla commercializzazione, qualora il bando richieda la certificazione di qualità della produzione (v.: ANAC, parere di precontenzioso n. 32 del 2 settembre 2014). Parimenti irrilevante è la dichiarazione dell'operatore economico attestante l'avvenuto svolgimento delle attività propedeutiche all'emissione del certificato, anche ove risulti che l'attività di audit dell'Organo Certificatore si sia già svolta con esito positivo, prima della scadenza del termine per la presentazione delle offerte (Id., parere di precontenzioso n. 55 del 4 aprile 2012).

Secondo la giurisprudenza, invece, pur dovendosi ritenere che il possesso della certificazione costituisca elemento essenziale, sarebbe illegittima la clausola che preveda, a pena di esclusione, la relativa produzione sin dal momento della presentazione della domanda, esulando tale prescrizione in via escludente dagli elementi indicati dal citato art. 46 d.lgs. n. 163 del 2006. La tassatività delle ipotesi di esclusione, infatti, assurge a principio generale relativo ai contratti pubblici e costituisce specificazione del principio di proporzionalità. Pertanto non andrebbe escluso il concorrente che presti la cauzione provvisoria in misura dimezzata, ai sensi dell'art. 75 d.lgs. n. 163 del 2006, senza dimostrare il possesso della certificazione di qualità (cfr.: TAR Campania, Napoli, Sez. I, 2 luglio 2014, n. 3621; v. altresì: Cons. St., Sez. III, 4 ottobre 2012, n. 5203).

Inoltre, quanto alle altre prove relative all'impiego di misure equivalenti di garanzia, sarebbe rilevante il pregresso affidamento di analogo appalto, in mancanza di contestazioni di inadempimento (cfr.: TAR Piemonte, Sez. I, 8 marzo 2013, n. 300). Qualora la certificazione richiesta abbia ad oggetto standard di natura etica o di responsabilità sociale, la c.d. prova equivalente potrebbe essere fornita mediante la produzione di un codice etico aziendale antecedente alla gara (cfr.: Cons. St., Sez. V, 12 novembre 2013, n. 5375).

Non sorgono dubbi, viceversa, sulla possibilità di documentare il possesso della certificazione di qualità mediante dichiarazione sostitutiva di certificazione, resa ai sensi dell'art. 46 d.P.R.n. 445 del 2000 ovvero con dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà da rendersi ai sensi del combinato disposto degli artt. 47, comma 1, e 38, comma 3, dello stesso d.P.R. (v.: Cons. St., Sez. V., 9 settembre 2013, n. 4471).

È consentito, salva ogni successiva verifica, dichiarare il possesso della certificazione di qualità, quale titolo di “qualificazione tecnica” ai sensi e per gli effetti dell'art. 46, comma 1, lett. n) del d.P.R. citato, senza dover produrre anche la copia della relativa certificazione; peraltro, quand'anche la certificazione di qualità non si ritenesse “titolo” di “qualificazione tecnica”, il possesso della stessa sarebbe comunque certificabile attraverso dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà ai sensi dell'art. 47 sopra citato. La certificazione di qualità non rientra tra le ipotesi di limitazione delle misure di semplificazione, di cui all'art. 49 d.P.R. n. 445/2000 (v: ANAC, parere di precontenzioso n. 180 del 3 novembre 2010; Id., parere di precontenzioso n. 180 del 20 ottobre 2010).

Casistica: l'avvalimento

Come si è visto sopra, la certificazione di qualità costituisce requisito soggettivo, poiché essa consiste nell'aver ottemperato a determinate disposizioni normative, preordinate a garantire alla stazione appaltante che l'esecuzione delle prestazioni contrattuali dovute avverrà nel rispetto della normativa in materia di processi di qualità.

Conseguentemente, si esclude generalmente l'ammissibilità dell'avvalimento, poiché l'art. 49 d.lgs. n. 163 del 2006 ne circoscrive l'applicazione ai soli requisiti di carattere economico-finanziario e tecnico-organizzativo, ovvero alla certificazione SOA.

Nella casistica, tuttavia, occorre distinguere tra certificazioni di qualità relative al sistema produttivo o all'organizzazione (come la ISO 9001), e quelle relative ad uno specifico prodotto o servizio. Nel primo caso, l'avvalimento è sempre escluso, dato che la certificazione può essere utilizzata dalla sola organizzazione nei cui confronti è stata rilasciata dal competente organismo certificatore. Nel secondo caso, invece, può essere ammesso nella misura in cui consista nella messa a disposizione del concorrente di un bene strumentale o di una risorsa dell'impresa ausiliaria.

La certificazione di qualità ISO 9001 attesta la capacità di un'organizzazione ad operare in qualità sulla base del proprio capitale fisico ed umano, nonché in ragione delle procedure e dei procedimenti adottati nello svolgimento dell'attività. Tale certificazione di qualità non copre, quindi, il prodotto realizzato o il servizio/la lavorazione resi, ma testimonia semplicemente che l'imprenditore opera in conformità a specifici standard internazionali per quanto attiene la qualità dei propri processi produttivi. Pertanto, può essere utilizzata dalla sola organizzazione nei cui confronti è stata rilasciata dal competente Organismo di certificazione e si deve escludere che la certificazione possa essere riferibile anche al singolo professionista che opera nell'impresa (v.: ANAC, parere di precontenzioso n. 110 del 21 maggio 2014).

Qualora invece la certificazione richiesta attenga ad un requisito specifico ed oggettivo del prodotto o servizio, essa può essere legittimamente oggetto di avvalimento, in quanto non è in questione la generica certificazione di qualità che, come noto, attiene ad una qualità soggettiva dell'imprenditore non suscettibile di essere “prestata” con l'avvalimento (v.: ANAC, parere di precontenzioso n. 146 del 20 giugno 2014).

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