Norme di garanzia della qualità
25 Luglio 2016
Inquadramento
Contenuto in fase di aggiornamento autorale di prossima pubblicazione
In base all'art. 87, comma 1, del nuovo Codicedei contratti pubblici, le amministrazioni aggiudicatrici possono richiedere la presentazione di certificati rilasciati da organismi indipendenti per attestare l'ottemperanza dell'operatore economico a determinate norme a garanzia della qualità, compresa l'accessibilità per le persone con disabilità, facendo riferimento ai sistemi di garanzia della qualità basati sulle serie di norme europee in materia e ai certificati rilasciati da organismi accreditati. Al riguardo, la disciplina del nuovo Codice è del tutto analoga a quella previgente, contenuta nell'art. 43 d.lgs. n. 163 del 2006, applicabile alle procedure di aggiudicazione avviate prima del 19 aprile 2016. Tale disposizione trova applicazione sia per gli appalti di lavori, in cui il sistema accreditato di qualificazione è rimesso alle SOA, sia nel settore degli appalti di servizi e forniture. Secondo la giurisprudenza, poiché la norma costituisce espressione di principi generali, essa trova applicazione anche nel settore delle concessioni di servizi (v.: TAR Piemonte, Sez. I, 8 marzo 2013, n. 300; TAR Lazio, Latina, Sez. I, 22 maggio 2015, n. 420) e negli appalti esclusi (v.: Cons. St., Sez. VI, 12 novembre 2013, n. 5378, sul contratto di sponsorizzazione). I principi generali del diritto dell'Unione europea, relativi al divieto di discriminazione in base alla nazionalità e al reciproco riconoscimento, impongono alle stazioni appaltanti di ammettere certificati equivalenti rilasciati da organismi stabiliti in altri Stati membri. In ossequio al principio di proporzionalità, anch'esso di matrice europea, le amministrazioni aggiudicatrici devono ammettere, in luogo dei certificati, altre prove relative all'impiego di misure equivalenti di garanzia della qualità. Il nuovo Codice, tuttavia, ha limitato l'utilizzo di dette misure equivalenti, in conformità a quanto disposto dall'art. 62 della direttiva europea 2004/24/UE (v. infra).
L'istituto delle certificazioni a garanzia della qualità è stato inizialmente disciplinato dall'art. 33 della direttiva 92/50/CEE in materia di aggiudicazione di appalti di servizi. Esso stabiliva anzitutto che le amministrazioni aggiudicatrici nazionali, qualora richiedessero la presentazione di certificati rilasciati da organismi indipendenti per accertare la rispondenza del prestatore di servizi a determinate norme in materia di garanzia della qualità, dovessero riferirsi ai sistemi di garanzia della qualità basati sulla pertinente serie di norme europee, e certificati da organismi conformi alla serie di norme europee. Inoltre, la norma prevedeva che le medesime amministrazioni dovessero riconoscere i certificati equivalenti rilasciati da organismi stabiliti in altri Stati membri. Infine, la norma obbligava le stesse amministrazioni aggiudicatrici ad ammettere altre prove relative all'impiego di misure equivalenti di garanzia della qualità, se i prestatori di servizi che non avevano accesso a tali certificati o non avevano la possibilità di ottenerli entro i termini richiesti. In seguito, l'art. 49 della direttiva 2004/18/CE, ha ripreso la norma della vecchia direttiva “servizi”, estendendone l'applicazione alle forniture e ai lavori. L'art. 49 è stato recepito in modo pedissequo dal citato art. 43 d.lgs. n. 163 del 2006. La riforma del 2014 ha apportato solo limitate innovazioni all'istituto: la disciplina relativa alle norme di garanzia delle qualità e alle norme di gestione ambientale è stata riordinata e raccolta in un'unica disposizione, l'art. 62 della direttiva 2004/24/UE. Quest'ultimo, rispetto alla corrispondente norma dell'abrogata direttiva 2004/18/CE, precisa che l'ammissione di prove dell'impiego di misure equivalenti di garanzia della qualità, in luogo dei certificati, è subordinata alla contemporanea sussistenza di due condizioni, ossia: i) l'impossibilità dell'operatore economico, ad esso non imputabile, di ottenere tali certificazioni entro i termini richiesti; e ii) la dimostrazione, a carico dello stesso operatore economico, che le misure di garanzia della qualità proposte soddisfano le norme di garanzia della qualità richieste dall'amministrazione aggiudicatrice. Inoltre, l'art. 62, rinviando all'art. 86 in materia di cooperazione amministrativa, stabilisce che gli Stati membri, su richiesta, si debbano scambiare reciprocamente le informazioni relative ai certificati e documenti presentati come prova del rispetto delle norme di garanzia della qualità, garantendo la riservatezza delle informazioni e la protezione dei dati personali. La portata di tale onere a carico degli Stati membri risulta precisata dal considerando n. 128, che chiarisce che la direttiva non comporta l'obbligo per gli Stati membri di scambiare informazioni che vanno al di là di quelle a cui le amministrazioni aggiudicatrici nazionali possono accedere. Il testo della nuova disposizione europea sembra non lasciare margini di discrezionalità legislativa in sede di trasposizione. Come ben noto, la direttiva 2014/24/UE ha abrogato la direttiva 2004/18/CE a decorrere dal 18 aprile 2016, ed ha fissato per tale data la scadenza del termine per il recepimento da parte degli Stati membri. L'art. 62 non figura tra le disposizioni la cui applicazione può essere rinviata (v. art. 90 dir. 2014/24/UE). La l. 29 gennaio 2016, n. 11, con cui il Governo è stato delegato all'attuazione della direttiva 2014/24/UE, tra i principi e criteri direttivi per la trasposizione, ha previsto che si proceda alla revisione della disciplina vigente in materia di avvalimento, imponendo – per quanto qui interessa – che il contratto di avvalimento indichi nel dettaglio le risorse e i mezzi prestati, con particolare riguardo ai casi in cui l'oggetto di avvalimento sia costituito da certificazioni di qualità o certificati attestanti il possesso di adeguata organizzazione imprenditoriale ai fini della partecipazione alla gara, e prevedendo che non possa essere oggetto di avvalimento il possesso della qualificazione e dell'esperienza tecnica e professionale necessarie per eseguire le prestazioni da affidare (v. art. 1, comma 1, lett. zz), l. n. 11 del 2016). In tal modo, il legislatore ha inteso adeguare la normativa alla giurisprudenza amministrativa e alla prassi decisionale in materia, che – come si vedrà in seguito – esclude che la certificazione di qualità possa formare oggetto di avvalimento.
La certificazione di cui all'art. 87, comma 1,d.lgs. n.50 del 2016 è astrattamente qualificabile come un requisito soggettivo, in quanto attesta uno specifico status dell'imprenditore, che opera in conformità a certi standard internazionali per quanto attiene alla qualità dei processi produttivi della propria azienda. Per tale motivo, secondo la giurisprudenza formatasi sull'art. 43 d.lgs. n. 163 del 2006, la certificazione di qualità, non può costituire elemento oggettivo di valutazione dell'offerta, ai fini della determinazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, non essendo consentita la commistione fra requisiti soggettivi di partecipazione e requisiti oggettivi dell'offerta (v. ANAC, parere di precontenzioso n. 201 del 10 novembre 2011; in giurisprudenza, v.: Cons. St., Sez. V, 7 aprile 2009,n. 2147). In coerenza con la natura di requisito soggettivo, nel caso di raggruppamenti di imprese, la certificazione di qualità deve essere posseduta singolarmente da ciascuna impresa, a meno che non risulti che la certificazione richiesta sia incontestabilmente riferita solo ad una parte delle prestazioni, eseguibili da alcune soltanto delle imprese associate (v.: ANAC, parere di precontenzioso n. 114 del 21 maggio 2014; Id., parere di precontenzioso n. 206 del 19 dicembre 2012; in giurisprudenza, v.: Cons. St., Sez. V, 30 maggio 2005, n. 2765; Id., Sez. V, 25 luglio 2006, n. 4668). La facoltà di richiedere, ai fini della partecipazione alla gara, il possesso della certificazione di qualità è generalmente riconosciuta alle stazioni appaltanti in virtù della discrezionalità che connota la loro attività, con l'avvertenza che sono ritenuti legittimi i requisiti richiesti dalla lex specialis che, pur essendo ulteriori e più restrittivi di quelli previsti dalla legge, rispettino il limite della logicità, della ragionevolezza e siano pertinenti e congrui rispetto all'oggetto del contratto. Secondo la prassi decisionale dell'ANAC, la clausola della lex specialis rispetta i predetti limiti qualora la certificazione di qualità richiesta sia riferita al settore oggetto dell'affidamento e rifletta l'esigenza di affidare l'appalto a un soggetto pienamente qualificato, anche in considerazione della peculiare natura degli utenti. Sull'interpretazione di tale requisito, tuttavia, si registra una divergenza tra l'orientamento dell'ANAC, che appare più rigoroso, e quello della giurisprudenza amministrativa, che tende a favorire la partecipazione alle gare, limitando il potere delle stazioni appaltanti di introdurre clausole escludenti.
Non sorgono dubbi, viceversa, sulla possibilità di documentare il possesso della certificazione di qualità mediante dichiarazione sostitutiva di certificazione, resa ai sensi dell'art. 46 d.P.R.n. 445 del 2000 ovvero con dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà da rendersi ai sensi del combinato disposto degli artt. 47, comma 1, e 38, comma 3, dello stesso d.P.R. (v.: Cons. St., Sez. V., 9 settembre 2013, n. 4471). È consentito, salva ogni successiva verifica, dichiarare il possesso della certificazione di qualità, quale titolo di “qualificazione tecnica” ai sensi e per gli effetti dell'art. 46, comma 1, lett. n) del d.P.R. citato, senza dover produrre anche la copia della relativa certificazione; peraltro, quand'anche la certificazione di qualità non si ritenesse “titolo” di “qualificazione tecnica”, il possesso della stessa sarebbe comunque certificabile attraverso dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà ai sensi dell'art. 47 sopra citato. La certificazione di qualità non rientra tra le ipotesi di limitazione delle misure di semplificazione, di cui all'art. 49 d.P.R. n. 445/2000 (v: ANAC, parere di precontenzioso n. 180 del 3 novembre 2010; Id., parere di precontenzioso n. 180 del 20 ottobre 2010).
Come si è visto sopra, la certificazione di qualità costituisce requisito soggettivo, poiché essa consiste nell'aver ottemperato a determinate disposizioni normative, preordinate a garantire alla stazione appaltante che l'esecuzione delle prestazioni contrattuali dovute avverrà nel rispetto della normativa in materia di processi di qualità. Conseguentemente, si esclude generalmente l'ammissibilità dell'avvalimento, poiché l'art. 49 d.lgs. n. 163 del 2006 ne circoscrive l'applicazione ai soli requisiti di carattere economico-finanziario e tecnico-organizzativo, ovvero alla certificazione SOA. Nella casistica, tuttavia, occorre distinguere tra certificazioni di qualità relative al sistema produttivo o all'organizzazione (come la ISO 9001), e quelle relative ad uno specifico prodotto o servizio. Nel primo caso, l'avvalimento è sempre escluso, dato che la certificazione può essere utilizzata dalla sola organizzazione nei cui confronti è stata rilasciata dal competente organismo certificatore. Nel secondo caso, invece, può essere ammesso nella misura in cui consista nella messa a disposizione del concorrente di un bene strumentale o di una risorsa dell'impresa ausiliaria.
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