Sanzioni alternative
05 Marzo 2018
Inquadramento
Contenuto in fase di aggiornamento autorale di prossima pubblicazione
L'art. 123, d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (che riproduce, con alcune modifiche, l'art. 245-quater, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, introdotto dal d.lgs. 20 marzo 2010, n. 53, in attuazione della direttiva 2007/66/CE) introduce uno speciale sistema di sanzioni, comminabili dal giudice amministrativo in via alternativa o cumulativa, laddove all'accertamento delle gravi violazioni di cui all'art. 121, comma 1, lett. a), b), c), d), c.p.a., non faccia seguito la dichiarazione di inefficacia del contratto o questa sia temporalmente limitata (artt. 121, comma 4, c.p.a., e art. 123, comma 1, c.p.a.), ovvero qualora non sia stato rispettato il termine dilatorio per la stipula del contratto (art. 123, comma 3, c.p.a.). La previsione di sanzioni alternative alla declaratoria di inefficacia del contratto rappresenta, a ben vedere, una significativa deroga alla logica sequenza procedimentale, che vede l'inefficacia del contratto strettamente connessa all'annullamento dell'aggiudicazione, e da questa dipendente, anche nella prospettiva delle esigenze di semplificazione e concentrazione delle tutele ai fini della loro effettività. Trattasi di rimedi a carattere punitivo, la cui applicazione consegue all'apertura di una autonoma fase, diversa ed eventuale, del processo, in cui il giudice tutela, non già la situazione giuridica soggettiva del ricorrente, ma l'interesse pubblico sottostante alle norme che risultano violate. L'apparato sanzionatorio “alternativo” è configurato attraverso una duplicità di misure afflittive: la prima prevede l'irrogabilità di una sanzione pecuniaria, nei confronti della stazione appaltante; la seconda dispone la riduzione della durata del contratto, «ove possibile». Non hanno, invece, carattere alternativo le sanzioni applicate nelle ipotesi contemplate dal comma 3 dell'art. 123 c.p.a., che, come anticipato, sono disposte, non già in sostituzione di altra pronuncia (di inefficacia del contratto), ma a seguito della mera violazione del tempo di attesa per la sottoscrizione del contratto. In entrambi i casi, l'applicazione delle sanzioni e la relativa commisurazione è imprescindibilmente legata, ai sensi del comma 2, ai criteri (tipici di commisurazione delle misure punitive) della effettività, dissuasività, proporzionalità al valore del contratto, alla gravità della condotta della stazione appaltante e all'opera svolta dalla medesima per eliminare o attenuare le conseguenze della violazione.
La sanzione pecuniaria
La sanzione pecuniaria, il cui importo varia dallo 0,5% al 5% del prezzo di aggiudicazione, è irrogata nei confronti della stazione appaltante in favore del Ministero dell'economia e delle finanze. Il Codice prevede, infatti, che essa sia versata all'entrata del bilancio dello Stato, con imputazione al capitolo 2301, capo 8, «Multe, ammende e sanzioni amministrative inflitte dalle autorità giudiziarie ed amministrative», entro sessanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che la prevede. Decorso infruttuosamente il predetto termine, si applica una maggiorazione pari a un decimo della sanzione per ogni semestre di ritardo.
L'esecuzione della sanzione è demandata al Ministero dell'economia e delle finanze, al quale è comunicata la sentenza che applica la misura sanzionatoria, a cura della segreteria del giudice, entro cinque giorni dalla sua pubblicazione.
Tale tipo di sanzione, non incidendo sull'efficacia del contratto, costituisce l'ipotesi classica per antonomasia di sanzione amministrativa a carattere afflittivo. Diversamente dall'altra misura alternativa prevista dall'art. 123 c.p.a., essa è invero esclusivamente rivolta a punire la stazione appaltante, responsabile della violazione delle norme poste a tutela della libera concorrenza e par condicio, attraverso l'irrogazione di una pena, che non mira alla soddisfazione diretta dell'interesse pregiudicato bensì alla riprovazione giuridica dell'illecito ed alla dissuasione di ulteriori violazioni, in un'ottica finalistica di tutela dell'ordine pubblico.
La riduzione della residua durata del contratto
La riduzione della durata del contratto, graduata da un minimo del 10% ad un massimo del 50% della durata residua alla data di pubblicazione del dispositivo, aggiunge al carattere afflittivo, legato ai criteri imposti dal comma 2 per l'irrogazione di entrambe le misure, un effetto, sia pure indirettamente, ripristinatorio. La misura dovrebbe, infatti, sortire l'effetto pratico di anticipare la data del nuovo bando di gara per la parte del contratto non eseguita, a vantaggio della concorrenza violata. In concreto, tuttavia, essa potrebbe essere non utilmente praticabile o, addirittura, inattuabile. A prescindere dall'ovvia ipotesi di negozi giuridici a breve scadenza, per i quali l'anticipata risoluzione con l'originario aggiudicatario potrebbe essere controproducente per l'interesse pubblico all'ultimazione dei lavori (oltre a non avvantaggiare il ricorrente, che potrebbe anche non avere interesse a subentrare nel contratto per un esiguo periodo di tempo), la decurtazione della permanenza del contratto risulta, indubbiamente, inapplicabile nell'ipotesi contemplata dall'art. 121, comma 2, c.p.a., laddove il contratto, al cospetto di esigenze imperative, resta efficace, nonostante le gravi violazioni di cui al precedente comma 1. Poiché, difatti, il presupposto per l'irrogazione delle sanzioni alternative è la necessità di non privare, totalmente o parzialmente, il contratto dei propri effetti, se si ragionasse diversamente, dovrebbe ammettersi che il giudice possa paradossalmente, da un lato, mantenere inalterati gli effetti del contratto e, dall'altro, incidere ex nunc sulla sua efficacia, riducendone – a titolo sanzionatorio – la durata. I presupposti di irrogazione delle sanzioni alternative
Le sanzioni alternative possono essere irrogate nei seguenti casi: a) se si commettono le gravi violazioni indicate dall'art. 121, comma 1, c.p.a. e il contratto sia considerato efficace per esigenze imperative connesse alla tutela di un interesse generale. L'identificazione di siffatte esigenze risulta totalmente svincolata da parametri predeterminati, limitandosi il Codice del processo amministrativo a prevedere, a titolo esemplificativo, ipotesi di carattere tecnico o di altro tipo, tali da rendere evidente che i residui obblighi contrattuali possano essere rispettati solo dall'esecutore attuale; nonché ipotesi in cui l'inefficacia del contratto conduca a conseguenze sproporzionate dal punto di vista economico, avuto anche riguardo alla mancata proposizione della domanda di subentro nel contratto, nei casi in cui il vizio dell'aggiudicazione non comporti l'obbligo di rinnovare la gara.
In assenza di dirimenti elementi ermeneutici la “generalità” dell'interesse pare non coincidere con l'interesse meramente “pubblico”, contemplando piuttosto le posizioni giuridiche indifferenziatamente facenti capo alla collettività sostanziate, ad esempio, dall'interesse alla realizzazione di una particolare opera pubblica ovvero alla prestazione di un servizio. L'interesse generale, che impone il mantenimento del contratto, sembra, in altri termini, coincidere con gli interessi superiori che, ai sensi dell'art. 2933, comma 2, c.c., si collegano alle esigenze della “economia nazionale”, tra le quali la realizzazione di tutte le opere pubbliche e private ritenute strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese.
Non costituiscono, invece, ipotesi di esigenze imperative quelle legate ai meri interessi economici, ovvero agli eventuali costi derivanti dal ritardo nell'esecuzione del contratto, alla necessità di indire una nuova procedura di evidenza pubblica, al cambio dell'operatore ed agli obblighi di legge risultanti dalla dichiarazione di inefficacia.
b) se, nonostante le violazioni di cui al comma 1 dell'art. 121, l'inefficacia del contratto è temporalmente limitata. Nell'esercizio del potere di declaratoria di inefficacia del contratto, il giudice può statuire in merito alla relativa decorrenza temporale, sulla scorta di un bilanciamento degli interessi in gioco effettuato in conformità ad una serie di criteri piuttosto elastici, che gli attribuiscono una discrezionalità assai ampia, pur se temperata dalle deduzioni delle parti processuali. L'eventualità di una congiunta applicazione delle sanzioni di che trattasi si astringe, in questo caso, alla sola misura pecuniaria. Ed invero, poiché la sanzione alternativa scatta allorché il contratto non possa essere privato degli effetti (parzialmente o totalmente), la pronunzia del giudice, sostitutiva dell'inefficacia del contratto, non potrà essere dello stesso tipo di quella che si è deciso di non adottare.
c) se è stato violato il termine dilatorio di stipula del contratto, ovvero la regola dello stand still processuale. Come anticipato, l'art. 123, comma 3, c.p.a., punisce la violazione dello stand still anche quando il ricorrente non sia stato privato della possibilità di ottenere l'affidamento e di avvalersi dei mezzi di tutela giurisdizionale. Originariamente, lo schema del decreto legislativo adottato ai fini del recepimento della direttiva ricorsi prevedeva l'applicazione delle sanzioni alternative per il mancato rispetto del termine dilatorio, a condizione che l'aggiudicazione fosse risultata illegittima per vizi propri. Il Consiglio di Stato(Cons. St., Comm. Spec., parere, 25 gennaio 2010, n. 368) ha, invece, suggerito di modificare il testo nella versione poi approvata, evidenziando che la soluzione prospettata si poneva in evidente contrasto con l'art. 2-sexies della direttiva ricorsi, il quale disciplina la sola violazione del termine dilatorio, anche in assenza di altri vizi dell'aggiudicazione e del concreto effetto della violazione sulle possibilità di avvalersi di mezzi di ricorso prima della stipulazione del contratto. Dunque, la violazione della clausola di stand still, in sé considerata, ovvero senza che concorrano vizi propri dell'aggiudicazione, non comporta l'annullamento dell'aggiudicazione o l'inefficacia del contratto, ma determina l'irrogazione delle sanzioni alternative (Cons. St., Sez. VI, 21 febbraio 2017, n. 775[.1] ; TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, 18 aprile 2013, n. 363). È da sottolineare che la disposizione dell'art. 123, comma 3, c.p.a., può riguardare anche casi nei quali la violazione del termine dilatorio (che non abbia neutralizzato la tutela giurisdizionale e la possibilità di ottenere l'affidamento) sia accompagnata da vizi propri dell'aggiudicazione. In tal caso, qualora il giudice disponga il mantenimento del contratto, troverà applicazione, oltre al già menzionato art. 123, comma 3, anche l'art. 122 c.p.a. (inefficacia del contratto negli altri casi).
[.1]Sentenza inserita in fase di aggiornamento della bussola. L'identità tra il soggetto che propone le sanzioni alternative (che possono essere irrogate anche direttamente in sede di appello, rimanendo, dunque, non giustiziabili) e quello che la dispone ha sollevato dubbi di legittimità costituzionale già in sede di primo commento al codice del processo amministrativo.
Il giudice è tenuto ad applicare le sanzioni alternative nel rispetto del principio del contraddittorio. Ciò non implica, tuttavia, che egli debba necessariamente fissare un'ulteriore udienza pubblica. Se, da un lato, la norma nulla specifica in ordine a detta possibilità, si deve, dall'altro, rilevare che lo stesso art. 123, comma 2, c.p.a., richiama l'applicazione dell'art. 73, comma 3, c.p.a.: in tale situazione, il giudice – nel caso di decisione di una questione rilevata d'ufficio che sia fondamentale per la soluzione della controversia – sembra, quindi, tenuto ad indicare la questione in udienza «dandone atto a verbale» e «se la questione emerge dopo il passaggio in decisione, il giudice riserva quest'ultima e con ordinanza assegna alle parti un termine non superiore a trenta giorni per il deposito di memorie». Pur nel silenzio del testo legislativo, imprescindibile risulta l'assegnazione di un “termine a difesa”, indipendentemente dal momento in cui l'applicabilità delle sanzioni venga in considerazione (prima o dopo che la controversia sia trattenuta in decisione). Ed invero, a meno di voler ammettere che – anteriormente alla definizione del giudizio – la tutela del contraddittorio si debba risolvere esclusivamente nell'enunciazione verbalizzata dell'intendimento di applicare le misure sanzionatorie di che trattasi, sembra necessario che il giudice, nel consentire la presentazione di scritti difensivi, assegni alle parti costituite il medesimo lasso temporale (trenta giorni) previsto nel caso in cui l'insorgenza della questione avvenga successivamente al momento in cui la controversia è stata trattenuta in decisione.
Il giudice irroga le sanzioni alternative parametrandole sulla personalità del trasgressore: oltre che effettive e dissuasive, le sanzioni devono, infatti, essere proporzionate al valore del contratto ed alla gravità della condotta dell'amministrazione aggiudicatrice, anche in relazione all'opera da essa svolta per l'eliminazione e/o attenuazione delle conseguenze della violazione.
Il che induce a ritenere necessario l'esperimento di una specifica attività istruttoria, diversa da quella condotta nella fase processuale tesa a sindacare la legittimità degli atti di aggiudicazione, che sia funzionale all'illustrazione della complessiva condotta della stazione appaltante e dell'eventuale suo ravvedimento operoso, sì da consentire una congrua quantificazione delle sanzioni.
La giurisdizione sulle sanzioni alternative
L'art. 133 c.p.a. conferma la giurisdizione esclusiva amministrativa sulle controversie in materia di affidamento dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, con estensione a quelle sulla sorte del contratto e sulle sanzioni alternative. Il decreto correttivo del codice del processo amministrativo (d.lgs. 15 novembre 2011, n. 195), a sua volta, ha incluso le controversie in materia di sanzioni alternative alla pronuncia di inefficacia del contratto nell'ambito della giurisdizione di merito del giudice amministrativo, provvedendo ad ampliare ed integrare la lettera c) dell'art. 134 c.p.a.
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