Requisiti: Assenza di condanne penali

Viviana Di Iorio
31 Gennaio 2017

Il requisito dell'assenza di condanne penali per la partecipazione alle gare pubbliche è attualmente disciplinato dall'art. 80 del nuovo “Codice dei contratti pubblici” (di cui al d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50), rubricato “Motivi di esclusione”, che ha recepito l'art. 57 della direttiva 2014/24/UE.
Inquadramento

Contenuto in fase di aggiornamento autorale di prossima pubblicazione

Il requisito dell'assenza di condanne penali per la partecipazione alle gare pubbliche è attualmente disciplinato dall'art. 80 del nuovo “Codice dei contratti pubblici” (di cui al d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50), rubricato “Motivi di esclusione”, che ha recepito l'art. 57 della direttiva 2014/24/UE.

Il requisito era già contemplato dall'art. 38, comma 1, lett. c), d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, che inibiva la partecipazione alle gare pubbliche a coloro gravati da una condanna definitiva (a cui erano espressamente equiparati la c.d. sentenza di patteggiamento e il decreto penale irrevocabile) per reati gravi incidenti sulla moralità professionale. Alla misura ivi prevista è stata attribuita natura cautelare (in aggiunta a quanto già disposto dall'art. 32-ter c.p., che prevede, per alcuni reati di particolare gravità, la pena accessoria dell'incapacità a contrarre con la pubblica amministrazione) avente lo scopo di evitare la stipulazione di contratti con soggetti inaffidabili poiché responsabili di condotte illecite, reputate incompatibili con la realizzazione di progetti d'interesse collettivo e con l'esborso di denaro pubblico (cfr. AVCP, determinazione 12 gennaio 2010, n. 1).

Le condanne precedentemente integranti l'assenza del requisito di moralità erano di due tipi: (i) quelle per uno o più reati di partecipazione a un'organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all'articolo 45, paragrafo 1, direttiva 2004/18/CE, determinanti l'esclusione automatica dalla procedura di evidenza pubblica, senza alcun margine di valutazione della stazione appaltante; e (ii) quelle per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità incidenti sulla moralità professionale, la cui rilevanza ai fini dell'esclusione era rimessa al giudizio discrezionale dell'amministrazione aggiudicatrice [art. 45, paragrafo 2, lett. c)].

Nel recepire le disposizioni comunitarie allora vigenti, il legislatore nazionale ha seguito un criterio più rigoroso, inserendo come causa di esclusione obbligatoria non solo le condanne definitive per reati di partecipazione a un'organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio (tale anche nell'art. 45, paragrafo 1), ma anche quelle per reati incidenti sulla moralità professionale [disposta come facoltativa dall'art. 45, paragrafo 2, lett. c)].

In relazione ai settori speciali, invece, l'art. 54 della direttiva 2004/17/CE aveva previsto che gli enti aggiudicatori erano tenuti a fissare criteri di selezione oggettivi e resi disponibili agli operatori economici interessati; tali criteri potevano comprendere quelli di esclusione elencati all'art. 45 della direttiva 2004/18/CE, ma dovevano includere le cause di esclusione obbligatorie ivi previste se l'ente aggiudicatore era un'amministrazione pubblica. In attuazione del suddetto art. 54, l'art. 206, d.lgs. n. 163 del 2006 disponeva l'applicazione dell'art. 38 del medesimo d.lgs. ai soggetti indicati al successivo art. 207 come destinatari della normativa sui settori speciali (ossia amministrazioni aggiudicatrici o imprese pubbliche svolgenti una delle attività di cui agli artt. da 208 a 213 e soggetti che, non essendo amministrazioni aggiudicatrici o imprese pubbliche, annoveravano tra le loro attività una tra quelle di cui agli artt. da 208 a 213 e operanti in virtù di diritti speciali o esclusivi concessi loro dall'autorità competente).

I tracciati riferimenti eurounitari sono mutati per effetto dell'entrata in vigore della direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici (che abroga la direttiva 2004/18/CE), della direttiva 2014/25/UE sulle c.d. utilities (che abroga la direttiva 2004/17/CE) e della direttiva 2014/23/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione.

La (nuova) disciplina eurounitaria di riferimento

In merito all'assenza di condanne penali, l'art. 57 della direttiva 2014/24/UE(appalti nei settori ordinari) indica tra le condanne definitive che determinano l'esclusione dalle gare pubbliche, oltre a quelle per reati di partecipazione a un'organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti ivi citati, anche quelle per «corruzione come definita nel diritto nazionale dell'amministrazione aggiudicatrice o dell'operatore economico», per reati terroristici o connessi alle attività terroristiche (inclusi il finanziamento del terrorismo) e per reati riguardanti il lavoro minorile e altre forme di tratta di esseri umani. L'obbligo di escludere un operatore economico si applica anche nel caso in cui la persona condannata definitivamente è un membro del consiglio di amministrazione, di direzione o di vigilanza o è un soggetto con poteri di rappresentanza, di decisione o di controllo. L'esclusione è obbligatoria, ma (art. 57, paragrafo 3) gli Stati membri possono prevedere, in via eccezionale, una deroga per esigenze imperative connesse a un interesse generale, quale la salute pubblica o la tutela dell'ambiente. Inoltre, l'operatore economico può fornire prove del fatto che le misure da lui adottate sono sufficienti a dimostrare la sua affidabilità nonostante l'esistenza di un motivo di esclusione e, se dette prove sono ritenute sufficienti, non essere escluso dalla gara (art. 57, paragrafo 6). A tal fine, l'operatore economico dimostra di avere risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato, di avere chiarito i fatti e le circostanze in modo globale collaborando attivamente con le autorità investigative e di avere adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale, idonei a prevenire ulteriori reati. Le misure adottate dagli operatori economici sono valutate considerando la gravità e le particolari circostanze del reato e, se ritenute insufficienti, l'amministrazione deve motivare le ragioni della sua scelta. Sulle descritte misure e sulla loro valutazione, il considerando n. 102 della direttiva afferma che occorre lasciare agli Stati membri la facoltà di determinare le esatte condizioni sostanziali e procedurali applicabili e che essi dovrebbero essere liberi, in particolare, di decidere se consentire alle singole amministrazioni aggiudicatrici di effettuare le pertinenti valutazioni o affidare tale compito ad altre autorità a livello centrale o decentrato. Un operatore economico escluso con sentenza definitiva dalla partecipazione alle procedure di appalto o di aggiudicazione delle concessioni non è autorizzato ad avvalersi di tale possibilità nel corso del periodo di esclusione derivante dalla pronuncia negli Stati membri in cui essa è effettiva. Gli Stati membri, infine, determinano il periodo massimo di esclusione nel caso in cui l'operatore economico non adotti nessuna misura di cui al citato paragrafo 6 per dimostrare la sua affidabilità e, se il periodo di esclusione non è stato fissato con sentenza passata in giudicato, esso non supera i cinque anni dalla data della condanna definitiva.

Analoghe disposizioni sono previste dalla direttiva 2014/23/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione (art. 38, ma vedi anche considerando nn. 69 e 71). Ai sensi dell'art. 38, comma 4, la causa di esclusione de qua è obbligatoria per le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori di cui all'art. 7, paragrafo 1, lett. a) (ossia lo Stato, le autorità regionali o locali, gli organismi di diritto pubblico o le associazioni costituite da uno o più di tali autorità o da uno o più di tali organismi di diritto pubblico), mentre per gli enti aggiudicatori diversi [ossia, ai sensi dell'art. 7, paragrafo 1, lett. b) e c), le imprese pubbliche e gli enti diversi operanti sulla base di diritti speciali o esclusivi ai fini dell'esercizio di una delle attività di cui all'allegato II] è facoltativa.

La direttiva 2014/25/UE sulle c.d. utilities (settori speciali) dispone, invece, che il criterio di esclusione dell'assenza di condanne penali, come disciplinato dall'art. 57, paragrafo 1, della direttiva 2014/24/UE è imposto se l'ente aggiudicatore è un'amministrazione aggiudicatrice. Nei casi in cui gli enti aggiudicatori sono tenuti ad applicare o scelgono di applicare i criteri di esclusione di cui alla direttiva sugli appalti pubblici, devono rispettare le condizioni ivi indicate, inclusa la possibilità che gli operatori economici adottino misure volte a porre rimedio alle conseguenze di reato e a impedire che si verifichino di nuovo (cfr. considerando nn. 105 e 107 e art. 80 della direttiva 2014/25/UE).

La disciplina del nuovo codice

L'art. 80 del d.lgs. n. 50 del 2016, nel recepire l'art. 57 della direttiva 2014/24/UE, disciplina attualmente, tra le varie cause di esclusione, anche quella relativa all'assenza di condanne penali. La disposizione tiene conto, oltre che della menzionata direttiva, anche della normativa nazionale in materia, con particolare riguardo all'art. 39 d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito nella l. 11 agosto 2014, n. 114 e al codice delle leggi antimafia, di cui al d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159.

Il comma 1 dell'art. 80 dispone che costituisce motivo di esclusione di un operatore economico dalla partecipazione a una procedura d'appalto o di concessione la condanna con sentenza definitiva ovvero con decreto penale di condanna divenuto irrevocabile ovvero ancora con sentenza di applicazione della pena su richiesta della parti, ai sensi dell'art. 444 c.p.p., anche riferita a un suo subappaltatore (nei casi di necessaria indicazione della terna di subappaltatori di cui all'art. 105, comma 6, d.lgs. n. 50 del 2016) per una serie di reati specificati nell'elenco sub lettere dalla a) alla g). Volendo semplificare l'elenco di reati indicati, il codice richiama:- delitti di stampo associativo [lett. a)]; - numerosi delitti contro la pubblica amministrazione relativi a fenomeni di concussione, corruzione e frode [lett. b)]; - frode ai sensi dell'art. 1 della convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee [lett. c)]; - delitti terroristici o connessi ad attività terroristiche [lett. d)]; - delitti di riciclaggio [lett. e)]; - reati in materia di lavoro minorile e altre forme di tratta di esseri umani, definite con d.lgs. 4 marzo 2014, n. 24 [lett. f)]; - ogni altro delitto da cui derivi, quale pena accessoria, l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione [lett. g)].

In evidenza

Diversamente dalla precedente disposizione dell'art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006, la norma non contiene più una clausola generale di riferimento a tutti i reati incidenti sulla moralità professionale, ma elenca specifiche fattispecie di reato rilevanti. L'unica clausola generale è data dalla richiamata lett. g), relativa a ogni altro delitto da cui derivi, quale pena accessoria, l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione; in proposito, il successivo comma 10 precisa che, se la sentenza di condanna definitiva non fissa la durata della pena accessoria ovvero non sia intervenuta riabilitazione, tale durata è pari a cinque anni, salvo che la pena principale sia di durata inferiore, e in tale caso è pari alla durata della pena principale.

La causa di esclusione, al pari delle altre previste nell'art. 80, non si applica alle aziende o società sottoposte a sequestro o confisca ai sensi dell'articolo 12-sexies del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, nella l. 7 agosto 1992, n. 356 o degli artt. 20 e 24 del d.lgs. n. 159 del 2011, ed affidate ad un custode o amministratore giudiziario o finanziario, limitatamente a quelle riferite al periodo precedente al predetto affidamento. Si tratta, nel primo caso, della speciale ipotesi di cd. confisca allargata o per sproporzione, misura di sicurezza atipica connessa all'accertamento dell'esistenza di una sproporzione tra il valore economico dei beni di cui il condannato (per i reati ivi elencati) ha la disponibilità e il reddito da lui dichiarato o i proventi della sua attività economica, laddove non risulti una plausibile giustificazione sulla lecita provenienza dei beni; nel secondo caso, del sequestro e della confisca incluse nelle speciali misure di prevenzione patrimoniali del codice delle leggi antimafia.

Il comma 14 prevede, infine, che non possono essere affidatari di subappalti né stipulare i relativi contratti i soggetti per i quali ricorrano i motivi di esclusione previsti dall'art. 80.

Per quanto riguarda gli appalti nei settori speciali, l'art. 133 d.lgs. n. 50 del 2016 stabilisce che per la selezione dei partecipanti e delle offerte si applicano, per quanto compatibili, anche le disposizioni di cui all'art. 80, mentre l'art. 136 d.lgs. n. 50 del 2016 precisa che le norme e i criteri oggettivi per l'esclusione e la selezione degli operatori economici che richiedono di essere qualificati in un sistema di qualificazione e le norme e i criteri oggettivi per l'esclusione e la selezione dei candidati e degli offerenti nelle procedure aperte, ristrette o negoziate, nei dialoghi competitivi oppure nei partenariati per l'innovazione possono includere i motivi di esclusione di cui all'art. 80 alle condizioni stabilite in detto articolo; laddove l'ente aggiudicatore sia un'amministrazione aggiudicatrice, tali criteri e norme comprendono i criteri di esclusione di cui all'art. 80 alle condizioni stabilite in detto articolo.

Ambito soggettivo di applicazione della norma

L'art. 80 indica i soggetti che devono possedere il requisito de quo per la partecipazione dell'operatore economico alle gare pubbliche.

Ai sensi del comma 3, l'esclusione deve essere disposta allorché la sentenza o il decreto siano stati emessi nei confronti: del titolare o del direttore tecnico, se si tratta di impresa individuale; di un socio o del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; dei soci accomandatari o del direttore tecnico, se si tratta di società in accomandita semplice; dei membri del consiglio di amministrazione cui sia stata conferita la legale rappresentanza, di direzione o di vigilanza o dei soggetti muniti di poteri di rappresentanza, di direzione o di controllo, del direttore tecnico o del socio unico persona fisica, ovvero del socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci, se si tratta di altro tipo di società o consorzio.

Secondo la giurisprudenza, l'espressione “socio di maggioranza” [già contenuta nell'art. 38, comma 1, lett. c)] deve intendersi riferita anche al socio persona giuridica (Cons. St., Sez. V, 23 giugno 2016, n. 2813). Al fine di garantire che il requisito di moralità sussista in capo al soggetto che, in ragione della quota, è in grado di incidere sulla gestione societaria, l'Adunanza plenaria, 6 novembre 2013, n. 24 ha specificato che nel caso di società costituita da due soci, ciascuno detentore del 50% del capitale sociale, entrambi devono possederlo, atteso che il socio paritario è comunque in grado di paralizzare le scelte dell'altro socio e di condizionare così la gestione sociale. Diversamente, nell'ipotesi di società con tre soci, di cui uno almeno al 50%, soltanto per esso va resa la dichiarazione, in quanto unico soggetto in grado di influenzare le decisioni della società. L'obbligo di rendere la dichiarazione non è invece configurabile per i tre soci se il capitale sociale è ripartito in quote uguali o comunque in maniera tale che nessuno eserciti un potere condizionante, in quanto imprescindibile per l'assunzione delle decisioni.

ANAC, Comunicato del Presidente del 26 ottobre 2016

Con il documento richiamato, l'ANAC ha fornito i primi chiarimenti concernenti l'ambito soggettivo di applicazione dell'art. 80, comma 1. Secondo l'Autorità, l'espressione «membri del consiglio di amministrazione cui sia stata conferita la legale rappresentanza, di direzione o di vigilanza» deve essere interpretata tenendo conto dei diversi sistemi di amministrazione e controllo delle società di capitali, come disciplinati dal c.c. a seguito della riforma recata dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6; in tale ottica, la sussistenza del requisito di cui all'art. 80, comma 1, deve essere verificata in capo:

i) ai membri del consiglio di amministrazione cui sia stata conferita la legale rappresentanza, nelle società con sistema di amministrazione tradizionale, di cui agli artt. 2380-bis e ss. c.c., e monistico, ex art. 2409-sexiesdecies c.c. (ossia presidente del consiglio di amministrazione, amministratore unico, amministratori delegati anche se titolari di una delega limitata a determinate attività ma che per tali attività conferisca poteri di rappresentanza);

ii) ai membri del collegio sindacale nelle società con sistema di amministrazione tradizionale e ai membri del comitato per il controllo sulla gestione nelle società con sistema di amministrazione monistico;

iii) ai membri del consiglio di gestione e ai membri del consiglio di sorveglianza, nelle società con sistema di amministrazione dualistico, disciplinato dagli artt. 2409-octies e ss. c.c.

Inoltre, stando al comunicato, il requisito in esame deve sussistere anche in capo ai «soggetti muniti di poteri di rappresentanza, di direzione o di controllo», intendendosi per tali i soggetti che, benché non siano membri degli organi sociali di amministrazione e controllo, risultino muniti di poteri di rappresentanza (come gli institori e i procuratori ad negotia), di direzione (come i dipendenti o i professionisti ai quali siano stati conferiti significativi poteri di direzione e gestione dell'impresa) o di controllo (come il revisore contabile e l'organismo di vigilanza di cui all'art. 6 d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, cui sia affidato il compito di vigilare sul funzionamento e sull'osservanza dei modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati).

In caso di affidamento del controllo contabile a una società di revisione, la verifica del possesso del requisito di cui all'art. 80, comma 1, non deve essere condotta sui membri degli organi sociali della società di revisione, trattandosi di soggetto giuridico distinto dall'operatore economico concorrente cui vanno riferite le cause di esclusione.

La nuova formulazione della disposizione, intesa come indicato dall'ANAC, potrebbe quindi condurre al superamento delle incertezze interpretative riguardanti la figura del procuratore ad negotia su cui a lungo ha discusso la giurisprudenza.

Orientamenti a confronto

Secondo la tesi sostanzialista erano equiparabili agli amministratori, e pertanto tenuti a rendere la dichiarazione, tutti coloro che svolgevano un ruolo significativo nella gestione societaria e, quindi, anche i procuratori ad negotia ai quali erano conferiti poteri decisionali e di rappresentanza sostanziale.

La tesi intermedia reputava, invece, necessaria una indagine caso per caso al fine di vagliare se, al di là del ruolo formalmente ricoperto, il procuratore ad negotia avesse poteri tali da essere qualificabile come amministratore di fatto.

La tesi formalista affermava, infine, che l'obbligo dichiarativo era imposto ai soli amministratori muniti di rappresentanza e ai direttori tecnici, in quanto l'art. 38, comma 1, lett. c), poiché limitativo della partecipazione alle gare pubbliche e della libertà di iniziativa economica, doveva intendersi come norma eccezionale insuscettibile di applicazione analogica ai soggetti non espressamente indicati.

La soluzione fornita da Cons. St., Ad. plen., 16 ottobre 2013, n. 23

L'accertamento dei requisiti di moralità doveva riguardare soltanto coloro per i quali vi era la compresenza della qualità di amministratore e del potere di rappresentanza e non era suscettibile di interpretazione estensiva, sicché le dichiarazioni non erano dovute dal procuratore e dall'institore, non amministratori. Il bando di gara poteva però prevedere – a pena di esclusione – che le dichiarazioni fossero rese anche dai procuratori muniti di poteri decisionali di particolare ampiezza, ossia tali da poter essere configurati quali amministratori di fatto ai sensi dell'art. 2639, comma 1, c.c. Qualora neppure il bando prevedeva l'onere per il “procuratore-amministratore di fatto” di rendere le dichiarazioni, l'amministrazione poteva disporre l'esclusione se risultava in concreto l'assenza del requisito e non per la sola mancanza delle dichiarazioni (analogamente, v. anche Cons. St., Sez. III, 17 novembre 2015, n. 5240; Id., 27 ottobre 2016, n. 4514).

Orientamento difforme

Altra giurisprudenza (Cons. St., Sez. IV, 22 dicembre 2014, n. 6284) si era, tuttavia, discostata dagli arresti della citata Adunanza plenaria, affermando che la figura dell'institore, a prescindere dalla verifica in concreto dell'esistenza dei poteri dell'amministratore di fatto, «si caratterizza per una preposizione che conferisce ampia rappresentanza al fine di compiere tutti gli atti di amministrazione dell'impresa o del settore ad esso affidato» (nel caso di specie, si trattava di un institore avente una delega nelle materie della sicurezza sul lavoro e dell'ecologia, ritenute dal Collegio «particolarmente pertinenti in tema di realizzazione di opere pubbliche, riguardando profili di ampio impatto sul territorio e sulla collettività») e che, di conseguenza, gravava anche su di esso l'obbligo di rendere la dichiarazione.

La persistente validità dell'orientamento dell'Adunanza plenaria sarà essenzialmente legata al rilievo che verrà attribuito al riferimento ai “soggetti” muniti di poteri di rappresentanza, di direzione o di controllo, che, se inteso nel senso di includere anche i procuratori, comporterà l'obbligo ex lege per gli stessi di possedere il requisito, a prescindere da una espressa previsione nel bando di gara.

In merito alle modalità della dichiarazione, nel citato comunicato ANAC è chiarito che il possesso del requisito deve essere dichiarato dal legale rappresentante dell'impresa concorrente mediante utilizzo del modello di DGUE. La dichiarazione deve essere riferita a tutti i soggetti di cui al comma 3 dell'art. 80, senza prevedere l'indicazione del nominativo, e le stazioni appaltanti ne richiedono l'indicazione alle imprese concorrenti solo al momento della verifica delle dichiarazioni rese.

In ogni caso l'esclusione e il divieto operano anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nell'anno antecedente la data di pubblicazione del bando di gara.

L'impresa concorrente può però evitare l'esclusione dimostrando la “completa ed effettiva dissociazione” dalla condotta di reato. L'espressione è la medesima utilizzata nell'art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006, nella versione risultante dalle modifiche apportate dal d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito nella l. 12 luglio 2011, n. 106, mentre in precedenza la disposizione faceva, invece, riferimento all'«adozione di atti o misure di completa dissociazione». Secondo l'AVCP (determinazione del 16 maggio 2012, n. 1) la diversa formulazione della norma sarebbe sintomatica della volontà del legislatore di distinguere, in un'ottica sostanzialista, tra la prova dell'intervenuta, effettiva e completa, dissociazione e la formale adozione di atti e misure a ciò destinati. L'onere di fornire la prova grava sull'operatore economico e, a titolo esemplificativo, possono essere considerati indici rivelatori dell'effettività della dissociazione: l'estromissione del soggetto dalla compagine sociale e/o da tutte le cariche sociali con la prova concreta che non vi sono collaborazioni in corso, il licenziamento e il conseguente avvio di un'azione risarcitoria, la denuncia penale. Tuttavia, secondo la richiamata visione sostanzialista, in relazione allo specifico caso concreto, l'avvio di un'azione risarcitoria o la denuncia penale potrebbero non essere necessari per dimostrare l'effettiva dissociazione, ma, al contrario, potrebbero non essere sufficienti qualora ne emerga un carattere meramente formale.

In evidenza

Con riferimento all'amministratore cessato di una impresa di costruzioni, una recente giurisprudenza, pur riconoscendo il compimento di attività costituenti indice della dissociazione, ha affermato la legittimità dell'esclusione disposta dalla stazione appaltante per omessa spontanea dichiarazione del passaggio in giudicato della sentenza di condanna intervenuto dopo la dichiarazione sulla sussistenza dei requisiti di moralità, ma prima dell'aggiudicazione (Cons. St., Sez. IV, n. 6284 del 2014, cit.; ma cfr. anche TRGA, Bolzano, 27 agosto 2015, n. 270, sulla quale pende giudizio di appello, che fonda tale obbligo dichiarativo sul dovere di leale collaborazione e correttezza nei confronti della stazione appaltante).

Cons. St., Sez. VI, ord., 21 marzo 2016, n. 1160

Il Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea la questione pregiudiziale sulla compatibilità con l'art. 45, paragrafi 2, lett. c) e g), e 3, lett. a), direttiva 2004/18/CE e, in generale, con i principi di diritto eurounitario in materia di appalti pubblici, dell'art. 38, comma 1, lett. c), d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, nella parte in cui estende il contenuto dell'obbligo dichiarativo sull'assenza di sentenze definitive di condanna, ivi comprese le sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell'art. 444 c.p.p., ai soggetti cessati dalle cariche sociali nell'anno antecedente la pubblicazione del bando e configura una correlativa causa di esclusione dalla gara, qualora l'impresa non dimostri che vi sia stata completa ed effettiva dissociazione dalla condotta penalmente sanzionata, rimettendo alla discrezionalità della stazione appaltante una valutazione sull'integrazione della condotta dissociativa che le consenta di introdurre a carico dell'impresa, su un piano effettuale, a pena di esclusione dalla gara, i) oneri informativi e dichiarativi relativi a vicende penali non ancora definite con sentenza irrevocabile, ii) oneri di dissociazione spontanea indeterminati quanto alla tipologia delle condotte scriminanti, al relativo riferimento temporale (anche anticipato rispetto al momento di irrevocabilità della sentenza penale) e alla fase della procedura in cui devono essere assolti e iii) oneri di leale collaborazione dal contorno indefinito, genericamente fondati sulla clausola di buona fede.

La valutazione di gravità e incidenza del reato in virtù della disciplina previgente

Secondo l'art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006, in disparte le condanne per determinate fattispecie di reato a cui era automaticamente ricollegata l'esclusione dalla procedura di evidenza pubblica, in ogni altra ipotesi la stazione appaltante doveva procedere alla valutazione della gravità del reato e della sua incidenza sulla moralità professionale. Tale verifica era intesa quale espressione di un potere discrezionale della stazione appaltante (cfr. Cons. St., Sez. V, 10 agosto 2016, n. 3578).

Secondo le indicazioni pervenute dall'AVCP (det. n. 1 del 2010), ai fini del giudizio di gravità del reato, occorreva esaminare tutti gli elementi che potevano incidere negativamente sul vincolo fiduciario con l'amministrazione quali, ad esempio, l'elemento psicologico, l'epoca e le circostanze del fatto, il tempo trascorso dalla condanna, le eventuali recidive, il bene leso dal comportamento delittuoso, in relazione anche all'oggetto e alle caratteristiche dell'appalto. Invece, con l'espressione moralità professionale, si intendeva fare riferimento non solo alle competenze professionali ma, in senso più ampio e articolato, alla condotta e alla gestione di tutta l'attività professionale. Infine, doveva trattarsi di reati idonei a ledere, anche mediatamente, interessi di natura pubblicistica.

La stazione appaltante, nell'affermare l'idoneità del reato a integrare la causa di esclusione de qua, doveva fornire adeguata e congrua motivazione. Secondo la giurisprudenza (Cons. St., Sez. III, 3 dicembre 2015, n. 5481), la ragione della scelta dell'ente aggiudicatore poteva desumersi per relationem dai documenti versati in atti, non richiedendosi l'assolvimento di un particolare onere motivazionale, «o con il richiamo implicito al titolo penale acquisito al procedimento amministrativo, attraverso il quale il giudice è comunque posto nelle condizioni di esercitare il controllo nei limiti del sindacato di legittimità estrinseco operabile su valutazioni fiduciarie riservate alla pubblica amministrazione».

Come già evidenziato, nell'art. 80 non è più presente il riferimento ai reati gravi in danno dello Stato o della Comunità incidenti sulla moralità professionale.

Riabilitazione, depenalizzazione ed estinzione del reato, revoca della condanna

Ai fini dell'esclusione dalle gare, non rilevano i reati per i quali sia intervenuta la riabilitazione, l'estinzione o la depenalizzazione del reato o la revoca della condanna. Pertanto, dopo la pronuncia di riabilitazione del condannato (che ai sensi dell'art. 178 c.p. comporta l'estinzione delle pene accessorie e di ogni altro effetto penale della condanna), ovvero dichiarata l'estinzione del reato o revocata dal giudice dell'esecuzione la sentenza di condanna o il decreto penale, o, infine, intervenuta la depenalizzazione del reato, il concorrente non deve più menzionare le relative condanne nella dichiarazione.

Orientamenti a confronto

Secondo la giurisprudenza prevalente l'obbligo dichiarativo non sussiste solo in presenza di provvedimenti formali, annotati nel casellario giudiziale, di estinzione del reato, depenalizzazione, revoca della condanna e riabilitazione (Cons. St., Sez. V, 30 novembre 2015, n. 5403). Ad esempio, con specifico riguardo all'estinzione del reato,la giurisprudenza amministrativa ha affermato che essa non consegue automaticamente al ricorrere di determinati presupposti di legge, ma deve essere dichiarata con un formale provvedimento giurisdizionale. Sono, pertanto, esonerate dalla relativa dichiarazione esclusivamente le condanne per le quali l'estinzione del reato sia stata formalizzata in una pronuncia espressa del giudice dell'esecuzione penale, intervenuta prima del termine di partecipazione alla gara (Cons. St., Sez. V, 18 giugno 2015, n. 3105; Id., 5 settembre 2014, n. 4528; Id., 8 agosto 2014, n. 4253; TAR Sardegna, Sez. I, 4 dicembre 2015, n. 1165; TAR Lazio, Roma, Sez. I-ter, 21 aprile 2016, n. 4627). Da ciò deriva, quindi, la legittimità dell'esclusione del concorrente se per il reato commesso si siano verificate le condizioni per l'estinzione, ma non siano state accertate con una pronuncia espressa del giudice dell'esecuzione.

Si segnala, tuttavia, un orientamento parzialmente difforme, espresso da Cons. St., Sez. V, 13 novembre 2015, n. 5192, per cui in presenza di un reato commesso nella vigenza del precedente c.p.p. (c.d. Codice Rocco, approvato con il R.d. 19 ottobre 1930, n. 1399 e rimasto in vigore fino al 1989) non è strettamente necessaria, ai fini dell'esonero dall'obbligo dichiarativo, una pronuncia formale di estinzione del reato, in quanto ai sensi del previgente art. 578 c.p.p., a differenza dell'attuale disciplina processuale penale che impone solo alla parte di attivarsi in vista della dichiarazione di estinzione, il Tribunale medesimo era obbligato ad attivarsi per la pronuncia di estinzione del reato. L'eventuale inadempimento a tale dovere non può essere addebitato al concorrente, che legittimamente può avervi fatto affidamento, non dichiarando di conseguenza la condanna. La sentenza evidenzia, inoltre, in obiter dictum, che anche alla luce delle norme processuali in vigore, la giurisprudenza penale (Cass. pen., Sez. V, 14 maggio 2015, n. 20068; Id., Sez. un., 30 ottobre 2014-2 gennaio 2015, n. 2) ha sottolineato che quando un determinato effetto giuridico si verifica per decorso inattivo del tempo, esso si realizza ope legis nel momento in cui maturano le condizioni cui l'effetto è condizionato. Da ciò si assume che il provvedimento dichiarativo dell'estinzione, successivo e ricognitivo di un effetto già verificatosi, resta estraneo ai fini dell'estinzione del reato, «nel mentre l'automatismo degli effetti dell'estinzione del reato si pone in coerenza con i principi comunitari di ragionevole durata dei processi, sollecita definizione e di minor sacrificio esigibile, evincibili dagli articoli 5 e 6 CEDU».

L'obbligo dichiarativo è imposto anche per le condanne per cui l'interessato abbia beneficiato della non menzione (v. TAR Lazio, Roma, Sez. I, 31 maggio 2016, n. 6399).

Oltre alle descritte cause estintive, si deve, infine, ricordare che, ai sensi del comma 10 dell'art. 80, se la sentenza di condanna definitiva che dispone la sanzione accessoria dell'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione non fissa la durata della pena accessoria ovvero non sia intervenuta riabilitazione, tale durata è pari a cinque anni, salvo che la pena principale sia di durata inferiore, e in tale caso è pari alla durata della pena principale.

Il c.d. “self-cleaning”

L'art. 80 d.lgs. n. 50 del 2016 introduce, tra gli elementi di novità, ai commi 7 e 8, l'istituto del c.d. “self-cleaning”, che consente all'operatore economico o al subappaltatore di dimostrare alla stazione appaltante di essere affidabile, nonostante l'esistenza di motivi di esclusione. In particolare, qualora la sentenza definitiva abbia imposto una pena detentiva non superiore a diciotto mesi ovvero abbia riconosciuto l'attenuante della collaborazione come definita per le singole fattispecie di reato, i predetti soggetti possono provare di aver risarcito o di essersi impegnati a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall'illecito e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti. In tale caso, se la stazione appaltante ritiene che le misure siano sufficienti, l'operatore economico non è escluso della procedura d'appalto; viceversa, dell'esclusione deve essere data motivata comunicazione all'operatore economico. In ogni caso, ai sensi del comma 9, l'operatore economico escluso con sentenza definitiva dalla partecipazione alle procedure di appalto non può avvalersi di detto istituto nel corso del periodo di esclusione derivante dalla sentenza.

Secondo l'ANAC (cfr. “Linee guida n. 6, di attuazione del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50”, approvate con delibera del Consiglio dell'Autorità n. 1293 del 16 novembre 2016, punto 7.3) possono essere considerati idonei a evitare l'esclusione, oltre alla dimostrazione di aver risarcito o essersi impegnato formalmente e concretamente a risarcire il danno causato dall'illecito: - l'adozione di provvedimenti volti a garantire adeguata capacità professionale dei dipendenti, anche attraverso la previsione di specifiche attività formative; - l'adozione di misure finalizzate a migliorare la qualità delle prestazioni attraverso interventi di carattere organizzativo, strutturale e/o strumentale; - la rinnovazione degli organi societari; - l'adozione e l'efficace attuazione di modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi e l'affidamento a un organismo dell'ente, dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo, del compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento; - la dimostrazione che il fatto è stato commesso nell'esclusivo interesse dell'agente oppure eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione o che non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo di controllo.

Casistica: Omessa dichiarazione

L'orientamento dell'Autorità

AVCP, det. n. 1 del 2012

L'art. 38, comma 2, specifica che il concorrente deve dichiarare tutte le condanne penali riportate, ivi comprese quelle per le quali abbia beneficiato della non menzione, con la sola esclusione delle pronunce concernenti un reato che sia stato depenalizzato o dichiarato estinto dopo la condanna, ovvero per le quali sia intervenuta la riabilitazione o la revoca. Spetta, infatti, all'amministrazione il giudizio sulla gravità e rilevanza degli illeciti commessi. Conseguentemente, il concorrente ha l'obbligo di dichiarare tutte le condanne definitive subite (nonché le sentenze di patteggiamento e i decreti penali irrevocabili), non potendo egli effettuare valutazioni autonome e soggettive in ordine alla gravità del reato o alla sua incidenza sulla moralità professionale, perché ciò sottrarrebbe alla stazione appaltante conoscenze indispensabili per delibare in ordine alla decisività dei precedenti ai fini dell'esclusione. Ne discende che, in caso di omessa dichiarazione di condanne riportate, è legittimo il provvedimento di esclusione, non avendo l'amministrazione l'ulteriore obbligo di vagliare la gravità del precedente penale non dichiarato.

ANAC, determinazione 8 gennaio 2015, n. 1

Le conseguenze dell'omessa indicazione delle condanne penali vanno rivalutate alla luce della disciplina del soccorso istruttorio (di cui agli artt. 38, comma 2-bis e, 46, comma 1-ter, del d.lgs. n. 163 del 2006), che mira ad evitare l'esclusione dalla gara per fatti e circostanze di carattere formale. Pertanto, se l'omessa indicazione delle sentenze di condanna avviene secondo modalità che integrano gli estremi di una dichiarazione negativa del concorrente (perché dichiara espressamente di non averne riportate), ma le stesse sussistono, la fattispecie integra gli estremi della falsa dichiarazione, con tutte le implicazioni in termini di non sanabilità e conseguente esclusione del concorrente dalla gara, nonché segnalazione del caso all'Autorità. Diversamente, se la dichiarazione relativa alla presenza delle sentenze di condanna è completamente omessa, ovvero se si dichiara di averne riportate senza indicarle, può essere richiesto rispettivamente di produrla o di indicare le singole sentenze riportate.

Le posizioni espresse dalla giurisprudenza

Secondo un primo orientamento, il concorrente non può autonomamente valutare quali reati considerare rilevanti ai fini della dichiarazione da rendere, secondo il proprio giudizio soggettivo, poiché ciò sarebbe inconciliabile con la discrezionalità rimessa alla stazione appaltante nel giudizio di gravità e incidenza dei reati sulla moralità professionale. Ne consegue che l'omessa dichiarazione delle condanne è in grado di determinare ex se l'esclusione dalla gara, a prescindere dalla verifica in concreto della sussistenza del requisito (Cons. St., Sez. V, 12 ottobre 2016, n. 4219; Id., n. 5403/2015, cit.; Id., 06 marzo 2013, n. 1378; Id., Sez. IV, 1 aprile 2011, n. 2068; TAR Lazio, Roma, Sez. II, 26 ottobre 2016, n. 10598). In virtù di tale orientamento, infatti, a prescindere dal possesso in concreto del requisito di moralità, il valore della completezza delle dichiarazioni in sede di offerta costituisce corollario di principi di matrice eurounitaria come quelli della trasparenza, par condicio tra i partecipanti e proporzionalità (cfr. Cons. St., Sez. III, 6 febbraio 2014, n. 583 e Id., 15 gennaio 2014, n. 123). Secondo una giurisprudenza più recente, l'esclusione in caso di non veridicità della dichiarazione, a prescindere quindi da una valutazione in concreto dei precedenti penali non dichiarati, costituirebbe applicazione dell'art. 75 d.P.R. n. 445 del 2000, senza che residuino margini di discrezionalità per la stazione appaltante (TAR Lazio, Roma, Sez. I, n. 6399 del 2016, cit.; Id., Sez. II, 14 novembre 2016, n. 11286).

In virtù di un secondo orientamento, meno rigoroso e formalistico, occorre prestare attenzione a quanto stabilito dalla lex specialis, distinguendo i casi in cui essa richiede di dichiarare tutte le condanne riportate da quelli in cui è genericamente prevista una dichiarazione relativa all'assenza di cause impeditive: nel secondo caso, la pretesa incompletezza della dichiarazione, in cui non siano menzionati tutti i precedenti penali, non potrebbe comportare l'esclusione dalla gara ove non ricorra la sostanziale carenza del requisito (TAR Lazio, Roma, Sez. II-ter, 8 gennaio 2016, n. 173; negli stessi termini, ex plurimis, cfr. Cons. St., Sez. VI, 01 febbraio 2013, n. 634; Id., 27 marzo 2012, n. 1799), anche in ragione della regola di tassatività delle cause di esclusione, di cui all'art. 46, comma 1-bis, d.lgs. n. 163 del 2006, improntata a una logica sostanzialistica e al principio del favor partecipationis, nonché della disciplina in materia di c.d. soccorso istruttorio.

Casistica: Irrevocabilità della sentenza di patteggiamento

La lettura della sentenza di patteggiamento equivale a notificazione ai sensi dell'art. 545, commi 2 e 3, c.p.p. e consente pertanto il decorrere del termine di 15 giorni per proporre impugnazione ai sensi dell'art. 585, comma 1, lett. a, c.p.p. Decorso tale termine, la sentenza diviene irrevocabile e deve essere dichiarata (TAR Lazio, Roma, Sez. III, 14 maggio 2015, n. 7107, per la quale non risulta proposto appello). Secondo un diverso orientamento, l'obbligo dichiarativo concernente la sentenza di patteggiamento sorge a prescindere dalla irrevocabilità della pronuncia (cfr. Cons. St., Sez. V, 20 luglio 2016, n. 3272, che valorizza in tal senso il fondamento “consensuale” dell'applicazione della pena, che, sebbene non comporti alcuna ammissione di responsabilità da parte dell'imputato, viene “ragionevolmente” ritenuto dal legislatore sintomatico di «inaffidabilità morale del concorrente, a prescindere dall'avvenuta scadenza del termine per proporre ricorso per cassazione contro la pronuncia ex art. 444 c.p.p.»).

Casistica: Obbligo dichiarativo e riorganizzazione dell'impresa

Affitto d'azienda

Cessione d'azienda o del ramo d'azienda

Fusione o incorporazione societaria

Ai fini della partecipazione alle gare d'appalto, la fattispecie dell'affitto di azienda rientra tra quelle soggette all'obbligo di rendere la dichiarazione ex art. 38, comma 1, lett. c, che riguarda anche gli amministratori e direttori tecnici dell'impresa cedente nel caso in cui sia avvenuta una cessione di azienda in favore del concorrente nell'anno anteriore alla pubblicazione del bando (Cons. St., Sez. V, 5 novembre 2014, n. 5470; Id., Sez. IV, 1 settembre 2015, n. 4100). Inoltre, trattandosi di un obbligo discendente ex lege, la sua inosservanza comporta l'esclusione del concorrente, anche se la misura espulsiva non è stata espressamente prevista dal bando di gara (Cons. St., Sez. IV, 21 dicembre 2015, n. 5803).

Il cessionario di azienda o di un ramo d'azienda ha l'onere di presentare la dichiarazione relativa all'insussistenza di sentenze di condanna passate in giudicato (o dei provvedimenti ad esse equiparati) anche con riferimento agli amministratori e ai direttori tecnici che avevano lavorato presso la cedente (Cons. St., Ad. plen.,26 marzo 2012, n. 10, che fa riferimento ai soggetti che avevano lavorato presso la cedente nell'ultimo triennio e non nell'ultimo anno, trattandosi di un vicenda soggetta alla normativa previgente alle modifiche disposte dal d.l. n. 70 del 2011, come convertito nella l. n. 106 del 2011). Ciò in quanto la cessione di azienda o di un ramo d'azienda comporta la trasmissione al cessionario dell'intero complesso dei rapporti attivi e passivi dell'azienda o del suo ramo, sussistendo quindi continuità tra la precedente e la nuova gestione imprenditoriale. Il cessionario, però, può comunque provare che nel caso concreto sia intervenuta una cesura tra la vecchia e la nuova gestione, tale da escludere la rilevanza della condotta dei precedenti amministratori e direttori tecnici, operanti nel complesso aziendale ceduto.

Nel caso di incorporazione o di fusione societaria, sussiste in capo alla società incorporante, o risultante dalla fusione, l'onere di presentare la dichiarazione relativa al requisito di cui all'art. 38, comma 1, lett. c), anche con riferimento agli amministratori e ai direttori tecnici che hanno operato presso la società incorporata o le società fusesi nell'ultimo anno ovvero che sono cessati dalla relativa carica in detto periodo, ferma restando la possibilità di dimostrare la dissociazione (Cons. St., Ad. plen., 21 maggio 2012, n. 21). Ciò in quanto non è riconoscibile al soggetto risultante dalla fusione la natura di entità interamente “altra” o “diversa” rispetto alle società partecipanti all'operazione, che ne vanno comunque a determinare la composizione.

Casistica : rilevanza di condanne non definitive ai fini dell'esclusione

Il motivo di esclusione per l'esistenza di condanne penali opera soltanto in caso di sentenze passate in giudicato. Tuttavia, secondo la posizione espressa dall'ANAC nelle Linee guida n. 6, di attuazione del d.lgs. n. 50 del 2016, anche condanne non definitive concernenti talune fattispecie di reato potrebbero rilevare quale motivo di esclusione qualora integranti un grave illecito professionale ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. c).

ANAC Linee guida n. 6

- Nei casi più gravi, le significative carenze nell'esecuzione di un precedente contratto possono configurare i reati di cui agli artt. 355 (Inadempimento di contratti di pubbliche forniture)e 356 (Frode nelle pubbliche forniture) c.p. Pertanto, se le condotte costituiscono illeciti professionali gravi tali da rendere dubbia l'integrità del concorrente, intesa come moralità professionale, o la sua affidabilità, intesa come reale capacità tecnico-professionale, nello svolgimento dell'attività oggetto di affidamento, la stazione appaltante deve valutare, ai fini dell'eventuale esclusione del concorrente, i provvedimenti di condanna non definitivi per i reati su richiamati, qualora contengano una condanna al risarcimento del danno o uno degli altri effetti tipizzati dall'art. 80, comma 5, lett. c). I provvedimenti di condanna definitivi per detti reati configurano, invece, la causa di esclusione prevista dall'art. 80, comma 1, lett. b) (p. 2.1.1.4).

- Ad analoga operazione, la stazione appaltante dovrà procedere, nel verificare i gravi illeciti professionali posti in essere nel corso della procedura di gara,per i reati di cui agli artt. 353 (Turbata libertà degli incanti), 353-bis (Turbata libertà del procedimento di scelta del contraente) e 354 (Astensione dagli incanti) c.p. Anche in tale ipotesi, l'amministrazione deve valutare, ai fini dell'eventuale esclusione del concorrente, i provvedimenti di condanna non definitivi per i predetti reati mentre i provvedimenti di condanna definitivi configurano, invece, la causa di esclusione prevista dall'art. 80, comma 1, lett. b) (p. 2.1.2.5)

Il periodo di esclusione dalle gare non può superare i tre anni decorrenti dalla data del provvedimento penale di condanna non definitivo (p. 5.1).

Sommario