Requisiti: Grave negligenza o malafede ed errore grave
03 Giugno 2020
Inquadramento
Contenuto in fase di aggiornamento autorale di prossima pubblicazione
La necessità di preservare l'elemento fiduciario, posto alla base del rapporto tra le parti nella contrattualistica pubblica, ha spinto l'ordinamento a prevedere una causa di esclusione per il concorrente che abbia adottato condotte lesive di tale elemento e della sua affidabilità. Infatti, proprio per evitare l'instaurazione di rapporti contrattuali con soggetti inaffidabili e, in quanto tali, inidonei a garantire il corretto adempimento degli obblighi derivanti dall'appalto, l'art. 38, comma 1, lett. f), Codice del 2006, ha conferito alla stazione appaltante il potere di escludere i soggetti che hanno commesso una «grave negligenza o mala fede» nell'ambito di un pregresso rapporto negoziale intercorso con la stessa stazione appaltante che indice la gara; ovvero che si sono macchiati di un «errore grave» nell'esercizio della loro attività professionale.
Sebbene la disposizione si sia presentata quale fonte di recepimento dell'art. 45, par. 2, lett. d), direttiva 2004/18/CE (per il quale l'esclusione interviene quando l'operatore economico, nell'esercizio della propria attività professionale, commette un errore grave, accertato con qualsiasi mezzo di prova dall'amministrazione aggiudicatrice), è evidente come, diversamente da quest'ultima, la norma nazionale del Codice del 2006 abbia aggiunto ulteriori elementi laddove ha ancorato il potere espulsivo non solo alla fattispecie dell'errore grave, ma anche a quella della grave negligenza o malafede, creando così problemi interpretativi e dubbi di compatibilità comunitaria.
La direttiva 2004/18/CE è stata tuttavia «superata» dalla direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sugli appalti pubblici. Da un lato la nuova direttiva, da un lato ha richiamato i concetti di affidabilità e integrità dell'operatore economico, evocando le nozioni di grave violazione dei doveri professionali, di gravi illeciti professionali e di significative carenze; dall'altro ha rimarcato l'importanza del principio di proporzionalità mettendo, altresì, in evidenza la possibile rilevanza del carattere lieve delle irregolarità, nonché dei profili temporali e dello strumento del c.d. self-cleaning (cfr. considerando nn. 101 e 102; art. 57, par. 4, lett. c) e g); art. 57, par. 6, direttiva 2014/24/UE).
Il Governo italiano, a sua volta, è stato delegato con legge 28 gennaio 2016, n. 11, ad attuare la nuova direttiva e, a tal fine, ha predisposto uno schema di decreto legislativo in cui ha previsto l'esclusione dell'operatore economico che si sia «reso colpevole di gravi comportamenti illeciti, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità» e ha precisato che «tra questi rientrano: le carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero [che] hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni…» (art. 80, comma 5, lett. c)).
Su detta disposizione normativa il Consiglio di Stato, con parere del 1° aprile 2016, n. 855, ha suggerito di sostituire le parole «gravi comportamenti illeciti» con l'espressione comunitaria «gravi illeciti professionali», nonché di sostituire le parole «tra questi rientrano» con l'espressione «tra questi, a titolo esemplificativo, rientrano» e, ancora, le parole «le carenze nell'esecuzione di un precedente contratto», anteponendo al temine «carenze» l'aggettivo «significative»; ciò «al fine di armonizzare tale causa di esclusione con quella contemplata dall'art. 57, § 4, lett. g), direttiva 2014/24/UE». Inoltre, nello stesso parere si è proposto «di chiarire che le carenze nell'esecuzione di un precedente contratto che causano l'esclusione sono sia quelle in cui la risoluzione anticipata [non sia] contestata in giudizio, sia quelle in cui l'esclusione sia stata confermata all'esito di un giudizio», con la conseguenza che dopo la locuzione «non contestata in giudizio» occorrerebbe aggiungere l'espressione «ovvero confermata all'esito di un giudizio» (Cons. St., Comm. spec., 1° aprile 2016, n. 855).
Il Consiglio dei Ministri – in accoglimento delle predette richieste formulate dal Consiglio di Stato (tranne quella relativa all'inserimento della locuzione «a titolo esemplificativo» dal momento che «l'uso dell'espressione “Tra questi rientrano..” rende chiaro che l'elencazione non è tassativa», cfr. Relazione illustrativa del 16 aprile 2016) – ha approvato, nella seduta del 15 aprile 2016 il testo del decreto legislativo recante l'attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE e, con d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (pubblicato nella G.U. n. 91 del 19 aprile 2016, Suppl. Ord. n. 10), ha approvato il nuovo Codice dei contratti pubblici nel quale viene configurata, come specifico motivo di esclusione, l'ipotesi in cui «la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l'operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità»; si precisa, poi, che «Tra questi rientrano: le significative carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all'esito di un giudizio, ovvero [che] hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni…» (art. 80, comma 5, lett. c).
La nuova disposizione normativa di cui al citato art. 80 del Codice del 2016, pur mostrando una certa continuità con la ratio sottesa al meccanismo precedente previsto dal menzionato art. 38 del Codice del 2006, apporta una serie di importanti ritocchi all'impianto del motivo di esclusione in esame il cui effettivo impatto, nelle procedure di gara, potrà realmente comprendersi soltanto quando sarà messo a regime dalle stazioni appaltanti e collaudato dall'attività ermeneutica della giurisprudenza e, prima ancora, dell'ANAC.
Analisi della disciplina contenuta nel Codice del 2006
In attesa che l'attività interpretativa dia quindi forma ai nuovi concetti giuridici indeterminati contemplati dal legislatore («gravi illeciti professionali», «significative carenze», ecc..), sembra opportuno soffermarsi sull'esame dell'art. 38, comma 1, lett. f) del Codice del 2006 e ripercorrere le relative (e peraltro ancora attuali) problematiche applicative, onde consentire una migliore comprensione della causa di esclusione in questione nella sua versione ante e post riforma.
Le fattispecie espulsive contemplate nella disposizione normativa de qua possono essere distinte a seconda della tipologia della violazione commessa e dell'amministrazione coinvolta. La lettera della norma induce invero a distinguere l'ipotesi (più specifica) dell'esclusione della «grave negligenza o malafede» collegata espressamente a casi di violazioni compiute contro la medesima amministrazione che bandisce la gara, da quella (più generica) dell'«errore grave»la cui operatività non viene esplicitamente circoscritta ai soli rapporti intercorsi con la stessa stazione appaltante (sulla «mera funzione di specificazione» assolta dalla «più ristretta» ipotesi della prima parte dell'art. 38, comma 1, lett. f), d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163; cfr. TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, 23 giugno 2011, n. 925).
In particolare, il concetto di malafede si traduce nella presenza di una volontà fraudolenta volta a violare i principi di correttezza e buona fede a cui sempre devono ispirarsi le condotte delle parti, mentre la nozione di negligenza richiama quella dell'imperizia professionale che pregiudica l'esecuzione a regola d'arte del contratto (Cons. St., Sez. V, 29 dicembre 2009, n. 8913; TAR Puglia, Sez. I, 14 maggio 2003, n. 1928). Pertanto, secondo un certo indirizzo, ai fini della configurabilità della negligenza o malafede per le finalità espulsive della norma in questione è necessario che l'appaltatore abbia violato il dovere di diligenza con un atteggiamento psicologico e doloso o comunque gravemente colposo, laddove per il perfezionamento dell'errore grave occorre riscontrare la violazioni del relativo dovere tecnico-professionale, così da dimostrare l'incapacità e l'inidoneità dell'impresa a fornire determinate prestazioni (AVCP, determinazione 12 gennaio 2010, n. 1).
Tanto premesso, occorre verificare – per una più precisa individuazione del perimetro applicativo della normativa in esame – se l'esclusione possa essere disposta (i) in considerazione di un errore grave commesso nei riguardi di un'amministrazione diversa da quella che bandisce la gara, ovvero (ii) in forza di violazioni imputate ad un soggetto giuridico formalmente distinto dal partecipante alla gara.
Sul primo profilo si evidenziano le seguenti posizioni giurisprudenziali.
Con il concetto di «stazione appaltante che bandisce la gara» deve, in ogni caso, intendersi non solo la singola Amministrazione interessata dalla procedura, ma anche le sue articolazioni territoriali in quanto facenti parte della stessa struttura della Amministrazione pubblica considerata nella sua interezza (AVCP, determinazione 12 maggio 2004, n. 8). Ne consegue che le violazioni inerenti all'esecuzione di prestazioni rese in favore di una articolazione territoriale dell'Amministrazione rilevano, ai fini della causa di esclusione de qua, anche nelle gare bandite da altre articolazioni della stessa Amministrazione (TAR Piemonte, Sez. II, 5 marzo 2012, n. 303).
Sul secondo profilo, merita invece segnalare come, in base alla casistica sotto riportata, l'amministrazione possa escludere un concorrente anche quando la violazione nell'esecuzione di un contratto pubblico sia imputabile ad un soggetto giuridico formalmente «diverso» dal concorrente stesso, soprattutto ove si dimostri che lo «schermo societario» del nuovo (e distinto) soggetto sia stato appositamente frapposto al fine di eludere l'applicazione delle norma sui requisiti di partecipazione.
Il potere escludente in esame non ha natura sanzionatoria, ma preventivo/cautelare giacché, come si è visto, è posto a garanzia del requisito di affidabilità collocato alla base del rapporto committente pubblico-appaltatore (Cons. St., Sez. III, 13 maggio 2015, n. 2389) ed è diretto ad evitare la situazione di pericolo e di allarme sociale potenzialmente derivante dalla stipulazione di un contratto pubblico con il soggetto che abbia dimostrato la sua inettitudine organizzativa o aziendale (Cons. St., Sez. IV, 25 agosto 2006, n. 4999).
L'assenza del carattere sanzionatorio consente alla stazione appaltante di azionare l'esclusione anche senza un preventivo accertamento definitivo della violazione, essendo a tal fine sufficiente una valutazione motivata sulla gravità dei fatti riscontrati in capo all'impresa tali da pregiudicare il necessario rapporto fiduciario.
Del resto, nel ribadire un simile assunto (TAR Piemonte, Sez. I, 10 luglio 2015, n. 1175; Cons. St.,Sez. V, 25 febbraio 2015, n. 943), la giurisprudenza ha più volte precisato che la natura definitiva dell'accertamento della violazione non appartiene alla causa di esclusione in questione, ma solo ad altre ipotesi contemplate da diverse lettere dell'art. 38, comma 1, d.lgs. n. 163 del 2006, come ad esempio la lettera g) e c), che richiedono rispettivamente un definitivo accertamento per le violazioni gravi rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, ovvero una sentenza passata in giudicato per i reati gravi, commessi in danno dello Stato o della Comunità, che incidono sulla moralità professionale (Cons. St., Sez. III, 13 maggio 2015, n. 2389). Diversamente opinando, ossia limitando l'operatività dell'esclusione ad un accertamento definitivo, si consentirebbe al privato di paralizzare il potere espulsivo attraverso la mera presentazione di azioni giurisdizionali volte a contestare l'accertamento stesso, con conseguente pregiudizio alla speditezza dell'azione amministrativa e all'efficacia della disposizione normativa di riferimento (Cons. St., Sez. V, 21 gennaio 2011, n. 409). Ciò è stato espressamente escluso da quelle pronunce nelle quali si è affermata la legittimità dell'esclusione fondata su una risoluzione oggetto di contestazione giurisdizionale in sede civile (TAR Puglia, Sez. I, 11 gennaio 2012, n. 82), ovvero su una risoluzione definita consensualmente con un atto transattivo (Cons. St., Sez. V, 25 maggio 2012, n. 3078; AVCP, parere 8 marzo 2012, n. 37), oppure ancora su fatti relativi ad un procedimento penale – manifestanti un grave errore professionale o una grave negligenza o malafede – non ancora concluso con una sentenza passata in giudicato (Cons. St., Sez. V, 20 novembre 2015, n. 5299).
La natura discrezionale del potere espulsivo e il relativo onere motivazionale
Il potere in questione ha carattere spiccatamente discrezionale (Cons. St., Sez. V, 27 marzo 2015, n. 1619), essendo lasciato alla stazione appaltante, come a qualsiasi contraente dell'ordinamento, il potere di non trattare e di non contrattare con soggetti con i quali risulta intaccato il rapporto fiduciario (Cons. St., Sez. VI, 15 maggio 2012, n. 2761).
Conseguentemente, come è dato riscontrare dal corpo della relativa disposizione normativa, dove il legislatore ha usato la locuzione «secondo motivata valutazione», l'esercizio del potere espulsivo richiede di esternare le ragioni sottese, indicando in maniera puntuale e analitica la gravità della negligenza o dell'errore professionale con cui l'operatore economico ha effettivamente leso l'elemento fiduciario (Cons. St., Sez. III, 26 gennaio 2012, n. 349).
Scopo dell'onere motivazionale è evidentemente quello di evitare che, per fatti di non grave entità, il denunciato deficit di fiducia venga strumentalizzato per determinare l'esclusione dell'impresa dal mercato degli appalti pubblici. Del resto l'esercizio del potere espulsivo dovrà rispettare i canoni di ragionevolezza e proporzionalità (quest'ultimo pure richiamato, per quanto qui interessa, dal considerando n. 101 della direttiva 2014/24/UE), contemperando il principio di «buon andamento» (art. 97 Cost.) e di «libera iniziativa privata» (art. 41 Cost.).
In quest'ottica, è ragionevole ritenere (almeno in linea teorica) che più sarà risalente la violazione evocata nel provvedimento di esclusione e più dovrà essere robusta l'impalcatura motivazionale del provvedimento stesso, non potendosi ipotizzare che, per analogia con la lett. h) dell'art. 38, comma 1, d.lgs. n. 163 del 2006, le fattispecie espulsive di cui alla lett. f) possano assumere una rilevanza a tempo determinato (di un anno), decorso il quale il rapporto fiduciario precedentemente leso si ricostituisca (e venga a sanarsi) automaticamente in modo da precludere l'esercizio del potere espulsivo per violazioni commesse prima dell'anno precedente alla gara. Invero, la differenza ontologica tra le due predette lettere e la tassatività delle cause di esclusione hanno spinto la giurisprudenza a precisare che, nel silenzio della legge, non si possano precludere esclusioni basate su violazioni risalenti (nel tempo, a più di un anno prima), sempre che le stesse siano in grado di minare il rapporto fiduciario tra stazione appaltante e appaltatore (in questi termini cfr. Cons. St., Sez. VI, 15 maggio 2012, n. 2761, il quale ha confermato la legittimità di un'esclusione del 2006 basata su una risoluzione per grave inadempimento del 2002, nonché TAR Campania, Napoli, Sez. I, 1° febbraio 2013, n. 695, che, in presenza di una serie di dati fattuali, ha dichiarato l'illegittimità di un'esclusione basata su un'errore grave avvenuto dieci anni prima).
Ad ogni modo la giurisprudenza ha ritenuto che l'onere motivazionale del provvedimento di esclusione possa essere assolto anche per relationem richiamando precedenti atti di risoluzione (Cons. St., Sez. III, 13 maggio 2015, n. 2389; Cons. St.,Sez. V, 25 maggio 2012, n. 3078; Cons. St., Sez. V, 21 gennaio 2011, n. 409), ovvero note di contestazioni, relazioni di consulenti e relazioni predisposte dagli uffici della medesima stazione appaltante (Cons. St., Sez. V, 29 dicembre 2009, n. 8913), oppure ancora evocando fatti di rilevanza penale inquadrabili nella fattispecie dell'errore professionale (TAR Campania, Sez. I, 10 settembre 2013, n. 4210, sentenza appellata e risultante ancora sub iudice), connotato anche della grave negligenza e malafede (Cons. St., Sez. V, 20 novembre 2015, n. 5299, per una caso in cui il relativo procedimento penale era, tra l'altro, sfociato in una sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto). Il sindacato giurisdizionale sul potere
La valutazione della gravità delle violazioni è rimessa al sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo per irragionevolezza, travisamento e illogicità in quanto trattasi di valutazione riservata al giudizio discrezionale della stazione appaltantealla quale il legislatore riserva la individuazione del punto di rottura dell'affidamento nel contraente.
La Cassazione ha infatti ritenuto che il sindacato operato dal giudice amministrativo sulla motivazione della stazione appaltante, nell'ambito dell'accertamento della mala fede o grave negligenza nell'esecuzione delle prestazioni contrattuali, debba essere rigorosamente mantenuto sul piano della verifica della non pretestuosità della valutazione degli elementi di fatto che l'amministrazione adduce come ragione del rifiuto, senza poter sfociare in un giudizio di mera non condivisibilità delle scelte dell'amministrazione (Cass. Sez. un., 17 febbraio 2012, n. 2312 e n. 2313).
La valutazione della P.A. può essere dunque annullata solo laddove l'impresa riesca a dimostrare che l'amministrazione, nella valutazione circa la sussistenza o meno della violazione, abbia debordato dai limiti della propria discrezionalità, configurando un vizio di eccesso di potere, sotto il profilo della manifesta illogicità o sproporzionalità (Cons. St., Sez. VI, 14 agosto 2013, n. 4174; Cons. St., Sez. V, 25 febbraio 2015, n. 943; TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 9 aprile 2015, n. 911). La disciplina contenuta nel Codice del 2016
Come anticipato, la riferita disciplina contenuta nel Codice del 2006 è stata sostituita da quella contemplata nel Codice del 2016 sub art. 80 che, ispirandosi alla direttiva 2014/24/UE, configura come motivo di esclusione l'ipotesi in cui «la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l'operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità» andando poi a precisare che «Tra questi rientrano: le significative carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all'esito di un giudizio, ovvero [che] hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni…» (art. 80, comma 5, lett. c).
Inoltre, secondo i commi successivi del medesimo articolo, l'operatore che si trovi in una delle anzidette situazioni «è ammesso a provare di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall'illecito e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti» e «se la stazione appaltante ritiene che le misure sono sufficienti, l'operatore economico non è escluso dalla procedura d'appalto; viceversa dell'esclusione viene data motivata comunicazione all'operatore economico» (art. 80, commi 7 e 8).
Tale disciplina – sulla quale si attende l'intervento dell'ANAC anche per individuare «quali mezzi di prova considerare adeguati per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui al comma 5, lettera c), ovvero quali carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto siano significative ai fini del medesimo comma 5, lettera c)» (art. 80, comma 13) – troverà applicazione alle procedure selettive avviate a seguito dell'entrata in vigore del Codice del 2016 così come disposto dal relativo art. 216 e successivamente ribadito da una comunicazione del 22 aprile 2016 firmata dai vertici del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e dell'ANAC proprio in riferimento alle modalità di entrata in vigore del Codice stesso. Casistica: Il controllo giurisdizionale sulla mancata esclusione
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