Regolarità contributiva

Massimo Nunziata
04 Giugno 2020

La regolarità contributiva rientra fra i requisiti cd. di ordine generale che devono inderogabilmente fare capo ai soggetti che intendono instaurare un rapporto contrattuale con la pubblica amministrazione.
Inquadramento

Contenuto in fase di aggiornamento autorale di prossima pubblicazione

La regolarità contributiva rientra fra i requisiti cd. di ordine generale che devono inderogabilmente fare capo ai soggetti che intendono instaurare un rapporto contrattuale con la pubblica amministrazione.

Attualmente, la regolarità contributiva viene annoverata tra i motivi di esclusione disciplinati nell'ambito dell'art. 80, comma 4, d.lgs. n. 50 del 2016 che, in larga parte, conferma quanto precedentemente disposto dall'art. 38, comma 1, lett. i), d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163.

In particolare, l'art. 80, comma 4, d.lgs. n. 50 del 2016 conferma l'esclusione dalla gara per l'operatore economico incorso in una violazione grave e definitivamente accertata rispetto agli obblighi relativi al pagamento dei contributi previdenziali, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti.

La disposizione precisa che – come nel regime precedente – costituiscono gravi violazioni in materia contributiva e previdenziale quelle ostative al rilascio del documento unico di regolarità contributiva (DURC), di cui all'art. 8, del decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 30 gennaio 2015 e che costituiscono violazioni definitivamente accertate quelle contenute in sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione.

Inoltre, la norma positivizza il principio pretorio elaborato in sede giurisprudenziale secondo cui la causa di esclusione non si applica quando l'operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe, purché il pagamento o l'impegno siano stati formalizzati prima della scadenza del termine per la presentazione delle domande di partecipazione alla procedura di gara.

L'apparente chiarezza della disposizione legislativa – come detto, confermativa di quella recata dal Codice del 2006 – non ha mancato di dare luogo a notevoli incertezze applicative e a orientamenti esegetici spesso contrastanti.

La principale causa di tali perplessità operative deriva dal fatto che, pur avendo un imprescindibile rilievo nel campo delle procedure competitive per l'affidamento di contratti pubblici, la regolarità contributiva costituisce un accertamento sintetico di posizioni e di istituti la cui regolamentazione principale si rinviene nell'ordinamento previdenziale, non risultando sempre agevole chiarire la portata e la rilevanza ai fini della partecipazione alle gare di previsioni introdotte in altra sede. A venire in rilievo, in ultima analisi, è la problematica individuazione della funzione della procedura ad evidenza pubblica e, in particolare, se questa debba essere strutturata all'esclusivo fine di individuare l'offerta più competitiva e conveniente o se, invece, possa costituire occasione di tutela anche di interessi diversi rispetto alla libera concorrenza intesa in senso stretto.

Alla luce dell'attuale conformazione della procedura di scelta del contraente, sono molte le ipotesi che potrebbero richiedere il contemperamento del profilo competitivo con interessi diversi: si pensi, a mero titolo esemplificativo, alla tutela dei lavoratori, in relazione alla regolarità contributiva, alla cd. clausola sociale o all'annoso tema degli oneri della sicurezza; oppure alla prevenzione della corruzione e delle infiltrazioni della criminalità, in relazione ai protocolli di legalità o ai patti di integrità.

La disciplina nazionale recata dal Codice dei contratti costituisce ovviamente il recepimento delle prescrizioni della direttiva 2014/24/UE, il cui art. 57, comma 2, dispone che «un operatore economico è escluso dalla partecipazione a una procedura d'appalto se l'amministrazione aggiudicatrice è a conoscenza del fatto che l'operatore economico non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali». Sul punto, giova porre in evidenza come la nuova disciplina europea della regolarità contributiva sia particolarmente rigida, soprattutto se raffrontata con quella previgente: infatti, mentre l'art. 45, par. 2, Direttiva n. 18/2004 annoverava la situazione di irregolarità fra le cause di esclusione facoltative, l'attuale disciplina la qualifica alla stregua di un motivo di esclusione obbligatorio, in relazione al quale, peraltro, non operano i nuovi e significativi aspetti di flessibilità introdotti dalla nuova direttiva che, al considerando n. 101, prevede che «nell'applicare motivi di esclusione facoltativi, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero prestare particolare attenzione al principio di proporzionalità» e, all'art. 57, comma 6, dispone che «un operatore economico che si trovi in una delle situazioni di cui ai paragrafi 1 e 4 4 (non quindi al par. 2 ove è disciplinata la regolarità contributiva, ndr) può fornire prove del fatto che le misure da lui adottate sono sufficienti a dimostrare la sua affidabilità nonostante l'esistenza di un pertinente motivo di esclusione. Se tali prove sono ritenute sufficienti, l'operatore economico in questione non è escluso dalla procedura d'appalto».

Le violazioni contributive rilevanti e la competenza ad accertare la regolarità contributiva

Come sopra accennato, non tutte le violazioni in materia contributiva danno luogo all'esclusione dalle procedure ad evidenza pubblica.

L'art. 80, comma 4, infatti, àncora la perdita del requisito solo alle violazione “gravi” e “definitivamente accertate”: tali presupposti vanno intesi in senso cumulativo, per cui può essere causa di esclusione dalla gara solo una violazione che sia, al contempo, grave e definitivamente accertata.

In passato si era posto il problema relativo all'individuazione dell'autorità competente ad accertare la regolarità contributiva e, in particolare, se ciò spetti unicamente agli Enti previdenziali o se, invece, residui una qualche forma di discrezionalità in capo alla singola Stazione appaltante procedente.

Tale dibattito ha trovato autorevole definizione con l'intervento dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che, con la sentenza 4 maggio 2012, n. 8, ha affermato che la valutazione di gravità o meno dell'infrazione è riservata agli enti previdenziali: «invero, se la violazione è ritenuta non grave, il d.u.r.c. viene rilasciato con esito positivo, il contrario accade se la violazione è ritenuta grave.

In particolare, secondo il Supremo Consesso, «la valutazione compiuta dagli enti previdenziali sia vincolante per le stazioni appaltanti e precluda, ad esse, una valutazione autonoma».

Tanto, alla luce delle seguenti considerazioni:

a) gli enti previdenziali sono istituzionalmente e specificamente competenti a valutare la gravità o meno delle violazioni previdenziali;

b) il d.u.r.c. è il documento pubblico che certifica in modo ufficiale la sussistenza o meno della regolarità contributiva, da ascrivere al novero delle dichiarazioni di scienza, assistite da fede pubblica privilegiata ai sensi dell'art. 2700 c.c., e facenti piena prova fino a querela di falso;

c) le stazioni appaltanti non sono gli enti istituzionalmente e specificamente competenti a valutare la gravità o meno delle violazioni previdenziali;

d) il codice degli appalti deve essere letto e interpretato non in una logica di separatezza e autonomia, ma come una parte dell'ordinamento nel suo complesso, e nell'ambito dell'ordinamento giuridico la nozione di “violazione previdenziale grave” non può che essere unitaria e uniforme, e rimessa all'autorità preposta al rispetto delle norme previdenziali; pertanto, l'art. 38, comma 1, lett. i), laddove menziona le “violazioni gravi” delle norme previdenziali, intende riferirsi alla nozione di “violazione previdenziale grave” esistente nell'ambito dell'ordinamento giuridico, e in particolare nello specifico settore previdenziale;

e) ne consegue che le stazioni appaltanti non hanno né la competenza né il potere di valutare caso per caso la gravità della violazione previdenziale, ma devono attenersi alle valutazioni dei competenti enti previdenziali».

Di talché, ai fini della legittima partecipazione a una procedura ad evidenza pubblica, la sussistenza del requisito di regolarità contributiva deve essere accertata ricorrendo alla specifica disciplina dettata dall'ordinamento previdenziale, attualmente recata dal d.m. 30 gennaio 2015 («Semplificazioni in materia di Documento Unico di Regolarità Contributiva», pubblicato nella G.U. del 1° gennaio 2015, n. 125) adottato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze e quello per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione in attuazione dell'art. 4, d.l. 20 marzo 2014, n. 34, convertito con modificazioni dalla l. 16 maggio 2014, n. 78.

È noto, infatti, che l'art. 4, d.l. n. 34 del 2014 ha previsto nuove modalità di verifica della regolarità contributiva, disponendo che chiunque vi abbia interesse, compresa la medesima impresa, verifica con modalità esclusivamente telematiche ed in tempo reale la regolarità contributiva nei confronti dell'INPS, dell'INAIL e, per le imprese tenute ad applicare i contratti del settore dell'edilizia, nei confronti delle Casse edili. La risultanza di tale interrogazione ha validità di 120 giorni dalla data di acquisizione e sostituisce ad ogni effetto il DURC, ovunque previsto, fatta eccezione per alcune particolari ipotesi di esclusione individuate nell'art. 9 del decreto.

Inoltre, l'art. 4, comma 3, chiarisce che tale interrogazione assolve all'obbligo di verificare la sussistenza del requisito in questione presso la Banca dati nazionale dei contratti pubblici istituita presso l'Autorità.

Particolarmente significativo a fini sistematici, peraltro, è l'ultimo periodo della norma appena richiamata, secondo cui «dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 2, sono inoltre abrogate tutte le disposizioni di legge incompatibili con i contenuti del presente articolo».

(Segue). La gravità della violazione

Per quanto riguarda il requisito della gravità, lo stesso Codice dei contratti pubblici rinvia alla disciplina previdenziale, disponendo che «costituiscono gravi violazioni in materia contributiva e previdenziale quelle ostative al rilascio del documento unico di regolarità contributiva (DURC), di cui al decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 30 gennaio 2015, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 125 del 1° giugno 2015, ovvero delle certificazioni rilasciate dagli enti previdenziali di riferimento non aderenti al sistema dello sportello unico previdenziale» (art. 80, comma 4, IV periodo, d.lgs. n. 50 del 2016).

Al riguardo, deve quindi farsi riferimento all'art. 3, comma 3, d.m. 30 gennaio 2015, secondo cui «la regolarità sussiste, inoltre, in presenza di uno scostamento non grave tra le somme dovute e quelle versate, con riferimento a ciascun Istituto previdenziale ed a ciascuna Cassa edile. Non si considera grave lo scostamento tra le somme dovute e quelle versate con riferimento a ciascuna Gestione nella quale l'omissione si è determinata che risulti pari o inferiore ad Euro 150,00 comprensivi di eventuali accessori di legge».

Ai fini del presupposto della gravità, dunque, il riferimento determinate è la valutazione operata in sede regolamentare ove si introduce, come detto, una franchigia di tolleranza pari a € 150,00, con la conseguenza che tutte le pendenze di importo maggiore comporteranno il superamento della soglia di gravità.

(Segue). La definitività dell'accertamento

La violazione previdenziale idonea a comportare la perdita del requisito di regolarità contributiva deve essere anche definitivamente accertata.

In sede interpretativa, era per lo più pacifico il principio per cui lo stato di “definitivo accertamento” delle violazioni contributive potesse essere rinvenuto solo nelle situazioni caratterizzate dalla non pendenza di ricorsi amministrativi o giurisdizionali, né del termine per esperirli. Attualmente, l'art. 80, comma 4, terzo periodo, d.lgs. n. 50 del 2016, positivizza tale orientamento, statuendo che «costituiscono violazioni definitivamente accertate quelle contenute in sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione»

Il d.m. 30 gennaio 2015 prevede disposizioni particolarmente rilevanti anche in ordine al profilo in trattazione disponendo, all'art. 3, comma 2, che la regolarità sussiste comunque in caso di:

a) rateizzazioni concesse dall'INPS, dall'INAIL o dalle Casse edili ovvero dagli Agenti della riscossione sulla base delle disposizioni di legge e dei rispettivi regolamenti;

b) sospensione dei pagamenti in forza di disposizioni legislative;

c) crediti in fase amministrativa oggetto di compensazione per la quale sia stato verificato il credito, nelle forme previste dalla legge o dalle disposizioni emanate dagli Enti preposti alla verifica e che sia stata accettata dai medesimi Enti;

d) crediti in fase amministrativa in pendenza di contenzioso amministrativo sino alla decisione che respinge il ricorso;

e) crediti in fase amministrativa in pendenza di contenzioso giudiziario sino al passaggio in giudicato della sentenza, salva l'ipotesi cui all'art. 24, comma 3, d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46;

f) crediti affidati per il recupero agli Agenti della riscossione per i quali sia stata disposta la sospensione della cartella di pagamento o dell'avviso di addebito a seguito di ricorso giudiziario.

Come è stato chiarito in giurisprudenza, «ai fini della valutazione della definitività dell'accertamento occorre che al momento della scadenza del termine per la presentazione della domanda di partecipazione alla gara: (i) sia spirato il termine per l'impugnazione dell'atto di accertamento in sede amministrativa, o il relativo ricorso amministrativo sia stato respinto con provvedimento definitivo, e (ii) non sia stato proposto ricorso giurisdizionale (senza che una proposizione solo successiva del ricorso giurisdizionale possa valere ad infirmare l'efficacia preclusiva del d.u.r.c. negativo) (Cons. St., Sez. V, 13 luglio 2010, n. 4511; Cons.St., Sez. VI, 27 febbraio 2008 n. 716)» (Cons. St., sez. V, 16 settembre 2011, n. 5194).

Tale principio è stato ribadito ancor più di recente da Cons. St., Sez. IV, 21 dicembre 2015, n. 5802, secondo cui «il concetto di definitività nell'ambito delle gare pubbliche va fotografato al momento della scadenza del termine di presentazione dell'offerta, nel senso che dubbi sulla debenza devono sussistere a quel momento, oppure a quella data deve risultare accolta una istanza di rateizzazione, ovvero deve essere stato presentato e risultare ancora pendente un ricorso amministrativo (se previsto) e/o giurisdizionale». Con la conseguenza che non può valere a sanatoria della situazione di inerzia la mera pendenza del termine di contestazione giudiziale della contestata irregolarità, laddove il gravame giurisdizionale sia stato presentato solo in una data successiva al momento storico (quello costituito dal termine finale di presentazione dell'offerta) in cui l'impugnativa giudiziale avrebbe potuto e dovuto essere proposta, di guisa che il DURC negativo reso alla data della relativa verifica deve ritenersi, in relazione alla specificità della vicenda, come snodatasi secondo i fatti succedutisi, definitivo. In tale prospettiva, opinare diversamente significherebbe rimettere alla mera volontà dell'interessato la gestione di una azione che ha effetti sull'attività di conduzione della gara da parte della stazione appaltante (si pensi ai tempi di gestione dell'iter procedurale) e soprattutto incide negativamente sulla par condicio degli offerenti».

Regolarizzazione del debito contributivo e procedure di gara

Un profilo particolarmente controverso attiene alla compatibilità con l'iter e con le funzioni della procedura ad evidenza pubblica della possibilità per l'interessato di avvalersi dell'istituto della regolarizzazione del debito contributivo previsto dall'ordinamento previdenziale.

Per una dettagliata disamina delle varie tesi esposte in giurisprudenza si rinvia allo specifico contributo pubblicato nel presente Portale (M. NUNZIATA, La sinteticità degli atti processuali di parte nel processo amministrativo sui contratti pubblici, ne l'Amministrativista.it), ritenendo comunque utile proporre in questa sede una sintesi schematica dei principali punti di approdo, precisando che la questione dovrebbe aver trovato ormai autorevole definizione a seguito delle sentenze dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 29 febbraio 2016, nn. 5 e 6.

Orientamenti a confronto: regolarizzazione del debito e procedure di gara

Illegittimità dell'esclusione da una gara motivata sulla base di un DURC emesso in carenza dell'invito alla regolarizzazione

Nella vigenza del d.l. n. 69 del 2013, il requisito di regolarità contributiva deve sussistere al momento di scadenza del termine di quindici giorni assegnato dall'Ente previdenziale per la regolarizzazione della posizione contributiva.

In assenza della assegnazione di tale termine, il DURC negativo è irrimediabilmente viziato ed è quindi inidoneo a comportare la esclusione della impresa cui è relativo, in quanto la violazione non può ritenersi definitivamente accertata (Cons. St., Sez. V, 16 febbraio 2015, n. 781; Cons. St., Sez. V, 14 ottobre 2014, n. 5064; TAR Campania Napoli, II, 19 gennaio 2015, n. 364; TAR Veneto, I, 8 aprile 2014 n. 486; TAR Liguria, II, 26 settembre 2014, n. 1382; TAR Puglia, Lecce, III, 7 gennaio 2015, n. 34).

L'interessato deve farsi parte diligente

Laddove l'Ente previdenziale non abbia invitato l'interessato alla regolarizzazione, pertiene al destinatario del Durc irregolare attivarsi presso l'Amministrazione per segnalare tale circostanza. L'omesso esperimento della procedura di regolarizzazione, tuttavia, non può viziare il rilascio del Durc (“negativo”) medesimo, sino a farlo considerare tamquam non esset: esso non può essere considerato, quindi, causa autonoma di invalidità del medesimo, ovvero condizione di valutabilità dello stesso da parte delle Stazioni appaltanti (Cons. St., sez. IV, 7 aprile 2015, n. 1769).

Inapplicabilità dell'istituto della regolarizzazione ai DURC emessi per la verifica delle autodichiarazione rese in sede di partecipazione alla gare

La regolarizzazione postuma delle irregolarità contributive vale esclusivamente nei rapporti tra impresa e Ente previdenziale, per il riconoscimento di benefici o sgravi contributivi, o ancora per evitare le sanzioni previste per l'omesso versamento, ma non certo ai fini della partecipazione alle gare.

Invece, l'esigenza di celerità che connota le procedure di evidenza pubblica finalizzate alla scelta del contraente privato cui affidare l'appalto di lavori, servizi e forniture, da un lato, e la necessità di garantire la par condicio tra i partecipanti alla procedura medesima, dall'altro lato, non possono che condurre a ritenere irrilevante la regolarizzazione postuma di irregolarità contributive verificatesi in pendenza della gara.

Diversamente opinando, infatti, da un lato, si costringerebbe la stazione appaltante ad attendere gli esiti e la durata del procedimento di regolarizzazione contributiva, e, dall'altro lato, si consentirebbe di partecipare alla gara anche imprese non in regola, che potrebbero contare sulla sanatoria postuma del requisito mancante magari da effettuarsi secondo le convenienze del caso (TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, 13 ottobre 2015, n. 442; TAR Sicilia, Palermo, Sez. III, 12 marzo 2015, n. 660; Cons. St., Sez. IV, 22 dicembre 2014, n. 6296).

Rimessione della questione all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato

Va rimessa all'esame dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato la questione se l'art. 38, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 163 del 2006, vada o meno interpretato nel senso che – laddove la dichiarazione sostitutiva resa dall'offerente in sede di partecipazione alla gara sulla base di un DURC in corso di validità si ponga in contrasto con le risultanze negative del DURC richiesto nell'ambito delle verifiche disposte d'ufficio dalla Stazione appaltante – possa disporsi l'esclusione dalla procedura senza che prima sia attivato il procedimento di regolarizzazione (Cons. St., Sez. IV, ord.29 settembre 2015, n. 4542).

d.m. 30 gennaio 2015 adottato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze e quello per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione («Semplificazioni in materia di Documento Unico di Regolarità Contributiva»)

L'art. 4, d.m. 30 gennaio 2015 prevede che, qualora non sia possibile attestare la regolarità contributiva di un operatore, gli Enti previdenziali trasmettono a mezzo pec all'interessato l'invito a regolarizzare la propria posizione con indicazione analitica delle cause di irregolarità rilevate da ciascuno degli Enti tenuti al controllo: quindi l'interessato, avvalendosi delle procedure in uso presso ciascun Ente, può regolarizzare la propria posizione entro un termine non superiore a 15 giorni dalla notifica dell'invito.

L'invito a regolarizzare impedisce ulteriori verifiche e ha effetto per tutte le interrogazioni intervenute durante il predetto termine di 15 giorni e comunque per un periodo non superiore a 30 giorni dall'interrogazione che lo ha originato.

Ciò significa che la verifica delle dichiarazioni sostitutive non può essere richiesta con riferimento alla specifica data nella quale è stata resa: «ciò stante l'obbligo generale di invito alla regolarizzazione previsto dall'articolo 4 del d.m., anche ai fini di qualificare come “definitivamente accertate” le violazioni gravi alle norme in materia di contributi previdenziali ai sensi dell'art. 38, comma 1 lett. i), d.lgs. n. 163 del 2006» (Circolare Ministero del Lavoro n. 19 dell'8 giugno 2015, art. 4; si vedano anche le Circolari n. 126 del 26 giugno 2015 dell'INPS e n. 61 del 26 giugno 2015 dell'INAIL).

La giurisprudenza ha tratto importanti conclusioni dal rinnovato contesto ordinamentale, affermando che «dal primo luglio (data di entrata in vigore del d.m. 30 gennaio 2015 giusto quanto previsto dall'art. 10 comma 5 della medesima fonte), in ragione delle nuove previsioni normative e delle modalità applicative, il concetto di definitivo accertamento (proprio dell'ordinamento previdenziale) è subordinato all'invito a regolarizzare anche se l'interrogazione sia compiuta dalla stazione appaltante in funzione di verifica» (cfr. Cons. St., Sez. IV, ord. 29 settembre 2015, n. 4542 che, infatti, ha rimesso la questione all'Adunanza Plenaria solo per il periodo precedente a tale sopravvenienza).

Cons. St., Ad. Plen., 29 febbraio 2016, nn. 5 e 6

La disposizione di cui all'art. 31, comma 8, d.l. n. 69 del 2013 – contrariamente a quanto sostenuto nell'ordinanza di rimessione – non può interpretarsi nel senso di subordinare il carattere definitivo della violazione previdenziale (che ai sensi dell'art. 38, d.lgs. n. 163 del 2006 rappresenta un elemento ostativo alla partecipazione alle gare d'appalto) alla condizione che l'impresa che versi in stato di irregolarità contributiva al momento della presentazione dell'offerta venga previamente invitata a regolarizzare la propria posizione previdenziale e che nonostante tale invito perseveri nell'inadempimento dei propri obblighi contributivi.

L'Adunanza Plenaria ritiene, al contrario, che l'art. 31, comma 8, d.l. n. 69 del 2013 non abbia in alcun modo modificato la disciplina dettata dall'art. 38, d.lgs. n. 163 del 2006 e che, pertanto, la regola del previo invito alla regolarizzazione non trovi applicazione nel caso di DURC richiesto dalla stazione appaltante ai fini della verifica delle dichiarazioni rese dall'impresa ai fini della partecipazione alla gara.

L'istituto dell'invito alla regolarizzazione (il c.d. preavviso di DURC negativo) può, dunque, operare solo nei rapporti tra impresa ed Ente previdenziale, ossia con riferimento al DURC chiesto dall'impresa e non anche al DURC richiesto dalla stazione appaltante per la verifica della veridicità dell'autodichiarazione

La Corte di Giustizia si pronuncia su alcune rilevanti questioni

La particolare complessità del quadro interpretativo sopra delineato ha comportato la rimessione di importanti questioni esegetiche in tema di regolarità contributiva alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea.

Al Giudice europeo, in particolare, è stata posta la seguente questione interpretativa: «se l'art. 45, direttiva 18/2004, letto anche alla luce del principio di ragionevolezza, nonché gli artt. 49, 56 del TFUE, ostino ad una normativa nazionale che, nell'ambito di una procedura d'appalto sopra soglia, consenta la richiesta d'ufficio della certificazione formata dagli istituti previdenziali (DURC) ed obblighi la stazione appaltante a considerare ostativa una certificazione dalla quale si evince una violazione contributiva pregressa ed in particolare sussistente al momento della partecipazione, tuttavia non conosciuta dall'operatore economico - il quale ha partecipato in forza di un DURC positivo in corso di validità - e comunque non più sussistente al momento dell'aggiudicazione o della verifica d'ufficio» (Cons. St, Sez. IV, ord. 11 marzo 2015, n. 1236).

In sintesi, sono tre gli aspetti centrali che in questa sede si intendono porre in evidenza.

Il primo attiene alle modalità di accertamento del requisito in questione. L'ordinanza ricorda come l'art. 45, direttiva 2004/18/CE individui, al paragrafo 1, alcune ipotesi che “devono” necessariamente comportare l'esclusione dalle gare nonché, al paragrafo 2, alcune altre e meno allarmanti ipotesi (quale il difetto del requisito di regolarità contributiva) che “possono” comportare l'esclusione. Le differenze tra le due fattispecie sono rilevantissime, in quanto, ove ricorrano cause di obbligatoria esclusione, è consentita la verifica d'ufficio mentre, ove ricorrano cause di facoltativa esclusione, le stazioni appaltanti devono limitarsi ad “accettare” le certificazioni prodotte dai partecipanti.

Ciò significa, con riguardo all'ipotesi dell'esclusione facoltativa che in questa sede rileva, che le stazioni appaltanti, a mente della direttiva 2004/18/CE, e contrariamente a quanto previsto dall'ordinamento italiano, non possono richiedere esse stesse il DURC in luogo dell'operatore interessato ma possono al più pretendere che il candidato alleghi all'atto della domanda il DURC in corso di validità, ovvero che lo produca prima dell'aggiudicazione.

L'ordinanza di rimessione chiarisce che, nell'ordinamento italiano, la questione appena delineata non è di mero dettaglio poiché, l'aver previsto una richiesta d'ufficio del DURC, e l'avere posto a base dell'obbligatoria esclusione il certificato negativo acquisito d'ufficio in relazione a date pregresse (ossia la data di partecipazione), consente che possano emergere inadempienze contributive, non conosciute dall'operatore economico (il quale fa affidamento sulla validità trimestrale del DURC positivo ad egli rilasciato) o addirittura medio tempore sanate. Se invece le stazioni appaltanti si limitassero ad “accettare” l'allegazione del DURC da parte dei concorrenti – così come previsto dalla direttiva – una tale anomalia non verrebbe mai in rilievo, atteso che, anche ove sopravvenissero ipotesi di inadempienza contributiva, gli istituti previdenziali, ai sensi dell'art. 7, d.m. 24 ottobre 2007 e dell'art. 31, comma 8, d.l. n. 69 del 2013, avrebbero l'obbligo di preavvisare il richiedente, dandogli possibilità di regolarizzazione nei successivi 15 giorni. Ergo, se l'operatore economico regolarizza la sua posizione, otterrà e potrà produrre una certificazione nuovamente positiva e non ostativa. L'inadempienza solo “storica” non avrebbe cioè modo di venire in rilievo, ad eccezione dei casi in cui il concorrente si rifiuti di regolarizzare.

In conclusione, secondo l'ordinanza in rassegna, l'avere previsto una sistema che richiede sempre il controllo d'ufficio e storico della regolarità contributiva, senza possibilità di regolarizzazione in corso di gara, contrasta con la ratio ed il tenore del citato art. 45 della direttiva.

Di particolare interesse è anche un ulteriore profilo affrontato dall'ordinanza di rimessione laddove si ribadisce come l'ordinamento italiano oggi ammetta che un'impresa semplicemente in ritardo nel pagamento di un pur modesto debito contributivo al tempo della scadenza del termine per la presentazione della domanda, sia automaticamente ed inderogabilmente esclusa dalla procedura, anche se l'irregolarità è stata subito dopo sanata ed è quindi insussistente al momento dell'aggiudicazione, o è comunque tale da non configurare profili dolosi o colposi che possano considerarsi plausibile indice di inaffidabilità o immoralità. Ciò in quanto la “fotografia” scattata dall'istituto previdenziale al tempo della partecipazione, vincola la stazione appaltante ad escludere l'offerente se da esse emerge un'irregolarità, persino ove quest'ultima non sia più attuale, e non sia oggettivamente idonea ad inficiare o compromettere l'affidabilità e la correttezza dell'impresa, ad esempio perché, nelle more, l'impresa ha sanato la propria pendenza.

Secondo il Consiglio di Stato, l'effetto è che a causa di siffatte irregolarità (esistenti solo sul piano storico e non più significative all'attualità), la stazione appaltante finisce per privarsi della migliore offerta sul piano del prezzo o del rapporto qualità prezzo ed è vincolata ad aggiudicare l'appalto – e la connessa occasione economica – all'impresa che segue in graduatoria, con ciò: a) sprecando risorse economiche, o meglio, non cogliendo occasioni di possibile risparmio, in violazione dei più generali principi di economicità che hanno da sempre ispirato la legislazione italiana ed in particolare la legge di contabilità di Stato, ben prima del coordinamento comunitario; b) attribuendo l'occasione di guadagno – in violazione del principio di concorrenza nella sua pura accezione economica – non già all'imprenditore che ha formulato la migliore delle offerte in termini di prezzo o di qualità/prezzo, bensì a quello che, pur avendo offerto un prezzo più alto o una qualità più bassa, ha avuto l'accortezza di verificare per tempo la posizione contributiva propria e dei suoi partner commerciali, eventualmente regolarizzandola prima della partecipazione alla gara.

Quest'ultima considerazione è la prova dell'esistenza di un paradosso nell'ordinamento italiano: una violazione od una serie di violazioni gravissime – in tesi idonee a minare l'affidabilità dell'impresa e la prognosi circa la sua futura condotta – purché sanate prima della presentazione della domanda, non hanno alcun rilievo o conseguenza rispetto alla procedura di gara ed alla valutazioni della stazione appaltante in punto di affidabilità e correttezza del futuro contraente; una piccola ed unica violazione, od un semplice ritardo, comunque regolarizzato prima dell'aggiudicazione, ma dopo la presentazione dell'offerta, mina l'affidabilità dell'impresa al punto da imporne ineluttabilmente l'esclusione.

Il terzo profilo da porre in rilievo è quello relativo alle conseguenze dell'assenza di un autonomo margine valutativo in capo alla Stazione appaltante, tenuta ad escludere il concorrente ove le risultanze degli accertamenti compiuti dagli Enti previdenziali siano di segno negativo.

Secondo l'ordinanza di rimessione, il principio di concorrenza non dovrebbe limitarsi alla meccanica parità di trattamento procedimentale ma dovrebbe consentire la più ampia ed utile partecipazione delle imprese interessate, consentendo alle stesse di dimostrare, all'atto della presentazione della propria candidatura, la serietà ed affidabilità che ha caratterizzato il proprio comportamento fiscale e contributivo, salva in ogni caso la verifica, in regime di piena trasparenza ed in contraddittorio con gli altri aspiranti, da parte del committente pubblico. L'autonomia valutativa della stazione, ineliminabile al fine di comprendere e decidere in aderenza al caso concreto, non dovrebbe essere a priori stigmatizzata come fonte di arbitrarie scelte ed abusi – come il legislatore lascia implicitamente intendere – ma piuttosto disciplinata ed organizzata in modo da essere sempre informata ai principi di ragionevolezza e proporzionalità, oltre che di trasparenza nel procedimento e correttezza nel metodo, sindacabili dall'autorità giudiziaria. Così intesa, essa porrebbe il committente pubblico in grado di “ragionare” e di comportarsi come un operatore economico dotato di razionalità economica, sia pur illuminato da principi e criteri a salvaguardia della trasparenza o di altri interessi pubblici rilevanti; mentre l'avere eliminato l'autonomia valutativa potrebbe avere minato la sostanza economica del principio di concorrenza.

Del resto, tale impostazione, già in nuce presente nella direttiva 2004/18/CE, sembra essere sviluppata ed esplicitata proprio dal legislatore dell'Unione, il quale al considerando n. 101 della direttiva 2014/24/CE ritiene che «nell'applicare motivi di esclusione facoltativi, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero prestare particolare attenzione al principio di proporzionalità», nonché all'art. 57 comma 6 della medesima direttiva espressamente prevede che «un operatore economico che si trovi in una delle situazioni di cui ai paragrafi 1 e 4 (ndr situazioni che determinerebbero l'esclusione) può fornire prove del fatto che le misure da lui adottate sono sufficienti a dimostrare la sua affidabilità nonostante l'esistenza di un pertinente motivo di esclusione. Se tali prove sono ritenute sufficienti, l'operatore economico in questione non è escluso dalla procedura d'appalto».

La questione pregiudiziale è stata affrontata dai Giudici europei con la sentenza
Corte giust. comm. UE, sez IX, 10 novembre 2016, causa C-199/15 che ha aderito alla tesi più rigida e garantista.

Quanto alla prima questione, la Corte di Giustizia ha rilevato che l'art. 45, paragrafo 2, lettera e), della direttiva 2004/18 consente agli Stati membri di escludere dalla partecipazione a un appalto pubblico ogni operatore economico che non sia in regola con gli obblighi relativi al pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali e che, inoltre, in forza dell'articolo 45, paragrafo 3, della direttiva 2004/18, le amministrazioni aggiudicatrici accettano come prova sufficiente che attesta che l'operatore economico non si trova nella situazione di cui al citato paragrafo 2, lettera e), un certificato rilasciato dall'autorità competente dello Stato membro in questione e da cui risulti che tali requisiti sono soddisfatti. Pertanto, la Corte ha escluso che dalla formulazione delle suddette disposizioni si evinca un incondizionato divieto per le autorità competenti di richiedere d'ufficio agli istituti previdenziali il certificato prescritto. Sotto un altro profilo, la Corte ha poi precisato che poco importa che l'operatore economico non sia stato preavvisato di una siffatta irregolarità, purché abbia la possibilità di verificare in ogni momento la regolarità della sua situazione presso l'istituto competente.

In definitiva, secondo la Corte di giustizia, l'articolo 45 della direttiva 2004/18 non osta a una normativa nazionale che obbliga le amministrazioni aggiudicatrici a considerare quale motivo di esclusione una violazione in materia di versamento di contributi previdenziali ed assistenziali risultante da un certificato richiesto d'ufficio dall'amministrazione aggiudicatrice e rilasciato dagli istituti previdenziali, qualora tale violazione sussistesse alla data della partecipazione ad una gara d'appalto, escludendo così ogni margine di discrezionalità delle amministrazioni aggiudicatrici a tale riguardo.

DURC e sindacato del Giudice amministrativo

Un profilo particolarmente delicato – con riflessi importanti sulla tutela giurisdizionale relativa ai provvedimenti amministrativi connessi all'accertamento del requisito della regolarità contributiva – attiene alla controversa possibilità per il Giudice amministrativo di estendere il proprio sindacato anche alle risultanze del DURC posto a fondamento delle determinazioni delle Stazioni appaltanti.

Sul punto, si contendono il campo due tesi che rispecchiano la diversa soluzione alla questione relativa alla natura del DURC e, soprattutto, alla permanenza o meno, in capo alla Stazione appaltante, di un autonomo margine valutativo in ordine alle risultanze contenute nel documento emesso dagli Enti previdenziali.

Un primo orientamento riconosce la sindacabilità del DURC da parte del Giudice amministrativo (cfr., fra le altre, Cons. St., Sez. V, 16 febbraio 2015, n. 781; TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, 1° marzo 2016, n. 313).

Si ritiene in particolare che, per quanto, sotto il profilo soggettivo, le Casse Edili appartengano alla categoria delle associazioni non riconosciute ex art. 36 c.c. (le quali, nell'esercizio delle loro funzioni tipiche, non emanano provvedimenti impugnabili in sede di giurisdizione amministrativa) e, sotto il profilo oggettivo, il DURC si sostanzi in una dichiarazione di scienza e si colloca fra gli atti di certificazione o di attestazione facenti prova fino a querela di falso, il Giudice amministrativo ben può verificare quale sia, ovvero quale debba essere, il contenuto del DURC, quando esso sia stato posto a base di un provvedimento, emesso nel corso di una procedura ad evidenza pubblica. Ciò in quanto l'accertamento in ordine alla regolarità contributiva costituisce l'oggetto di una specifica attività valutativa dell'amministrazione sulla sussistenza della regolarità del rapporto previdenziale: l'interessato ben può dedurre la sussistenza di profili di eccesso di potere per erroneità dei presupposti, quando contesti le conclusioni cui è giunta l'amministrazione all'esito di tale attività valutativa.

In tale contesto, il Giudice amministrativo verifica se effettivamente sussista il presupposto e compie un accertamento di carattere meramente incidentale ex art. 8 cod. proc. amm., privo di efficacia di giudicato sulla regolarità del rapporto previdenziale, ma che ha rilievo nell'ambito del giudizio di impugnazione avente per oggetto gli atti di gara. Ciò proprio in base alla considerazione che la produzione della certificazione, attestante la regolarità contributiva dell'impresa partecipante alla gara di appalto, costituisce uno dei requisiti posti dalla normativa di settore ai fini dell'ammissione alla gara, sicché il giudice amministrativo ben può verificare la regolarità di tale certificazione (Cass., Sez. un., 9 febbraio 2011, n. 3169).

L'opposto orientamento, invece, diverge da quello appena illustrato già dal punto di vista sostanziale, in quanto – nonostante la sopravvenienza dell'art. 31, comma 8, d.l. n. 69 del 2013 – conferma l'attualità dell'orientamento cristallizzato nella pronuncia dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 4 maggio 2012, n. 8 secondo cui la nozione di “violazione grave” non è rimessa alla valutazione caso per caso della stazione appaltante, ma si desume dalla disciplina previdenziale, e in particolare dalla disciplina del documento unico di regolarità contributiva, con la conseguenza che la verifica della regolarità contributiva delle imprese partecipanti a procedure di gara per l'aggiudicazione di appalti con la pubblica amministrazione è demandata agli istituti di previdenza, le cui certificazioni si impongono alle stazioni appaltanti, che non possono sindacarne il contenuto.

Sulla scorta di tale premessa, questo secondo orientamento giunge a dichiarare l'assenza di giurisdizione amministrativa sulle risultanze contenute nel DURC, atteso che gli eventuali errori contenuti in detto documento, involgendo posizioni di diritto soggettivo afferenti al sottostante rapporto contributivo, potranno essere corretti dal giudice ordinario, o all'esito di proposizione di querela di falso, o a seguito di ordinaria controversia in materia di previdenza e di assistenza obbligatoria. Infatti, ciò che forma oggetto di valutazione ai fini del rilascio del certificato è la regolarità dei versamenti ed in questo ambito ciò che viene in rilievo non è certo un rapporto pubblicistico, bensì un rapporto obbligatorio previdenziale di natura privatistica. In altri termini, il rapporto sostanziale di cui il DURC è mera attestazione si consuma interamente in ambito privatistico, senza che su di esso vengano ad incidere direttamente o indirettamente poteri pubblicistici, per cui il sindacato sullo stesso esula dall'ambito della giurisdizione, ancorché esclusiva, di cui è titolare il giudice amministrativo in materia di appalti (da ultimo, Cons.St., Sez. IV, 12 marzo 2015, n. 1321; cfr. anche Cons. St., sez. V, 17 maggio 2013, n. 2682).

La regolarità contributiva nella fase esecutiva del contratto

La regolarità contributiva assume particolare importanza anche relativamente alla fase esecutiva del contratto pubblico.

In quest'ambito, però, il nuovo Codice non prevede una disciplina espressa con la conseguenza che, nelle more di interventi chiarificatori della giurisprudenza e dell'Autorità di regolazione, si ritiene comunque utile dar conto della disciplina previgente di cui all'art. 6, d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 (Regolamento di esecuzione del Codice dei contratti).

Le amministrazioni aggiudicatrici acquisiscono il DURC anche ai fini della stipula del contratto, per il pagamento degli stati avanzamento lavori o delle prestazioni relative a servizi e forniture e, da ultimo, per il certificato di collaudo, il certificato di regolare esecuzione, il certificato di verifica di conformità, l'attestazione di regolare esecuzione, e il pagamento del saldo finale.

Inoltre, qualora tra la stipula del contratto e il primo stato di avanzamento dei lavori o il primo accertamento delle prestazioni effettuate relative a forniture e servizi, ovvero tra due successivi stati di avanzamento dei lavori o accertamenti delle prestazioni effettuate relative a forniture e servizi, intercorra un periodo superiore a centottanta giorni, le amministrazioni aggiudicatrici devono acquisire il DURC aggiornato relativo all'esecutore ed ai subappaltatori entro trenta giorni dal superamento dei predetti centottanta giorni.

L'art. 6, comma 5, del Regolamento prevede, inoltre, che le Stazioni appaltanti acquisiscono d'ufficio il DURC relativo ai subappaltatori ai fini del rilascio dell'autorizzazione di cui all'art. 118, comma 8, c.c.p.

Molto particolare (oltre che più tollerante rispetto alla fase di gara) era nel contesto del regolamento n. 207/2010 la disciplina delle conseguenze dell'accertamento di una situazione di irregolarità.

L'art. 7, comma 8, prevede che, in caso di ottenimento del DURC dell'affidatario del contratto negativo per due volte consecutive, il responsabile del procedimento, acquisita una relazione particolareggiata predisposta dal direttore dei lavori ovvero dal direttore dell'esecuzione, propone, ai sensi dell'articolo 135, comma 1, c.c.p., la risoluzione del contratto, previa contestazione degli addebiti e assegnazione di un termine non inferiore a quindici giorni per la presentazione delle controdeduzioni.

Inoltre, ove l'ottenimento del DURC negativo per due volte consecutive riguardi il subappaltatore, la Stazione appaltante pronuncia, previa contestazione degli addebiti al subappaltatore e assegnazione di un termine non inferiore a quindici giorni per la presentazione delle controdeduzioni, la decadenza dell'autorizzazione del relativo subappalto, dandone contestuale segnalazione all'Osservatorio per l'inserimento nel casellario informatico.

Sommario