Marco Salina
18 Marzo 2020

Con riguardo al tema della risoluzione del contratto, negli appalti pubblici si verifica una parziale sovrapposizione fra la disciplina generale, prevista del codice civile, e quella speciale stabilita dal codice dei contratti pubblici, di cui al d.lgs. n. 50 del 2016.
Inquadramento

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Con riguardo al tema della risoluzione del contratto, negli appalti pubblici si verifica una parziale sovrapposizione fra la disciplina generale, prevista del codice civile, e quella speciale stabilita dal codice dei contratti pubblici, di cui al d.lgs. n.50 del 2016.

Secondo la prima, come è noto, la risoluzione del contratto può intervenire per inadempimento di una delle parti (art. 1453 e ss. c.c. e art. 1662 c.c.), per impossibilità sopravvenuta (art. 1463 e ss. c.c.), nonché per eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 e ss. c.c.). Si tratta di ipotesi valide anche nell'appalto pubblico e, anzi, si tratta delle sole ipotesi percorribili, se la risoluzione è richiesta dall'appaltatore.

Viceversa la stazione appaltante, in ragione del superiore interesse pubblico di cui è depositaria, può beneficiare di una disciplina speciale e di alcune facoltà aggiuntive, volte a garantire la celerità della risoluzione e ad evitare l'incertezza ed i ritardi che potrebbero derivare dall'applicazione del diritto comune.

Si tratta di una disciplina ben consolidata, in quanto già tracciata nelle fondamenta dalla lontana legge sui lavori pubblici del 1865, poi sostanzialmente ripresa dagli artt. 135 - 139 d.lgs. n. 163 del 2006 ed oggi riproposta, sia pure con le significative integrazioni, di cui si dirà, dall'art.108 d.lgs. n. 50 del 2016, la cui applicazione è trasversale a tutti gli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture.

Il tratto caratteristico dell'istituto sta nel riconoscimento, in capo all'amministrazione, del potere di risolvere il contratto in via di autotutela, ossia con determinazione unilaterale della propria volontà, senza necessità di adire la via giurisdizionale e di attendere la valutazione del giudice ordinario. Il quale, infatti, come si vedrà, ove interpellato dall'appaltatore potrà caso mai decidere delle conseguenze risarcitorie dell'atto che fosse adottato in assenza dei necessari presupposti o in violazione dell'iter procedimentale previsto, previa la sua disapplicazione.

Tale potere dell'amministrazione sussiste al ricorrere di ipotesi tipiche, che l'art.108 d.lgs. n. 50 del 2006 ha descritto in conformità ai dettami del diritto euro-unitario, come si passa a riferire.

La facoltà di risolvere il contratto d'appalto in via autoritativa non preclude all'amministrazione di chiedere al giudice ordinario la risoluzione giudiziale del contratto per inadempimento della controparte ex art.1453 c.c., nell'eventualità che l'atto di esercizio del potere di autotutela sia riconosciuto illegittimo, trattandosi di due rimedi aventi natura giuridica diversa e caratterizzati da presupposti e modalità differenti (Cass. civ., Sez. I, 16 febbraio 2016 n. 2984; Cass. civ., Sez. I, 10 agosto 1982, n. 4473).

La risoluzione del contratto nel d.lgs. n. 50 del 2016, in conformità alle direttive europee.

Il nuovo codice dei contratti pubblici, approvato con d.lgs. n.50 del 18 aprile 2016, ha recepito nel nostro ordinamento interno le direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE, rispettivamente dedicate all'aggiudicazione dei contratti di concessione, agli appalti pubblici nei settori ordinari ed alle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali (c.d. settori speciali).

Tali direttive, innovando rispetto alla previgente disciplina comunitaria, contengono una norma dedicata al tema della risoluzione contrattuale. In particolare l'art.73 direttiva 2014/24/UE, relativamente agli appalti nei settori c.d. ordinari, prevede l'obbligo degli Stati membri di garantire che le amministrazioni abbiano la possibilità di risolvere il contratto pubblico, durante il periodo di validità dello stesso, al ricorrere di determinate circostanze (analoga previsione è inoltre contenuta all'art.90 direttiva 2014/25/UE, per gli appalti nei settori c.d. speciali, e all'art.44 della direttiva 2014/23/UE, in tema di concessioni).

Le circostanze al ricorrere della quali il Legislatore euro-unitario stabilisce che l'amministrazione possa risolvere il contratto, sono le seguenti:

  1. il contratto ha subito una modifica sostanziale che avrebbe richiesto una nuova procedura di appalto ai sensi dell'art. 72 della medesima direttiva;
  2. l'aggiudicatario si è trovato, al momento dell'aggiudicazione dell'appalto, in una delle situazioni previste dall'art. 57, paragrafo 1, della direttiva, che avrebbero dovuto comportarne l'esclusione dalla gara, per carenza dei requisiti di ordine generale;
  3. l'appalto non avrebbe dovuto essere aggiudicato in considerazione di una grave violazione, ascrivibile all'aggiudicatario, degli obblighi derivanti dai trattati e dalla direttiva stessa, come riconosciuto dalla Corte di giustizia dell'Unione europea in un procedimento ai sensi dell'articolo 258 TFUE.

La ratio di tale nuova previsione, come si legge nei preliminari “considerando”, sta nel fatto che le amministrazioni aggiudicatrici si trovano a volte ad affrontare circostanze che richiedono la risoluzione anticipata di contratti pubblici al fine di rispettare gli obblighi derivanti dal diritto dell'Unione nel settore degli appalti pubblici. Gli Stati membri dovrebbero, pertanto, assicurare che le amministrazioni aggiudicatrici abbiano la possibilità, alle condizioni stabilite dal diritto nazionale, di risolvere un contratto pubblico durante il periodo di validità dello stesso, se così richiesto dal diritto dell'Unione (cfr. considerando n.112 direttiva 2014/24/UE; considerando n.118 direttiva 2014/25/UE; considerando n. 80 direttiva 2014/23/UE).

In attuazione di tali previsioni, il nuovo codice dei contratti ha integrato la disciplina previgente sulla risoluzione del contratto (ossia quella di cui agli artt.135 – 139 d.lgs. n.163 del 2006), condensandola in un unico e ponderoso articolo che risulta ben poco rispettoso del suggerimento ricevuto del Consiglio di Stato in sede consultiva, laddove era stato precisato che «la tecnica di accorpare in un unico lungo articolo le disposizioni dapprima racchiuse in distinti articoli, aggiungendovi altresì ulteriori ipotesi di derivazione comunitaria, comporta non una semplificazione normativa ma una maggiore difficoltà di lettura della disciplina» (Cons. St., Ad. spec., parere n. 855 del 1° aprile 2016).

Infatti oggi l'art. 108 d.lgs.n. 50 del 2016 da un lato riproduce pedissequamente quanto già previsto dall'art.136 d.lgs. n. 163 del 2006, relativamente ai casi di risoluzione per inadempimento e per ritardo, oltre che dagli artt. 138 e 139, per quanto attiene la procedura che la stazione appaltante è tenuta a seguire per addivenire alla chiusura anticipata del rapporto. Ma d'altro lato la nuova norma ha pure previsto ulteriori ipotesi al ricorrere delle quali è possibile addivenire alla risoluzione, riproponendo quegli stessi casi che, come sopra si è detto, sono stati imposti dalle superiori direttive UE.

Si tratta nello specifico delle ipotesi riportate all'art. 108, comma 1:

  • lett.a)(«il contratto ha subito una modifica sostanziale che avrebbe richiesto una nuova procedura di appalto ai sensi dell'art.106»),
  • di cui alla lett. c) («l'aggiudicatario si è trovato, al momento dell'aggiudicazione dell'appalto, in una delle situazioni di cui all'articolo 80, comma 1, per quanto riguarda i settori ordinari ovvero di cui all'articolo 170, comma 3, per quanto riguarda le concessioni e avrebbe dovuto pertanto essere escluso dalla procedura di appalto o di aggiudicazione della concessione, ovvero ancora per quanto riguarda i settori speciali avrebbe dovuto essere escluso a norma dell'articolo 136, comma 1, secondo e terzo periodo»)
  • ed alla lett. d) («l'appalto non avrebbe dovuto essere aggiudicato in considerazione di una grave violazione degli obblighi derivanti dai trattati, come riconosciuto dalla Corte di giustizia dell'Unione europea in un procedimento ai sensi dell'articolo 258 TFUE»).

Al ricorrere di tali ipotesi, oltre che nell'ipotesi di cui alla lett.b)(legata a modifiche contrattuali in corso d'opera eccedenti le soglie stabilite dall'art.106 cit.), il d.lgs.n. 50 del 2016 prevede la mera facoltà – e non l'obbligo – della stazione appaltante di procedere alla risoluzione del contratto («Le stazioni appaltanti possono risolvere un contratto pubblico durante il periodo di sua efficacia, se una o più delle seguenti condizioni sono soddisfatte…»). Evidentemente il Legislatore nazionale ha ritenuto che fosse opportuno rimettere all'amministrazione una valutazione di costi-benefici, valutando cioè l'opportunità della risoluzione in relazione allo stato dei lavori ed alle eventuali conseguenze correlate alla finalità dell'intervento. In altre ipotesi, invece, ed in particolare in caso di decadenza dell'attestazione SOA per aver prodotto falsa documentazione o dichiarazioni mendaci (art.108 comma 2 lett.a), ovvero di sopravvenuta applicazione di misure di prevenzione a carico dell'appaltatore, o di sentenza passata in giudicato per i reati di cui all'art. 80 (comma 2, lett.b), la risoluzione del contratto costituisce per la Committente un obbligo inderogabile («Le stazioni appaltanti devono risolvere un contratto pubblico durante il periodo di efficacia dello stesso qualora…»).

In considerazione del fatto che il contenzioso attualmente pendente in sede giurisdizionale si riferisce ancora per buona parte a contratti sottoposti ratione temporis alla previgente disciplina, di cui al d.lgs. n.163 del 2006, si rinvia allo schema che segue per un confronto fra i due testi normativi.

D.LGS. N. 50 DEL 2016

CASISTICA

OBBLIGO

FACOLTA'

REGIME PREVIGENTE

Art. 108, comma 1, lett. a) e b) d.lgs. n. 50/2016

necessità di modifiche o varianti al contratto eccedenti i limiti previsti dall'art. 106

FACOLTA'

l'art. 132, comma 4, d.lgs. n. 163 del 2006 prevedeva la risoluzione solo in caso di varianti per errori progettuali eccedenti 1/5 dell'importo contrattuale

art. 108, comma 1, lett. c) d.lgs. n. 50/2016

l'aggiudicatario si è trovato, al momento dell'aggiudicazione dell'appalto, in una delle situazioni di cui all'art. 80, comma 1, e pertanto avrebbe dovuto essere escluso dalla procedura

FACOLTA'

art. 108, comma 1, lett. d) d.lgs. n. 50/2016

l'appalto non avrebbe dovuto essere aggiudicato in considerazione di una grave violazione degli obblighi derivanti dai trattati, come riconosciuto dalla Corte di giustizia dell'Unione europea in un procedimento ai sensi dell'art. 258 TFUE, o di una sentenza passata in giudicato per violazione del presente codice

FACOLTA'

Art. 108, comma 2, lett. a) d.lgs. n. 50/2016

Nei confronti dell'appaltatore è intervenuta la decadenza dell'attestazione SOA per aver prodotto falsa documentazione o dichiarazioni mendaci

OBBLIGO

art. 135, comma 1-bis, d.lgs. n. 163 del 2006

Art. 108, comma 2, lett. b) d.lgs. n. 50/2016

nei confronti dell'appaltatore sia intervenuto:

- un provvedimento definitivo che dispone l'applicazione di una misura di prevenzione di cui al Codice antimafia;

- una sentenza di condanna passata in giudicato per i reati di cui all'art. 80

OBBLIGO

art. 135, comma 1, d.lgs. n. 163 del 2006

Art. 108 comma 3, d.lgs. n. 50/2016

grave inadempimento dell'appaltatore, tale da compromettere la buona riuscita della prestazione

FACOLTA'

(cfr. ANAC, delib. 308/01)

art. 136, commi 1-3, d.lgs. n. 163 del 2006

Art. 108 comma 3, d.lgs. n. 50/2016

ritardo nell'esecuzione dell'opera, dovuto a negligenza dell'appaltatore

FACOLTA'

art. 136, commi 4-6, d.lgs. n. 163 del 2006

La natura giuridica dell'atto di risoluzione ed i riflessi di ordine processuale

Si è a lungo discusso se l'atto con cui l'amministrazione dispone la risoluzione del contratto appartenga al novero dei provvedimenti amministrativi o, viceversa, si tratti di atto avente natura privatistica e negoziale. Tale disputa, tuttavia, almeno sul fronte giurisprudenziale parrebbe sopita, dato che giudici civili ed amministrativi paiono ormai concordi nel ritenere che – poiché il contratto di appalto di opere pubbliche è un contratto di diritto privato dal quale, una volta esaurita la procedura di affidamento dei lavori, sorgono diritti ed obblighi a carico di entrambi i contraenti – gli atti con i quali l'Amministrazione esercita la facoltà di risolverlo unilateralmente non abbiano natura provvedimentale, venendo in rilievo lo speciale potere di autotutela privatistica dell'Amministrazione, che l'ordinamento ammette al ricorrere di ipotesi tassative, come appunto nel caso della risoluzione exart.108 d.lgs. n. 50 del 2016 o del recesso, di cui al successivo art.109 d.lgs. cit..

Il tema si è posto principalmente al fine di individuare la giurisdizione deputata a decidere le controversie in punto di risoluzione, la quale, coerentemente con la citata impostazione, è ormai concordemente ritenuta essere quella del giudice ordinario (o cognizione arbitrale, ove ciò sia previsto dal contratto), fatte salve alcune limitate eccezioni che saranno menzionate nei box sottostanti. Infatti, una volta esaurita la procedura di affidamento dei lavori, non vengono più in rilievo poteri pubblici, onde non sono neppure configurabili interessi legittimi in capo al contraente privato. Né rileva, in senso opposto, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, che l'art.133 c.p.a. estende, tra l'altro, alla materia degli affidamenti di appalti pubblici, perché la norma, conformemente al criterio dettato al riguardo da Corte cost., 6 luglio 2004 n.204, non comprende la fase esecutiva del rapporto, che ha inizio a seguito dell'aggiudicazione, e per la quale opera, come si è detto, la giurisdizione del giudice ordinario.

Fermo questo, la componente pubblicistica che indubbiamente caratterizza l'istituto riaffiora con riguardo al tema dell'ampiezza della tutela giudiziale, in particolare per quanto concerne le prerogative riservate all'appaltatore che ha subito lo scioglimento del rapporto. Si tratta, infatti, di prerogative ristrette e vincolate, dal momento che l'atto di risoluzione non può essere né sospeso, né annullato dal giudice adito e la propria eventuale illegittimità produce, al più, il diritto dell'appaltatore di conseguire il risarcimento del danno, per l'utile non conseguito e per gli ulteriori pregiudizi economici eventualmente subiti, sottoposti al rigoroso rispetto dell'onere della prova (Cass. civ., Sez.I, 16 febbraio 2016 n.2984).

Come è stato più volte ribadito in sede giurisprudenziale, tale domanda risarcitoria dell'appaltatore, riguardando l'esistenza stessa del contratto, non è soggetta alla decadenza per inosservanza dell'onere di tempestiva iscrizione della riserva nel registro di contabilità (onere previsto dall'art.190 d.P.R. n. 207 del 2010, norma quest'ultima ancora in vigore ai sensi dell'art.217 comma 1 lett. u) numero 1) d.lgs. n. 50 del 2016, fino all'entrata in vigore degli atti attuativi del nuovo Codice), il quale opera soltanto con riferimento alle pretese dell'appaltatore che comportino il riconoscimento di compensi o indennizzi aggiuntivi, rispetto al prezzo originariamente convenuto, in dipendenza di qualsivoglia situazione insorta nel corso dell'esecuzione del contratto (Cass. civ., Sez.I, 17 ottobre 2014,n.22036; Cass. civ., Sez. I, 17 settembre 2014, n.19531).Per quanto concerne i criteri per la determinazione e quantificazione economica del danno derivante da illegittima risoluzione, si ritiene comunemente che l'impresa abbia diritto alla reintegrazione patrimoniale in ragione del valore venale delle opere legittimamente eseguite (dunque senza l'applicazione del ribasso offerto in sede di gara) e che la restitutio in integrum vada operata con riferimento al valore delle opere al momento della risoluzione del vincolo negoziale. L'obbligazione di risarcimento del danno, inoltre, ancorché derivante da inadempimento contrattuale, configura un debito di valore, in quanto diretta a reintegrare completamente il patrimonio del danneggiato, sicché resta sottratta al principio nominalistico, e deve, pertanto, essere quantificata dal giudice, anche d'ufficio, tenendo conto della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla data della liquidazione. Gli interessi, invece, andranno calcolati soltanto a partire dalla data della liquidazione, poiché altrimenti si produrrebbe l'effetto di far conseguire al creditore più di quanto lo stesso avrebbe ottenuto in caso di tempestivo adempimento dell'obbligazione.

Gli atti con i quali l'Amministrazione esercita la facoltà di risolvere il contratto d'appalto, con prosecuzione d'ufficio dei lavori in danno dell'appaltatore inadempiente, non hanno natura provvedimentale, venendo in rilievo lo speciale potere di autotutela privatistica dell'Amministrazione, che l'ordinamento ammette al ricorrere di ipotesi tassative, normativamente stabilite (ex multis Cass. civ., Sez. I, 13 ottobre 2014, n. 21594; Cass. Sez. un., 19 novembre 2001, n.14539; Cass. Sez. un.,07 marzo 2011, n. 95; Cons. St., Ad. plen., 29 gennaio 2014, n. 6).

Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente ad oggetto l'esercizio della facoltà di risoluzione (in danno dell'appaltatore) del contratto di appalto per l'esecuzione di opere pubbliche stipulato dopo l'aggiudicazione della relativa gara alla stessa ditta appaltatrice (Cass., Sez. un., 3 maggio 2017, n. 10705; Cass., Sez. un., 7 marzo 2001, n. 95, Cons. Stato, Sez.V, 19 aprile 2019, n.2543; Cons. Stato, Sez. V, 30 gennaio 2002, n. 515, Cons. St., Sez. V, 20 aprile 2000, n. 2435).

Contra però cfr. Cons. St., Sez. IV, 20 luglio 2016, n. 3247, che ha giudicato che nell'ipotesi in cui l'informativa antimafia interdittiva intervenga in corso di esecuzione di un contratto di appalto con la P.A. non sussiste una “sopravvenienza” impeditiva dell'ulteriore esecuzione del contratto stipulato, bensì l'accertamento dell'incapacità originaria del privato ad essere parte contrattuale della pubblica amministrazione. Dal che deriverebbe la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo [ex art. 133, comma 1, lett. e), n. 1 c.p.a.] sui provvedimenti con i quali l'Amministrazione committente revochi l'affidamento di un appalto ovvero receda unilateralmente dal contratto, per effetto di una sopravvenuta informativa antimafia interdittiva (cfr. anche Cons. Stato, sez. III, 21-07-2014, n. 3873, che richiama Cass. Civ., ss. uu., 28-11-2008, n.28345; in termini v. T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 30-06-2016, n. 7514, che applica il medesimo principio anche al caso di specifiche clausole contrattuali contemplanti il potere dell'Amministrazione di procedere alla risoluzione del contratto in presenza di informativa prefettizia).

Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie in materia di inadempimento dell'appaltatore anche nel caso in cui lo stesso stia eseguendo l'affidamento in via anticipata, dovendosi valorizzare il criterio sostanziale della natura intrinseca delle posizioni soggettive coinvolte in giudizio, non essendo dirimente il dato formale della mancata stipula del contratto (TAR Napoli, Sez.I, 11 aprile 2016, n.1772; TAR Toscana, 11 aprile 2016, n.610, che richiama Cass. civ., Sez.Un., 18 ottobre 2005, n. 20116; Cass. civ., Sez. Un., 6 maggio 2005, n. 9391).

Contraperò TAR Lombardia, Brescia, Sez.II, 15 aprile 2014, n.395 e Cons. St., Sez.IV, 27 dicembre 2004, n.8220, secondo cui la giurisdizione esclusiva del G.A. in materia di affidamento dei contratti pubblici si estenderebbe a tutti gli atti adottati nel tempo che intercorre tra l'aggiudicazione e la stipula del contratto, anche se l'aggiudicatario abbia intrapreso l'esecuzione in via anticipata, in quanto, in tale fase, l'amministrazione conserverebbe poteri di natura pubblicistica, sottoposti al controllo del giudice amministrativo.

«La giurisprudenza di questa Corte è fermissima da decenni nell'affermare che detto provvedimento [di risoluzione del contratto in via autoritativa]) non preclude all'appaltatore di contestarne la legittimità davanti al G.O. sia per ragioni sostanziali che procedurali al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti (Cass. n. 1642/1998; sez. un. n. 1224/1976); nonché ad entrambe le parti (e quindi anche alla P.A. committente) di chiedere, previa disapplicazione in via incidentale del provvedimento, la risoluzione del contratto per inadempimento della controparte ex art. 1453 c.c. e segg. (ovvero per altra causa: cfr. Cass. n. 1217/2000)» (Cass. Civ., sez. I, 16 febbraio 2016, n. 2984; Cass. civ., Sez. I, 12 agosto 2010, n. 18644; Cass. civ., Sez. I, 4 febbraio 2000, n. 1217).

«Il risarcimento del danno per illegittima risoluzione del contratto di appalto va determinato con riferimento al valore venale delle opere legittimamente realizzate dall'impresa appaltatrice al momento della intervenuta risoluzione del contratto. Detta somma deve essere rivalutata a partire dal momento della intervenuta risoluzione del contratto, mentre gli interessi sulla somma rivalutata devono essere corrisposti a partire dal momento della sentenza, rappresentando questo il momento in cui il debito di valore, con la sua liquidazione, si trasforma in debito di valuta» (Cass. Sez. un., 30 ottobre 2008, n. 26008; Cass. Sez. un., Sez. I, 4 ottobre 1999, n. 1102).

La risoluzione del contratto per reati accertati, per l'applicazione di misure di prevenzione e antimafia e per decadenza dall'attestazione di qualificazione (art. 108 comma 2 lett.a) e lett.b) del d.lgs. n.50 del 2016)

Si tratta delle ipotesi oggi descritte all'art.108 comma 2 lett.a) e lett.b) del d.lgs. n.50 del 2016, sostanzialmente riproduttive del previgente art.135 d.lgs. n.163 del 2006. Tali ipotesi risolutive riguardano l'affidabilità morale o i requisiti tecnici del concorrente e, dunque, costituiscono un intervento di carattere preventivo, che incide soltanto in via potenziale sulla corretta esecuzione del contratto.

Al ricorrere di tali ipotesi, la risoluzione del contratto non costituisce una mera facoltà, bensì un obbligo per la stazione appaltante («Le stazioni appaltanti devono risolvere un contratto pubblico durante il periodo di efficacia dello stesso qualora…»).

Per il caso delle misure di prevenzione ed antimafia la disciplina va integrata con quella stabilita dall'art. 94 del d.lgs. n. 159 del 2011, che al comma 3 prevede un'eccezione all'obbligo della risoluzione contrattuale nel caso in cui l'opera sia in corso di ultimazione ovvero, in caso di fornitura di beni e servizi ritenuta essenziale per il perseguimento dell'interesse pubblico, qualora il soggetto che la fornisce non sia sostituibile in tempi rapidi. Si tratta ovviamente di ipotesi eccezionale e, come tale, di stretta interpretazione (Cons. Stato, Sez.III, 16 gennaio 2019 n.392).

Inoltre la risoluzione del contratto può essere evitata in caso di “commissariamento” dell'appaltatore al ricorrere delle condizioni di cui all'art.32 comma 10 del d.l. n.90 del 2014 (conv. in legge n.114 del 2014), ossia nel caso in cui sussista l'urgente necessità di assicurare il completamento dell'esecuzione del contratto ovvero la sua prosecuzione al fine di garantire la continuità di funzioni e servizi indifferibili per la tutela dei diritti fondamentali, nonché per la salvaguardia dei livelli occupazionali o dell'integrità dei bilanci pubblici. In tal caso le misure sono disposte ad iniziativa del Prefetto, che informa il Presidente dell'ANAC.

«In ordine al suddetto “commissariamento” ex art. 32 comma 10 si è formato un orientamento assolutamente univoco di questa Sezione, nei sensi che di seguito si riepilogano:

- quando sia stata emessa l'informativa, la stazione appaltante è vincolata a recedere dal contratto, (salva l'eccezionale ipotesi dell'art. 94, comma 3, del d. lgs. n. 159 del 2011), se e fino a quando non sopraggiunga l'eventuale provvedimento di straordinaria e temporanea gestione, adottata dal Prefetto per le eccezionali esigenze contemplate dall'art. 32, comma 10, del d.l. n. 90 del 2014 (capi 8.12. sentenza n. 6195/2017 e 5.11. sentenza n. 1630/2016);

- le stesse Seconde Linee Guida dell'ANAC del 27 gennaio 2015 (per l'applicazione delle misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese) chiariscono, a p. 8, che, in presenza di una informativa antimafia interdittiva, la regola generale è quella della revoca dell'aggiudicazione o, se la stipula negoziale è già intervenuta, della risoluzione del contratto, ai sensi dell'art. 94, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 159 del 2011, costituendo la prosecuzione del contratto pubblico un rimedio di carattere straordinario, in presenza degli eccezionali requisiti, rispondenti ad esclusive finalità di interesse pubblico, e nei rigorosi limiti stabiliti dall'art. 32, comma 10, del d.l. n. 90 del 2014 (rispettivi capi 8.14. e 5.13. delle medesime sentenze n. 6195/2017 e n. 1630/2016). Tali requisiti sono quelli testualmente indicati dal suddetto comma 10 e cioè che “sussista l'urgente necessità di assicurare il completamento dell'esecuzione del contratto ovvero dell'accordo contrattuale, ovvero la sua prosecuzione al fine di garantire la continuità di funzioni e servizi indifferibili per la tutela di diritti fondamentali, nonché per la salvaguardia dei livelli occupazionali o dell'integrità dei bilanci pubblici”;

- si tratta di ipotesi eccezionali che giustificano la prosecuzione del rapporto contrattuale, previa "bonifica" dell'assetto societario, per preminenti ragioni di interesse generale, al punto che l'attività di temporanea e straordinaria gestione dell'impresa è considerata di "pubblica utilità", come chiarisce il comma 4 (rispettivi capi 21.12. sentenza n. 2085/2017; 31.2. sentenza n. 4454/2016 e 37.2. sentenza n. 3653/2015);

- l'art. 92, comma 2-bis, del d.lgs. n. 159 del 2011 prevede che il Prefetto, adottata l'informazione antimafia interdittiva, verifica, altresì, la sussistenza dei presupposti per l'applicazione delle misure di cui all'art. 32, comma 10, d.lgs. n. 90/2014, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 114 del 2014, e, in caso positivo, ne informa tempestivamente il Presidente dell'Autorità Nazionale Anticorruzione (capi 21.14 sentenza n. 2085/2017; 31.4. sentenza n. 4454/2016 e 37.4. sentenza n. 3653/2015): si tratta di misure adottate "di propria iniziativa" dal Prefetto (capo 9.1. sentenza n. 3009/2016);

- in base alla norma, non è sufficiente un giudizio di semplice possibilità di completare o proseguire il contratto, al fine di evitare la soluzione di continuità nell'impresa appaltatrice conseguente all'interdittiva che l'ha colpita, ma è necessario un giudizio di "urgente necessità", legata ai vantaggi derivanti dal mantenere in cantiere l'impresa appaltatrice, rispetto all'ipotesi alternativa di far subentrare una diversa impresa, alla luce dei prevedibili effetti delle soluzioni alternative sugli interessi pubblici menzionati al comma 10 (capo 9.2. sentenza n. 3009/2016).

Quanto alla ratio della norma in questione, essa è stata ricostruita in due pronunce della III (capi 5.6. e ss.) e V Sezione (capo 18) di questo Consiglio nel senso che la decisione prefettizia è espressione di un potere discrezionale di comparazione degli interessi e fino a che essa non è adottata la stazione appaltante è vincolata a recedere dal contratto quando sia stata emessa l'informativa. Pertanto, a fronte di una regola generale che impone di far cadere l'aggiudicazione e di conseguenza far venir meno anche gli effetti del contratto, si pone l'eccezione della prosecuzione del rapporto fondata sulla valutazione prefettizia che in concreto deve accertare l'urgente necessità di assicurare il completamento dell'esecuzione del contratto ovvero dell'accordo contrattuale, ovvero la sua prosecuzione al fine di garantire la continuità di funzioni e servizi indifferibili per la tutela di diritti fondamentali, nonché per la salvaguardia dei livelli occupazionali o dell'integrità dei bilanci pubblici: pertanto, se l'effetto dell'informativa antimafia è di carattere generale ed investe tutti i rapporti contrattuali o concessori (con l'amministrazione) dell'impresa che ne risulti destinataria, quello della deroga presuppone una concreta valutazione del rapporto contrattuale, che si ritiene si debba mantenere in essere» (Cons. Stato, Sez.III, 16 gennaio 2019 n.392).

La risoluzione del contratto per grave inadempimento, grave irregolarità e grave ritardo (art. 108 comma 3 e comma 4 d.lgs. n. 50 del 2016)

Analogamente alla previgente disciplina di cui all'art.136 del d.lgs. n.163 del 2006, anche il nuovo Codice dispone la risoluzione del contratto al ricorrere di ipotesi direttamente incidenti sulla corretta esecuzione dell'opera e sulla buona riuscita dell'appalto. La norma, infatti, prevede i casi della risoluzione per grave inadempimento, tale da compromettere la buona riuscita dei lavori (comma 3) e del grave ritardo dovuto a negligenza dell'appaltatore (comma 4).

Sotto il profilo procedurale, l'art. 108 comma 3, d.lgs. n. 50 del 2016 stabilisce che quando il direttore dei lavori accerti che comportamenti dell'appaltatore concretino grave inadempimento alle obbligazioni di contratto, tale da compromettere la buona riuscita dei lavori, egli invii al responsabile del procedimento una relazione particolareggiata, corredata dei documenti necessari, indicando la stima dei lavori eseguiti regolarmente, il cui importo può essere riconosciuto all'appaltatore. A quel punto, su indicazione del responsabile del procedimento, il direttore dei lavori formula la contestazione degli addebiti, assegnando un termine all'appaltatore non inferiore a quindici giorni per la presentazione delle proprie controdeduzioni. Acquisite e valutate negativamente le predette controdeduzioni, ovvero scaduto il termine senza che l'appaltatore abbia risposto, la stazione appaltante, su proposta del responsabile del procedimento, dispone la risoluzione del contratto.

Diversamente, nell'ipotesi del ritardo dovuto a negligenza dell'appaltatore rispetto alle previsioni del programma (art. 108 comma 4), è previsto che il direttore dei lavori assegni un termine che, salvo i casi d'urgenza, non può essere inferiore a dieci giorni, per compiere i lavori in ritardo. Scaduto il termine assegnato, e redatto processo verbale in contraddittorio con l'appaltatore, qualora l'inadempimento permanga la stazione appaltante risolve il contratto, fermo restando il pagamento delle penali.

Con riferimento al previgente art. 136 d.lgs. n. 163 del 2006 è stato fatto notale che la norma, a differenza dell'art. 1453 c.c., prevede che, per legittimare la risoluzione, l'inadempimento debba presentare il duplice connotato della gravità della colpa dell'appaltatore e, nel contempo, della gravità degli effetti sulla corretta esecuzione del contratto. Tale considerazione risulta ancora attuale, posto che anche l'art.108 comma 3 d.lgs. n.50 del 2016 prevede, affinché la risoluzione sia legittima, che l'appaltatore sia incorso in un “grave inadempimento” e che questo sia “tale da compromettere la buona riuscita delle prestazioni”.

Similmente, in caso di risoluzione per ritardo (art.108 comma 4), è stato giudicato che la risoluzione del contratto può essere pronunciata soltanto in presenza di ritardo di tale gravità da compromettere irrimediabilmente l'osservanza del termine di esecuzione. Inoltre è presupposto necessario che le ragioni del ritardo siano interamente addebitabili alla negligenza dell'appaltatore e non dipendano, invece, anche solo come concausa rilevante, da fatti addebitabili all'Amministrazione o alla direzione lavori (in termini cfr. Trib. S. Maria Capua Vetere, sent. n. 3759 del 14 novembre 2016).

La risoluzione può essere illegittima, per motivi sia di ordine sia procedimentale che sostanziale. Sotto il primo aspetto rilevano le eventuali violazioni delle forme e cautele procedimentali poste a tutela dell'appaltatore. Sotto il profilo sostanziale, invece, la risoluzione è viziata se pronunciata al di fuori delle ipotesi normativamente previste, ovvero a fronte di un inadempimento non grave o, ancora, in assenza di colpa nel comportamento dell'impresa.

Tale principio si riflette nella seguente CASISTICA

Ipotesi di risoluzione legittima

Ipotesi di risoluzione illegittima

Ritardi nei lavori dovuti a conflitti con le maestranze o al loro mancato pagamento (Cass. civ., Sez. I, 20 marzo 1977, n. 2769)

Opere non eseguite o effettivamente non completate, ma di entità tale da non incidere significativamente sul sinallagma contrattuale (lodo 24 aprile 2009 n. 53, pubblicato in arch. giur. oo.pp.; Cass. civ., 10 febbraio 1984, n.1021)

Rifiuto dell'appaltatore a dare inizio ai lavori, sulla base di ragioni pretestuose (Cass. Sez. un., 26 luglio 1985, n. 4342)

Grave ritardo nell'esecuzione dei lavori non addebitabile esclusivamente a responsabilità dell'appaltatore (Trib. S. Maria Capua Vetere, sent. n.3759 del 14 novembre 2016) ovvero interruzione dei lavori per carenze progettuali ascrivibili all'amministrazione (lodo 24 gennaio 1992; lodo 25 giugno 1993, pubblicati in arch. giur. oo.pp.)

Mancata ripresa dei lavori, dopo una sospensione (Cons. St., Ad. Gen., 12 aprile 1984, n. 7)

Irregolarità nella gestione dei rapporti di subappalto e subfornitute (lodo 27 settembre 2012, n. 80; lodo 31 maggio 2011 n.54, in arch. giur. oo.pp.). Contra, però, AVCP, determinazione n.7/2004, che ha ritenuto legittima la risoluzione se il mancato pagamento dei subappaltatori rischia di ritardare la conclusione dei lavori

Sospensione dei lavori sul presupposto della non remuneratività del prezzo convenuto (lodo 7 marzo 1998; lodo 7 settembre 1993).

Mancanza di un nuovo programma lavori a seguito di varianti non ancora approvate (lodo 11 luglio 1991, pubblicato in arch. giur. oo.pp).

Spetta naturalmente al giudice ordinario adito la valutazione dei presupposti per la risoluzione. Si tratta di valutazione particolarmente delicata quando le parti adducano inadempimenti reciproci o una di esse contrasti la domanda di risoluzione avversaria giustificando la propria inadempienza con quella dell'altro contraente. In tal caso, infatti, il giudice è chiamato a svolgere una valutazione unitaria e comparativa dei rispettivi comportamenti inadempienti, che, al di là del pur necessario riferimento all'elemento cronologico degli stessi, li investa nel loro rapporto di dipendenza (sul piano causale) e di proporzionalità, nel quadro della funzione economico-sociale del contratto, in maniera da consentire di stabilire su quale dei contraenti debba ricadere l'inadempimento colpevole, idoneo a giustificare quello dell'altro (Cass. civ., Sez.II, 11 giugno 2013, n.14648; Cass. civ., Sez.I, 9 gennaio 2013, n.336; Cass. civ., Sez.I, 4 febbraio 2000, n.1217).

Nella pratica può accadere che i contrapposti addebiti, in ordine alla responsabilità dell'inadempimento, conducano alla coesistenza di una domanda di risoluzione avanzata dall'appaltatore in sede giudiziale, da un lato e, d'altro lato, all'adozione di un provvedimento di risoluzione ex art. 108 cit. da parte dell'amministrazione. In tal caso si dibatte delle conseguenze di ordine processuale che ne derivano, registrandosi orientamenti diversificati a seconda che la domanda di risoluzione, introdotta dall'appaltatore, abbia preceduto o, viceversa, seguito l'atto di risoluzione in via di autotutela emesso dall'amministrazione.

La domanda di risoluzione proposta dall'appaltatore è antecedente alla risoluzione autoritativa

L'eventuale provvedimento di risoluzione autoritativa adottato successivamente dall'amministrazione non è di ostacolo all'esame (e all'eventuale accoglimento) della domanda di risoluzione preventivamente introdotta dall'appaltatore (Cass. civ., sez. I, 27 ottobre 2015, n. 21882; Cass. civ., 29 ottobre 2014, n. 22995; Cass. civ., 12 agosto 2010, n. 18644)

La domanda di risoluzione proposta dall'appaltatore è successiva alla risoluzione autoritativa

Secondo Cass. civ., Sez. I, 22 settembre 1984, n. 4819 la valutazione del giudice ordinario non trova limitazioni o deroghe. Contra, però, si vedano lodo arbitrale Roma, 23 marzo 2006 n. 19 e lodo arbitrale 9 marzo 1999 n. 18, pubblicati in Arch. giur. oo.pp., secondo cui, in tal caso, l'azione di risoluzione del contratto ad iniziativa dell'appaltatore sarebbe inammissibile, in quanto priva di oggetto.

La fase successiva alla risoluzione: provvedimenti dell'amministrazione ed obblighi dell'appaltatore (artt. 108 commi 5 e ss. d.lvo 50 del 2016)

Per quanto concerne le fasi successive alla risoluzione (stato di consistenza, ripiegamento del cantiere, pagamento delle prestazioni eseguite), l'art.108, commi 5-9, d.lgs. n. 50 del 2016 ripropone la disciplina già contenuta negli artt.138 e 139 d.lgs. n. del 163 del 2006.

In caso di risoluzione del contratto, l'appaltatore ha diritto soltanto al pagamento dei lavori, servizi o forniture regolarmente eseguite fino al momento della risoluzione, decurtate le spese per il riappalto e salvo comunque il risarcimento del danno patito dall'amministrazione (si pensi, ad esempio, al danno correlato al ritardo nella conclusione dei lavori) (comma 5).

L'atto di risoluzione deve essere comunicato all'appaltatore a cura del responsabile del procedimento, il quale nello stesso tempo dispone, con preavviso di venti giorni, che il direttore dei lavori curi la redazione dello stato di consistenza dei lavori già eseguiti, l'inventario di materiali, macchine e mezzi d'opera e la relativa presa in consegna (comma 6). Qualora sia stato nominato l'organo di collaudo, lo stesso procede a redigere, acquisito lo stato di consistenza, un verbale di accertamento tecnico e contabile. Con il verbale è accertata la corrispondenza tra quanto eseguito fino alla risoluzione del contratto e ammesso in contabilità e quanto previsto nel progetto approvato, nonché nelle eventuali perizie di variante. E' altresì accertata la presenza di eventuali opere, riportate nello stato di consistenza, ma non previste nel progetto approvato nonché nelle eventuali perizie di variante, affinché l'amministrazione possa procedere alle valutazioni di propria competenza circa la loro necessità o utilità (comma 7).

L'art. 108 comma 8 prevede, inoltre, che, in sede di liquidazione finale dei lavori dell'appalto risolto, sia determinato l'onere da porre a carico dell'appaltatore inadempiente in relazione alla maggiore spesa sostenuta per affidare ad altra impresa i lavori, ove la stazione appaltante non si sia avvalsa della facoltà, prevista dall'art. 110, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016, di interpellare progressivamente i soggetti che hanno partecipato all'originaria procedura di gara, risultanti dalla relativa graduatoria, al fine di stipulare un nuovo contratto per il completamento dei lavori, alle medesime condizioni già proposte dall'originario aggiudicatario in sede in offerta.

Da segnalare inoltre che la risoluzione potrà essere considerata quale possibile causa di esclusione dalle gare future, ai sensi dell'art.80 comma 5 lettera c-ter) d.lgs. n.50 del 2016 (in proposito si rinvia alla bussola Errore grave nell'esercizio dell'attività professionale), nonché quale possibile causa ostativa al rinnovo dell'attestazione SOA, giusta la previsione dell'art.78, comma 1, d.P.R.n. 207 del 2010 (norma quest'ultima ancora in vigore ai sensi dell'art.217 comma 1 lett. u) numero 1) d.lgs. n. 50 del 2016, fino all'entrata in vigore degli atti attuativi del nuovo Codice) che tra l'altro annovera, tra i requisiti d'ordine generale richiesti, l'inesistenza di errore grave nello svolgimento dell'attività d'impresa.

L'art.108 comma 9, d.lgs. n. 50 del 2016 stabilisce che, nei casi di risoluzione, l'appaltatore debba provvedere al ripiegamento dei cantieri già allestiti e allo sgombero delle aree di lavoro e relative pertinenze, nel termine a tal fine assegnato dalla stessa stazione appaltante; in caso di mancato rispetto del termine assegnato, la stazione appaltante provvede d'ufficio, addebitando all'appaltatore i relativi oneri e le spese. La seconda parte della norma va addirittura oltre ed ha sollevato qualche dubbio di legittimità costituzionale nella parte in cui, al fine di velocizzare ulteriormente la ripresa dei lavori, prevede che la stazione appaltante, in alternativa all'esecuzione di eventuali provvedimenti giurisdizionali cautelari, possessori o d'urgenza comunque denominati, che inibiscano o ritardino il ripiegamento dei cantieri o lo sgombero delle aree di lavoro e relative pertinenze, possa depositare cauzione in conto vincolato a favore dell'appaltatore o prestare fideiussione bancaria o polizza assicurativa pari all'uno per cento del valore del contratto, fatto salvo ovviamente il diritto dell'appaltatore di agire per il risarcimento dei danni.

La c.d. procedura di interpello

L'art.110, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016 ripropone la previsione dell'art.140 d.lgs. n. 163 del 2006 e così la facoltà della stazione appaltante di procedere ad interpellare progressivamente i soggetti che hanno partecipato all'originaria procedura di gara.

In tal caso viene in rilievo un'attività amministrativa vincolata in un duplice senso: soggettivo ed oggettivo. Sotto il primo profilo, la stazione appaltante, se decide di esercitare la facoltà riconosciutale dall'art. 110 d.lgs. cit., resta tenuta ad indirizzare la proposta alle (sole) imprese che seguono quella appaltatrice nella graduatoria che si è consolidata in esito alla gara già svolta, mentre, sotto il secondo profilo, le condizioni del nuovo contratto devono coincidere con quelle «già proposte dall'originario aggiudicatario in sede di offerta».

«L'accertamento dell'esistenza dei presupposti di applicazione dell'art. 140, ad opera della stazione appaltante, deve avvenire in modo rigoroso, poiché il ricorso alla speciale procedura non può tradursi nell'aggiramento dei principi che presiedono all'aggiudicazione degli appalti. Quella in esame è una vera e propria procedura di affidamento, che si svolge a “circolo chiuso” sul piano soggettivo e a condizioni precostituite sul piano oggettivo, in quanto vengono interpellati solo i soggetti già collocati nella graduatoria della precedente gara e non possono essere formulate nuove offerte, né “ripescate” quelle originariamente presentate dagli interpellati; sul piano funzionale il meccanismo risponde all'esigenza di efficienza e buon andamento dell'azione amministrativa, perché consente di affidare il completamento delle prestazioni mediante scorrimento dell'originaria e cristallizzata graduatoria, evitando il più complesso e dispendioso percorso dell'indizione di una nuova gara con prezzi aggiornati, ma al contempo assicura il rispetto dei principi fondamentali della materia, atteso che l'interpello coinvolge imprese già selezionate nella medesima gara già espletata e postula l'avvenuto rispetto in quella sede di tutte le norme che regolamentano l'affidamento dei contratti pubblici dalla fase della progettazione alla stipula del contratto. Insomma, la disciplina dettata dall'art. 140 del codice degli appalti e dalle norme ad esso correlate mira ad impedire l'elusione dei principi di tutela della concorrenza e di parità di trattamento, che si realizzerebbe qualora il completamento delle prestazioni fosse affidato a diverse condizioni e va intesa nel senso di imporre il mantenimento delle condizioni di esecuzione del contratto esistenti nel momento in cui si verifica una delle situazioni tassativamente previste dal medesimo art. 140 e che giustificano il ricorso al meccanismo dell'interpello, cosi da salvaguardare, attraverso la parità di trattamento, l'instaurazione di lecite dinamiche concorrenziali» (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 08-01-2016, n. 26).

«La norma sancita dall'art. 140 del codice dei contratti pubblici, alla stregua di una esegesi orientata al rispetto delle regole europee: disvela la sua natura eccezionale; è soggetta a regole di stretta interpretazione; può trovare applicazione solo quando sia possibile stipulare con l'imprenditore che ha presentato la seconda migliore offerta un contratto avente lo stesso contenuto di quello concluso con l'aggiudicatario originale e poi risolto; presuppone, a differenza dell'art. 122, c.p.a., l'iniziativa (facoltativa) della stazione appaltante» (Cons. Stato, sez. V, 30-11-2015, n. 5404; vd. in termini Cons. Stato, sez. VI, 12-04-2011, n. 2260).

«[La procedura dell'art.140 costituisce] una vera e propria procedura di affidamento, che si svolge a “circolo chiuso” sul piano soggettivo, e a condizioni precostituite, sul piano oggettivo, in quanto vengono interpellati solo i soggetti già collocati nella graduatoria della precedente gara, e in quanto non possono essere fatte nuove offerte, né “ripescate” quelle originariamente fatte dagli interpellati: il nuovo appalto per i lavori residui deve avvenire alle condizioni offerte dall'originario aggiudicatario. Trattandosi di una vera e propria procedura di affidamento, è evidente che essa necessita di provvedimenti formali e tipici, e segnatamente dell'aggiudicazione. Non è tale né l'interpello, che è solo un sondaggio esplorativo, né la dichiarazione di disponibilità fatta dall'interpellato; né l'aggiudicazione deriva dall'incontro tra interpello e risposta all'interpello. La risposta all'interpello ha la natura giuridica di una offerta alle condizioni indicate dalla stazione appaltante. Ma - per la formazione di un vincolo contrattuale - deve seguire l'aggiudicazione, al fine della verifica del possesso dei requisiti, e solo successivamente la stipulazione» (Cons. Stato, sez. VI, 14-11-2012, n. 5747).

«Al di fuori delle ipotesi specificamente previste dal legislatore nell'art. 140 (…) trova applicazione la regola generale secondo cui un appalto pubblico può essere affidato solo a chi sia risultato aggiudicatario di una procedura comparativa svolta secondo i principi dell'evidenza pubblica. Pertanto, una volta risolto il contratto e salvo che ricorrano le ipotesi eccezionali espressamente previste, l'amministrazione, qualora necessiti delle medesime prestazioni, è tenuta ad indire una nuova gara in omaggio ai principi di libera ed effettiva concorrenza, di par condicio, favor partecipationis e di trasparenza dell'azione amministrativa» (T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 16-10-2017, n. 4830).

«La possibilità di scorrimento a favore delle concorrenti presuppone che il fallimento dell'aggiudicataria intervenga nella fase dell'esecuzione del contratto, e non della mera aggiudicazione, per come è possibile trovare conferma nel dato letterale dell'art. 140 in esame, secondo il quale l'interpello dei soggetti successivi riguarda coloro che hanno partecipato “all'originaria procedura di gara, risultanti dalla relativa graduatoria, al fine di stipulare un “nuovo” contratto per l'affidamento del “completamento” dei lavori» (T.A.R. Sicilia, Catania, sez. IV, 19-03-2013, n. 829).

In virtù del principio di stretta interpretazione della norma, la procedura di interpello non può trovare applicazione in una fattispecie in cui l'esecutore dei lavori non abbia subito la risoluzione, bensì il ritiro in autotutela dell'aggiudicazione per avvenuta decadenza dell'attestazione SOA rilasciata all'impresa ausiliaria per carenza dei requisiti speciali. In tali ipotesi il vizio è genetico ed attiene alla procedura di scelta del contraente e non alla fase esecutiva contrattuale alla cui regolazione è diretto l'art.140 (T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 16-10-2017, n. 4830).

«[La previsione normativa dell'art.140] per come è dato rilevare dall'utilizzo dell'espressione “potranno interpellare” ivi contenuta, e per come chiarito dalla Giurisprudenza, stabilisce che il Comune “può” scorrere la graduatoria in caso di fallimento o grave inadempimento della prima classificata e, quindi, che in tal senso sussiste una mera facoltà dell'Ente e non certo un obbligo, con la conseguenza che, laddove la Stazione appaltante si determini con motivazione congrua, anche in termini di mera opportunità, a indire una nuova procedura di gara, invece che di avvalersi della facoltà prevista nel bando, tale scelta non può essere censurata (cfr. T.A.R. Reggio Calabria 14 dicembre 2010, n. 1594)» (T.A.R. Sicilia, Catania, sez. IV, 19-03-2013, n. 829. Fattispecie relativa alla normativa previgente, di diversa formulazione)».

«La possibilità dell'amministrazione di esercitare uno jus variandi rispetto alle condizioni già proposte dall'originario aggiudicatario in sede di offerta risulta inammissibile alla luce del testo dell'art. 140, d.lgs. 163/2006 (cfr. Cons. St., Sez. III, 13 gennaio 2016, n. 76). Come ha già avuto modo di chiarire questa Sezione, infatti, la norma sancita dall'art. 140 D.Lgs. n. 163/2006 (Codice degli appalti), alla stregua di una esegesi orientata al rispetto delle regole europee: disvela la sua natura eccezionale; è soggetta a regole di stretta interpretazione; può trovare applicazione solo quando sia possibile stipulare con l'imprenditore che ha presentato la seconda migliore offerta un contratto avente lo stesso contenuto di quello concluso con l'aggiudicatario originale e poi risolto (cfr. Cons. St., Sez. V, 30 novembre 2015, n. 5404). Pertanto, il principio della immodificabilità delle originarie condizioni contrattuali innanzi espresso non lascia spazio alcuno al riconoscimento degli oneri di frammentazione, miranti a compensare l'impresa subentrante per i maggiori costi che derivano dall'eseguire una prestazione già in parte eseguita rispetto all'originaria offerta. Non deve dimenticarsi del resto che l'utilizzo dell'interpello disciplinato dalla norme in esame è espressione di facoltà discrezionale rimessa all'amministrazione, rispetto alla possibilità di bandire una nuova gara per la parte residua del servizio rimasta ineseguita e che questa facoltà non può essere utilizzata a detrimento del principio di par condicio e di elusione dell'obbligo di gara pubblica, che si realizzerebbe nel caso in cui si rimettesse all'amministrazione la libertà di rinegoziare senza vincolo di gara le migliori condizioni contrattuali cristallizzate all'esito della procedura di evidenza pubblica» (Cons. Stato, sez. V, 10-08-2016, n. 3573).

L'art. 86 l. prov. Trento 24 luglio 2008 n. 10 è costituzionalmente illegittimo laddove, disciplinando la procedura di affidamento in caso di fallimento dell'esecutore o di risoluzione del contratto per suo grave inadempimento, prevede che l'affidamento avviene alle condizioni originariamente offerte dall'interpellata in sede di gara, anziché a quelle offerte da parte dell'originario aggiudicatario, come previsto dall'art. 140 D. Lgs n. 163 del 2006, e viola quindi i limiti dettati dall'art. 4 dello statuto speciale (Corte Cost., 12-02-2010, n. 45).

«Nella fase di interpello ex art.140 D. Lgs. n. 163/2006, costituente appendice dell'originaria procedura di gara, non possono essere effettuate modificazioni dell'offerta né in senso oggettivo né in termini soggettivi, con la conseguenza che l'introduzione dell'avvalimento in tale ambito, nonostante l'ampia portata dell'istituto e la sua finalizzazione a consentire la massima partecipazione alle procedure di affidamento dei pubblici appalti, si porrebbe in contrasto con il principio generale di parità di trattamento» (T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, sez. I, 05-06-2018, n. 318).

In giurisprudenza si registra una querelle in ordine alla necessità (o meno), ai fini dell'applicazione dell'art.110 cit., che il soggetto interpellato abbia mantenuto la continuità dei requisiti per tutto il periodo decorrente dalla propria partecipazione alla gara poi divenuta oggetto del contratto risolto.

«La fase procedimentale disciplinata dall'art. 140 d.lgs. 163 del 2006 si configura come un segmento di un'unica procedura di affidamento, avviata con la pubblicazione del bando, con la conseguenza, per quanto qui rileva, che i requisiti di partecipazione, attesa l'unicità e l'inscindibilità del procedimento selettivo, devono essere ininterrottamente posseduti dal suo avvio (e, cioè, dalla pubblicazione dell'avviso pubblico) fino alla sua conclusione (e, cioè, alla data dell'affidamento dell'appalto in esito all'interpello)» (Cons. Stato, sez. III, 13-01-2016, n. 76);

«Il possesso dei requisiti di ammissione si impone a partire dall'atto di presentazione della domanda di partecipazione e per tutta la durata della procedura di evidenza pubblica, non in virtù di un astratto e vacuo formalismo procedimentale, quanto piuttosto a garanzia della permanenza della serietà e della volontà dell'impresa di presentare un'offerta credibile e dunque della sicurezza per la stazione appaltante dell'instaurazione di un rapporto con un soggetto, che, dalla candidatura in sede di gara fino alla stipula del contratto e poi ancora fino all'adempimento dell'obbligazione contrattuale, sia provvisto di tutti i requisiti di ordine generale e speciale per contrattare con la P.A. (…). Quando, tuttavia, la gara è aggiudicata ed il contratto stipulato, deve differenziarsi la posizione dell'aggiudicatario da quella delle imprese concorrenti collocatesi in posizione non utile. Mentre per il primo, il momento contrattuale costituisce l'appendice negoziale e realizzativa della procedura ed impone il mantenimento, giusto quanto chiarito dalla Plenaria [con la sentenza n.8/2015; n.d.r.], dei requisiti richiesti e dichiarati in sede di partecipazione, per le seconde la procedura è da considerarsi terminata: l'offerta formulata non è più vincolante nei confronti dell'amministrazione e cessa quel rapporto che si era instaurato con la domanda di partecipazione. E' pur vero che nelle ipotesi in cui l'amministrazione decida legittimamente di scorrere la graduatoria non vi è l'indizione di una nuova selezione concorsuale, né formulazione di nuove offerte, ma ciò non vale ad elidere l'oggettiva circostanza che tra l'evento terminale della procedura di evidenza pubblica, i.e. l'aggiudicazione, e la riapertura a seguito dell'interpello per lo scorrimento, c'è una netta cesura, determinata dall'efficacia temporale delle offerte (che la legge limita nel tempo), tant'è che la stesse devono essere “confermate” in sede di interpello. In ogni caso sarebbe irragionevole pretendere (non già il possesso dei requisiti, ma) la continuità del possessoper un periodo indefinito, durante il quale non c'è alcuna competizione, alcuna attività valutativa dell'amministrazione e, per giunta, alcun impegno vincolante nei confronti dell'amministrazione» (Cons. Stato, sez. III, 06-03-2017, n. 1050);

Alcuni problemi di coordinamento normativo risolti dal decreto correttivo (d.lgs. n. 56 del 2017)

La nuova disciplina della risoluzione contrattuale, che si è sopra descritta, presentava alcune vistose criticità, a cui però hanno posto rimedio le disposizioni integrative e correttive del codice introdotte con il d.lgs. n. 56 del 19 aprile 2017.

Una prima questione riguardava il coordinamento fra l'art. 108 d.lgs. n. 50 del 2016, in tema di risoluzione del contratto d'appalto, ed il successivo art. 176 d.lgs. cit., relativo alla risoluzione delle concessioni. Nel primo caso, infatti, come già in precedenza riferito, è previsto che le stazioni appaltanti “possono” risolvere i contratti quando l'aggiudicatario si trovava, al momento dell'aggiudicazione, in una delle situazioni di cui all'art. 80, comma 1, o all'art. 170, comma 3 [cfr. art. 80, comma 1, lett c)] e quando l'appalto non avrebbe dovuto essere aggiudicato in considerazione di una grave violazione degli obblighi derivanti dai trattati [cfr. art. 80, comma 1, lett. d)]. Viceversa non era affatto chiara la ragione per cui, al ricorrere delle medesime ipotesi, qualora la risoluzione avesse riguardato non già un appalto, bensì una concessione, il potere dell'Amministrazione non sarebbe più stato facoltativo, sussistendo, all'opposto, l'obbligo di procedere alla risoluzione, come risultava dall'incipit dell'art. 176 d.lgs. cit., che perentoriamente statuiva che «la concessione cessa quando…». Sul punto si è registra anche la presa di posizione del Consiglio di Stato che infatti, nel parere n. 2777 del 28 dicembre 2016 reso sullo «schema di regolamento in materia di attività di vigilanza sui contratti pubblici di cui all'art. 211, comma 2, e 213 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50», aveva dovuto evidenziare che, secondo le direttive comunitarie, tale forma di risoluzione è facoltativa e che pertanto, mentre l'art.108 è coerente con le direttive, l'art. 176 prevedeva una forma di autotutela doverosa in violazione del divieto di goldplating. Si spiega dunque con queste premesse l'intervento operato dal decreto correttivo del 2017 che, intervenendo sul testo originario dell'art. 176 cit., ha previsto che la concessione «può cessare» (in luogo del previgente «cessa») al ricorrere delle condizioni previste nel proseguo della norma, così ovviando all'incongruenza preesistente fra la disciplina degli appalti e quella delle concessioni, oltre che al contrasto con il superiore ordinamento comunitario, che come si è visto era stato posto in evidenza dal massimo Consesso della giustizia amministrativa.

Sempre il Correttivo ha poi risolto un ulteriore problema di mancato coordinamento fra la disciplina degli appalti e quella delle concessioni, relativamente in questo caso al rapporto fra le citate ipotesi risolutive ed il limite temporale di diciotto mesi previsto dalla recente riforma dell'art. 21-nonies l. n. 241 del 1990 in tema di autotutela amministrativa. Infatti mentre l'art. 176 al comma 2 prevede che «Nelle ipotesi di cui al comma 1 non si applicano i termini previsti dall'articolo 21-nonies della legge 7 agosto 1990 n.241», analoga disposizione non era contenuta nell'art. 108 per la risoluzione del contratto d'appalto, quanto meno fino all'introduzione del nuovo comma 1-bis dell'art. 108 d.lgs. n. 50 del 2016, operata proprio dal menzionato d.lgs. n. 56 del 2017. Il tema del rapporto fra scioglimento del vincolo contrattuale e disciplina generale dell'autotutela amministrativa, poi, assumeva rilevanza ancor maggiore con riguardo al generale potere dell'ANAC di raccomandazione ad agire in autotutela per l'eliminazione di qualsiasi atto di gara illegittimamente adottato, rimuovendone gli effetti (così l'art. 211, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016, che tra l'altro prevedeva cospicue sanzioni pecuniarie a carico della stazione appaltante che non si fosse adeguata a tale raccomandazione vincolante). In tal caso, infatti, in assenza di precisazioni nella norma, non era chiaro se il potere di autoannullamento fosse anch'esso (o meno) sottoposto ai limiti (anzitutto temporali) previsti dall'art. 21-nonies, come ci si sarebbe attesi in coerenza con gli intenti del Legislatore della riforma della l. n. 241 del 1990 del 2015 di conferire certezza e stabilità ai rapporti che hanno titolo in atti amministrativi. Il Consiglio di Stato, sul punto (cfr. parere n. 2777/17), si era espresso nel senso che il limite dei 18 mesi fissato dall'art. 21-nonies, comma 1, l. n. 241 del 1990 non soltanto avrebbe trovato applicazione, ma costituiva addirittura una soglia massima, estrema, limitata a casi particolarmente complessi, per evitare che la realizzazione delle opere pubbliche, a cominciare da quelle strategiche, subisse un arresto, con esiti incerti, per un anno e mezzo. Sennonché il Governo, con il decreto correttivo, è andato addirittura oltre l'invito che era stato rivolto dal Consiglio di Stato, optando per la radicale abrogazione del potere di raccomandazione dell'ANAC di cui al descritto art. 211, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016. Ha così avuto fine un istituto dalla vita in realtà molto breve, che aveva sollevato numerose perplessità e critiche per il suo difficile inquadramento nel nostro sistema giuridico, in particolare per la propria natura di “annullamento mascherato”, come senza esitazioni era stato definita dal Consiglio di Stato (sul punto si veda, oltre al già citato parere n. 2777/16, anche l'ulteriore parere del Consiglio di Stato n. 855 del 2016 reso sullo schema del nuovo codice dei contratti pubblici).

«La disposizione dell'art. 21-nonies l.n. 241 del 1990, secondo cui l'annullamento di un provvedimento amministrativo illegittimo può essere disposto entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi, si applica anche in caso di annullamento dell'aggiudicazione di un contratto pubblico. Ai fini del rispetto di detto termine è necessario che, prima della sua scadenza, l'adozione dell'atto di annullamento sia effettivamente avvenuta, non essendo sufficiente il mero avvio dell'iter dell'autotutela. La disposizione dell'art. 108 d.lgs. n. 50 del 2016, secondo cui non si applicano i termini previsti dall'art. 21-nonies l. 7 agosto 1990, n. 241, non è operante in ipotesi di annullamento in autotutela del provvedimento di aggiudicazione; quest'ultimo, infatti, incide sulla procedura di gara attraverso la rimozione del suo atto conclusivo, laddove l'art. 108 cit. si riferisce allo scioglimento del contratto conseguente alle dinamiche del rapporto sinallagmatico» (TAR Milano, Sez.I, 2 luglio 2018 n.1637; in termini Cons. Stato, Sez.III, 22 marzo 2017 n.1310).

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