Rito speciale in materia di contratti pubblici

Maria Alessandra Sandulli
04 Giugno 2020

Le recenti modifiche apportate dal decreto “correttivo” (d.lgs. n. 56 del 207) e la continua evoluzione della giurisprudenza nel contenzioso sui contratti pubblici, hanno reso necessario un consistente aggiornamento della Bussola (pubblicata per la prima volta nell'aprile 2016 contemporaneamente all'emanazione del nuovo Codice) ripensandola anche nella sua originaria struttura. Come noto, il nuovo Codice dei contratti ha innestato una disciplina super-speciale all'interno della già speciale disciplina processuale relativa alle controversie in materia di contratti pubblici, per l'impugnazione delle ammissioni e esclusioni dalla gara. Fatte salve le disposizioni peculiari al “mini-rito”, gli artt. 119 e 120 c.p.a. continuano a porre una base normativa comune per entrambi i riti e, escluso quanto specificatamente previsto dal (novellato) art. 29, comma 1 del Codice dei contratti e dai commi 2-bis, 6, bis e 7 dell'art. 120 c.p.a., il rito “super-speciale” segue, per quanto con esso compatibile, la disciplina del rito speciale. Se, quindi, la disciplina che regola il contenzioso dei contratti pubblici deve continuare a essere letta e analizzata in modo unitario, la consistente evoluzione (recte rivoluzione) normativa del “mini-rito” ha reso preferibile, per agevolare la focalizzazione delle sue peculiarità, dedicarvi uno spazio autonomo. All'analisi della “originaria” disciplina e di quella modificata dal “correttivo” segue una raccolta dell'ampia casistica sviluppatasi nel primo anno di “rodaggio” della nuova disciplina super-accelerata, quotidianamente segnalata su questo Portale.
Inquadramento

Contenuto in fase di aggiornamento autorale di prossima pubblicazione

L'aggiornamento giurisprudenziale della Bussola è a cura di Sabrina Tranquilli

Sin dalla riforma della legge istitutiva dei TAR, approvata con la l. n. 205 del 2000, il legislatore ha introdotto un rito speciale (“accelerato”) per le controversie su materie di particolare rilevanza economica o socio-politica, tra le quali erano evidentemente incluse quelle sull'affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture (art. 23-bis, l. n. 1034 del 1971, e, con riguardo ai soli lavori, art. 19, d.l. n. 67 del 1997). Queste ultime, peraltro, costituiscono le uniche tipologie di controversie per le quali l'ordinamento comunitario (oggi eurounitario), in parziale deroga all'autonomia processuale degli Stati membri, ha ritenuto necessario adottare direttive processuali (direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE, modificate dalla direttiva 2007/66/CE), al dichiarato fine di assicurare l'effettività delle direttive sostanziali (oggi, le direttive UE nn. 23/2014 - 25/2014).

Tradizionalmente, infatti, tale settore si caratterizza per la difficoltà di trovare un equo contemperamento tra l'esigenza, economica e funzionale, che le prestazioni richieste dalle pp.aa. (e dai soggetti ad esse equiparati) siano sollecitamente rese e quella, morale e giuridica, che il relativo affidamento sia improntato al massimo rispetto della legalità, a tutela delle regole di contabilità pubblica e di garanzia della concorrenza e degli altri interessi di volta in volta individuati dall'ordinamento.

Il codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104 del 2010 s.m.i., di seguito “c.p.a.”), nel confermare la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie «relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all'applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale, ivi incluse quelle risarcitorie e con estensione della giurisdizione esclusiva alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell'aggiudicazione ed alle sanzioni alternative» [art. 133, lett. e), 1], ha, dunque, confermato, all'art. 119, il rito speciale comune a tutte le materie già individuate dall'art. 23-bis, l. TAR e lo ha integrato con una disciplina ancora più particolare per i giudizi aventi ad oggetto «le procedure di affidamento, ivi comprese le procedure di affidamento di incarichi e concorsi di progettazione e di attività tecnico-amministrative ad esse connesse, relativi a pubblici lavori, servizi e forniture, nonché i connessi provvedimenti dell'ANAC», contenuta negli artt. da 120 (che, a sua volta, rinvia per quanto non diversamente disposto all'art. 119) a 125, riprendendo, con modificazioni, i contenuti, d.lgs. n. 53 del 2010, di attuazione della citata direttiva n. 2007/66/CE.

Le recenti modifiche alla disciplina sul rito speciale

La normativa processuale interna è stata peraltro significativamente modificata, dapprima dal d.l. n. 90 del 2014, conv. nella l. n. 133 del 2014, che ha ulteriormente “contratto” la definizione delle suddette controversie e, da ultimo, dal nuovo Codice dei contratti pubblici di appalto e concessione approvato con d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (su cui vd. l'apposita Bussola “Nuovo Codice” di R. De Nictolis) che, all'art. 204, ha introdotto ulteriori riduzioni dei tempi processuali e nuovi importanti limiti alla tutela giurisdizionale avverso gli atti delle procedure selettive formalmente avviate (mediante pubblicazione del bando o dell'avviso o mediante invio delle lettere d'invito) successivamente alla sua entrata in vigore (per una critica a tali limiti, in un opportuno confronto con altri sistemi europei, si veda anche M.A. Sandulli, Profili soggettivi e oggettivi della giustizia amministrativa: il confronto, in www.federalismi.it e ivi ulteriori rinvii). Da ultimo, il decreto “correttivo” al Codice dei contratti (d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56, pubblicato sulla G.U. n. 103 del 5 maggio 2017), pur non intervenendo direttamente sul suddetto art. 204, ha significativamente novellato la disciplina a esso collegata (artt. 29 e 76 del Codice) incidendo sulla disciplina processuale e, come si vedrà, alleggerendo, benché solo in parte, gli ulteriori ostacoli alla tutela giurisdizionale introdotti dal nuovo Codice.

La richiamata normativa processuale deve essere infatti necessariamente integrata con le disposizioni dello stesso Codice contratti, in tema di trasparenza (art. 29, comma 1), di “informazione dei candidati e degli offerenti” sullo svolgimento e sull'esito della procedura (art. 76), recentemente modificate dal sopracitato “correttivo”, di sospensione dei termini per la stipula del contratto (art. 32, comma 6) e di “pareri precontenzioso ANAC” (art. 211, comma 1). Per le procedure già avviate prima dell'entrata in vigore nel nuovo Codice il quadro è completato dalle disposizioni degli artt. 11, 79 e 243-bis, d.lgs. n. 163 del 2006

Per espressa previsione dello stesso Codice, il rito speciale di cui all'art. 120 c.p.a. è applicabile all'impugnazione dei pareri di precontenzioso dell'ANAC (art. 211,comma1 del Codice) e (come precisato dal comma 1-ter del medesimo art. 211) ai ricorsi proposti dall'ANAC in forza della speciale legittimazione processuale riconosciutale dall'art. 52-ter del d.l. n. 50 del 2017, inserito, circa un mese dopo l'entrata in vigore del decreto “correttivo”, in sede di conversione nella l. 21 giugno 2017, n. 96 (per il cui approfondimento si rinvia alla Bussola di M. LIPARI, La legittimazione processuale speciale dell'Anac), in luogo del (criticato) potere di raccomandazione vincolante già previsto dal comma 2 dell'art. 211 (opportunamente abrogato dal d.lgs.n. 56 del 2017).

Come chiarito dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (Cons. St., Ad. plen., 3 giugno 2011 n. 10), l'ambito di applicazione della disciplina processuale dettata dagli artt. 120-125 c.p.a., trattandosi di disciplina “specialissima”, deve essere inteso in senso restrittivo. Non possono dunque essere attratte in tale ambito le controversie che, pur essendo affidate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e ricollegandosi all'affidamento di contratti pubblici, non investono l'affidamento (anche a titolo di concessione: Cons. St., Sez. III, 29 maggio 2015 n. 2704) di lavori, servizi e forniture (si pensi, in particolare, alle concessioni di beni: Cons. St.,Sez. VI, 28 maggio 2015, n. 2679; Cons. St., Sez. VI, 21 maggio 2014, n. 2620; sulla distinzione tra concessioni per lo sfruttamento economico di beni demaniali e concessione di servizi si v. Corte giust. UE, Sez., V, 14 luglio 2016, C-458/14 e C-67/15). L'applicabilità del rito speciale alle concessioni disciplinate dal Codice dei contratti è invece ormai espressamente riconosciuta dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (v. sentenza 27 luglio 2016, n. 22, con News di G. Strazza e S. Tranquilli e commento di G. Margiotta). Ha rilevato in particolare il Supremo consesso della giustizia amministrativa che la definizione del contenuto semantico del lemma “affidamento” non può essere ridotta o circoscritta in relazione ad alcuni solo dei diversi schemi formali nei quali si articola l'attività contrattuale pubblica e che, al contrario, esigono, tutti, appunto, un “affidamento”. Alle medesime conclusioni deve giungersi, sottolinea la sentenza, in ragione delle «ineludibili esigenze sistematiche di sicurezza giuridica e di coerenza ordinamentale», che «impongono di assoggettare al rito speciale anche le procedure concernenti le concessioni, al fine di evitare ogni incertezza circa le regole processuali applicabili ai contratti misti».

Il rito speciale non si applica tuttavia alle controversie che concernono profili esclusivamente risarcitori, non emergendo in tali ipotesi alcuna esigenza di accelerazione (Cons. St., Sez. Sez. III, 26 marzo 2018, n. 1882, con News di G. Befani), ma vi si applica quando la domanda risarcitoria è proposta congiuntamente a quella di annullamento (in forza dell'art. 32 c.p.a., che, in tema di connessione tra domande soggette a riti diversi, fa prevalere il rito ordinario, salvo il caso in cui una domanda sia soggetta al rito abbreviato).

Il nuovo art. 120 c.p.a. sostituisce il più generico riferimento ai “connessi provvedimenti” dell'Autorità di vigilanza (prima AVCP, oggi ANAC) con quello ai provvedimenti “riferiti” a tali procedure: resta però da capire se con tale espressione si intendano tutti i provvedimenti aventi oggetto, anche in modo generale e astratto, le procedure de quibus (es. Linee Guida), o solo quelli eventualmente adottati in specifico riferimento alle concrete procedure di cui si controverte (es. raccomandazioni all'esito dei pareri di precontenzioso: art. 211, comma 1 del Codice).

La competenza

Prima di passare sinteticamente in rassegna le peculiarità del rito (speciale e “super-speciale”) sui contratti pubblici, è opportuno ricordare che il c.p.a. ha introdotto la regola dell'inderogabilità (sin dalla fase cautelare) della competenza territoriale, che segue, per quanto qui interessa, il criterio generale della sede dell'autorità emanante, sostituito da quello inerente agli effetti “diretti” dell'atto qualora essi si esplichino esclusivamente in luogo compreso nella circoscrizione territoriale di uno specifico TAR (art. 13, comma 1, c.p.a., Cons. St., Ad. plen., 24 settembre 2012, n. 33 e Cons. St., Ad. plen., 19 novembre 2012, n. 34; Cons. St., Ad. plen., 4 febbraio 2013, n. 3 e Cons. St., Ad. plen., 4 febbraio 2013, n. 4; Cons. St., Ad. plen., 31 luglio 2014, n. 17 e altre del 2014), con competenza residuale del TAR del Lazio, Sez. di Roma, per gli atti statali e del TAR nella cui circoscrizione ha sede il soggetto emanante per gli atti dei soggetti pubblici a carattere ultraregionale (art. 13, comma 3), con la precisazione che la competenza relativa al provvedimento da cui deriva l'interesse a ricorrere attrae a sé anche quella relativa agli atti ad esso “presupposti”, tranne che si tratti di atti normativi o generali, per la cui impugnazione restano fermi i criteri ordinari (art. 13, comma 4-bis). In forza di quest'ultima disposizione, dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 159 del 2011, che ha attribuito portata generale alle informazioni interdittive antimafia, l'Adunanza plenaria ha enunciato il principio di diritto in base al quale esplicando l'informativa, alla stregua dello jus superveniens, effetti ultraregionali, la competenza a conoscere della relativa impugnazione spetta al TAR del luogo ove ha sede la prefettura che l'ha adottata, che, rimane competente anche in caso di contestuale impugnazione sia dell'informativa che degli atti applicativi adottati dalla stazione appaltante e, anzi, in forza dei principi di concentrazione dei procedimenti giurisdizionali e del simultaneus processus – garanti dell'effettività della tutela giurisdizionale e dell'economia dei giudizi secondo gli indirizzi segnati dagli artt. 24 e 111 Cost. e dal diritto dell'Unione Europea –, attrae a sé anche la causa, accessoria, sui detti atti applicativi (ordd. nn. 17, 29 e 30 del 2014).

Tali criteri devono però combinarsi con quello della competenza, funzionale e già inderogabile, su alcune particolari controversie, tra le quali, per quanto qui più specificamente rileva, quelle sugli atti delle Autorità indipendenti (AGCM, ANAC, ART e AEEG), attribuite in via esclusiva al TAR del Lazio, sede di Roma (per le prime tre, dall'art. 14, comma 1, c.p.a.) e al TAR Lombardia, sede di Milano (per l'ultima, dall'art. 14, comma 2, c.p.a.). Con riferimento all'eventuale estensione del giudizio per effetto del ricorso incidentale, l'art. 42, comma 4, c.p.a. dispone invero che tale competenza attrae quella territoriale, imponendo lo spostamento dell'intero giudizio al TAR funzionalmente competente. Manca tuttavia un'analoga previsione per i motivi aggiunti.

Il problema si pone in particolare per l'impugnazione degli atti c.d. “consequenziali”, come gli atti sanzionatori dell'Autorità anticorruzione o la stessa iscrizione al casellario informatico. A rigore, trattandosi di atti non riconducibili alla “medesima procedura”, la relativa impugnazione non dovrebbe rientrare tra quelle che l'art. 120, comma 7, impone di proporre con motivi aggiunti; sicché il ricorso dovrebbe essere proposto in via autonoma e secondo la procedura ordinaria dinanzi al TAR Lazio. In virtù dei principi invocati dalle riferite ordinanze dell'Adunanza plenaria, anche l'atto conseguente dovrebbe tuttavia più logicamente essere attratto nella competenza del medesimo foro che giudica sulla causa principale, superando pertanto la competenza funzionale del TAR capitolino sugli atti dell'Autorità.

Con riferimento ai ricorsi in tema di affidamento di contratti pubblici proposti dall'AGCM (art. 21-bis, l. n. 287 del 1990), applicando i criteri fissati dall'Adunanza Plenaria (26 luglio 2012, n. 29), la giurisprudenza ha escluso il radicamento della competenza funzionale del TAR Lazio, precisando che l'art. 135, comma 1, lett. b), c.p.a. (cui fa rinvio l'art. 14, comma 1 dello stesso codice) si riferisce esclusivamente alle controversie aventi a oggetto i “provvedimenti dell'Autorità” e non anche a quelle promosse da quest'ultima contro gli atti emanati da altre amministrazioni (TAR Sicilia, Catania, Sez. IV, 3 marzo 2014, n. 676; TAR Veneto, Venezia, Sez. I, 26 giugno 2015, n. 737; TAR, Calabria, Catanzaro, Sez. I, 29 giugno 2016, n. 1373). Lo stesso criterio interpretativo deve essere applicato anche alle controversie che saranno instaurate dall'ANAC, che dovrebbero quindi seguire le regole ordinarie sulla competenza territoriale poste dal c.p.a.

Per completezza si ricorda che gli artt. 13 e ss. c.p.a. dispongono che il difetto di competenza può essere fatto valere anche d'ufficio dal giudice adito, fino all'esito del giudizio di primo grado, ma ne limitano la rilevazione in via di eccezione dalle parti diverse dal ricorrente, nell'ambito della fase cautelare o, in difetto di tale fase, nei termini della costituzione in giudizio (art. 15).

Le peculiarità del rito relativo alle procedure di affidamento dei contratti pubblici

Tutte le peculiarità del rito relativo alla trattazione delle controversie sulle procedure di affidamento dei contratti pubblici sono legate alla declamata esigenza di accelerazione della definizione delle relative controversie, perseguita attraverso strumenti diretti alla pretesa semplificazione del processo e alla deflazione del contenzioso.

Segue). L'esclusione del ricorso straordinario, il termine dimidiato di notificazione del ricorso (principale e incidentale) e dei motivi aggiunti e le disposizioni speciali sulla relativa decorrenza

Le principali peculiarità del rito de quo (che, si ricorda, segue in ogni caso, per quanto non diversamente disposto, le regole del rito, già speciale, di cui all'art. 119, ovvero la dimidiazione di ogni altro termine processuale e alcune peculiarità della tutela cautelare: v. infra) sono costituite:

1) dall'esclusione della possibilità di utilizzare il rimedio alternativo del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (art. 120, comma 1, c.p.a. in base al quale gli atti elencati nello stesso comma sono impugnabili “unicamente mediante ricorso al tribunale amministrativo regionale competente”)

2) dalla dimidiazione del termine per la proposizione del ricorso (principale e incidentale) e dei motivi aggiunti. L'art. 120, comma 5, c.p.a. stabilisce la dimidiazione (anche) del termine per ricorrere in primo grado, fissato – in via, allo stato, eccezionale – in 30 giorni (contro gli ordinari 60), cui si collegano alcune speciali disposizioni per l'individuazione del relativo dies a quo. In particolare, nel testo anteriore alla novella del 2016 (applicabile quindi alle procedure avviate prima del 20 aprile 2016: art. 216 del Codice), l'art. 120 c.p.a. stabiliva che il predetto termine decorresse, per gli atti di esclusione e di aggiudicazione, dalla ricezione della comunicazione di cui all'art. 79 (ora 76) del Codice, o, per i bandi e gli avvisi di gara autonomamente lesivi, dalla pubblicazione di cui all'art. 66, comma 8 dello stesso decreto, ovvero, in ogni altro caso, dalla conoscenza dell'atto (art. 120, comma 5) e, per il ricorso incidentale, secondo quanto disposto dall'art. 42 (notificazione del ricorso principale). Come meglio si vedrà nei paragrafi dedicati al “mini-rito”, il Codice del 2016 ha introdotto un'ulteriore differenziazione in subiecta materia, imponendo (all'art. 120, comma 2-bis, c.p.a.) l'impugnazione immediata (entro 30 giorni) anche degli atti di ammissione (oltre a quelli di esclusione) alle procedure selettive, espressamente stabilendo che l'omessa impugnazione entro il predetto termine preclude la facoltà di far valere l'illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, anche con ricorso incidentale. Sebbene l'art. 120, comma 2-bis, c.p.a. (non direttamente modificato dal decreto “correttivo” del 2017) stabilisca (tuttora) che detto termine inizia a decorrere dalla pubblicazione delle suddette ammissioni e esclusioni sul profilo della stazione appaltante, la disposizione deve essere coordinata con gli artt. 29, comma 1 e 76 del Codice (come, invece, modificati dal decreto “correttivo”), che opportunamente impongono, ai fini della decorrenza del termine per impugnare, la comunicazione e la “disponibilità in concreto” dei relativi atti corredati di motivazione.

Le riferite disposizioni meritano particolare attenzione, anche sotto il profilo della loro compatibilità con i principi costituzionali e europei (UE e CEDU) in materia di effettività della tutela, di cui significativamente l'art. 1 dello stesso c.p.a. richiama il carattere vincolante.

A questo proposito si ricorda che la direttiva 2007/66, nella richiamata ottica di garanzia dell'effettività della tutela, afferma espressamente che il termine per ricorrere dovrà essere computato dalla notifica del provvedimento e delle ragioni che ne sono alla base ai soggetti interessati, in modo che ne possano percepire l'ingiustizia e la lesività (v. considerando 6 e 7 e artt. 1, 2-bis, 2-quater e 2-septies direttive 89/665/CEE e 1992/13/CEE s.m.i.; Corte giust. UE, Sez. V, 8 maggio 2014, C-161/2013 e Sez. III, 28 gennaio 2010, C-406/08, meglio nota come sentenza Uniplex). Il criterio, come appena evidenziato, è stato recepito, su sollecitazione della dottrina e del parere reso dal Consiglio di Stato sullo schema di decreto “correttivo”, dal d. lgs. 56 del 2017 soltanto in riferimento ai ricorsi avverso le ammissioni e le esclusioni, ma, anche in forza del primato del diritto dell'Unione, non può non trovare applicazione anche all'impugnazione degli altri atti di gara (inter alia, le verifiche – positive o negative – dei requisiti svolte nelle successive fasi della procedura, le aggiudicazioni, ecc.). Si segnala a questo proposito che il nuovo art. 120, comma 2-bis, c.p.a. precisa che l'impugnazione della proposta di aggiudicazione e degli altri atti endoprocedimentali (diversi evidentemente da quelli di ammissione contemplati dallo stesso comma) è inammissibile.

3) La comunicazione delle decisioni relative alla gara nel Codice dei contratti del 2006

Con riferimento alla decorrenza dei termini di impugnazione, in ossequio al principio di effettività della tutela giurisdizionale, l'art. 79, comma 5, d.lgs. n. 163 del 2006, premesso l'obbligo delle stazioni affidanti di dare tempestiva informazione a ciascun candidato e a ciascun offerente delle decisioni adottate in merito alla conclusione di un accordo quadro, all'aggiudicazione di un appalto o all'ammissione a un sistema dinamico di acquisizione, ivi compresi i motivi dell'eventuale decisione di non concludere o di riavviare la procedura o non attuare il sistema, imponeva alla stessa stazione appaltante di comunicare tempestivamente e comunque entro 5 giorni (con le modalità espressamente indicate nella medesima disposizione) ai rispettivi interessati (come specificamente individuati dallo stesso articolo) i provvedimenti di aggiudicazione definitiva e di esclusione e la data di avvenuta stipulazione del contratto, già precisando che la predetta “comunicazione è accompagnata dal provvedimento e dalla relativa motivazione” e che la stessa doveva indicare gli uffici e gli orari in cui, nei successivi 10 giorni, senza necessità di specifica richiesta, i medesimi soggetti avrebbero potuto prendere visione ed eventualmente estrarre copia degli atti della procedura. Si prevedeva dunque un accesso automatico ex lege a tutti gli atti di gara (con la sola eccezione di quelli per i quali la stessa comunicazione avesse espressamente indicato il divieto o il differimento dell'accesso), al cui decorso si legava una presunzione legale di conoscenza degli atti messi effettivamente a disposizione nei suddetti uffici ed orari. Come si vedrà meglio nel paragrafo dedicato alla “Casistica” sulla piena conoscenza, la giurisprudenza ha pertanto correttamente ritenuto che il termine di 30 giorni per impugnare dovesse ritenersi maggiorato dei 10 giorni per l'esercizio dell'eventuale accesso.

Un'ulteriore questione applicativa investe il rapporto tra la suddetta comunicazione e la piena conoscenza, comunque acquisita, degli elementi che devono costituirne oggetto, ai fini della decorrenza del termine per impugnare i provvedimenti di gara (esclusione e aggiudicazione) e, con l'introduzione del mini-rito, anche gli atti di ammissione. La giurisprudenza è ripetutamente intervenuta sul punto, come riportato nell'apposita “casistica” cui si rinvia.

4) Standstill sostanziale

Dall'invio della comunicazione dell'aggiudicazione, il Codice (art. 11, comma 10, d.lgs. n. 163 del 2006, riprodotto dall'art. 32, comma 9, d.lgs. n. 50 del 18 aprile 2016) fa decorrere il termine dilatorio minimo di 35 giorni per la stipula del contratto (c.d. “standstill period” sostanziale), che tuttavia l'art. 32, comma 10, del Codice esclude per gli affidamenti “sottosoglia” di cui all'art. 36, comma 2, lett. a) e b) Si segnala peraltro l'anomalia del riferimento all'invio, invece che alla ricezione della comunicazione, da cui pure è fatto, correttamente, decorrere il termine per l'impugnazione (la spiegazione, contenuta nella relazione al d.lgs. n. 53 del 2010, di attuazione della direttiva 2007/66, sarebbe che per l'amministrazione è difficile avere certezza della effettiva ricezione, che, comunque, in linea di massima, avviene entro 5 giorni dall'invio).

5) Standstill processuale

L'esigenza di impedire la consumazione di gravi violazioni prima dell'accesso agli organi giurisdizionali è assicurata, oltre che dal ricordato standstill period sostanziale (pur con i riferiti limiti di applicazione) da uno standstill period processuale: in attuazione di quanto disposto dalla direttiva 2007/66, l'art. 32, comma 11, del nuovo codice dei contratti (riprendendo i contenuti dell'art. 11, comma. 10, d. lgs. n. 163 del 2006) correla alla notificazione del ricorso, con istanza cautelare, contro l'aggiudicazione, la sospensione automatica degli effetti dell'aggiudicazione e il divieto di stipula del contratto per il periodo decorrente dalla notificazione alla stazione appaltante e per i successivi venti giorni, se entro tale termine il TAR adotta il provvedimento cautelare o pubblica, all'esito della camera di consiglio sull'istanza cautelare, il dispositivo della sentenza, ovvero fino alla pronuncia di detti provvedimenti, se successiva per la stipula del contratto. A questi fini, il ricorso deve essere sempre notificato, anche per le Amministrazioni statali, anche presso la sede reale della stazione affidante.

Nessuno standstill period, né sostanziale, né processuale, è invece previsto all'esito della c.d. comprova dei requisiti (art. 32 del Codice), che, peraltro, più dell'aggiudicazione, fa presagire l'imminente stipula del contratto, per evitare la quale gli operatori pretermessi non avranno quindi alla strada che quella della tutela cautelare monocratica di cui agli artt. 56 e 61 c.p.a.

Conservazione dello stand still period in caso di prosecuzione dell'udienza cautelare in altra data

A norma dell'art. 32, comma 11, del d.lgs. n. 50 del 2016, l'effetto sospensivo sulla stipula del contratto cessa solo qualora in sede di esame della domanda cautelare, il giudice:

  • dichiara l'incompetenza ai sensi dell'art. 15, comma 4, c.p.a.;
  • fissa con ordinanza la data di discussione del merito senza concedere misure cautelari;
  • rinvia al giudizio di merito l'esame della domanda cautelare, con il consenso delle parti, “da intendersi quale implicita rinuncia all'immediato esame della domanda cautelare”.

In considerazione della natura tassativa delle riferite ipotesi, il Consiglio di Stato (Sez. V, 14 novembre 2017, n. 5243) ha dichiarato l'inefficacia del contratto stipulato nel tempo intercorrente tra la camera di consiglio di trattazione dell'istanza cautelare e la pronuncia di accoglimento del ricorso nel merito (adottata all'esito dell'udienza camerale ex art. 60 c.p.a.), precisando che il rinvio ad altra camera di consiglio, disposto, senza opposizione del ricorrente, nella prima udienza cautelare, non costituisce una rinuncia implicita all'immediato esame dell'istanza medesima, ma una “mera procrastinazione della medesima udienza cautelare ad altra data”, sicché non si configura la cessazione dello stand still ai sensi dell'art. 11, comma 10-ter del d.lgs. n. 163/2006 (riprodotto nell'art. 32, comma 11, del d.lgs. n. 50 del 2016).

(Segue). I limiti alla concessione di misure cautelari

L'art. 119 c.p.a. – applicabile, come anticipato, per quanto non diversamente disposto dagli artt. 120 ss., alle controversie relative ai provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture – prevede uno speciale regime della tutela cautelare nei giudizi abbreviati comuni alle materie da esso individuate. Fin dall'introduzione di un rito speciale dedicato a tali materie (art. 23-bis l. TAR), il legislatore ha invero guardato con particolare rigore alla concessione di misure cautelari, in considerazione, per un verso, della rilevanza degli interessi pubblici coinvolti e, per l'altro, della rapidità della definizione del giudizio nel merito.

6) La tutela cautelare

In quest'ottica, la concessione di specifiche misure cautelari è stata subordinata, oltre che al riconoscimento della “sussistenza di profili di fondatezza del ricorso”, al ricorrere di circostanze di “estrema gravità e urgenza” (art. 119, commi 3 e 5).

Il limite, legato alla previsione, al comma 3, che la cautela ordinaria consiste nella sollecitazione fissazione del merito, vale, a maggior ragione per gli appalti e le concessioni, per i quali l'art. 120 c.p.a. (comma 6 e 6-bis) impone sempre una definizione estremamente rapida del giudizio (v. infra).

È invece difficilmente comprensibile la previsione, di fatto inapplicata, al comma 8-bis dell'art. 120 c.p.a., aggiunto dal d.l. n. 90 del 2014, che le medesime misure cautelari «sono disposte per una durata non superiore a sessanta giorni dalla pubblicazione dell'ordinanza».

Il medesimo comma 8-bis attribuisce poi al giudice il potere di subordinare l'efficacia delle misure cautelari alla prestazione di una cauzione anche qualora dalla decisione non derivino effetti irreversibili.

Nuovi limiti alla tutela cautelare

Il d.lgs. n. 50 del 18 aprile 2016, in attuazione dell'art. 1 comma 1, lett. aaa), della legge delega, introducendo un ulteriore comma (8-ter) allo stesso art. 120, ha peraltro disposto che il giudice debba altresì tenere conto “di quanto previsto dagli artt. 121, comma 1, e 122” (sul potere del giudice di definire la portata della decisione sull'efficacia del contratto eventualmente stipulato) «e delle esigenze imperative connesse a un interesse generale all'esecuzione del contratto, dandone conto nella motivazione» (significativamente diverse dal «preminente interesse nazionale alla sollecita realizzazione dell'opera» usata dall'art. 125 c.p.a., su cui v. infra, in argomento si v. anche G. Severini, Le procedure d'urgenza davanti al giudice amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it).

La giurisprudenza amministrativa, nel bilanciamento degli interessi previsto dalla riferita disposizione, ha tuttavia spesso dato peso prevalente a quelli di natura economica (i.e. la necessità del rapido avvio dei lavori da realizzare, la salvaguardia degli eventuali finanziamenti pubblici già concessi e la residua possibilità del subentro nel contratto stipulando, o dell'eventuale risarcimento per equivalente senza pregiudizio economico per la stazione appaltante), negando in loro nome la misura cautelare richiesta (TAR Sicilia, Catania sez. I, 10 aprile 2018, n. 230; Cons. St., sez. III, 2 ottobre 2017, n. 4220; Id.,12 aprile 2017, n. 4398 su cui si v. la New “Primissime applicazioni dell'art. 120, comma 8-ter, c.p.a. nel giudizio di appello”).

A quest'ultimo riguardo si segnala, oltre a quanto osservato, in termini critici, dal Parere del Consiglio di Stato, anche il rilievo decisivo riconosciuto al principio di effettività della tutela dalla Corte di Giustizia nell'eterno dibattito relativo all'obbligo (o meno) da parte del giudice di esaminare i motivi di ricorso principale in presenza di un ricorso incidentale dal cui accoglimento deriva l'inammissibilità della prima azione (su cui si rinvia alla specifica “Casistica”).

Un'ulteriore peculiarità della tutela cautelare in subiecta materia, comune peraltro a tutte le materie individuate dall'art. 119 c.p.a., è costituita dalla possibilità, ove si intendano far valere particolari esigenze cautelari, di ricorrere in appello avverso il mero dispositivo di sentenza (artt. 119, comma 6 e 120, comma 11), integrando poi il ricorso con i motivi diretti a contestare le motivazioni all'esito del relativo deposito (fermo che il mancato utilizzo di tale facoltà non preclude la proposizione dell'istanza cautelare ordinaria in relazione all'appello sulla sentenza);

Si è invece già detto che, salvo quanto si dirà (vd. infra, Il nuovo rito ipercontratto per la definizione dei giudizi di (immediata) impugnazione dei provvedimenti di esclusione e di ammissione alle procedure), i termini per l'appello cautelare restano, in forza dell'art. 119, comma 2, quelli ordinari stabiliti dall'art. 62, comma 1,c.p.a. (30 giorni dalla notificazione dell'ordinanza o 60 dalla sua pubblicazione).

(Segue). La definizione accelerata del giudizio ai sensi dall'art. 120 comma 6 c.p.a. e i limiti di spazio degli scritti difensivi

Oltre a quanto già osservato sulla riduzione e sulla decorrenza dei termini di impugnazione, l'art. 120, comma 6, c.p.a., come modificato dalla più volte richiamata riforma del 2014, stabilisce che il giudizio, ferma la possibilità della sua definizione immediata nell'udienza cautelare ove ne ricorrano i presupposti, deve essere comunque definito con sentenza in forma semplificata, ad un'udienza fissata d'ufficio (e dunque senza necessità di previa istanza di parte, che non dovrebbe a questo punto essere necessaria neppure per la fase cautelare) da celebrare entro 45 giorni dalla data di scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente (30 giorni dal ricevimento della notifica del ricorso), con l'ulteriore precisazione che, in caso di esigenze istruttorie o di integrazione del contraddittorio, o per assicurare il rispetto dei termini a difesa, la definizione del merito può essere rinviata, con la medesima ordinanza che dispone i predetti adempimenti o rinvii, a un'udienza da tenersi non oltre 30 giorni.

Termini “ordinatori” ed effettività della tutela

Nonostante la loro natura meramente ordinatoria, l'arduo (recte irrealistico) rispetto dei suddetti strettissimi termini stabiliti dal comma 6 assume peraltro un'importanza decisiva per garantire una tutela effettiva, specialmente una volta che sia scaduto il termine di stand-still e la stazione appaltante, nelle more della definizione del giudizio, abbia stipulato il contratto. Non è infrequente, infatti, che il rigetto degli appelli cautelari sia motivato proprio in ragione dell'intervenuta stipula del contratto, confortando (recte illudendo) il ricorrente che la sua esigenza cautelare “può trovare adeguata tutela nella celere fissazione dell'udienza di merito da parte del TAR competente, nei termini indicati dall'art. 120, comma 6, c.p.a.” (ex multis, l'ordinanza del Cons. St., sez. III, 5 febbraio 2018, n. 501). Con riferimento ai Tribunali che non rispettano i suddetti termini, invocando la saturazione dei ruoli e la scarsità dell'organico, la loro previsione si traduce, quindi, di fatto in un ulteriore ostacolo alla tutela cautelare.

Il comma 9 dello stesso art. 120 fissa poi in 30 giorni dall'udienza il termine di deposito della sentenza di primo grado (la specificazione lascia dunque, stranamente, valido, per la sentenza di appello, il più stretto termine di 23 giorni, derivante dal principio generale della dimidiazione dei termini ordinari, in forza dell'art. 119, comma 2), ferma restando la possibilità di chiedere l'immediata pubblicazione del dispositivo entro 2 giorni (aumentati a 7 per l'appello). Trattasi, comunque, di termini di natura meramente ordinatoria, alla cui inosservanza l'organo di autogoverno della giustizia amministrativa correla specifiche conseguenze soltanto in presenza di ulteriori condizioni (Delibera n. 15 del 5 febbraio 2016 del CPGA su cui v. News del 2 marzo 2016, Criteri valutativi dei ritardi nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali, di V. Zallocco).

La riforma è stata fortemente criticata, tanto per l'eccessiva contrazione delle tempistiche, quanto per l'obbligo di decisione in forma semplificata, difficilmente compatibili con l'oggettiva complessità della materia, con l'ordinaria calendarizzazione delle udienze e – soprattutto per l'udienza post-rinvio – con il rispetto dei termini a difesa (si v. M.A. Sandulli, Il tempo del processo come bene della vita, in www.federalismi.it).

I limiti dimensionali degli scritti difensivi

Per controbilanciare il peso della suddetta contrazione temporale (v. significativamente TAR Sicilia, Palermo, Sez. I, 8 luglio 2014, n. 1787), l'art. 40 d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, con la legge 11 agosto 2014, n. 114, (sollevando anche sotto questo profilo notevoli critiche sul piano della compatibilità costituzionale e eurounitaria, sotto il profilo della ragionevolezza e della proporzionalità degli ostacoli che ne derivano all'effettività della tutela) ha peraltro disposto la fissazione di speciali limiti di “spazio” degli atti difensivi (art. 120, comma 6), da definire con decreto del Presidente del Consiglio di Stato (sentiti il Consiglio nazionale forense, l'Avvocato generale dello Stato e le associazioni di categoria riconosciute dagli avvocati amministrativisti), tenendo conto «del valore effettivo della controversia, della sua natura tecnica e del valore dei diversi interessi sostanzialmente perseguiti dalle parti», con la precisazione che «Il giudice è tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti» e che «il mancato esame delle suddette questioni costituisce motivo di appello avverso la sentenza di primo grado e di revocazione della sentenza di appello», con ciò escludendo a contrario un obbligo di disamina delle questioni affrontate al di fuori degli spazi consentiti (in tal senso TAR Toscana, Sez. II, 11 dicembre 2015, n. 1688, che, oltretutto, specifica che è esclusivo onere della ricorrente dimostrare il rispetto dei suddetti limiti attraverso una diversa formattazione del ricorso (non potendo tale controllo riversarsi sul giudice). Tali limiti erano stati poi individuati con decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 40 del 25 maggio 2015 (su cui v. News del 4 febbraio 2016, I limiti dimensionali degli atti difensivi nel rito appalti, di V. Zallocco), pubblicato in Gazzetta ufficiale 5 giugno 2015, aveva previsto un numero massimo di 30 pagine, escluse intestazioni e riassunto dei motivi (della lunghezza massima, rispettivamente, di due pagine).

Successivamente, la l. 25 ottobre 2016, n. 197, in vigore dal 29 ottobre 2016, ha esteso i limiti dimensionali degli scritti difensivi a tutte le controversie, abrogando l'alinea dell'art. 120, comma 6, c.p.a. e ha introdotto fra le disposizioni di attuazione del medesimo codice, l'art. 13-ter, in base al quale “il giudice è tenuto ad esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti. L'omesso esame delle questioni contenute nelle pagine successive al limite massimo non è motivo di impugnazione”.

A completamento della normativa sulla sinteticità dei ricorsi l'attuale Presidente del Consiglio di Stato il 22 dicembre 2016 ha emanato il decreto n. 167, (su cui v. Consiglio di Stato: pubblicato il decreto sulla disciplina dei criteri di redazione e dei limiti dimensionali del ricorso e degli altri scritti difensivi), ulteriormente modificato dal decreto 16 ottobre 2017, n. 127, (su cui v. Sinteticità degli atti: modificati gli artt. 3 e 6) in attuazione dell'art. 7-bis d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni nella citata l. n. 197 del 2016, ha aggiunto ai limiti di “battute” (integralmente e minuziosamente rivisitati), particolari “regole di redazione” degli atti di parte (che finiscono oltre tutto per ridurre ulteriormente gli spazi da dedicare agli argomenti difensivi) e ha addirittura esteso a livello generale (con alcune variabili in relazione ai diversi riti) a tutte le tipologie di giudizi celebrati dinanzi al giudice amministrativo il criticabile sistema di disciplina delle modalità di redazione e dei limiti dimensionali degli atti processuali, rimessa per di più allo stesso organo che deve giudicare sui loro contenuti e che può essere chiamato a rispondere della loro insufficiente disamina.

Desta notevoli perplessità anche l'art. 6, del succitato Decreto, il quale, pur riconoscendo la possibilità (recte, opportunità, se non necessità) del superamento dei limiti qualora la controversia «presenti questioni tecniche, giuridiche o di fatto particolarmente complesse ovvero attenga ad interessi sostanziali perseguiti di particolare rilievo anche economico» (circostanza tutt'altro che infrequente nella materia dei contratti pubblici), impone la presentazione di un'apposita “istanza motivata” cui deve, “ove possibile”, essere allegato “lo schema di ricorso”, onere che, considerati i tempi già estremamente ridotti dell'impugnazioni degli atti delle procedure di affidamento dei contratti pubblici e la “complessità” delle questioni che costituisce il presupposto della richiesta, rende di fatto solo teorica tale possibilità. Né la riferita criticità è in alcun modo superata dalla previsione che la mancata pronuncia sulla richiesta equivale ad accoglimento della stessa (Sul tema si v. F. Francario, Il principio di sinteticità, ne Il libro dell'Anno del Diritto 2018, Enc. Giur. Treccani, Roma, 2017; Id., Principio di sinteticità e processo amministrativo. Il superamento dei limiti dimensionali dell'atto di parte, in corso di pubbl. in Dir. proc. amm., 2018, 1,; M. Nunziata, Focus, La sinteticità degli atti processuali di parte nel processo amministrativo sui contratti pubblici).

Il rispetto delle regole dimensionali è particolarmente importante, in quanto, non soltanto, come si è visto, l'art. 13-ter delle norme di attuazione del c.p.a. (come già l'art. 120, comma 6), circoscrive l'obbligo di disamina, da parte del giudice, delle “questioni” prospettate a quelle affrontate negli spazi consentiti, ma nonostante nessuna disposizione di legge sia mai giunta al punto di sancire l'inammissibilità delle questioni affrontate al di fuori dei limiti prefissati (ciò che creerebbe evidenti problemi di compatibilità con le garanzie costituzionali e eurounitarie del diritto di difesa), una recente giurisprudenza ne ha affermato la “inesaminabilità”. La giurisprudenza ha recentemente affermato che, a prescindere dall'abnormità delle dimensioni di un ricorso che superi i predetti limiti dimensionali (nella specie si trattava di un ricorso di appello di 124 pagine) e anche applicando i più favorevoli limiti posti dall'ultimo decreto del Presidente del Consiglio di Stato (22 dicembre 2016 n. 167), il ricorso, escluse le intestazioni e il riassunto preliminare (che nelle specie veniva fatta coincidere con la parte denominata “Fatto” dall'appellante) può essere esaminato solo nei limiti consentiti (nella specie fino a pag. 39) allorché ciò consenta di esaminare solo le censure (peraltro ricopiate pedissequamente con la tecnica del “copia ed incolla” dal ricorso di primo grado) attinenti ai motivi di primo grado riproposti in appello e assorbiti dal giudice di prime cure. Sebbene l'ipotesi in cui il ricorso in appello riproponga i motivi del ricorso di primo grado potrebbe, in astratto, giustificare il superamento dei limiti dimensionali, l'appellante deve comunque ottenere l'autorizzazione preventiva dal Presidente del Consiglio di Stato ex art. 6 del suddetto decreto del 2016, ovvero, applicando (ratione temporis) il decreto del 2015, l'autorizzazione pervista al punto 11 da parte del presidente di Sezione o di un Magistrato delegato. In assenza di tale autorizzazione, la parte dell'appello eccedente i limiti sopra descritti non è esaminabile (Cons. St., Sez. V, 12 giugno 2017, n. 2852).La stessa Sezione ha più recentemente precisato che la violazione dei riferiti limiti dimensionali non comporta l'inammissibilità dell'intero atto, ma solo il “degradare della parte eccedentaria a contenuto che il giudice ha la mera facoltà di esaminare” (Cons. St., Sez. V, 11 aprile 2018, n. 2190).

(Segue). Il precontenzioso: l'informazione preventiva di ricorso e i pareri di precontenzioso dell'ANAC

La direttiva 2007/66 lascia alla scelta degli Stati membri la possibilità di prevedere strumenti precontenziosi, quali il ricorso amministrativo ovvero l'informativa preventiva sull'intento di proporre ricorso giurisdizionale. L'ordinamento italiano aveva inizialmente optato per questo secondo strumento (art. 243-bis, d.lgs. n. 163 del 2006).

L'informazione preventiva nasceva con finalità deflattive, imponendo alle parti che intendevano proporre ricorso di avvisarne preventivamente la stazione affidante. Per quanto la mancata presentazione dell'informativa non impedisse la proposizione del ricorso né ne circoscrivesse l'ambito (atteso che l'art. 243-bis faceva espressamente salva la facoltà di proporre in giudizio motivi diversi e ulteriori), la sua omissione era comunque valutabile ai fini della condanna alle spese e dell'eventuale giudizio risarcitorio. Lo strumento non si è rivelato peraltro efficace in quanto la decisione sul c.d. preavviso di ricorso doveva essere resa entro 15 giorni. Nella pratica, tuttavia, esso perveniva ordinariamente all'Amministrazione contemporaneamente alla notifica dell'impugnazione o pochissimi giorni prima, il che ne impediva quella valenza deflattiva che aveva portato alla sua introduzione (e che forse avrebbe potuto conservare laddove fosse stato imposto un termine più breve per la sua presentazione). A ciò si aggiunga che l'eventuale accoglimento dei rilievi sollevati si sarebbe spesso tradotto in una lesione degli interessi del terzo aggiudicatario (controinteressato), ingenerando in ogni caso una reazione impugnatoria da parte di quest'ultimo.

In linea con la legge delega, il nuovo Codice non prevede più l'informazione preventiva, ma, all'art. 211, conferisce all'ANAC un apposito potere/dovere di esprimere “pareri di precontenzioso”, su richiesta della stazione appaltante o di una o più delle altre parti, relativamente a questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara. Il parere, che deve essere reso entro 30 giorni dalla ricezione della richiesta ha carattere vincolante per le parti che abbiano preventivamente acconsentito ad attenersi a quanto in esso stabilito, ma è comunque impugnabile davanti al giudice amministrativo ai sensi dell'art. 120 c.p.a. In coerenza con le richiamate finalità deflattive del contenzioso, la novella stabilisce peraltro che, in caso di rigetto del ricorso, il giudice valuta il comportamento della parte ricorrente ai sensi e per gli effetti dell'art. 26 c.p.a.

(Segue). Le altre peculiarità del rito

I giudizi relativi agli atti delle procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture e agli atti dell'ANAC ad essi riferiti presentano ulteriori caratteri distintivi (per i quali si rinvia anche alle apposite bussole), che si possono così brevemente riassumere:

- obbligo di versare un contributo unificato di misura variabile tra i 2000 e i 6000 euro per il ricorso di primo grado (e per l'eventuale proposizione di ricorso incidentale o di nuove domande suscettibili di ampliare l'ambito della controversia: Corte giust. UE, 6 ottobre 2015, C-61/14, sulla cui applicazione cfr. le circolari del Segretario Generale del Consiglio di Stato 23 ottobre 2015 prot. 20766 e 30 novembre 2015 prot. 23716) e tra i 3000 e i 9000 euro per il ricorso in appello (sul tema, v. il Focus, Il contributo unificato in materia di contratti pubblici al vaglio della Corte di Giustizia, di F. Lattanzi);

- (già ricordata) dimidiazione dei termini processuali non diversamente regolati dall'art. 120 rispetto al rito ordinario: dunque, in particolare, oltre a quelli per il deposito degli atti e dei documenti, quelli per la notificazione delle impugnazioni (appello, revocazione e opposizione di terzo); fanno eccezione quelli per l'appello cautelare (che, a norma dell'art. 119, comma 4, restano gli stessi previsti dall'art. 62 per il rito ordinario), mentre la dimidiazione non si applica alle azioni meramente risarcitorie (Cons. St., Ad. plen.,30 luglio 2007, n. 9 pronunciata, peraltro, con riferimento all'art. 23-bis, l. TAR in un giudizio in tema di espropriazioni; la giurisprudenza successiva ha comunque seguito la soluzione anche per gli appalti);

- onere di impugnare con motivi aggiunti, ad eccezione dei casi previsti dalcomma2-bis, i nuovi atti attinenti alla medesima procedura (ovviamente con il limite della definizione del giudizio di primo grado, essendo preclusa l'impugnazione di nuovi atti direttamente in appello: art. 104) (art. 120, comma7);

- in caso di presentazione di offerte per più lotti, possibilità di impugnare con ricorso cumulativo gli atti della medesima procedura solo se vengono dedotti identici motivi di ricorso (art. 120, comma 11-bis, su cui peraltro il richiamato parere del Consiglio di Stato ha espresso rilievi critici, anche in riferimento all'eccessiva onerosità derivante dalla moltiplicazione del contributo unificato);

- in caso di mancata pubblicità del bando, inoppugnabilità, in ogni caso, dell'affidamento, decorsi 30 giorni dalla pubblicazione dell'avviso di aggiudicazione definitiva ai sensi degli artt. 65 e 225, d.lgs. n. 163 del 2006, a condizione che esso contenga la motivazione della scelta di procedere all'affidamento senza previa pubblicazione del bando o, in difetto di tale avviso o delle relative motivazioni, decorsi sei mesi dal giorno successivo alla stipula del contratto, a prescindere dalla conoscibilità degli atti impugnandi e dai relativi vizi (art. 120, comma 2): quest'ultima disposizione, consentendo l'intangibilità di qualsiasi affidamento diretto attraverso la sua mera “segretezza” semestrale, solleva notevoli problemi di compatibilità costituzionale e eurounitaria (nel parere sul decreto delegato di approvazione del d.lgs. n. 163 del 2006, il Consiglio di Stato aveva in proposito giustamente rilevato che la citata disposizione «introducendo una vistosa deroga ai principi giuridici consolidati in materia di impugnazione degli atti amministrativi risulta del tutto estranea al nostro sistema processuale. L'effetto di tale preclusione è ancora più rilevante se si considera che essa è destinata ad operare in presenza di situazioni caratterizzate da una particolare violazione delle regole, riconducibili all'affidamento diretto senza gara e senza pubblicità»; inoltre, con sentenza Sez. V, 26 novembre 2015, C-166/14 contro la Repubblica federale austriaca, la Corte di Giustizia ha ritenuto che il diritto dell'Unione Europea, e segnatamente il principio di effettività, osta ad una normativa nazionale che subordina la proposizione di un ricorso diretto ad ottenere il risarcimento del danno per violazione di una norma in materia di appalti pubblici al previo accertamento dell'illegittimità della procedura di aggiudicazione – nel caso di specie per mancata previa pubblicazione di un bando di gara – qualora quest'ultima azione sia soggetta a un termine di decadenza di sei mesi a partire dal giorno successivo alla data dell'aggiudicazione, indipendentemente dalla circostanza che colui che propone l'azione fosse o meno in grado di conoscere l'esistenza dell'illegittimità di tale decisione; lo schema del nuovo codice dei contratti approvato dal Governo il 7 marzo 2016 aveva pertanto eliminato la richiamata disposizione, ma il Consiglio di Stato, nel citato parere consultivo, ne ha sollecitato il reinserimento, rilevando che l'incompatibilità comunitaria, legata all'azione risarcitoria, non sussisterebbe in riferimento all'art. 120, comma 2, del nostro c.p.a., in quanto il nostro ordinamento non subordina l'azione risarcitoria alla previa azione di impugnazione o di accertamento dell'illegittimità dell'atto, sicché la riferita disposizione di chiusura lascerebbe comunque salva la tutela risarcitoria);

- obbligo del giudice che annulla l'aggiudicazione definitiva per la realizzazione di una delle violazioni “gravi” individuate dall'art. 121 (combinato disposto dei commi 1 e 5) di dichiarare l'inefficacia (pro futuro o in via retroattiva) del contratto, a prescindere da un'apposita domanda di parte, a meno che «venga accertato che il rispetto di esigenze imperative connesse ad un interesse generale imponga che i suoi effetti siano mantenuti» (art. 121), con applicazione, in quest'ultimo caso (anche in appello), di apposite “sanzioni alternative” (riduttive della durata del contratto o pecuniarie, foriere di gravi problemi di compatibilità con i principi di imparzialità e contraddittorio nell'applicazione delle pene);

- fuori dai casi in cui denuncia la consumazione di violazioni gravi ai sensi dell'art. 121, onere del ricorrente che chiede la dichiarazione di inefficacia del contratto o la condanna al risarcimento per equivalente di dichiarare la propria disponibilità al subentro (se ancora possibile), ferma in ogni caso l'esigenza di dare la prova del danno subito ai fini risarcitori (artt. 122 e 124: da ultimo sull'onere della prova Cons. St., Sez. III, 17 novembre 2015, n. 5255).

Orientamenti a confronto

Secondo l'orientamento giurisprudenziale prevalente, l'inefficacia del contratto può essere disposta esclusivamente su impulso di parte cosicché il giudice amministrativo, una volta che abbia annullato l'aggiudicazione definitiva dell'appalto, può disporre il subentro della ricorrente nel contratto a condizione che:

(i) il vizio dell'aggiudicazione non comporti l'obbligo di rinnovare la gara;

(ii) la domanda di subentro sia stata proposta dalla ricorrente;

(iii) lo stato di esecuzione del contratto e la tipologia stessa del contratto consentano tale subentro (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. II, 4 gennaio 2016, n. 2, Cons. St., Sez. V, 25 giugno 2014, n. 3220, TAR Sicilia, Catania, Sez. IV, 12 febbraio 2014 n. 446; Cons. St., Sez. IV, 2 dicembre 2013, n. 5725).

Un diverso indirizzo giurisprudenziale afferma invece che la pronuncia relativa all'efficacia o inefficacia del contratto è doverosa e rientra nei poteri officiosi del giudice amministrativo in quanto la ratio degli artt. 121 e 122 c.p.a. è che si “addivenga il più presto possibile ad una definizione della sorte del contratto”. Lo stesso indirizzo peraltro ammette che la definizione delle sorte del contratto possa essere oggetto di un giudizio autonomo rispetto a quello instaurato per ottenere l'annullamento dell'aggiudicazione risultando anche “tale iniziativa coerente con l'intento del legislatore” (TAR Piemonte, Sez. II, 24 novembre 2014, n. 1906; Id., 25 marzo 2016, n. 410, su cui v. News del 30 marzo 2016, Il giudice amministrativo può dichiarare d'ufficio inefficace il contratto?, di P. Provenzano).

Ulteriori disposizioni processuali per le controversie relative a infrastrutture strategiche

L'art. 125 c.p.a. conferma infine il regime assolutamente eccezionale delle controversie relative alle procedure di progettazione, approvazione e realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi e relative attività di espropriazione, occupazione e asservimento.

In particolare, si prevede che nell'adozione dei provvedimenti cautelari il giudice debba tener conto delle loro probabili conseguenze per tutti gli interessi che possono essere lesi, nonché del “preminente” interesse nazionale alla sollecita realizzazione dell'opera, nonché dell'interesse dell'aggiudicatore alla celere prosecuzione della procedura; e che, fuori dai casi di violazioni gravi, la sospensione o l'annullamento dell'affidamento non comporta la caducazione del contratto già stipulato e il risarcimento del danno eventualmente dovuto avviene solo per equivalente.

Casistica: ambito di applicazione del rito appalti

Concessioni di beni

Affidamento di servizi a titolo di concessione

Non sono soggette al rito de quo le controversie in merito a concessioni di beni in quanto, pur spettando alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e ricollegandosi all'affidamento di contratti pubblici, non investono l'affidamento di lavori, servizi e forniture. (Cons. St., Sez. VI, 28 maggio 2015, n. 2679; Cons. St., Sez. VI, 21 maggio 2014, n. 2620)

Sono invece soggette al rito speciale le controversie che investono l'affidamento di servizi a titolo di concessione. Infatti, il termine affidamento servizi, usato dal legislatore, deve intendersi riferito sia agli appalti che alle concessioni di pubblico servizio, per chiare ragioni testuali e sistematiche: a) testuali, in quanto la norma considera in modo unitario la procedura di affidamento senza operare alcuna distinzione tra appalti e concessioni di pubblici servizi, sì che essa non può che intendersi riferita anche all'affidamento di servizi mediante concessione; b) sistematiche, in quanto una disciplina differenziata dei due istituti si porrebbe in palese contrasto con le finalità perseguite dal legislatore, volte ad assicurare la massima speditezza nell'intera materia degli affidamenti pubblici di lavori, servizi e forniture, senza distinzione di sorta. (Cons. St., Sez. III, 29 maggio 2015, n. 2704). L'applicabilità del rito speciale alle concessioni disciplinate dal Codice dei contratti è stata sancita dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 27 luglio 2016, n. 22.

Affidamento in house

Il Consiglio di Stato (Cons. St., Sez. V, 29 maggio 2017, n. 2533) ha recentemente precisato che anche l'affidamento diretto di contratti di lavori, servizi e forniture ad un ente in house deve ritenersi riconducibile al concetto di «procedure» di cui agli artt. 119 e 120 c.p.a.: anch'esso è espressione della presupposta potestà autoritativa della P.A., manifestatasi nelle forme del procedimento amministrativo cui quest'ultima è soggetta in via generale nell'esercizio dei suoi poteri, ancorché con modalità estremamente semplificate.

In secondo luogo, la sentenza evidenzia come l'assoggettamento al rito speciale degli affidamenti “in house” discenda altresì da ragioni logiche e di complessiva coerenza normativa del sistema. In particolare, si osserva che, tra gli ampi poteri riconosciuti al giudice ai sensi degli artt. 120-124 c.p.a., vi è quello di dichiarare l'inefficacia del contratto stipulato sulla base del provvedimento autoritativo di affidamento, incidendo così sul rapporto negoziale instaurato “a valle” di quest'ultimo. Qualora si ritenesse inapplicabile il rito speciale, quindi, risulterebbero immuni dal rischio di declaratoria giurisdizionale di inefficacia «proprio gli affidamenti connotati maxime dalla violazione del principio generale, di matrice anche europea, dell'evidenza pubblica».

Risarcimento del danno

La giurisprudenza amministrativa (richiamando i principi affermati da Cons. St., Ad.plen., 30 luglio 2007 n. 9 pronunciata con riferimento all'art. 23-bis, l. TAR in un giudizio in tema di espropriazioni) ha più volte affermato che il rito speciale non si applica alle controversie esclusivamente risarcitorie (Cons. St., Sez. III, 26 marzo 2018, n. 1882), non emergendo con riferimento a tali domande alcuna esigenza di accelerazione tipica dei giudizi impugnatori. Il rito speciale si applica invece quando la domanda risarcitoria è proposta congiuntamente a quella di annullamento (in forza dell'art. 32 c.p.a. che, in tema di connessione tra domande soggette a riti diversi, fa prevalere il rito ordinario, salvo il caso in cui una delle domande sia soggetta al rito abbreviato),nel dettaglio:

  • TAR Valle d'Aosta, 17 luglio 2014, n. 54 ha precisato che il rito in questione non si applica alle sole controversie che, ab imis, abbiano ad oggetto esclusivamente una domanda risarcitoria.
  • Cons. St., Sez. V, 10 ottobre 2017, n. 4676, ha precisato che, in base all'art. 32 c.p.a., l'intero giudizio è attratto nella sfera applicativa del rito speciale qualora “la domanda risarcitoria non sia autonoma, ma strettamente dipendente dalla domanda di annullamento”, richiamando in termini Cons. Stato, sez. IV, 3 ottobre 2012, n. 5191.

Casistica: giudice competente per l'impugnazione dell'informazione prefettizia interdittiva e dei connessi atti della procedura di gara

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Ai sensi dell'art. 14 c.p.a., nel caso di contestuale impugnazione di una informativa prefettizia interdittiva – che per l'art. 91, d.l. 6 settembre 2011, n. 159 ha effetti inscindibili sull'intero territorio nazionale ed è immediatamente impugnabile – e dei conseguenti atti applicativi adottati dalla stazione appaltante, il giudice territorialmente competente è il TAR nella cui circoscrizione si trova la Prefettura che ha adottato l'informativa; rileva infatti l'interesse del ricorrente all'annullamento della informativa e dunque – ritenendo applicabile, ex art. 39 c.p.a., l'art. 31 c.p.c. che disciplina i rapporti di connessione tra causa principale e causa accessoria – si giunge a ritenere competente, in caso di contestuale impugnazione dell'informativa prefettizia e dell'atto applicativo, il giudice competente a conoscere della prima, con la conseguenza che prevale il criterio della competenza territoriale per il giudizio principale, rispetto a quello della competenza funzionale previsto dall'art. 119 c.p.a. per il giudizio accessorio riguardante l'impugnazione degli atti della gara d'appalto; si realizza, quindi, una particolare forma di connessione per accessorietà in base alla quale, ai fini della determinazione del giudice competente, la causa principale (avente ad oggetto l'impugnativa prefettizia) attrae a sé quella accessoria (avente ad oggetto gli atti applicativi adottati dalla stazione appaltante). (Cons. St., Ad. plen. ordd. nn. 17, 29 e 30 del 2014).

Orientamenti a confronto: l'immediata impugnabilità del bando

Come segnalato nella New Torna all'Adunanza Plenaria il tema dell'onere di immediata impugnazione del criterio di aggiudicazione per un (completo) revirement dell'Ad. Plen. 1/2003, con l'ordinanza del 7 novembre 2018, n. 5138, la Terza sezione del Consiglio di Stato aveva sollecitato l'Adunanza Plenaria a ripensare, anche alla luce della disciplina sostanziale e processuale del nuovo Codice dei contratti, l'indirizzo interpretativo affermato dall'Adunanza Plenaria n. 1 del 2003, costantemente confermato dalla successiva giurisprudenza, con l'unica eccezione di tre ordinanze di rimessione della VI Sezione (n. 351/2011, n. 2633/2012, n. 634/2013), dichiarate però inammissibili.

L'Adunanza Plenaria con la sentenza 26 aprile 2018, n. 4 (su cui si v. la New, Nihil sub sole novum: l'Adunanza Plenaria conferma l'Adunanza Plenaria n. 1 del 2003 sull'onere di immediata impugnazione del bando) ha affermato che le clausole del bando di gara “non escludenti” devono essere impugnate, dall'operatore economico che abbia partecipato alla gara o manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura, unitamente al provvedimento lesivo, dando totale continuità all'indirizzo interpretativo dall'Adunanza Plenaria n. 1 del 2003.

L'Adunanza Plenaria ha parimenti escluso la compatibilità con il sistema processuale (e in particolare con il principio dell'interesse a ricorrere) di una mera facoltà di impugnazione degli atti di gara, precisando che laparte, se lesa, “deve avere il dovere (e non soltanto la “facoltà”)” di proporre l'impugnazione, pena l'arretramento della “concretezza ed attualità dell'interesse” nel concetto di “precauzione” e “cautelatività”. Dopo aver evidenziato la necessità di “una chiara delimitazione delle ipotesi in cui un atto è lesivo, generando l'onere di tempestiva e autonoma impugnazione”, la sentenza ha affermato che, per escludere l'onere di immediata impugnazione delle clausole del bando “non escludenti”, è dirimente il disposto dell'art. 120, comma 5, c.p.a., che, espressamentelimitando l'onere di impugnazione del bando “in quanto autonomamente lesivo”, ha evidentemente conferito “rango legislativo all'impostazione dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 29 gennaio 2003 n. 1”.

Il Collegio, di conseguenza, ha affermato che l'onere di immediata impugnazione è normativamente circoscritto alle clausole “escludenti” (pur nel senso ampliativo delineato dall'elaborazione giurisprudenziale successiva all'Adunanza Plenaria n. 1/2003), sicché laddove venissero ravvisati “così imperiosi motivi” per estendere l'obbligo di impugnazione immediata delle prescrizioni non escludenti,ciò probabilmente non potrebbe avvenire in via ermeneutica ma dovrebbe passare per il vaglio della Corte costituzionale sulla compatibilità (rispetto ai precetti di cui agli articoli 24 e 97 della Costituzione) dell'inciso del comma 5 dell'art. 120 “autonomamente lesivi””.

Al fine di fornire un quadro completo degli orientamenti giurisprudenziali sul tema dell'immediata impugnazione del bando, si segnalano di seguito i contrapposti indirizzi che, prima dell'intervento confermativo dell'Adunanza Plenaria, sono stati applicati dalla giurisprudenza amministrativa (nelle controversie relative a procedure bandite secondo la disciplina del nuovo Codice dei contratti)

Orientamenti a confronto con riferimento all'immediata impugnazione del criterio di aggiudicazione:

(A) Un orientamento giurisprudenziale (inaugurato da Cons. St., Sez. III, 2 maggio 2017, n. 2014, con New di S. Tranquilli) evidenziava che, alla luce di una lettura complessiva del nuovo impianto normativo introdotto dal nuovo Codice (d.lgs. n. 50 del 2016), una soluzione interpretativa preclusiva dell'immediata impugnazione del criterio di aggiudicazione indicato dal bando di gara (nella specie, quello del “massimo ribasso”) finirebbe per “svilire e depotenziare” le due architravi del nuovo impianto normativo ossia: «a) da un lato il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa (…); b) dall'altro (…) la logica bifasica (ammissioni/esclusioni prima fase; aggiudicazione seconda fase) che ha caratterizzato il nuovo approccio processuale in tema di tutela giurisdizionale. L'illegittimità del bando, sub specie del criterio di aggiudicazione, è un prius logico giuridico rispetto alle ammissioni, condizionandole e rendendole illegittime in via derivata”. Sebbene la suddetta sentenza n. 2014/2017 avesse interpretato il nuovo quadro normativo in senso ampliativo della tutela (i.e. ammettendo/facoltizzando l'impugnazione immediata del criterio di aggiudicazione), una parte della giurisprudenza successiva aveva affermato l'esistenza di un onere di immediata impugnazione del criterio di aggiudicazione nei trenta giorni successivi alla pubblicazione del bando , TAR Lazio, Roma, Sez II-ter, 30 novembre 2017, n. 11875, con New di S. Tranquilli, TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 18 dicembre 2017, n. 1449, con commento di S. Iliadis L'ammissibilità dell'impugnativa del bando con riferimento al criterio di aggiudicazione all'indomani della rimessione della questione all'Adunanza Plenaria; TAR Basilicata, 27 settembre 2017, n. 612; TAR Campania, Napoli, sez. I, 26 ottobre 2017, n. 5038)

(B) Un altro indirizzo giurisprudenziale ha continuato invece ad applicare i principi espressi dall'Adunanza Plenaria n. 1 del 2003 anche alla luce del sistema normativo processuale e sostanziale introdotto dal nuovo Codice dei contratti, dichiarando pertanto l'inammissibilità dell'impugnazione immediata del criterio di aggiudicazione scelto dalla stazione appaltante

(TAR Puglia, Bari, Sez. III, 30 ottobre 2017, n. 1109; TAR Veneto, Sez. III, 21 luglio 2017 n. 731; id. 17 luglio 2017 n. 680).

Orientamenti a confronto: l'onere di impugnazione immediata delle clausole del bando “non escludenti” diverse dal criterio di aggiudicazione dopo la sentenza del Consiglio di Stato n. 2014/2017

Secondo il TAR Toscana, Sez. III, 27 febbraio 2018, n. 316, con New di A.G. Pietrosanti, deve essere immediatamente impugnatala lex specialis che,pur non precludendo in radice la partecipazione incida, comunque, immediatamente sulla capacità competitiva dei concorrenti, costringendoli a conformarsi a modalità di partecipazione penalizzanti e lesive della loro sfera economico-imprenditoriale. Il TAR non ha invece condiviso l'indirizzo per il quale, in base ai principi di buona fede ed affidamento, operanti nella fase prenegoziale, le imprese interessate a partecipare alla gara sarebbero tenute a segnalare tempestivamente, tramite impugnazione del bando, eventuali cause di invalidità della procedura di gara predisposta dalla p.a., per far sì che il vizio dell'atto iniziale non si trasmetta a posteriori su fasi della gara già espletate (Cons. Stato, Sez. VI, ord, 634/2013). Secondo il TAR, infatti, la proposizione di un giudizio non può essere assimilata, nemmeno in un'ottica solidaristica, ad un obbligo informativo o ad uno strumento di collaborazione del privato con l'amministrazione, costituendo piuttosto un diritto soggettivo strumentale alla tutela di una posizione soggettiva sostanziale la cui affermata lesione costituisce causa necessaria e sufficiente del suo esercizio.

Con riferimento all'impugnazione, unitamente all'aggiudicazione, di una clausola del bando contenente alcune specifiche tecniche ritenute “distorsive della concorrenza”, lo stesso TAR Toscana, Sez. III 3 novembre 2017, n. 1338, con News di S. Tranquilli, estendeva l'indirizzo giurisprudenziale della Sentenza 2014/2017, precisando che “secondo tale prospettazione (che il Collegio condivide) la gara deve svolgersi già al netto di possibili contestazioni che attengano al metodo di aggiudicazione, alla “cornice” organizzativa del procedimento o al possesso di requisiti di qualificazione in capo agli altri concorrenti così che l'eventuale giudizio instaurato dopo l'aggiudicazione si incentri sull'effettivo concorso competitivo delle offerte. Nel caso di specie pare evidente che già al momento della pubblicazione del bando la ricorrente fosse edotta della lesività delle sue prescrizioni nella parte in cui consentivano di mettere a confronto offerte tra loro non omogenee giacché riferite sostanzialmente a prodotti aventi diverse caratteristiche e differente qualificazione normativa vale a dire, come già riferito, prodotti qualificabili tanto come medicinali che come dispostivi medici”.

TAR Lazio, Roma, Sez. II-ter, 5 marzo 2018, n. 2471, con New di T. Rossi ha dichiarato tardive le censure dirette contro i criteri per la valutazione delle offerte tecniche (nella specie, tre criteri tutti di tipo “on-off”- che consentivano a tutte le concorrenti di raggiungere agevolmente il massimo del punteggio, celando di fatto un sistema di aggiudicazione al massimo ribasso), proposte al momento dell'impugnazione dell'aggiudicazione, in quanto avrebbero dovuto essere proposte immediatamente (i.e., entro 30 giorni dalla pubblicazione del bando). Il TAR richiama la buona fede sostanziale e la leale cooperazione tra concorrenti e P.A., quale espressione dei princìpi costituzionali stabiliti dall'art. 97 Cost. (i canoni di efficienza e efficacia dell'azione della P.A. regolano, infatti, anche i rapporti tra P.A. e privati) e dell'art. 1337 c.c., in quanto alla procedura di gara si applicano i criteri della responsabilità precontrattuale.

In contrasto con le suddette pronunce, per il TAR Lombardia, Milano, 20 dicembre 2017, n. 2421, con New di P. Martiello, confermando l'indirizzo espresso dall'Adunanza Plenaria n. 1 del 2003, l'interesse all'immediata impugnazione del bando di gara è riconoscibile solo in presenza di clausole di per sé impeditive dell'ammissione dell'interessato alla gara, o anche solo impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale, ovvero che rendano ingiustificatamente più difficoltosa per i concorrenti la partecipazione alla gara.

Con riferimento all'impugnazione della nomina della Commissione di gara, il TAR Lazio, Roma, II, 18 12 2017 n 12450, ha poi – autonomamente – dichiarato tardiva la censura proposta contro il suddetto provvedimento solo al momento dell'impugnazione dell'aggiudicazione, affermando - espressamente - di operare – prima dell'intervento dell'Adunanza Plenaria, “una anticipatory overruling rispetto alle prospettate questioni rimesse al massimo consesso amministrativo” e ha evidenziato il “chiaro mutamento di prospettiva che, seppur non ancora consolidato, merita approvazione, laddove è teso ad evitare inutile dispendio di attività giuridica ed il pernicioso effetto di rimettere in discussione ex post la stabilità del rapporto giuridico e dell'assetto amministrativo, altrimenti dipendente dalle iniziative processuali postume dei singoli partecipanti i quali posterghino la reazione giudiziaria secundum eventum litis ” (n.d.a. si segnala che la sentenza è stata appellata e il giudizio è attualmente in attesa di definizione).

Molto più prudentemente, Cons. St., Sez. V, 18 ottobre 2017, n. 4812, ha respinto l'eccezione di inammissibilità del ricorso proposto contro l'aggiudicazione per mancata (immediata) impugnazione delle clausole (non escludenti) del disciplinare di gara relative ai criteri preferenziali (per l'acquisizione di farmaci) nell'ambito di un sistema dinamico di acquisizione, in quanto il gravame era stato proposto prima della pubblicazione del “revirement” operato dalla suddetta sentenza del Consiglio di Stato n. 2014/2017 e che “In ogni caso anche in base ai principi affermati nella predetta decisione “il postergare l'impugnazione della lex della gara … può avere un senso in relazione a clausole che non violino immediatamente l'interesse del singolo imprenditore”,sicché “Nel caso di specie è evidente che il gravame debba essere giudicato pienamente ammissibile”.

Casistica: impugnazione immediata delle clausole relative alla formulazione dell'offerta

In linea di continuità con l'Adunanza Plenaria n. 1/2003 (e con la successiva giurisprudenza amministrativa che ne ha coerentemente precisato i principi: tra le più recenti, Cons. St., Sez. III, 18 aprile 2017 n. 1809) l'Adunanza Plenaria n. 4/2018 ha confermato che l'onere di impugnazione immediata investe anche le prescrizioni relative alla formulazione dell'offerta, sia sul piano tecnico che economico, qualora rendano realmente impossibile la presentazione della stessa. La suddetta condizione ricorre quando vi siano:

a) regole impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale (v., in particolare, Cons. St., Sez. IV, 7 novembre 2012, n. 5671);

b) previsioni che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile (così Cons. St., Ad. plen., 29 gennaio 2003, n. 1);

c) disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell'offerta (Cons. St., Sez. V, 24 febbraio 2003, n. 980);

d) condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente (Cons. St., Sez. V, 21 novembre 2011, n. 6135);

e) imposizione di obblighi contra ius (come, ad esempio, la cauzione definitiva pari all'intero importo dell'appalto: Cons. St., Sez. II, 19 febbraio 2003, n. 2222);

f) gravi carenze nell'indicazione di dati essenziali per la formulazione dell'offerta (quelli relativi, exempli gratia, al numero, alle qualifiche, alle mansioni, ai livelli retributivi e all'anzianità del personale destinato ad essere assorbiti dall'aggiudicatario) ovvero la presenza di formule matematiche del tutto errate (come quelle per cui tutte le offerte conseguono comunque il punteggio di “0” punti);

g) atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando di gara dei costi della sicurezza “non soggetti a ribasso” (Cons. St., Sez. III, 3 ottobre 2011, n. 5421).

Viceversa, le rimanenti tipologie di clausole ritenute lesive devono essere impugnate unitamente all'atto di approvazione della graduatoria definitiva, che definisce la procedura concorsuale e identifica in concreto il soggetto leso dal provvedimento, rendendo attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva (Cons. St., Sez. V, 27 ottobre 2014, n. 5282), postulandosi così la preventiva partecipazione alla gara.

(Segue) onere di impugnazione immediata dell'importo a base di gara

La giurisprudenza ha precisato che tra le clausole immediatamente escludenti «non possono farsi rientrare anche quelli che individuano l'entità dell'importo posto a base di gara soprattutto nel caso in cui, in concreto, almeno una impresa abbia partecipato alla selezione e la sua offerta non sia stata esclusa ma ritenuta meritevole di aggiudicazione» (Cons. St., Sez. VI, 23 novembre 2016, n. 4923).

Sull'obbligo di partecipazione alla gara per poter impugnare il relativo bando

L'Adunanza Plenaria n. 4/2018 ha altresì confermato il consolidato orientamento giurisprudenziale (condiviso anche dalla sentenza della Corte Costituzionale, 22 novembre 2016, n. 245) secondo cui l'operatore del settore che non abbia presentato domanda di partecipazione alla gara non è legittimato a contestare le clausole di un bando di gara che non rivestano nei suoi confronti portata “escludente” (i.e., precludendogli con certezza la possibilità di partecipazione). La sentenza ha precisato che tale principio deve essere confermato sia con riferimento alla previgente legislazione in materia di contratti pubblici, che alla luce dell'attuale quadro normativo, non ritenendo peraltro “decisiva” per un ripensamento la circostanza che il TAR Liguria, Sez. II, con l'ordinanza 29 marzo 2017, n. 263 con New[ST5] di S. Tranquilli (resa nello stesso giudizio proseguito dopo la suddetta sentenza della Corte costituzionale n. 245/2016), abbia rimesso la questione pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'UE con riferimento all'onere di partecipazione per impugnare le clausole (non escludenti, ma) da cui derivi una “altissima probabilità di non conseguire l'aggiudicazione” in quanto - ad avviso dell'Adunanza Plenaria - si tratta di valutazioni “ipotetiche ed opinabili”.

Con riferimento alla medesima controversia, la Corte costituzionale, 22 novembre 2016, n. 245 aveva dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale (sollevata dallo stesso TAR) richiamando l'orientamento giurisprudenziale consolidato secondo il quale è inammissibile il ricorso proposto dall'impresa non partecipante alla gara quando non è certo, ma solo altamente probabile che, per effetto della strutturazione della gara (ad esempio per la dimensione dei lotti) ovvero per effetto della normativa di gara, l'impresa stessa non possa conseguire l'aggiudicazione (Cons. St., Sez. IV, 6 febbraio 2017, n. 481; Cons. St., Sez. III, 3 febbraio 2017, n. 474).

Altra giurisprudenza ha precisato che una lesione solo “potenziale” alla possibilità di partecipare – ovvero dovuta ad una specifica e non scontata interpretazione del bando – non è sufficiente a giustificare l'interesse al ricorso (TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 2 marzo 2017).

Casistica: la piena conoscenza dei provvedimenti di esclusione e aggiudicazione

Orientamenti a confronto: modalità di acquisizione della “piena conoscenza” dell'esclusione e dell'aggiudicazione (Codice dei contratti del 2006)

Secondo una parte della giurisprudenza, con riferimento al precedente Codice dei contratti, il termine di impugnazione decorre dalla conoscenza della motivazione, rilevando che, ai fini dell'individuazione del dies a quo per la proposizione di un ricorso avverso gli atti di una gara pubblica, gli artt. 120 c.p.a. e 79 del Codice del 2006 danno rilievo alla comunicazione di cui allo stesso art. 79, sicché, in caso di comunicazione incompleta, bisogna aver riguardo, ai fini della decorrenza del citato termine, alla conoscenza, comunque acquisita, degli elementi oggetto della stessa (Cons. St., Sez. V, 21 giugno 2017, n. 3040; Cons. St., Sez. III, 7 gennaio 2015, n. 25; Cons. St.,Sez. V, 31 gennaio 2012, n. 467; Cons. St.,Sez. V, 16 settembre 2011, n. 5191; Corte giust. UE, Sez. V, 8 maggio 2014, C-161/13).

Sempre on riferimento al precedente Codice dei contratti, altra parte della giurisprudenza sostiene che la piena conoscenza dell'atto censurato si concretizza con la cognizione degli elementi essenziali, quali l'autorità emanante, l'oggetto, il contenuto dispositivo sicché da tale momento si manifesta il suo effetto lesivo, essendo tali elementi sufficienti a rendere l'operatore consapevole dell'incidenza dell'atto nella sua sfera giuridica, avendo egli la concreta possibilità di rendersi conto della lesività del provvedimento, senza che sia necessaria la compiuta conoscenza della motivazione e degli atti del procedimento, che può rilevare solo ai fini della proposizione dei motivi aggiunti (Cons. St., Sez. IV, 26 gennaio 2010, n. 292).

In applicazione della disciplina contenuta nel Codice dei Contratti del 2006, è stato specificato, inoltre, che, a fronte di una comunicazione incompleta, il dies a quo inizia comunque a decorrere il decimo giorno successivo alla stessa comunicazione (termine del c.d. accesso obbligatorio di cui al comma 5-quater dell'art. 79) dall'esperimento del diritto di accesso e quindi della conoscenza effettiva della motivazione (TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 6 ottobre 2017, n. 1909; Cons. St., Sez. V, 27 aprile 2017, n. 1953; Id., 13 febbraio 2017, n. 592; Cons. St., Sez. III, 21 marzo 2016, n. 1143,TAR Sicilia, Catania, Sez. III, 7 novembre 2013, n. 2682; Cons. St., Sez. III, 21 marzo 2016, n.1143, Cons. St., sez. III, 7 gennaio 2015, n. 25; CGA, 8 settembre 2014, n. 526; Cons. St., Sez. III, 28 agosto 2014, n. 4432). La giurisprudenza ha precisato che in caso di rifiuto illegittimo all'accesso, il termine non inizia a decorrere, gli atti non visionati non si consolidano e non spira il termine per l'impugnazione (così TAR Lazio, Roma, Sez. II-ter, 30 marzo 2017, n. 4054).

La sentenza del Cons. St., Sez. III, 14 giugno 2017, n. 2925, con New di F. Aperio Bella, ha precisato che l'indirizzo interpretativo che collega la decorrenza del termine di impugnazione alla presenza del rappresentante dell'impresa alla seduta di gara si riferisce esclusivamente all'ipotesi di impugnazione del provvedimento di esclusione, poiché solo in tale circostanza la parte ha, sin da tale momento, la piena conoscenza, attraverso quella della documentazione prodotta ai fini della partecipazione alla procedura. La sentenza precisa che tale principio non è comunque applicabile qualora il ricorrente intenda contestare altri aspetti della procedura di gara che richiedono la conoscenza di atti e documenti non conosciuti al momento in cui il seggio di gara abbia espresso le proprie valutazioni (ad esempio sulle ammissioni di altri concorrenti, sull'attribuzione dei punteggi all'offerta tecnica). In tali circostanze la parte interessata, seppure presente con il proprio rappresentante alla seduta di gara non ha ancora quel grado di conoscenza sufficiente delle possibili illegittimità della procedura necessaria ai fini della proposizione del ricorso.

La sentenza del Cons. St., Sez. III, 5 settembre 2017, n. 4193, con New di M. Nunziata, ha precisato che la mera pubblicazione del verbale della seduta di attribuzione dei punteggi alle offerte non costituisce un indice probatorio univoco di effettiva conoscenza dell'aggiudicazione, sicché, in assenza di ulteriore prova che la parte abbia ottenuto conoscenza dell'atto in un'epoca precedente, il termine per l'impugnazione decorre dalla ricezione della comunicazione di cui all'art. 79 del Codice del 2006.

Cons. St., Sez. V, 21 giugno 2017, n. 3040, con New di G.A. Giuffré, ha precisato che qualora la stazione appaltante si limiti a comunicare al concorrente che la sua offerta non è stata accolta, sul concorrente non grava alcun onere di impugnare immediatamente il relativo provvedimento, dal momento che la lesività dello stesso è subordinata all'indicazione delle motivazioni e del procedimento seguito dall'Amministrazione.

Orientamenti a confronto: modalità di acquisizione della “piena conoscenza” dell'aggiudicazione nel nuovo Codice dei contratti

Il TAR Lazio, Roma, Sez. V, 5 gennaio 2018, n. 107, ha precisato che il termine per ricorrere contro l'aggiudicazione definitiva decorre dalla comunicazione di cui all'art. 76, comma 5, lett. a), d.lgs. n. 50 del 2016 «soltanto di fronte ad una comunicazione della S.A. che in termini chiari e univoci, risulti idonea a portare a conoscenza della destinataria l'aggiudicazione definitiva dell'appalto».

Si è peraltro di recente affermato un indirizzo interpretativo (TAR Veneto, Sez. III,20 giugno 2017, n. 584) che, valorizzando quanto disposto dall'art. 32, comma 5, d.lgs. n. 50 del 2016 (laddove attribuisce esclusivamente alla stazione appaltante la competenza ad aggiudicare la gara), collega i termini per l'impugnazione dell'aggiudicazione esclusivamente alla piena conoscenza dell'aggiudicazione disposta dalla stazione appaltante (a nulla rilevando la previa conoscenza, nella seduta di gara, delle determinazioni assunte a tal fine dalla Commissione). Il TAR ha infatti precisato che prima della effettiva assunzione della determinazione dell'ente aggiudicatore non esiste ancora un “atto conclusivo” della procedura di gara.

Secondo un diverso orientamento, ai fini della decorrenza dei termini di impugnazione dei provvedimenti relativi alla procedura di gara assume rilevanza l'effettiva piena conoscenza dei provvedimenti stessi, ancorché sia acquisita in fase di seduta pubblica o in un'altra circostanza su comunicazione della commissione giudicatrice e/o del RUP (TAR Abruzzo, L'Aquila, 30 maggio 2017, n. 241).

Casistica: l'instaurazione del contraddittorio

Sulla necessità della notifica dell'impugnazione dell'aggiudicazione ai concorrenti che precedono il ricorrente nella graduatoria.

Il Consiglio di Stato (Sez. V, 14 giugno 2017, n. 2906) ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso con cui, pur impugnando (solo) l'aggiudicazione, il ricorrente in realtà contesti "la posizione di singoli concorrenti" che lo precedono in graduatoria, senza tuttavia notificare lo stesso ricorso (unitariamente proposto contro l'aggiudicatario) ai partecipanti la cui posizione sia messa in discussione (nella specie il ricorrente contestava che le percentuali di ribasso fossero state calcolate in modo disomogeneo dai vari concorrenti e che la Commissione, senza rilevare la suddetta anomalia, avesse effettuato la riparametrazione sulla base del ribasso offerto dalla ricorrente). La sentenza ha preliminarmente affermato che la violazione del principio di integrità del contraddittorio comporta un vizio che attiene ad un elemento essenziale del processo, pertanto rilevabile d'ufficio anche dal giudice di appello. Il Collegio ha accolto l'eccezione sollevata in secondo grado dalla parte appellata (ovverosia l'aggiudicataria già controinteressata in primo grado) concernente la non corretta instaurazione del rapporto processuale del ricorso di primo grado, sull'assunto che il gravame, nella specie proposto dalla quarta classificata (che per vero non aveva formulato alcuna specifica censura sull'ammissione e sulla valutazione delle offerte delle imprese seconda e terza classificata), non era stato notificato anche alle imprese che la precedevano in graduatoria. La sentenza ha infatti evidenziato che nella specie la ricorrente non domandava “l'annullamento dell'intero procedimento amministrativo”, ma si limitava a censurare “la legittimità dell'operato dell'amministrazione che avrebbe “interpretato” e asseritamente manipolato le offerte economiche presentate” sicché le sue censure (pur unitariamente presentante nei confronti del solo aggiudicatario) “si rivolgono a contestare la posizione dei singoli concorrenti”. Dopo aver escluso di poter integrare il contraddittorio (giacché tale attività può essere disposta solo qualora il rapporto processuale sia stato correttamente instaurato), il Collegio ha aggiunto che da "ciò consegue l'inammissibilità del ricorso di primo grado, anche in ragione del fatto che, come più volte ribadito, la ricorrente era quarta classificata e l'eventuale accoglimento delle censure svolte nei confronti dell'aggiudicataria (peraltro infondate come di seguito si osserva) non scalfivano la posizione delle altre due che la precedevano".

Sulla necessità della notifica all'ente in house dell'impugnazione dell'affidamento diretto

Il Consiglio di Stato ha precisato che le caratteristiche della relazione in house e, in particolare, il “controllo analogo”, pur rendendo «il legame partecipativo assimilabile a una relazione interorganica» non elimina «l'alterità soggettiva dell'ente societario rispetto all'amministrazione pubblica, riscontrabile sul piano giuridico-formale», con la conseguenza che l'ente in house è “controinteressato” a cui deve essere notificata l'impugnazione della delibera con cui lo stesso ente abbia ricevuto in affidamento diretto il servizio (Cons. St., Sez. V, 29 maggio 2017, n. 2533).

Casistica: l'informativa ex art. 243-bis, d.lgs. n. 163 del 2006 non dà luogo a un procedimento contenzioso o paracontenzioso

L'art. 243-bis, d.lgs. n. 163 del 2006 non dà luogo ad un procedimento contenzioso o paracontenzioso a tutela di una posizione giuridica soggettiva, quindi dall'inerzia sull'informativa non deriva alcun onere di impugnazione in capo al ricorrente. La stazione appaltante è sempre titolare del potere di autotutela avverso gli atti di gara anche successivamente alla scadenza del termine di quindici giorni prescritto, che non ha carattere decadenziale (Cons. St., Sez. III, 29 dicembre 2012, n. 6712).

(Segue). Casistica: la decisione sull'informativa ex art. 243-bis d.lgs. 163 del 2006 non riapre il termine per la proposizione del ricorso

Il termine per la proposizione del ricorso avverso l'aggiudicazione definitiva non può essere riaperto dalla sollecitazione del potere di autotutela dell'Amministrazione, pena l'elusione dei termini decadenziali e la vanificazione dell'esigenza di una celere definizione della lite (Cons. St., Sez. IV, 4 maggio 2010, n. 2554; Cons. St., Sez. III, 2 settembre 2013, n. 4356). La giurisprudenza più recente (Cons. St., Sez. V, 21 novembre 2014, n. 5747 e, da ultimo, Cons. St., Sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 812 su cui v. News del 3 marzo 2016 “Sul termine di impugnazione delle determinazioni assunte dalla stazione appaltante a seguito di un procedimento di riesame dell'aggiudicazione definitiva”) ha peraltro precisato che quando la stazione appaltante non abbia agito in autotutela secondo lo schema posto dall'art. 243-bis, d.lgs. n. 163 del 2006, ma abbia instaurato un diverso e autonomo procedimento di riesame, concluso con un provvedimento di conferma assunto sulla base di nuovi accertamenti e approfondimenti, questo ha natura novativa e non confermativa della determinazione in precedenza assunta e quindi fa decorrere un nuovo termine per impugnare.

Casistica: l'impugnazione dell'aggiudicazione provvisoria

In base al Codice del 2006, l'impugnazione dell'aggiudicazione provvisoria è ammissibile, ma non necessaria, nel senso che la sua contestazione è facoltativamente rimessa alla decisione della parte pregiudicata, seppure interinalmente, dalla determinazione provvisoria.

Il TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 16 giugno 2017, n. 1355, ha ritenuto che la parte che sceglie la via dell'immediata contestazione dell'aggiudicazione provvisoria è tenuta a rispettare il termine perentorio di impugnativa e, pertanto, ha l'onere di dedurre, nei confronti degli atti conosciuti al momento della proposizione del ricorso diretto contro l'aggiudicazione provvisoria, tutti i motivi di doglianza. Da ciò discende che, in occasione dell'impugnazione dell'aggiudicazione definitiva, la parte ricorrente non potrà dedurre ulteriori motivi che avrebbe potuto proporre in precedenza. In altri termini, una volta scelta la via dell'impugnazione dell'aggiudicazione provvisoria, il ricorrente deve proporre in detta sede tutte le censure “conosciute e conoscibili”.

Inammissibile la domanda di subentro

Nel caso di un impugnazione di un'aggiudicazione “provvisoria”, non è possibile richiedere il subentro ex art. 122 c.p.a., in quanto tale declaratoria contrasterebbe con la necessità di un'ulteriore attività procedimentale volta, cioè, all'individuazione dell'aggiudicatario definitivo (Cons. St., Sez. V, 17 gennaio 2018, n. 254).

Casistica: dies a quo per la proposizione del ricorso incidentale

La giurisprudenza ha precisato che l'art. 42 c.p.a. nella parte in cui fa riferimento, per l'individuazione del dies a quo per la proposizione del ricorso incidentale, alla “ricevuta notificazione del ricorso principale” va inteso come notificazione dell' “impugnazione principale”, comprensiva anche dei successivi motivi aggiunti, in tutti i casi in cui il ricorso introduttivo non sia da solo idoneo a generare una posizione di controinteresse, come nel caso in cui abbia ad oggetto il provvedimento di esclusione da una gara (Cons. St., Sez. V, 10 aprile 2017, n. 1676 ha precisato che è in questo caso la data di notificazione dei motivi aggiunti [proposti per censurare l'aggiudicazione della gara] parametro della tempestività del ricorso incidentale, in quanto solo con detti motivi è sorto l'interesse alla domanda “in dipendenza della domanda proposta in via principale”. Ciò in quanto il ricorso incidentale è uno strumento di difesa privo di autonomia rispetto alla domanda principale, ed è avvinto ad essa da un interesse, che ha una matrice esclusivamente processuale, in quanto sorgente e dipendente dall'iniziativa giudiziale altrui rispetto ad una situazione giuridica propria (Cons. Stato, III, 26 ottobre 2016, n. 4490).

Per la decorrenza del termine per la proposizione del ricorso incidentale nel “mini-rito” si v. infra la specifica casistica.

Casistica: il rapporto tra ricorso principale e ricorso incidentale

Una delle questioni processuali più controverse in materia di contratti pubblici è quella dell'ordine di esame delle censure reciprocamente escludenti, cui si collega l'altrettanto controversa questione della protezione giuridica dell'interesse strumentale alla riedizione della gara.

Si riportano, di seguito, i principali approdi della giurisprudenza interna e della Corte di Giustizia dell'UE.

A) L'ordine di esame delle censure reciprocamente escludenti

Caso “Fastweb” (Corte giust. UE, Sez. X, 4 luglio 2013, n. 100).

La Corte giust. UE ha stabilito che l'art. 1, par. 3, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio deve essere interpretato nel senso che se, in un procedimento di ricorso, l'aggiudicatario che ha ottenuto l'appalto e proposto ricorso incidentale solleva un'eccezione di inammissibilità fondata sul difetto di legittimazione a ricorrere dell'offerente che ha proposto il ricorso, con la motivazione che l'offerta da questi presentata avrebbe dovuto essere esclusa dall'autorità aggiudicatrice per non conformità alle specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni, tale disposizione osta al fatto che il suddetto ricorso principale sia dichiarato inammissibile in conseguenza dell'esame preliminare di tale eccezione di inammissibilità senza pronunciarsi sulla conformità con le specifiche tecniche sia dell'offerta dell'aggiudicatario che ha ottenuto l'appalto, sia di quella dell'offerente che ha proposto il ricorso principale

Cons. St., Ad. plen.,25 febbraio 2014, n. 9

In seguito alla sentenza della Corte di Giustizia, l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha affermato che nel giudizio avente ad oggetto procedure di gara sussiste la legittimazione del ricorrente in via principale ad impugnare l'aggiudicazione disposta a favore del solo concorrente rimasto in gara, esclusivamente quando le due offerte siano affette da vizio afferente la medesima fase procedimentale – devono, in particolare, ritenersi afferenti alla medesima fase i vizi ricompresi esclusivamente all'interno delle seguenti tre, alternative, categorie: a) tempestività della domanda ed integrità dei plichi (trattandosi in ordine cronologico e logico dei primi parametri di validazione del titolo di ammissione alla gara); b) requisiti soggettivi generali e speciali di partecipazione dell'impresa (comprensivi dei requisiti economici, finanziari, tecnici, organizzativi e di qualificazione); c) carenza di elementi essenziali dell'offerta previsti a pena di esclusione (comprensiva delle ipotesi di incertezza assoluta del contenuto dell'offerta o della sua provenienza). – Sono, quindi, identici, e dunque consentono l'esame incrociato, solo i vizi che afferiscono alla medesima categoria. Laddove, al contrario, i vizi fatti valere dalle parti non soddisfino il requisito della “simmetria escludente”, perché sussumibili in diverse categorie, troverà applicazione il principio enunciato dalla Plenaria n. 4 del 2011 con conseguente necessità di esaminare in via preliminare il ricorso incidentale escludente, salvo in caso in cui il ricorso principale risulti manifestamente infondato, inammissibile, irricevibile o improcedibile.

Cass. civ., SS.UU., 6 febbraio 2015, n. 2242

La pregiudizialità del ricorso incidentale escludente non è stata mai condivisa dalla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione che, al contrario, ha espresso “il disagio anche nella sola formulazione dell'ipotesi che una posizione di interesse legittimo, quale indubbiamente è quella dell'offerente che agisce in giudizio contestando la legittimità dell'aggiudicazione a favore di un terzo, possa essere poi qualificata come interesse di mero fatto, in quanto non differenziata e non qualificata, per effetto dell'accoglimento del ricorso incidentale” e ha ritenuto tale orientamento “errato” alla luce dell'art. 1 c.p.a., oltre che contrastante con la sentenza Fastweb. Le SS.UU. nell'accogliere un ricorso proposto ex art. 110 c.p.a. contro una decisione del Consiglio di Stato in cui erano stati applicati, ratione temporis, i principi sanciti dall'Adunanza Plenaria 7 aprile 2011, n. 4, ha rinviato la questione al giudice d'appello per un nuovo esame anche alla luce della sentenza dell'Adunanza Plenaria n. 9 del 2014).

Caso “Puligienica”

(Corte giust. UE, grande sez., 5 aprile 2016, C-681/13).

La questione è stata nuovamente affrontata dalla Corte giust. UE, che ha sancito il contrasto con l'art. 1, par. 3, direttiva 89/665/CEE della pregiudizialità paralizzante del ricorso incidentale, dichiarando “irrilevante” ai fini della corretta applicazione dei principi affermati nella sentenza Fastweb:

(i) il numero di partecipanti alla procedura di aggiudicazione dell'appalto pubblico;

(ii) il numero di partecipanti che hanno presentato ricorsi;

(iii) la divergenza dei motivi dai medesimi dedotti.

Tra le prime applicazioni della sentenza “Puligienica” si v. TAR Puglia, Lecce, 5 maggio 2016, n. 768, TAR Lazio, Roma, Sez. III, 22 aprile 2016, n. 4725, TAR Campania, Napoli, Sez. VII, ord. 14 aprile, 2016, n. 1819.

(segue) B: gare con più di due partecipanti

Come segnalato nella Rubrica Contrasti, “L'ordine di esame delle censure escludenti ritorna di fronte all'Adunanza Plenaria”, con ordinanza 6 novembre 2017, n. 5103, la questione dell'ordine di esame delle censure escludenti era stata nuovamente rimessa al vaglio dell'Adunanza Plenaria dalla V sezione del Consiglio di Stato con particolare riferimento all'ipotesi in cui alla gara abbiano partecipato più concorrenti, ma non tutti siano stati evocati in giudizio.

Con l'ordinanza 11 maggio 2018, n. 6 (su cui v. la New di S. Tranquilli, L'Adunanza Plenaria trasferisce alla CGUE la soluzione del contrasto sull'esame del ricorso principale “escludente” nelle gare con più partecipanti) il Supremo Consesso della Giustizia Amministrativa ha sottoposto la suddetta questione, in via pregiudiziale, alla Corte di Giustizia dell'UE. L'ordinanzaha preliminarmente evidenziato che sulla questione dell'ordine di esame delle censure reciprocamente escludenti si sono progressivamente affermati, grazie all'ingente elaborazione giurisprudenziale (nazionale e europea), alcuni punti fermi sulle ipotesi in cui è obbligatorio l'esame del ricorso principale. In particolare, l'Adunanza Plenaria ha precisato che: (i) nel caso in cui siano rimasti in gara unicamente due concorrenti e gli stessi propongano ricorsi reciprocamente escludenti, devono essere esaminati entrambi i mezzi di impugnazione “quali che siano i motivi di censura ivi contenuti”;

(ii) in presenza di una pluralità di contendenti rimasti in gara, qualora il ricorso incidentale "escludente" risulti fondato, deve essere esaminato doverosamente anche il ricorso principale ove contenga motivi che, se accolti, comportano il rinnovo della procedura. Tale ultima ipotesi si concretizza, in particolare, qualora con il ricorso principale:

  • (a) “si censuri la regolarità della posizione - non soltanto dell'aggiudicatario e di tutti gli altri concorrenti rimasti in gara, collocati in posizione migliore della propria ma, anche - dei rimanenti concorrenti collocati in posizione deteriore”;
  • (b) “ovvero (...) siano proposte censure avverso la lex specialis idonee, ove ritenute fondate, ad invalidare l'intera selezione evidenziale”;

L'incertezza interpretativa – ha evidenziato l'Adunanza Plenaria- permane, qualora, essendo rimasti in gara una pluralità di contendenti:

  • (c) i ricorsi reciprocamente escludenti non riguardino la posizione di talune delle ditte rimaste in gara sicché, anche laddove entrambi i ricorsi (principale ed incidentale) siano scrutinati, e dichiarati fondati, rimarrebbero alcune offerte non “attinte” dai vizi riscontrati;
  • (d) al contempo, il ricorso principale non prospetti censure avverso la lex specialis tese ad invalidare l'intera gara e determinanti – ove accolte - la certa ripetizione della procedura.

Al verificarsi, in giudizio, di entrambe queste ultime due circostanze (sub c e d), - ha sottolineato l'Adunanza Plenaria - si sono affermati due diversi indirizzi interpretativi che, pur convergendo sul presupposto secondo cui l'accoglimento del ricorso incidentale “escludente”, comporta il venir meno dell'interesse diretto e immediato del ricorrente principale ad aggiudicarsi la specifica gara di cui si controverte in quel giudizio (essendo stato accertato che lo stesso è stato illegittimamente ammesso alla gara e pertanto non potrà ottenere quell'aggiudicazione), divergono, invece, sull'effettiva tutelabilità dell'interesse strumentale (richiamando la copiosa giurisprudenza della CGUE sul punto e, da ultimo, il principio affermato dalla Corte di Cassazione, SS.UU., 29 dicembre 2017, n. 31226).

Sulla questione da ultimo rimessa alla CGUE si sono infatti formati diversi orientamenti giurisprudenziali:

Cons. St.,Sez. III, 26 agosto 2016, n. 3708

In termini: Cons. St., Sez. V, 27 febbraio 2017, n. 901; Id., 12 maggio 2017 n. 2226: Id. III, 11 luglio, n. 3422; TAR Trento, Sez. un., 29 marzo 2017, n. 112; V, 10 aprile 2017, n. 1677; V, 30 giugno 2017, n. 3178; sez. VI, 19 giugno 2017, n. 2977.

Una parte della giurisprudenza amministrativa ha perimetrato l'effettiva portata conformativa e applicativa dei principi espressi dalla sentenza “Puligienica”, affermando che resta compatibile con il diritto europeo la regola nazionale che impedisce l'esame del ricorso principale nelle ipotesi in cui dal suo accoglimento il ricorrente principale non ricavi, con assoluta certezza, alcuna utilità (neanche in via mediata e strumentale).

La giurisprudenza amministrativa ha accolto l'orientamento della sentenza della Terza sezione del Consiglio di Stato, 26 agosto 2016, n. 3708 e ha escluso di dover esaminare anche il ricorso principale, qualora quello incidentale risulti fondato e di per sé precluda la conservazione di un effettivo interesse in capo al ricorrente principale, quest'ultimo così definibile solo in relazione al momento introduttivo dell'intero giudizio. Nel precisare la portata applicativa della sentenza della Corte di Giustizia 5 aprile 2016, in C-689/13, è stato ritenuto che l'esame del ricorso principale a fronte della proposizione di un ricorso incidentale “escludente” è doveroso, a prescindere dal numero delle imprese che hanno partecipato alla gara, quando l'accoglimento dello stesso produce, come effetto conformativo, un vantaggio, anche mediato e strumentale, per il ricorrente principale, tale dovendosi intendere anche quello al successivo riesame, in via di autotutela, delle offerte affette dal medesimo vizio riscontrato con la sentenza di accoglimento, mentre resta compatibile con il diritto europeo sull'effettività della tutela una regola nazionale che impedisce l'esame del ricorso principale nelle ipotesi in cui sia assolutamente certo che il ricorrente principale non possa ricavare, dal suo accoglimento, alcuna utilità, neanche in via mediata e strumentale.

Cons. St., Sez. V, 20 luglio 2017, n. 3593

Un diverso indirizzo giurisprudenziale ha precisato (Cons. St., Sez. V, 12 maggio 2017 n. 2226) che nelle ipotesi in cui alla gara abbiano partecipato, oltre ai due operatori ricorrenti anche altre imprese non evocate in giudizio, qualora la partecipazione alla procedura selettiva di queste ultime non sia inficiata dai medesimi vizi dedotti in via principale, non può escludersi l'interesse mediato e strumentale del ricorrente alla ripetizione della procedura (quale quello al successivo riesame, in via di autotutela, delle offerte affette dai medesimi vizi riscontrati dal giudice). Per tale orientamento è infatti “irrilevante” ai fini dell'applicazione concreta della regula iuris statuita dalla CGUE:

(i) il numero delle imprese partecipanti;

(ii) il fatto che alcune siano rimaste estranee al giudizio;

(iii) la “tipologia” dei vizi prospettati come motivi di ricorso principale

in quanto solo l'esame di tutti i motivi di ricorso, (principale e incidentale) rispetta il principio di effettività della tutela e gli artt. 1, par. 1, 3°comma, e 3, della direttiva “ricorsi” (2007/66/CE).

Cons. St., Sez. V, 15 marzo 2017, n. 1172

La giurisprudenza ha precisato che l'interesse al ricorso incidentale nella misura in cui mira a paralizzare l'iniziativa principale ha carattere condizionato rispetto all'interesse che sorregge il ricorso principale. Nella specie il Consiglio di Stato ha precisato che, non potendosi ritenere venuto meno l'interesse al ricorso principale (in ragione del fatto che il provvedimento di autotutela indirizzato nei confronti della ricorrente principale risultava ancora sub judice), doveva essere esaminato anche il ricorso incidentale proposto dall'aggiudicataria. La sentenza, richiamando i principi dettati dalla Corte di Giustizia (Puligienica), riforma la sentenza del TAR nella parte in cui non aveva esaminato il ricorso principale dell'impresa (originaria aggiudicataria poi esclusa a seguito dell'annullamento d'ufficio dell'aggiudicazione) a causa del previo scrutinio del ricorso incidentale escludente.

(segue) C: tipologie di censure “escludenti”

Cons. St., sez. III, 3 aprile 2017, n. 1527

Conferma che i suddetti principi non trovano applicazione relativamente alle censure relative all'offerta. In particolare conferma che le censure che afferiscono a presunte carenze o inadeguatezze dell'offerta tecnica tali da non giustificare il punteggio assegnato in relazione ai connessi elementi di valutazione non hanno carattere “escludente” anche laddove si tratti di carenze gravi, trattandosi comunque di censure ampiamente impingenti il merito delle valutazioni tecnico-discrezionali rimesse alla stazione appaltante piuttosto che concernenti la patente e immediata violazione di prescrizioni tecniche fondamentali.

(segue) Casistica: l'impugnazione dell'aggiudicazione da parte dell'offerente escluso

Interesse strumentale dell'offerente non definitivamente escluso

Caso “Bietergemeinschaft Technische Gebäudebetreuung und Caverion Österreich”

Corte giust. UE, 21 dicembre 2016, in C‑355/15.

La Corte di Giustizia ha affermato che l'offerente definitivamente escluso dalla gara da parte dell'Amministrazione aggiudicatrice non può impugnare l'aggiudicazione. La Corte ha precisato che la suddetta ipotesi si differenza dai casi “Fastweb” e “Puligienica” in cui ciascuno degli offerenti contestava la regolarità̀ dell'offerta dell'altro ricorrente nell'ambito di un solo ed unico procedimento di ricorso avverso la decisione di aggiudicazione dell'appalto, ciascuno vantando un analogo legittimo interesse all'esclusione dell'altrui offerta, potendo indurre l'amministrazione aggiudicatrice a constatare l'impossibilità di procedere alla selezione di un'offerta regolare.

Caso “Archus sp. z o.o.”

Corte giust. UE, 10 maggio 2017, in C-131/16

Il principio espresso dalla suddetta pronuncia (Bietergemeinschaft Technische Gebäudebetreuung und Caverion Österreich) è stato successivamente chiarito dalla stessa Corte nella sentenza “Archus” precisando che l'esclusione preclude l'impugnazione dell'aggiudicazione solo qualora abbia acquisito “autorità di cosa giudicata” prima che il giudice investito del ricorso avverso l'aggiudicazione statuisca. Solo in tal caso, infatti l'offerente può essere considerato definitivamente escluso dalla procedura di aggiudicazione.

La questione relativa all'interesse strumentale dell'offerente non definitivamente escluso dalla gara è stata affrontata dalle SU.UU. della Corte di Cassazione, nella sentenza 29 dicembre 2017, n. 31226 in relazione al tema dei limiti del sindacato per motivi di giurisdizione (sub specie del cd. “rifiuto” o “diniego” di giurisdizione) con riferimento al ricorso, proposto ex art. 110 c.p.a., avverso una sentenza con cui il Consiglio di Stato, nel confermare il giudizio di infondatezza delle censure dedotte in via principale dall'appellante (originario ricorrente) sulla propria esclusione da una gara (nella specie per la concessione di costruzione e gestione per 33 anni della Piattaforma logistica del porto di Trieste) con due soli concorrenti, non aveva esaminato i motivi aggiunti proposti, dal medesimo originario ricorrente e successivo appellante, contro l'aggiudicazione dell'unico concorrente rimasto in gara.

Nella specie, il Consiglio di Stato aveva affermato l'inapplicabilità dei principi affermati dall'Adunanza plenaria n. 9 del 2014 con riferimento all'obbligo di esame delle censure “simmetricamente escludenti” proposte dal ricorrente principale e da quello incidentale e che l'interesse finale (strumentale) alla ripetizione della gara, invocato dall'appellante, non trovava corrispondenza con un dovere giuridico della stazione appaltante di disporre tale ripetizione, rientrante nel suo potere discrezionale.

Con la suddetta sentenza le Sezioni Unite hanno accolto il ricorso, affermando il proprio ruolo, quale giudice della questione di giurisdizione, di interprete dei precedenti della CGUE e di garante contro lo scostamento rispetto alle norme dell'Unione Europea come interpretate dalla stessa Corte dell'UE (si rinvia per i contenuti della pronuncia alla New "Le SS.UU. affermano il diniego di giustizia nell'ipotesi in cui non sia esaminato il ricorso dell'offerente non definitivamente escluso dalla gara”). Si segnala che, con riferimento al sindacato della Corte di Cassazione sulle sentenza del Consiglio di Stato, è pochi giorni dopo intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale, 18 gennaio 2018, n. 6, che ha evidenziato che l'«eccesso di potere giudiziario», denunziabile con il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, “come è sempre stato inteso, sia prima che dopo l'avvento della Costituzione, va riferito, dunque, alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, e cioè quando il Consiglio di Stato o la Corte dei conti affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all'amministrazione (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghi sull'erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento); nonché a quelle di difetto relativo di giurisdizione, quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull'erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici”.

TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 14 giugno 2017, n. 1340

La giurisprudenza ha affermato che a fronte della mancata contestazione dell'esclusione dalla gara quest'ultima si consolida, privando il concorrente escluso della possibilità di ottenere l'aggiudicazione e dunque dell'interesse anche strumentale a coltivare il ricorso. La definitiva estromissione del concorrente non consente infatti di configurare un suo interesse concreto ed attuale a contestare la sola aggiudicazione in favore della controinteressata, atteso che, quand'anche l'impugnazione dell'aggiudicazione fosse fondata, la ricorrente non potrebbe comunque ottenere l'affidamento

Cons. St., Sez. IV, 20 aprile2016, n. 1560

A seguito dello scorrimento della graduatoria a beneficio della terza classificata rimasta estranea al giudizio tra il ricorrente principale e incidentale, il ricorrente principale, ormai definitivamente escluso, non ha legittimazione ad impugnare la nuova aggiudicazione.

Casistica: la concentrazione delle impugnazioni su titoli di gara

Alcune pronunce del giudice amministrativo hanno affermato, con riferimento a controversie soggette ratione temporis alla disciplina del Codice dei contratti del 2006, che le parti del giudizio (ricorrenti e controinteressati) hanno l'onere di contestare le cause esclusione e/o la mancanza dei requisiti speciali degli altri concorrenti della gara conosciute o conoscibili nell'ambito dello stesso giudizio. In mancanza di tale contestazione, infatti, al giudice amministrativo sarà preclusa, in eventuali successivi giudizi, la cognizione dei suddetti motivi di esclusione.

Nel dettaglio, secondo un orientamento giurisprudenziale, la particolare concentrazione del rito speciale in materia di contratti pubblici onera la controinteressata di dedurre tempestivamente, tramite eccezione o ricorso incidentale, tutte le ragioni ostative all'aggiudicazione della gara in capo all'impresa ricorrente principale, sia sotto il profilo dei requisiti generali e speciali che sotto quello della regolarità dell'offerta, essendo condizioni che attengono alla legittimazione al ricorso e che, se non dedotte, vengono coperte dal giudicato (Il TAR Lazio, Roma, sez. II-ter, 19 aprile 2017, n. 4692 ha affermato che la particolare concentrazione del rito speciale in materia di contratti pubblici onera anche la controinteressata a dedurre tempestivamente, tramite eccezione o ricorso incidentale, tutte le ragioni ostative all'aggiudicazione della gara in capo all'impresa ricorrente, sia sotto il profilo dei requisiti soggettivi che sotto quello della regolarità dell'offerta, essendo condizioni che attengono alla legittimazione al ricorso e che, se non dedotte, vengono coperte dal giudicato. La soluzione, rileva la sentenza, è imposta da “evidenti ragioni di effettività della tutela”, che impongono ad ogni concorrente che faccia valere in giudizio il proprio interesse all'aggiudicazione allegando il possesso dei necessari requisiti e presupposti, inclusa la validità dell'offerta, di dedurre, a propria volta, tramite eccezione o ricorso incidentale “qualsiasi contestazione” sulla sussistenza dei necessari requisiti e presupposti dichiarati dagli altri concorrenti “anche se diversa dalle ragioni già espresse dall'atto impugnato, ma comunque avente titolo nel procedimento di gara”.

Un altro indirizzo giurisprudenziale (TAR Toscana, Sez. I, 2 ottobre 2017, n. 1119, con New di A. Balzano) ha affermato che, a seguito della parziale rinnovazione della gara, il ricorso proposto dalla seconda classificata (che prima della suddetta rinnovazione era stata dichiarata aggiudicataria) contro l'aggiudicazione (disposta in favore dell'originaria ricorrente principale) è tardivo, in quanto i «principi di concentrazione e di economia processuale» imponevano al controinteressato, la cui partecipazione alla gara era stata censurata dalla seconda classificata con apposito ricorso principale, di denunciare immediatamente i vizi relativi all'illegittima partecipazione della stessa ricorrente, senza attendere l'esito del giudizio avverso l'aggiudicazione disposta in suo favore. A differenza dell'orientamento precedentemente richiamato, quest'ultima soluzione non fonda la preclusione all'esame dei motivi escludenti sulla formazione di un giudicato sulla questione della legittimazione a ricorrere, ma unicamente sulle esigenze di concentrazione e accelerazione del giudizio (Cons. St., Sez. IV, 31 marzo 2015, n. 1674, Id., 13 giugno 2012 n. 3467).

Casistica: il ricorso cumulativo

Il comma 11-bis dell'art. 120 c.p.a. codifica quel consolidato orientamento giurisprudenziale che, con riferimento al ricorso cumulativo all'interno del processo amministrativo, lo ritiene ammissibile solo ove sussista un collegamento funzionale fra i provvedimenti impugnati. In particolare, vi deve essere un'oggettiva interdipendenza tra gli stessi, in assenza della quale, non potendosi risalire ad un unico nesso procedimentale fra i medesimi, il ricorso è inammissibile.

La giurisprudenza ha affermato che, ai sensi dell'art. 120, comma 11-bis, c.p.a., il ricorso cumulativo che investe più aggiudicazioni, relative a lotti autonomi, è ammissibile solo se nell'unico ricorso, pur contestando più aggiudicazioni, siano sollevate censure idonee ad inficiare segmenti procedurali comuni alle differenti fasi di scelta delle imprese affidatarie dei diversi lotti e, quindi, a caducare le relative aggiudicazioni. In questa situazione, infatti, si verifica un'identità di causa petendi ed un'articolazione del petitum (di cui va fornita una puntuale indicazione nel ricorso, ai sensi dell'art. 40 c.p.a.), che risulta giustificata dalla riferibilità delle diverse domande di annullamento alle medesime ragioni fondanti la pretesa demolitoria che, a sua volta, ne legittima la trattazione congiunta (TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 1 giugno 2017, n. 1226;TAR Emilia Romagna, 18 maggio 2017, n. 384). Il TAR Trentino Alto Adige, Bolzano, 7 febbraio 2017, n. 46 ha precisato che il ricorso cumulativo che investe più aggiudicazioni (relative a più lotti, assegnati a diverse imprese concorrenti) è tollerato dall'ordinamento, quale eccezione alla regola dei ricorsi separati e distinti, soltanto nell'ipotesi in cui vi sia articolazione, nel gravame, di censure idonee ad inficiare segmenti procedurali comuni (ad esempio il bando, il disciplinare di gara, la composizione della commissione giudicatrice, la determinazione di criteri di valutazione delle offerte tecniche ecc.) alle differenti e successive fasi di scelta delle imprese affidatarie dei diversi lotti e, quindi, a caducare le pertinenti aggiudicazioni. In questa situazione, infatti, si verifica una identità di causa petendi e una articolazione del petitum che, tuttavia, risulta giustificata dalla riferibilità delle diverse domande di annullamento alle medesime ragioni fondanti la pretesa demolitoria, che, a sua volta, ne legittima la trattazione congiunta.

Casistica: appello avverso il dispositivo e appello avverso la motivazione

Nel rito speciale degli appalti, disciplinato dagli art. 119 e ss. c.p.a., l'appello avverso il dispositivo e l'appello avverso la motivazione non sono autonomi l'uno dall'altro, ma costituiscono espressione del medesimo potere di impugnazione della parte nell'ambito di una fattispecie a formazione progressiva, con la conseguenza che non incorrono nella sanzione di inammissibilità i motivi aggiunti che non contengono una compiuta e separata esposizione dei fatti su cui si innesta la controversia, ma rinviano alle considerazioni già espresse nell'impugnazione del dispositivo. L'effetto devolutivo della controversia si produce in un primo tratto limitatamente all'emissione delle misure cautelari che l'impugnazione del dispositivo consente di anticipare in presenza della sola esecutività del dispositivo medesimo, nel secondo tratto con effetto di cognizione piena del merito della controversia in relazione ai motivi di appello che il ricorrente è posto in condizione di articolare dopo la pubblicazione della motivazione della sentenza (Cons. St., Ad. plen., 3 febbraio 2014, n. 8).

Casistica: i motivi aggiunti in appello

L'art. 120, comma 7, c.p.a. che, nella formulazione ante d.lgs. 50 del 2016, prevede che «i nuovi atti attinenti la medesima procedura di gara devono essere impugnati con ricorso per motivi aggiunti»,

La giurisprudenza ha precisato che l'art. 120, comma 7, c.p.a. si applica solo al primo grado e non per il grado di appello, poiché la regola sancita dall'art. 104, comma 3, c.p.a. – che consente la proposizione di motivi aggiunti in appello solo qualora la parte venga a conoscenza di documenti non prodotti dalle altre parti in primo grado da cui emergano vizi dei provvedimenti impugnati – si applica anche al rito speciale (Cons. St., Sez. III, 7 aprile 2017, n. 1633)

(Segue). Le peculiarità (nelle peculiarità): il “mini-rito”

Il nuovo Codice dei contratti pubblici, nell'introdurre il richiamato onere di immediata impugnazione delle esclusioni e delle ammissioni (art. 120,comma2-bisc.p.a.) lo differenzia dal rito speciale sotto i due diversi profili:

  • della piena conoscenza che fa scattare il termine per la proposizione del ricorso;
  • dell'interesse a ricorrere.

Quanto all'interesse a ricorrere, stravolgendo i canoni tradizionali sulla stretta e imprescindibile correlazione tra termini di impugnazione e lesione di un interesse concreto e attuale, la novella impone l'immediata impugnazione, a pena di decadenza, entro il termine dimidiato di trenta giorni non soltanto dei provvedimenti di esclusione dalle procedure, (immediatamente e definitivamente lesivi dell'interesse a concorrere all'affidamento del contratto), ma anche degli atti, di carattere endoprocedimentale di ammissione dei vari partecipanti alle fasi successive della procedura.

Gli operatori che aspirano ad aggiudicarsi una commessa pubblica sono quindi costretti a sopportare gli oneri, tutt'altro che lievi, di un'azione giurisdizionale, per contestare atti che potrebbero non avere alcuna concreta ripercussione sulla loro posizione (per ciò che la reciproca interferenza tra le offerte è percepibile e valutabile soltanto all'esito della formazione della graduatoria).

L'interesse a ricorrere nel “mini-rito”

Il TAR Puglia, Bari, Sez. III, 8 novembre, 2016, n. 1262, dopo aver sinteticamente richiamato i caratteri dell'interesse a ricorrere nel processo amministrativo, ha sottolineato la netta conflittualità della suddetta novella con «il quadro giurisprudenziale, storicamente consolidatosi» in materia di interesse a ricorrere anche il TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 20 dicembre 2016, n. 5852, con New di G. STRAZZA, ha evidenziato che nonostante la novella appaia un diretto precipitato della significativa rilevanza che l'interesse “strumentale” ha man mano assunto nell'ambito del processo in materia di affidamento dei contratti pubblici (cfr. le sentenze della Corte di Giustizia dell'UE, Sez. X, 4 luglio 2013, in C-100/12, “Fastweb”; Id., Grande Sez., 5 aprile 2016, C-689/13, “Puligienica”, Id., Sez. VIII, 10 maggio 2017, in C-131/16, “Archus”), pur ricostruendo la neo introdotta «presunzione assoluta di lesività» come una sorta di «interesse alla legittima formazione della platea dei concorrenti ammessi alle successive fasi della procedura, sul modello processuale del contenzioso elettorale di cui all'art. 129 c.p.a.», segnala che un sistema così congegnato «potrebbe astrattamente far scivolare il contenzioso in materia di appalti verso un modello di giudizio di diritto oggettivo contrario agli artt. 24 e 113 Cost. ed escluso dalla giurisprudenza (cfr. Ad. Plenaria n. 4 del 13 aprile 2015, per la quale il processo amministrativo si basa pur sempre sul principio dispositivo in relazione all'ambito della domanda di parte e la giurisdizione amministrativa di legittimità è pur sempre di una giurisdizione di tipo soggettivo, sia pure con aperture parziali alla giurisdizione di tipo oggettivo in precisi, limitati ambiti tra le quali la valutazione sostitutiva dell'interesse pubblico, da parte del giudice, in sede di giudizio cautelare)». A tale quadro si aggiunge in maniera ancor più significativa Cons. St., Sez. III, 2 maggio 2017, n. 2014, con News di S. Tranquilli, che ha considerato ormai superato, alla luce dell'evoluzione normativa portata dal nuovo Codice dei contratti, l'indirizzo interpretativo dell'Adunanza Plenaria n. 1/2003 in materia di immediata impugnazione dei criteri di aggiudicazione stabiliti nel bando di gara, evidenziando che le innovazioni del nuovo Codice tra cui il “mini-rito” incidono la trasformazione della definizione di interesse sostanziale e processuale.

Il rapporto tra interesse a ricorrere contro le ammissioni e la graduatoria finale

Con una serie di sentenze depositate tra il 4 luglio 2017 e il 7 luglio 2017 il Consiglio di Stato ha esaminato la serie dei ricorsi in appello proposti da alcune delle imprese partecipanti alla procedura indetta dal Ministero della difesa per l'affidamento dei servizi di catering e ristorazione (che aveva dato luogo ad un ampio contenzioso dinanzi al TAR Lazio, su cui si v. la New Il “tutti contro tutti” nel rito super-speciale: interesse a ricorrere (anche) dell'aggiudicatario e termine per proporre ricorso incidentale”). Il Consiglio di Stato ha precisato che nonostante il ristretto ambito di applicazione del “mini-rito” (come noto, limitato all'impugnazione delle ammissioni e esclusioni della gara), l'avvenuta aggiudicazione, in corso di giudizio, in favore di un concorrente fa venir meno l'interesse a ricorrere avverso le ammissioni degli altri.

Il Collegio ha pertanto dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso proposto ex art. 120, comma 2-bis, c.p.a.:

(i) dall'operatore che, all'esito della fase di aggiudicazione, accertata l'infondatezza dei motivi di ricorso proposti contro i concorrenti che lo precedono in graduatoria, «non [abbia] scalfito la posizione delle imprese collocate in posizione potiore rispetto alla sua»;

(ii) dal ricorrente poi risultato aggiudicatario della gara, rispetto al ricorso proposto nei confronti dei concorrenti collocati, in graduatoria, in posizione a lui inferiore.

In particolare, il Consiglio di Stato ha evidenziato che dalla «distinzione e la separatezza» del rito “super-speciale” rispetto a quello “speciale” non discende per il giudice del rito “super-speciale” «un divieto di prendere in considerazione i fatti storici medio tempore venuti in essere e risultanti dai suoi atti processuali, come, appunto, l'avvenuta aggiudicazione della gara e gli effetti di eventuali impugnazioni di quest'ultima» (cfr. Cons. St., Sez. V, 7 luglio 2017, n. 3345 con la New Mini-rito”: la graduatoria finale della gara incide sull'interesse a ricorrere contro le ammissioni).

Se il suddetto profilo non è stato modificato dal decreto “correttivo”, la novella ha invece rivisitato il regime di “conoscenza” delle ammissioni e delle esclusioni dalla gara cui è collegato il termine per l'impugnazione, recependo i rilievi della dottrina (v. il Focus di M.A. Sandulli, Nuovi limiti al diritto di difesa introdotti dal d.lgs. n. 50 del 2016 in contrasto con il diritto eurounitario e la Costituzione) che ne aveva denunciato il contrasto con i principi costituzionali e euro-unitari posti a garanzia dell'accesso ad una tutela giurisdizionale piena e effettiva.

Nell'originaria formulazione del Codice dei contratti (vigente fino all'entrata in vigore del decreto “correttivo”) il regime di conoscenza cui era collegato il termine per impugnare le ammissioni e le esclusioni prospettava infatti diverse criticità così riassumibili:

L'impugnazione “al buio” delle ammissioni e delle esclusioni nel sistema ante decreto “correttivo”

La prima disposizione rilevante è l'art. 29, che, sotto la rubrica “principi in materia di trasparenza”, stabiliva che, ai fini della proposizione del ricorso ai sensi dell'art. 120 c.p.a., le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori dovessero pubblicare sul profilo informatico del committente, entro due giorni dalla relativa adozione, i suddetti provvedimenti di esclusione e le ammissioni dei concorrenti. La norma, nonostante gli specifici rilievi svolti dal parere del Consiglio di Stato sullo schema di codice, prima dell'intervento “correttivo” non conteneva però alcuna menzione dei motivi posti a base dei suddetti atti. Nella versione definitivamente approvata, il Governo ha anzi espunto il riferimento (contenuto nel testo inviato ai prescritti pareri) all'obbligo di pubblicare anche la documentazione relativa alle ammissioni non considerata riservata. La scelta legislativa, che strideva peraltro con la necessità di esternare, anche per relationem, le circostanze di fatto e le ragioni di diritto poste a base dei provvedimenti amministrativi (prevista dall'art. 3, l. n. 241 del 1990), trovava evidentemente difficile giustificazione, tanto più che, come sopra evidenziato, il nuovo comma 2-bis dell'art. 120 c.p.a. fa decorrere il termine (già ridotto) di impugnazione dalla pubblicazione dei predetti provvedimenti sul profilo del committente “ai sensi” dello stesso art. 29,comma1, ciò che, in assenza di elementi documentali e motivazionali per comprendere le ragioni poste a base della decisione, creava delicati profili di compatibilità con i principi di effettività della tutela e con i corollari chiaramente trattine dalla direttiva 2007/66(considerando e articoli sopra richiamati).

Il problema segnalato non trovava migliore soluzione nella formulazione dell' art. 76 (che, come anticipato, sostituisce l'art. 79,d. lgs. n. 163 del 2006) precedente all'entrata del “correttivo”. Fermo restando il principio generale sull'obbligo di informazione espresso nel primo comma, la disposizione non riproduce invero i sopra evidenziati obblighi informativi previsti dall'art. 79, comma 5, e non impone più l'accesso automatico a tutti gli atti della procedura, differenziando le modalità di informazione dei candidati e degli offerenti.

In particolare, il comma 2 disponeva che, su richiesta scritta dell'offerente interessato, l'amministrazione aggiudicatrice comunica immediatamente solo (aggiungendo però poi, in modo alquanto contraddittorio, «e comunque entro 15 giorni dalla ricezione della richiesta»): a) ad ogni offerente escluso, i motivi del rigetto della sua offerta; b) ad ogni offerente che abbia presentato un'offerta ammessa e valutata, le caratteristiche e i vantaggi dell'offerta selezionata e il nome dell'aggiudicatario o delle parti dell'accordo quadro; c) ad ogni offerente che abbia presentato un'offerta ammessa e valutata, lo svolgimento e l'andamento delle negoziazioni e del dialogo con gli offerenti.

Fermo restando che in questi casi, il termine previsto dall'art. 120, comma 5, per l'eventuale impugnazione dovrebbe coerentemente decorrere dalla ricezione di tale comunicazione completa dei motivi della decisione lesiva, la disposizione non faceva riferimento agli ammessi e agli esclusi (a rigore ancora non qualificabili come “offerenti”).

Lo stesso art. 76, (nella versione ante “correttivo”) al comma 3 disciplinava invece le modalità di comunicazione degli atti di esclusione e ammissione dei concorrenti, integrando quanto disposto dal richiamato art. 29, comma 1, che restava, però, l'unica disposizione di riferimento ai fini della decorrenza dei termini di impugnazione nel nuovo art. 120. In aggiunta alle forme di pubblicità/trasparenza previste da tale articolo, l'art. 76, comma 3, imponeva alle stazioni committenti di dare, “contestualmente” alla predetta pubblicazione, avviso diretto ai concorrenti dei provvedimenti di esclusione e ammissione, mediante PEC (o strumento analogo negli altri Stati membri), con indicazione dell'ufficio o del collegamento informatico ad accesso riservato dove sono disponibili i relativi atti. Diversamente dal comma 2, neppure tale disposizione fa però alcun riferimento alla documentazione né ai “motivi” posti a base di tali provvedimenti.

La descritta disciplina processuale presentava pertanto diverse gravi criticità. Merita a questo proposito ricordare che la Corte di Giustizia UE ha espressamente affrontato il problema della compatibilità col diritto dell'Unione delle disposizioni interne che prevedono termini di decadenza dall'impugnazione degli atti di gara (sentenze Universale-Bau 12 dicembre 20012, in C-470/99 e Santex, 27 febbraio 2003, in C-327/00), ma, pur escludendo la sussistenza in linea assoluta di tale incompatibilità, ha sottolineato che la previsione di termini di decadenza non deve impedire al giudice nazionale di valutare se, nelle singole fattispecie, il comportamento delle stazioni appaltanti sia stato tale da precludere una tutela effettiva (come evidentemente sarebbe, la mancata ostensione della documentazione sottesa ai provvedimenti suscettibili di impugnazione e la mancata esternazione dei motivi che li hanno giustificati), imponendosi in questo caso la disapplicazione del termine decadenziale. Si ricordano in proposito, ancora una volta, le sentenze Corte giust. UE, Sez. V, 8 maggio 2014, C-161/13 e Uniplex, UK, Ltd, Corte giust. UE, Sez. III, 28 gennaio 2010, C-406/08, espressamente nel senso che «ricorsi efficaci contro le violazioni delle disposizioni applicabili in materia di aggiudicazione di appalti pubblici possono essere garantiti soltanto se i termini imposti per proporre tali ricorsi comincino a decorrere solo dalla data in cui il ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza della pretesa violazione di dette disposizioni». Le direttive ricorsi hanno a loro volta chiaramente legato la conoscenza delle violazioni a quella dei motivi della decisione (v. considerando 6 e 7 e artt. 1, 2-bis, 2-quater e 2-septies direttive 89/665/CEE e 1992/13/CEE s.m.i.)

Come più volte evidenziato dalla giurisprudenza della Corte UE, le direttive ricorsi non hanno tuttavia formalmente individuato un preciso momento a partire dal quale gli Stati membri devono garantire la possibilità di proporre un ricorso contro le decisioni adottate dalle stazioni appaltanti, limitandosi a vietare che l'esperibilità del ricorso sia subordinata al fatto che la procedura di affidamento abbia formalmente raggiunto una “fase determinata”, quale, ad esempio, quella di aggiudicazione (Corte giust. UE, sez. I, 11 gennaio 2005, in C-26/03, “Stadt Halle”, i cui principi sono stati di recente ripresi e confermati dalla sentenza Corte giust. UE, sez. IV, 5 aprile 2017, in C-391/15 “Marina del Mediterraneo”, con News di S. Tranquilli. La stessa Corte UE ha pertanto più volte sottolineato che gli Stati membri possono liberamente stabilire le modalità procedurali per la contestazione delle decisioni adottate durante la procedura di gara, fermo restando che le suddette modalità non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi previsti per la tutela dei diritti derivanti dall'ordinamento interno (cd. “principio di equivalenza”), né devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione (cd. “principio di effettività”).

Ferma quindi la compatibilità - in astratto - con il diritto euro-unitario di una parentesi giurisdizionale dedicata all'immediata trattazione delle controversie relative alle ammissioni, il comma 2-bis, unitamente all'originaria versione dell'art. 29, comma 1 del Codice, considerando l'omessa immediata impugnazione delle ammissioni come preclusiva della sua successiva contestazione (unitamente alla valutazione delle offerte e all'aggiudicazione) e facendo decorrere l'onere di contestare la propria esclusione e i nuovi oneri impugnatori delle altrui ammissioni dalla mera pubblicazione dell'elenco dei concorrenti ammessi o esclusi, a prescindere dalla conoscenza dei relativi presupposti documentali e motivazionali, presentava un forte profilo di contrasto con i principi di effettività della tutela sanciti anche dall'art. 47 della Carta di Nizza (richiamato al considerando 36 della direttiva n. 2007/66/CE), di cui il citato diritto derivato dell'Unione europea fa corretta applicazione.

Il rinvio alla CGUE

Il TAR Piemonte, Sez. I, 17 gennaio 2018, n. 88, con New……… ha posto, in via pregiudiziale, alla Corte di Giustizia dell'UE, due quesiti sulla compatibilità della disciplina del rito super-speciale con la disciplina euro-unitaria in materia di diritto di difesa, di giusto processo e di effettività sostanziale della tutela e segnatamente:

1) se la disciplina europea in materia di diritto di difesa, di giusto processo e di effettività sostanziale della tutela, segnatamente, gli articoli artt. 6 e 13 della CEDU, l'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e l'art. 1 Dir. 89/665/CEE, 1 e 2 della Direttiva, ostino ad una normativa nazionale, quale l'art. 120 comma 2-bis c.p.a., che, impone all'operatore che partecipa ad una procedura di gara di impugnare l'ammissione/mancata esclusione di un altro soggetto, entro il termine di 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento con cui viene disposta l'ammissione/esclusione dei partecipanti;

2) se la disciplina europea in materia di diritto di difesa, di giusto processo e di effettività sostanziale della tutela, segnatamente, gli articoli artt. 6 e 13 della CEDU, l'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e l'art. 1 Dir. 89/665/CEE, 1 e 2 della Direttiva, osti ad una normativa nazionale quale l'art. 120 comma 2-bis c.p.a., che preclude all'operatore economico di far valere, a conclusione del procedimento, anche con ricorso incidentale, l'illegittimità degli atti di ammissione degli altri operatori, in particolare dell'aggiudicatario o del ricorrente principale, senza aver precedentemente impugnato l'atto di ammissione nel termine suindicato.

Diversi giudici di primo grado, (tra cui il TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 2 febbraio 2017, n. 696; TAR Lazio, Roma, Sez. III, 22 agosto 2017, n. 9379, con News di s. Tranquilli, il TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 8 gennaio 2018, n. 29, con New di F. Pignatiello) avevano in precedenza espressamente escluso di dover sollevare la questione di costituzionalità o di compatibilità comunitaria dell'art. 120, comma 2 bis, c.p.a..

(Segue). Le modifiche apportate dal decreto “correttivo”

L'art. 19 decreto “correttivo”, recependo (almeno per questa parte) i rilievi critici della dottrina e del Consiglio di Stato, ha rivoluzionato la formulazione del comma 1 dell'art. 29 e modificato l'art. 76 del Codice (si v. il Focus, M.A. SANDULLI, Un mini passo in avanti verso l'effettività della tutela in tema di contratti pubblici? Primissime considerazioni sull'art. 19 d.lgs. n. 56 del 2017).

Le modifiche del decreto “correttivo”

L'art. 19 del “correttivo” ha inserito un ulteriore periodo dopo il secondo periodo dell'art. 29 comma 1 del d.lgs. n. 50 del 2016, inglobando il soppresso comma 3 dell'art. 76 e stabilendo che entro il termine di due giorni previsto per la pubblicazione sul profilo del committente del provvedimento di esclusione o/e degli atti di ammissione all'esito della suddetta verifica, le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori, devono darne «avviso ai candidati e ai concorrenti, con le modalità di cui all'art. 5-bis d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, recante il Codice dell'amministrazione digitale o strumento analogo negli altri Stati membri […] indicando l'ufficio o il collegamento informatico ad accesso riservato dove sono disponibili i relativi atti». Ancor più rilevante è tuttavia l'inserimento della specificazione che «il termine per l'impugnativa di cui al citato articolo 120, comma 2-bis, decorre dal momento in cui gli atti di cui al secondo periodo sono resi in concreto disponibili, corredati di motivazione».

L'art. 45 del decreto correttivo – allineando il Codice alle direttive contratti del 2014 - ha aggiunto al comma 2 dell'art. 76 una lett. a-bis recante il riferimento al «candidato escluso» a cui devono essere individualmente comunicati, sempre «immediatamente e comunque non oltre i quindici giorni» decorrenti dall'invio di una richiesta scritta, i motivi del rigetto della propria domanda di partecipazione; analogo riferimento è inserito al successivocomma5, lett. b dove si precisa che, entro il termine di cinque giorni, la stazione appaltante deve, d'ufficio, comunicare anche ai «candidati» la loro esclusione dalla gara.

Nella stessa apprezzabile linea di maggiore attenzione alla certezza del diritto e all'effettività della tutela, il medesimo art. 19 ha aggiunto infine, all'art. 29, comma1, che «Gli atti di cui al presente comma recano, prima dell'intestazione o in calce, la data di pubblicazione sul profilo del committente. Fatti salvi gli atti a cui si applica l'articolo 73, comma 5, i termini cui sono collegati gli effetti giuridici della pubblicazione decorrono dalla data di pubblicazione sul profilo del committente».

Il riferimento alla “disponibilità in concreto” e l'introduzione di uno specifico obbligo di motivare anche gli “atti” di ammissione, opportunamente introdotti dal “correttivo”, sembrano così garantire, non solo un accesso informale e immediato agli atti su cui basa la verifica compiuta dalla stazione appaltante sui titoli di gara, ma anche l'individuazione di un termine certo per la proposizione del ricorso, la cui decorrenza è inscindibilmente agganciata alla materiale presa visione dei suddetti atti provvisti di motivazione. Tale aggiunta impedisce, evidentemente, che il termine per impugnare possa decorrere dal momento della pubblicazione del mero elenco degli ammessi/esclusi, collegandolo invece a una formale esternazione della stazione appaltante sull'esito della verifica compiuta sui suddetti titoli.

Dalla chiara formulazione della disposizione sembra quindi potersi ricavare che qualora la S.A. si sia limitata alla pubblicazione di un mero elenco, riservandosi di dar conto solo successivamente delle ragioni sottese alle esclusioni e alle ammissioni, il termine per impugnare non possa decorrere dalla pubblicazione di tale elenco, ma debba evidentemente slittare fino alla pubblicazione della relativa motivazione.

Nonostante la chiarezza dell'intervento correttivo, la posizione della giurisprudenza è tuttora “incerta” (v. la Casistica infra)

Sulla motivazionedegli atti di ammissione

Il TAR Lazio, Roma, Sez. II - ter, 23 febbraio 2018, n. 2108, con New di F. Cernuto, ha affermato che, qualora l'ammissione alla gara avvenga all'esito di un vero e proprio “subprocedimento di verifica” dei requisiti in capo all'operatore economico, durante il quale la stazione appaltante abbia interloquito con i concorrenti, tale istruttoria deve essere riportata nella motivazione degli atti di ammissione, dovendosi ritenere altrimenti non assolti gli obblighi di pubblicità dell'art. 29, comma 1, D.Lgs. n. 50 del 2016 come modificato dal “correttivo”. Nella specie il TAR ha precisato che la S.A. avrebbe dovuto provvedere alla pubblicazione dei verbali delle sedute riservate recanti “la genesi e lo sviluppo dell'interlocuzione intercorsa” con l'operatore economico, all'esito della quale si è addivenuti alla sua ammissione e che non avendo provveduto in tal senso, il termine per impugnare tali atti decorre solo dall'effettiva conoscenza della suddetta istruttoria, ottenuta al momento dell'accesso agli atti, effettuato successivamente alla comunicazione dell'aggiudicazione.

(Segue). Il procedimento giurisdizionale nel “mini-rito”

L'art. 204 del nuovo Codice dei contratti ha inserito un comma 6-bis nello stesso art. 120 c.p.a., introducendo un rito speciale in camera di consiglio (o, su richiesta delle parti, in udienza pubblica) da celebrare entro 60 giorni dalla notifica del ricorso (contro i 75 del rito superaccelerato ordinario introdotto dalla riforma del 2014), per l'immediata risoluzione di tali controversie.

In linea con tale eccezionale e straordinaria accelerazione/contrazione del giudizio, la novella riduce in modo significativo i termini minimi per la comunicazione alle parti della data dell'udienza e quelli per la produzione di documenti, memorie, e repliche (rispettivamente indicati in 15, 10, 6 e 3 giorni liberi anteriori alla stessa data, evidentemente incompatibili con un'attenta e completa valutazione della documentazione e delle problematiche generalmente complesse relative alla materia in oggetto) e stabilisce, in una con il divieto di cancellazione della causa dal ruolo, il divieto di rinvio della trattazione se non per esigenze istruttorie o di integrazione del contraddittorio e per produrre motivi aggiunti e ricorso incidentale (evidente l'assenza di coordinamento con le ipotesi di rinvio previste dal comma 6, che non contiene l'espresso riferimento ai motivi aggiunti e al ricorso incidentale, ma giustifica correttamente il rinvio per il rispetto dei termini a difesa). Si contrae poi entro un massimo di 3 giorni il termine per il deposito degli adempimenti istruttori e entro 15 giorni quello per la fissazione della nuova camera di consiglio e si riduce a 7 giorni dalla camera di consiglio/udienza il termine di deposito della sentenza.

Nello stesso spirito, si esclude poi l'operatività del termine “lungo” di tre mesi dalla pubblicazione della sentenza per la proposizione (recte notificazione) dell'appello, ridotto dunque in ogni caso a 30 giorni dalla comunicazione o, se anteriore, dalla notificazione della sentenza. anche se, con le riferite tempistiche, in questi giudizi non dovrebbe residuare molto spazio per la tutela cautelare (salvo, forse, il periodo di sospensione feriale), si segnala il difetto di coordinamento con l'art. 62, comma 1, c.p.a., che, per l'appello cautelare, prevede in ogni caso il termine lungo di 60 giorni dalla pubblicazione dell'ordinanza.

Come evidenziato anche dal Parere del Consiglio di Stato reso sullo schema di decreto “correttivo” la maggiore criticità riscontrata nell'applicazione pratica del nuovo rito attiene all'ipotesi in cui nel corso del giudizio sulle ammissioni e/o le esclusioni sopraggiunga l'aggiudicazione, creandosi il problema di concorso o conversione di riti diversi (possibilità esclusa da una parte della giurisprudenza, su cui si v. la relativa Casistica). La Commissione ha evidenziato che una possibile soluzione potrebbe essere la previsione di una norma di standstill preprocessuale e processuale che accompagni l'impugnazione delle ammissioni e delle esclusioni, in modo da evitare che la procedura di gara arrivi all'aggiudicazione prima che si sia concluso il giudizio sulla corretta composizione della platea dei concorrenti. Al fine di evitare che lo standstill paralizzi gare urgenti, la Commissione suggeriva di prevedere che la stazione appaltante potesse, costituendosi in giudizio, chiedere al giudice la sospensione dello standstill.

Orientamenti a confronto: regime transitorio dell'art. 204 del Codice

La questione controversa riguarda il regime temporale di applicazione del nuovo rito “super-speciale” in materia di esclusioni e ammissioni dalle procedure di gara, disciplinato dai commi 2-bis e 6-bis dell'art. 120 c.p.a.

Come noto, il nuovo Codice prevede all'art. 216, comma 1, una disciplina transitoria generale che stabilisce la sua applicabilità alle «procedure e ai contratti per i quali i bandi o avvisi con cui si indice la procedura di scelta del contraente siano pubblicati successivamente alla data della sua entrata in vigore nonché, in caso di contratti senza pubblicazioni di bandi o di avvisi, alle procedure e ai contratti in relazione ai quali, alla data di entrata in vigore del presente codice, non siano ancora stati inviati gli inviti ad offrire», sottraendo dalla suddetta regola solo le disposizioni transitorie speciali previste nello stesso articolo o «nelle singole disposizioni del presente codice».

Nella prassi sono emerse alcune oscillazioni interpretative sul regime temporale dell'art. 204 del Codice.

Alcune sentenze hanno infatti affermato che la natura processuale dell'art. 204 impone, in applicazione del principio del tempus regit actum, l'immediata applicabilità del rito “super-speciale” anche alle controversie relative al Codice dei contratti del 2006.

In senso opposto, l'indirizzo giurisprudenziale prevalente, recependo le riflessioni della dottrina, nega, con diversi argomenti di ordine letterale e sistematico, che il nuovo rito “super-speciale” possa prescindere dalla disciplina sostanziale del nuovo Codice dei contratti e sottrarsi dal riferito regime transitorio generale posto dal sopra citato art. 216 comma 1.

Orientamento minoritario

L'art. 204 è immediatamente applicabile anche alle procedure bandite prima del 20 aprile 2016

Secondo un (isolato) indirizzo giurisprudenziale (TAR Calabria, Reggio Calabria, sez. I, 23 luglio 2016, n. 829), il comma 6-bis dell'art. 120 c.p.a. (ai sensi del quale “nei casi previsti al comma 2-bis [riguardante l'impugnazione dei provvedimenti di esclusione e di ammissione dalle procedure di gara all'esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali], il giudizio è definito in una camera di consiglio da tenersi entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente”) in qualità di disposizione processuale e, dunque, in sintonia con il principio tempus regit actum, trova immediata applicazione nei giudizi instaurati successivamente alla sua entrata in vigore, indipendentemente dalla disciplina sostanziale applicabile alla gara. Nella specie il Collegio, dopo aver appurato, ai fini della delibazione dell'istanza cautelare, che il termine per la celebrazione della Camera di Consiglio rientrava «all'interno del termine […] fissato dal comma 6-bis dell'art. 120», ha immediatamente definito il giudizio instaurato avverso l'esclusione disposta nei confronti dell'impresa ricorrente nell'ambito di una procedura indetta sulla base del d.lgs. n. 163 del 2006.

Anche il TAR Puglia, Bari, Sez. III, 8 novembre, 2016, n. 1262, pronunciandosi relativamente a una gara pubblicata in G.U. proprio il 20 aprile 2016 e, dunque già soggetta alla disciplina del nuovo Codice, ha ultroneamente affermato che «l'art. 120, comma 2-bis, c.p.a., siccome disposizione processuale, è di immediata applicazione».

Orientamento maggioritario

L'art. 204 segue il regime transitorio dell'art. 216 Codice..

Il Consiglio di Stato, in linea con quanto già evidenziato nella versione originaria di questa Bussola, prima con la sentenza Sez. III, 27 ottobre 2016, n. 4528; confermata con motivazione più ampia dalle sentenze del 25 novembre 2016, nn. 4994 e 4995, ha chiarito che non può essere posta in discussione l'applicabilità dell'art. 216 comma 1 del nuovo Codice anche per l'art. 204.

La suddetta disposizione, infatti, utilizzando al primo comma la locuzione “al presente Codice”, detta la disciplina transitoria generale del nuovo Codice dei contratti “evidentemente” ricomprendendo «entro il suo ambito applicativo tutte le disposizioni del decreto legislativo n. 50 del 2016», da cui si sottraggono le deroghe “testuali ed espresse” previste dai successivi commi dello stesso articolo «ovvero nelle singole disposizioni del resto del codice».

Dal punto di vista puramente formale, il Collegio precisa che, sebbene il d.lgs. 50 del 2016 (a differenza del precedente codice dei contratti) non rechi più la denominazione “Codice”, (presente invece nella legge delega e comunque utilizzata dall'art. 1 dello stesso d.lgs. n. 50 del 2016), è evidente che la locuzione utilizzata all'art. 216, comma 1, si riferisca a “tutte le previsioni contenute nel provvedimento normativo nel quale la relativa previsione transitoria risulta inserita”.

Il Collegio inoltre aggiunge che la regola del tempus regit actum sarebbe comunque «del tutto inappropriata e inapplicabile», per l'ulteriore circostanza che il suddetto rito risulta «concepito e regolato in coerenza con la nuova disciplina procedimentale introdotta dal d.lgs. n. 50 del 2016, sicché resta del tutto illogica la prospettata entrata in vigore differenziata dei due regimi (processuale e sostanziale)». L'onere di impugnazione immediata del provvedimento che determina le esclusioni e le ammissioni alla gara può, infatti, essere “esigibile” solo a fronte della contestuale operatività delle disposizioni, contenute nello stesso nuovo Codice che ne impongono la pubblicazione e comunicazione (artt. 29, comma 1, e 76, comma 3), pena «l'inaccettabile (e, probabilmente, incostituzionale) effetto di imporre l'impugnazione immediata di atti (in particolare: le ammissioni alla procedura) che l'impresa interessata non è in grado di conoscere tempestivamente».

Le sentenze concludono sottolineando che quand'anche permanessero dubbi esegetici sul regime temporale di applicazione delle nuove regole processuali, «dovrebbero essere risolti preferendo l'opzione ermeneutica meno sfavorevole per l'esercizio del diritto di difesa (e, quindi, maggiormente conforme ai principi costituzionali espressi dagli artt. 24 e 113)», rifiutando ogni lettura che limiti o, addirittura, pregiudichi l'esercizio del diritto di difesa, come invece accadrebbe se si ammettesse l'operatività del nuovo rito anche con riferimento alle procedure bandite prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 50 del 2016.

In termini, cfr. TAR Toscana, Sez. II, 14 febbraio 2017, n. 243; TAR Toscana, Sez. I, 3 ottobre 2016, n. 1415; TAR Campania, Napoli, Sez. I, 13 febbraio 2017, n. 5693; TAR Lazio, Roma, Sez. II-ter, 28 luglio 2016, n. 8722;

…pertanto le ammissioni disposte in una gara bandita precedentemente al 20 aprile 2016 non sono autonomamente impugnabili

La giurisprudenza (TAR Lazio, Roma, Sez. I-quater, 27 giugno 2017, n. 7450) ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso per carenza di interesse ad agire della società ricorrente, richiama l'indirizzo giurisprudenziale formatosi sulla scorta della decisione 23 gennaio 2003, n. 1, dell'A.P. del Consiglio di Stato, secondo cui gli atti di ammissione ai procedimenti di gara sono privi di contenuto lesivo, in quanto interni ai procedimenti medesimi, e pertanto inidonei a concretare una situazione di vantaggio nei confronti di alcuno dei soggetti ammessi. Secondo tale orientamento, infatti, solo nell'eventualità in cui l'atto terminale del procedimento si concluda a favore di soggetto privo dei requisiti, il concorrente direttamente danneggiato può vedere lesa la propria situazione giuridica e quindi trarre legittimazione per l'impugnazione, in uno con l'atto conclusivo, del provvedimento di ammissione del soggetto stesso (cfr, Cons. St., Sez. V, 15 ottobre 2003, n. 6310).

Orientamenti a confronto: “mini-rito” e dies a quo per ricorrere

Con riferimento alle controversie relative alle gare bandite precedentemente all'entrata in vigore del decreto "correttivo" è controverso, in giurisprudenza, da quando decorra il dies a quo per impugnare il provvedimento che determina le ammissioni e le esclusioni dalla gara.

Il termine di trenta giorni ex art. 120, comma 2-bis, c.p.a. decorre dalla pubblicazione del “provvedimento” di cui all'art. 29, comma 1 del Codice sul profilo del committente.

In mancanza di tale pubblicazione il termine per contestare i requisiti di partecipazione decorre dalla “piena conoscenza” del provvedimento di aggiudicazione

E' “irrilevante” la previa piena conoscenza degli stessi

Un indirizzo giurisprudenziale afferma che la decorrenza del dies a quo è condizionata alla “pubblicazione” degli atti di ammissione e di esclusione sul profilo informatico della stazione appaltante, sicché, in mancanza di tale adempimento, il termine scatta solo dalla piena conoscenza (dei vizi relativi alla fase di ammissione) eventualmente acquisita tramite la comunicazione del provvedimento di aggiudicazione (Cons. St., sez. III, 26 gennaio 2018, n. 565). Altra giurisprudenza precisa che la decorrenza del termine per la proposizione del ricorso ex art. 120, co. 2-bis, c.p.a. è ancorata alla sola pubblicazione degli atti di ammissione/esclusione, non essendo necessaria la loro comunicazione ai concorrenti, né subordinata all'accesso agli atti (da ultimo, Cons. St., sez. V, 3 aprile 2018, n. 2045; Id., sez. V, 10 aprile 2018, n. 2176);

Un ulteriore orientamento giurisprudenziale afferma che, nel rito super-speciale, ai fini dell'individuazione del dies a quo per ricorrere, è “assolutamente irrilevante” la “piena conoscenza” della propria esclusione e dell'altrui ammissione acquisita in sede di seduta pubblica di gara (TAR Campania, Napoli, Sez. V, 6 ottobre 2017, n. 4689; Id., Lazio, Roma, Sez. III-quater, 22 agosto 2017, n. 9379, in cui è stato precisato che l'art. 120, comma 2-bis, c.p.a., indica “espressamente ed inequivocamente” il decorso del dies a quo dalla pubblicazione del provvedimento determinante le esclusioni/ammissioni sul profilo della stazione appaltante, sicché il regime di pubblicità previsto dalla richiamata disposizione, ponendosi in rapporto di “specialità rispetto ad ogni altra tipologia di impugnazione in materia di gare pubbliche”, prevale “su ogni altra previsione o applicazione di tipo giurisprudenziale quale quella prospettata dalla amministrazione resistente”).

Il termine di trenta giorni ex art. 120, comma 2-bis, c.p.a. decorre dall'effettiva piena conoscenza del contenuto del “provvedimento” di cui all'art. 29, comma 1 pubblicato sul profilo del committente

Altra giurisprudenza amministrativa considera peraltro la comunicazione o notifica individuale dell'atto quale “momento cognitivo equivalente” rispetto alla pubblicazione, purchè la prima sia “completa di ogni elemento utile a farne apprezzare la lesività da parte di un operatore di normale diligenza” (TAR Lazio, Roma, sez. III, 9 maggio 2017, n. 5545, e, in termini, TAR Marche, sez. I, 11 maggio 2017, n. 354; TAR Toscana, sez. I, 18 aprile 2017, n. 582; Id., Puglia, Bari, sez. III, 5 aprile 2017, n. 340; Id., Lombardia, Brescia, sez. II, 22 marzo 2017, n. 401); Tale indirizzo aggancia, anche per le gare bandite prima dell'entrata in vigore del correttivo, la decorrenza del termine per impugnare le ammissioni e le esclusioni, non solo alla loro (mera e formale) pubblicazione, ma all'effettiva piena conoscenza del loro contenuto (o comunque del materiale documentale alla base), così scongiurando l'imposizione di un ricorso “al buio” (TAR Sardegna, sez. I, 20 gennaio 2017, n. 36; Id., Lazio, Roma, sez. III, 9 maggio 2017, n. 5545).

Si segnala peraltro che la giurisprudenza ha riconosciuto una specifica sospensione del termine per impugnare nel periodo intercorrente tra la presentazione dell'istanza di accesso e la concreta visione degli atti (TAR Campania, Napoli, VIII, 19 ottobre 2017, n. 4893 ha in particolare affermato che “Nella diversa ipotesi in cui nel medesimo termine di 30 giorni dal provvedimento adottato ai sensi del citato art. 29 il concorrente presenti istanza di accesso agli atti, deve ritenersi che si determini una sospensione temporanea del termine per proporre l'impugnazione, termine che inizierà nuovamente a decorrere dalla data di ostensione dei documenti da parte della stazione appaltante; con la conseguenza che il ricorso avverso l'ammissione/esclusione deve ritenersi tempestivamente proposto ove presentato nel complessivo termine di 30 giorni. Al riguardo questa Sezione ha già avuto modo di evidenziare che, in ogni caso, qualsiasi profilo relativo ad eventuali impedimenti nel prendere visione degli atti di gara, ai fini della proposizione dell'impugnativa, non può che essere improntato al principio di diligenza delle parti, che devono attivarsi tempestivamente ai fini di ottenere l'accesso agli atti secondo i mezzi messi loro a disposizione dell'ordinamento (T.A.R. Campania Napoli, Sez. VIII, 2 febbraio 2017, n. 69).

Il rito super-speciale si applica anche in assenza della pubblicazione ex art. 29, comma 1 del Codice e il termine di trenta giorni per ricorrere ex art. 120, comma 2-bis, c.p.a. decorre dalla conoscenza “comunque acquisita” degli atti di ammissione e esclusione.

Un diverso orientamento ritiene, al contrario irrilevante, ai fini dell'individuazione del dies a quo per ricorrere contro le ammissioni/esclusioni, la mancanza della “pubblicazione degli atti di ammissione/esclusione sul profilo del committente della stazione appaltante”, qualora sia diversamente ravvisabile e documentata la previa “piena conoscenza” degli stessi atti da parte del rappresentante della ricorrente, presente alla seduta pubblica e munito di apposito mandato” Cons. St., Sez. V, 23 marzo 2018, n. 1843; Id., Sez., VI, 13 dicembre 2017, n. 5870. In quest'ultima pronuncia il Collegio, confermando la sentenza del TAR Veneto, I, 17 maggio 2017, n. 492, ha affermato che, nonostante la formulazione letterale del comma 2-bis dell'art. 120 c.p.a. faccia espressamente riferimento, ai fini della decorrenza del termine d'impugnazione di trenta giorni, esclusivamente alla pubblicazione del provvedimento di ammissione o esclusione sul profilo informatico della stazione appaltante ai sensi dell'art. 29, comma 1, del Codice, ciò non implica l'inapplicabilità del generale principio sancito dall'art. 41, comma 2, c.p.a. e richiamato nel comma 5, ultima parte, del suddetto art. 120, sicché, anche in difetto della formale comunicazione dell'atto di ammissione e della sua pubblicazione sulla piattaforma telematica, il termine per impugnare decorre dal momento dell'avvenuta conoscenza dell'atto stesso, “purché siano percepibili i profili che ne rendano evidente la lesività per la sfera giuridica dell'interessato in rapporto al tipo di rimedio apprestato dall'ordinamento processuale”. In termini anche TAR Puglia, Bari, Sez. III, 8 novembre 2016, n. 1262.

Il TAR Toscana, Sez. I, 18 aprile 2017, n. 582 ha dichiarato tardive le censure dirette a contestare l'ammissione dell'aggiudicatario in quanto il ricorrente ne aveva già in precedenza avuto conoscenza tramite una e-mail che recava in allegato il verbale della seduta pubblica contenente l'indicazione dei punteggi conseguiti da ciascun operatore economico e “dunque anche l'ammissione alla gara” dei partecipanti.

Il TAR Campania, Napoli, 9 novembre 2017, n. 5272, ha affermato che ai fini della decorrenza del termine decadenziale di impugnazione giurisdizionale, si realizza la piena conoscenza del provvedimento lesivo, ove l'impresa concorrente assista, tramite un proprio rappresentante, alla seduta di gara in cui la Stazione Appaltante adotta determinazioni in ordine all'esclusione della sua offerta, ad eccezione dei casi in cui quest'ultimo non sia munito di apposito mandato o non rivesta una specifica carica sociale, difettando in tali casi una sua comprovata riferibilità al soggetto concorrente.

Il TAR Veneto, Sez. I, 7 marzo 2018, n. 257, confermando il proprio indirizzo secondo cui il termine per impugnare le ammissioni e le esclusioni dalla gara decorre dalla seduta pubblica, in cui siano presenti i rappresentanti delle imprese concorrenti, ha tuttavia precisato che sono tempestivi i motivi di ricorso, proposti solo al momento dell'impugnazione dell'aggiudicazione, in cui il ricorrente faccia valere vizi riferiti al mancato possesso effettivo dei requisiti speciali dichiarati nella domanda di partecipazione, emersi solo in sede di “comprova/verifica” successiva all'aggiudicazione.


Per le gare bandite successivamente all'entrata in vigore del decreto “correttivo”, una parte della giurisprudenza amministrativa, dando invero modesto risalto alle pur significative modifiche apportate all'art. 29 del Codice, si è limitata a evidenziare che l'art. 120, co. 2-bis, c.p.a. “individua nella data di pubblicazione dell'atto di ammissione, ex art. 29, comma 1, d.lgs. n. 50-2016, il dies a quo di proposizione del ricorso, o comunque nel giorno in cui l'atto stesso è reso in concreto disponibile, secondo la nuova formulazione dell'art. 29, comma 1, d.lgs. n. 50-2016, introdotta dall'art.19 d.lgs. n. 56-2017” (Cons. St., sez. V, 3 aprile 2018, n. 2079, che sul punto conferma TAR Toscana, sez. I, 2 gennaio 2018, n. 17).

Casistica: mini rito e tutela cautelare

Il Consiglio di Stato (Cons. St.,Sez. V, 14 marzo 2017, n. 1059) ha dichiarato l'ammissibilità anche nel “mini-rito” di cui all'art. 120 c.p.a. della proposizione e della trattazione di istanze cautelari “collegiali” avverso gli atti di ammissione/esclusione dalla gara e dell'appello avverso la relativa ordinanza cautelare, «non essendo l'applicazione delle norme in materia di tutela cautelare incompatibile» con la relativa disciplina.

Il Consiglio di Stato ha riconosciuto l'ammissibilità nelle suddette controversie anche della tutela cautelare monocratica (Cons. St., Sez. V, n. 948 del 2017). Anche la giurisprudenza di primo grado in forza del principio di effettività della tutela giurisdizionale, ha evidenziato che l'introduzione di tale (super)speciale disciplina non può precludere al g.a. la possibilità di accordare la tutela cautelare nelle sue varie “forme”, inclusa quella monocratica (TAR Campania, Napoli, Sez. IV,20 dicembre 2016, n. 5852) precisando che:"è certamente possibile la tutela monocratica eccezionale ante causam (art. 61) e quella urgente monocratica presidenziale, ma non è ammissibile la semplice richiesta cautelare ex art. 55 c.p.a., posto che in caso di semplice pregiudizio grave e irreparabile non si vede come la parte possa pretendere che il giudice amministrativo, fissando la camera di consiglio ordinaria, possa legittimamente derogare al procedimento superaccelerato introdotto dal nuovo Codice dei contratti".

Casistica: ambito di applicazione del “mini-rito”

La sentenza dell'Adunanza Plenaria n. 4/2018 ha confermato che il limitatissimo, perimetro applicativo del mini-rito è circoscritto alla contestazione della verifica dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali, effettuata in limine della gara, intendendosi per tale, come chiarito dall'ANAC, il mero controllo di “completezza” e “conformità” al bando delle auto-dichiarazioni rese dai concorrenti.

La nuova disciplina processuale introdotta dall'art. 204 del Codice, come chiarito dalla giursiprudenza, non trova applicazione nel caso di esclusione dalla gara fondata su presupposti diversi da quelli soggettivi, come a seguito di estromissione disposta per carenza di elementi essenziali dell'offerta tecnica prescritti dalla lex specialis. In tali ipotesi non si applica il rito ‘superaccelerato', ma il rito speciale ordinario di cui all'art. 120 c.p.a.; ciò significa che, in relazione all'ammissione dell'offerta degli altri concorrenti, la relativa questione dovrà essere oggetto di censura unitamente all'impugnazione dell'aggiudicazione, laddove non vengano contestati i requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali dell'impresa partecipante (TAR Campania, Napoli, Sez. I, 20 febbraio 2017, n. 1020).

Orientamenti a confronto: cumulo di domande soggette ai diversi riti

Orientamento minoritario

È ammissibile l'impugnazione “congiunta” dell'ammissione e dell'aggiudicazione

Un indirizzo giurisprudenziale (TAR Puglia, Bari, Sez. I, 7 dicembre 2016, n. 1367; TAR Puglia, Bari, Sez. I, 25 maggio 2017, n. 529; TAR Lazio, Sez. II-ter, 30 marzo 2017, n. 4054; TAR Lazio, Sez. II-ter, 16 febbraio 2017, n. 2522) considera ammissibile l'impugnazione “congiunta” del provvedimento di ammissione e di aggiudicazione, precisando che la modifica dell'art. 120,comma7 c.p.a., “va più correttamente interpretata nel senso di riconoscere alla parte ricorrente la facoltà (e non l'obbligo) di proporre autonoma impugnativa avverso il provvedimento di aggiudicazione della gara, ove questo sia sopraggiunto successivamente all'introduzione del giudizio ex art. 120, comma 6-bis, senza escludere né la possibilità di un'impugnativa congiunta, né la proposizione successiva di motivi aggiunti”. A sostegno della suddetta interpretazione viene richiamato l'art. 120, comma 6-bis,c.p.a. che, consentendo al controinteressato “di far valere l'illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, “anche con ricorso incidentale”, sia pure solamente ove abbia tempestivamente impugnato il provvedimento che determina le esclusioni e le ammissioni”, impone, pena la violazione del principio di parità delle parti “di ritenere estesa anche al ricorrente, la facoltà […] riconosciuta al controinteressato - di ampliare il thema decidendum attraverso l'impugnativa di ulteriori e successivi provvedimenti”.TAR Puglia, Bari, sez. I, 7 dicembre 2016, n. 1367che in tale ipotesi ha dichiarato la conversione del rito da “super-speciale” (ex art. 120, commi 2-bis e 6-bis, c.p.a.) in “speciale” (ex art. 120, comma 6, c.p.a.), precisando che tale scelta trova giustificazione, tramite l'art. 32 c.p.a.

Orientamento maggioritario

Il rito “super-speciale” è un circuito processuale autonomo il cui ambito è circoscritto all'impugnazione delle sole ammissioni e esclusioni. Non è quindi ammissibile l'impugnazione “congiunta” dei suddetti atti con l'aggiudicazione. Nella suddetta ipotesi non è comunque applicabile l'art. 32 c.p.a. in quanto tale disposizione non comprende l'ipotesi di conversione tra riti entrambi “speciali”

Il Consiglio di Stato (sez. V, 14 marzo 2017, n. 1059/o) ha escluso l'ammissibilità di domande sia cautelari che di merito proposte contemporaneamente avverso l'ammissione e l'aggiudicazione della gara, «dovendo, invece, anche agli strumentali fini cautelari trattarsi il ricorso avverso l'aggiudicazione definitiva secondo l'usuale rito, pur “speciale”, disciplinato dai restanti commi del citato articolo 120».

L'ordinanza evidenzia infatti l'incompatibilità del suddetto ricorso “congiunto” con il “mini-rito” in quanto, quest'ultimo disegna per le gare pubbliche un «nuovo modello complessivo di contenzioso a duplice sequenza, disgiunto per fasi successive del procedimento di gara, dove la raggiunta certezza preventiva circa la res controversa della prima è immaginata come presupposto di sicurezza della seconda».

In terzo luogo, l'ordinanza ha escluso che in caso di ricorso “congiunto”, contro l'ammissione e l'aggiudicazione possa trovare applicazione l'art. 32,comma1, c.p.a. e dunque il rito possa essere convertito da “super-speciale” a “speciale” in quanto dalla lettera della disposizione si ricava che «tale disposizione non può trovare applicazione nel caso di riti entrambi previsti dal Titolo V del Libro IV c.p.a.».

Il Collegio avverte che la cumulabilità delle azioni e la suddetta conversione del rito finirebbe per introdurre “surrettiziamente” nell'ordinamento «un terzo rito, misto tra i due» che «ostacolerebbe il conseguimento sistematico delle finalità che con il rito dell'art. 120, comma 2-bis la nuova norma intende realizzare” e contrasterebbe con le “distinte condizioni dell'azione e struttura del rito anticipato, che – a differenza di quanto avviene per altre azioni del processo amministrativo – non possono né essere confuse con le usuali, né esservi assorbite o assorbirle».

La questione del cumulo delle domande soggette a riti speciali diversi è stata diversamente risolta dalla sentenza TAR Puglia, Bari, sez. II, 14 novembre 2017, n. 1161, resa su un ricorso con il quale un operatore impugnava, contestualmente, l'aggiudicazione a terzi e la propria esclusione (conosciuta successivamente all'aggiudicazione). In tale pronuncia il Collegio ha definito la controversia all'esito dell'udienza cautelare, pronunciandosi su entrambe le domande di annullamento, evidenziando che tale (accelerata e immediata) modalità decisionale scongiura il rischio della “deviazione” dalle finalità del (mini)rito, senza quindi porsi in contrasto con il suddetto, restrittivo, orientamento del Consiglio di Stato. La pronuncia ha precisato, inoltre, che, ove fossero stati presentati due distinti ricorsi, l'uno contro l'esclusione e l'altro contro l'aggiudicazione, ambedue fissati alla stessa camera di consiglio, in assenza di un divieto normativo in tal senso, sarebbero stati suscettibili di riunione per essere decisi con un'unica sentenza

Casistica: cumulabilità dell'impugnazione della nomina della Commissione di gara e dell'atto di ammissione

Il Consiglio di Stato, Sez. III, 18 gennaio 2018, n. 310, con New di C. Tanzarella, ha dichiarato l'ammissibilità della proposizione “congiunta” di motivi di ricorso relativi alla nomina della commissione strettamente connessi all'impugnazione dell'ammissione di uno dei concorrenti. Nella specie, le due domande avevano “in comune” la medesima tesi difensiva finalizzata a contestare la situazione di ingiustificato vantaggio concorrenziale assegnato all'operatore, che sarebbe stato illegittimamente ammesso alla gara in carenza dei requisiti di partecipazione, di talché i vizi relativi alla nomina della commissione non potrebbero che riverberarsi sul primo atto lesivo della parità di trattamento tra concorrenti, e cioè sull'ammissione alla gara del controinteressato.

Orientamenti a confronto: “mini-rito” e ricorso incidentale

Con riferimento alla proposizione del ricorso incidentale a seguito del ricorso ex art. 120,comma2-bis, c.p.a., una parte della giurisprudenza di primo grado ha escluso che nel mini-rito possa trovare applicazione l'art. 42 c.p.a., evidenziando che la disciplina del rito “super-speciale” impone la presentazione delle censure avverso gli atti di ammissione e esclusione entro trenta giorni dalla pubblicazione (oggi dalla concreta disponibilità degli atti, corredati dalla motivazione) ai sensi dell'art. 29,comma1 del Codice (TAR Lazio, Roma, sez. I-bis, 8 febbraio 2017, n. 2118). Un'altra parte della giurisprudenza, confermando la predetta interpretazione, ha aggiunto che non è possibile trarre diversi argomenti dal comma 6-bis dell'art. 120 c.p.a., che, nel contemplare espressamente la possibilità di proporre “ricorso incidentale”, potrebbe far propendere per la permanenza del potere di articolare in sede di gravame incidentale, vizi afferenti l'ammissione alla gara del ricorrente principale anche dopo il decorso del termine fissato dal comma 2-bis. In tal senso, è stato osservato che la suddetta disposizione in realtà debba intendersi riferita ai gravami incidentali che hanno ad oggetto, non vizi di legittimità del provvedimento di ammissione alla gara, ma un diverso oggetto (ad es. lex specialis ove interpretata in senso presupposto dalla ricorrente principale), giacché, diversamente opinando, «si giungerebbe alla conclusione non coerente con il disposto di cui al comma 2-bis di consentire l'impugnazione dell'ammissione altrui oltre il termine stabilito dalla novella legislativa (…) Dunque si violerebbe il comma 2-bis citato e, soprattutto, la ratio sottesa al nuovo rito superspeciale» (TAR Campania, Napoli, sez. I, 13 giugno 2017, n. 3226). Tale tesi è stata, seppure in un obiter, condivisa dall'Adunanza Plenaria, nella citata sentenza 26 aprile 2018, n. 4, laddove ha evidenziato che il co. 6-bis dell'art. 120 c.p.a. si riferisce in realtà ai soli gravami incidentali che hanno ad oggetto, non vizi di legittimità del provvedimento di ammissione alla gara, ma vizi di altri atti (es. lex specialis, ove interpretata in senso presupposto dalla ricorrente principale), poiché, “diversamente opinando, si giungerebbe alla conclusione non coerente con il disposto di cui al comma 2 bis di consentire l'impugnazione dell'ammissione altrui oltre il termine stabilito dalla novella legislativa: per tal via si violerebbe il comma 2 bis citato e, soprattutto, la ratio sottesa al nuovo rito superspeciale che, come sottolineato dal Consiglio di Stato (parere n. 782/2017 sul decreto correttivo al codice degli appalti pubblici) è anche quello di “neutralizzare per quanto possibile …l'effetto “perverso” del ricorso incidentale (anche in ragione della giurisprudenza comunitaria e del difficile dialogo con la Corte di Giustizia in relazione a tale istituto)”.

Un diverso orientamento, precendente alla pronuncia della suddetta Adunanza Plenaria (Consiglio di Stato,Sez. III, 10 novembre 2017, n. 5182) aveva invece affermato che il dies a quo per proporre il ricorso incidentale avverso l'ammissione di altro concorrente dalla gara decorre, in applicazione del principio dettato dall'art. 42, comma 1, c.p.a., dalla notifica del ricorso principale e non dalla conoscenza del provvedimento di ammissione pubblicato sul profilo del committente. Tale orientamento è stato confermato da Cons. St., Sez., III, 27 marzo 2018, n. 1902. Tale ultima pronuncia, sulla base della natura meramente difensiva e conservativa del ricorso incidentale, ha dichiarato inammissibile la parte del ricorso incidentale in cui si contestava (seppur nel termine di 30 giorni dalla pubblicazione del provvedimento di cui all'art. 29, comma 1 del Codice) l'ammissione alla gara di un concorrente diverso dal ricorrente principale. Tale sentenza ha precisato che l'impugnazione dell'atto di ammissione di un concorrente diverso dal ricorrente principale, se priva di profili di connessione rispetto all'impugnazione dell'atto contestato in via principale, deve essere proposta con un “autonomo ricorso principale”.

Orientamenti a confronto: mini-rito e motivi aggiunti

È controversa l'ammissibilità nell'ambito del giudizio instaurato ai sensi dell'art. 120,comma2-bis e 6-bis, c.p.a., dei motivi aggiunti cd. “impropri” con cui il ricorrente contesti l'aggiudicazione ottenuta dallo stesso concorrente di cui aveva precedentemente impugnato l'ammissione alla gara.

Orientamento minoritario

Dopo la proposizione del ricorso contro l'ammissione/l'esclusione è ammissibile la proposizione di motivi aggiunti contro l'aggiudicazione. In tal caso il rito si converte in “speciale” ai sensi dell'art. 32 c.p.a.

TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 19 gennaio 2017, n. 434

Il TAR Campania, sviluppando l'indirizzo giurisprudenziale del TAR Bari n. 1367/2016 (v. orientamenti a confronto: mini-rito e impugnazione dell'aggiudicazione) richiamato, ammette la proposizione del ricorso per motivi aggiunti avverso l'aggiudicazione, evidenziando che «non appare logico, né utile ai fini delle ragioni di economia processuale, precludere l'impugnativa di quest'ultimo provvedimento con motivi aggiunti. Anzi appare del tutto contrario ai principi di economia e concentrazione processuale, oltre che foriero di possibili contrasti tra giudicati, sostenere che il provvedimento di aggiudicazione sopravvenuto debba necessariamente essere impugnato con ricorso autonomo e che le due impugnative non possano confluire in un unico giudizio». A sostegno della suddetta interpretazione, il Collegio richiama il principio generale della cumulabilità delle azioni connesse e soggette a riti diversi, sancito dall'art. 32,comma 1, c.p.a., ai sensi del quale “È sempre possibile nello stesso giudizio il cumulo di domande connesse proposte in via principale o incidentale. Se le azioni sono soggette a riti diversi, si applica quello ordinario, salvo quanto previsto dal Titolo V del Libro IV”, unitamente all'art. 43 c.p.a. che “prevede il principio, anch'esso generale, della proponibilità dei motivi aggiunti per l'impugnativa dei nuovi atti connessi con quelli del giudizio già in corso, contemplando altresì che, se la domanda nuova è stata proposta con ricorso separato davanti allo stesso tribunale, il giudice provvede alla riunione dei ricorsi” Quanto al rito applicabile in queste ipotesi, ovverosia in presenza di impugnative di atti inerenti alla medesima procedura di gara di appalto, ma assoggettate a riti con un diverso grado di specialità, il Collegio dispone la conversione nel rito speciale.

Orientamento maggioritario

Il rito “super-speciale” è un circuito processuale autonomo il cui ambito è circoscritto all'impugnazione delle sole ammissioni e esclusioni. Non è quindi ammissibile proporre motivi aggiunti contro l'aggiudicazione. Nella suddetta ipotesi non è comunque applicabile l'art. 32 c.p.a. in quanto tale disposizione non comprende l'ipotesi di conversione tra riti entrambi “speciali”

Del tutto opposta la conclusione raggiunta dal TAR Lazio (Roma, Sez. I-bis, ord. 20 gennaio 2017, n. 1026), che, pur apprezzandone le argomentazioni, si è motivatamente discostata dal suddetto orientamento evidenziando “l'irritualità” di un ricorso per motivi aggiunti diretto ad ampliare il petitum puntualmente circoscritto dall'art. 120, comma 2-bis, c.p.a. Dal punto di vista testuale il TAR evidenzia che la lettura coordinata del novellato art. 120, comma 7, c.p.a., (laddove “esclude quanto previsto dal comma 2-bis” dall'impugnazione con motivi aggiunti degli atti successivi della procedura di gara), “con il precedente comma 6-bis”, (laddove consente il rinvio della camera di consiglio ovvero dell'udienza pubblica a seguito della proposizione anche di “motivi aggiunti”) legittima la proposizione solo dei motivi aggiunti introduttivi di “nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte” (cd. motivi aggiunti “propri” La suddetta interpretazione trova ulteriore sostegno, sotto il profilo teleologico, nella circostanza che l'introduzione del rito super-speciale è stato ispirato “dall'obiettivo di porre fine ad alcune distorsioni registratesi nella prassi del contenzioso sui contratti pubblici”, con la conseguenza che ammettere «l'esame contestuale di censure dirette nei confronti tanto dei provvedimenti di ammissione, quanto di quello dell'aggiudicazione, non necessariamente coincidenti e proposte in un unico ricorso, ancorché integrato da motivi aggiunti, va, di fatto, ad esautorare e vanificare la portata della novella legislativa, ottenendo, appunto, il medesimo risultato che si verificava sotto il previgente regime, con la proposizione di un ricorso incidentale escludente avverso l'aggiudicazione»; risultato che il legislatore ha, invece, voluto evitare. L'ordinanza, dopo aver concluso che il legislatore ha “inteso rinunciare [nell'ambito del rito super-speciale] ad avvalersi dello strumento dei motivi aggiunti”, non ha tuttavia dichiarato l'inammissibilità dei motivi aggiunti riconoscendo un'ipotesi di errore scusabile (art. 37 c.p.a.).

Casistica: mini-rito e dies a quo per la proposizione dell'appello

Cons. St., Sez. V, 31 marzo 2017, n. 1501

La sentenza ha affermato che, ai sensi del comma 6-bis dell'art. 120 c.p.a., (in base al quale «l'appello deve essere proposto entro trenta giorni dalla comunicazione o, se anteriore, notificazione della sentenza e non trova applicazione il termine lungo decorrente dalla sua pubblicazione») il termine per la proposizione dell'appello decorre dalla ricezione dell'avviso dell'avvenuto deposito della decisione, inviato alle parti costituite dalla Segreteria dell'Ufficio giudiziario, senza che sia necessaria la comunicazione integrale della sentenza, comunque immediatamente reperibile sul sito della giustizia amministrativa.

Viene evidenziato che dall'art. 89, comma 3, c.p.a., rubricato “Pubblicazione e comunicazione della sentenza” si desume la coincidenza della “comunicazione” della sentenza, cui fa riferimento anche il predettocomma6-bis, con l'avviso inviato dalla suddetta Segreteria e non con la comunicazione dell'integrale testo della stessa.

La sentenza esclude che la predetta soluzione sia smentita da altre disposizioni del c.p.a. che prevedono:

(i) la comunicazione del testo integrale della sentenza, peraltro alla sola Amministrazione emanante l'atto impugnato, in quanto le stesse sono da intendersi circoscritte alla sola materia elettorale (art. 129, comma7; art. 130, comma 8; art. 131, comma 4);

(ii) la comunicazione del decreto di fissazione dell'udienza, giacché tale provvedimento si limita a contenere la data oggetto di comunicazione (art. 71, comma 5);

(iii) la comunicazione dell'ordinanza che dispone la verificazione, in quanto il suddetto provvedimento è trasmesso al solo organismo verificatore, che, non essendo parte del processo, non potrebbe altrimenti venirne a conoscenza con i mezzi telematici (art. 66, comma2).

Il Collegio precisa, infine, che l'inapplicabilità del termine “lungo”, ancorché “dimidiato”, di tre mesi alle impugnazioni delle sentenze rese in base a ricorsi introdotti secondo il rito “super-speciale”, è «perfettamente ragionevole e compatibile con la ratio fortemente acceleratoria che caratterizza il regime processuale delle esclusioni ed ammissioni ai procedimenti di gara».

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