Partenariato pubblico privato

Ruggiero Dipace
01 Maggio 2020

La nozione legislativa dei contratti di partenariato pubblico privato (PPP) è contenuta nell'art. 3, lett. eee), d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici. Per la prima volta nel nostro ordinamento la nozione è stata prevista dall'art. 3, comma 15-ter, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 che tuttavia non prevedeva una disciplina generale di questa categoria negoziale).
Inquadramento

Contenuto in fase di aggiornamento autorale di prossima pubblicazione

La nozione legislativa dei contratti di partenariato pubblico privato (PPP) è contenuta nell'art. 3, lett. eee), d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici. Per la prima volta nel nostro ordinamento la nozione è stata prevista dall'art. 3, comma 15-ter, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 che tuttavia non prevedeva una disciplina generale di questa categoria negoziale).

Secondo il codice i contratti di partenariato pubblico privato sono quei contratti che a titolo oneroso con i quali una o più stazioni appaltanti conferiscono a uno o più operatori economici per un periodo determinato in funzione della durata dell'ammortamento dell'investimento o delle modalità di finanziamento fissate, un complesso di attività consistenti nella realizzazione, trasformazione, manutenzione e gestione operativa di un'opera in cambio della sua disponibilità, o del suo sfruttamento economico, o della fornitura di un servizio connesso all'utilizzo dell'opera stessa, con assunzione di rischio secondo modalità individuate nel contratto, da parte dell'operatore.

Il contratto di partenariato, quindi, può avere a oggetto anche la progettazione di fattibilità tecnico ed economica nonché la progettazione definitiva delle opere e dei servizi. In tal senso rappresenta una eccezione alla regola posta dal nuovo codice secondo la quale è fatto divieto di affidamento congiunto della progettazione e dell'esecuzione di lavori (è stato, quindi, vietato l'appalto integrato, art. 59 del codice del 2016).

Il nuovo codice dei contratti prevede per la prima volta una disciplina specifica di carattere generale con riferimento a questa categoria negoziale (art. 179 e ss.)

Dalla definizione codicistica si evince che quella del partenariato pubblico privato è categoria negoziale che si contrappone nettamente a quella dell'appalto che vede il soggetto privato coinvolto nella sola realizzazione dell'opera.

Tale schema negoziale trova il suo campo di utilizzo privilegiato per la realizzazione delle opere che si definiscono calde o “self liquidating”, ossia che prevedono tariffe da far pagare all'utente, appetibili, quindi, per il soggetto privato. Tra le opere c.d. “calde” si potrebbero annoverare impianti sportivi o ricreativi, opere idriche, opere marittime, lacustri o fluviali, opere concernenti la viabilità ed i trasporti (metropolitane, autostrade, parcheggi), opere concernenti l'energia (centrali elettriche, impianti di cogenerazione), impianti di smaltimento di rifiuti solidi urbani ed industriali, opere turistico alberghiere (teatri, alberghi, terme). Sono opere che, in quanto tariffabili sono in grado di generare flussi di cassa tali da remunerare gli investimenti effettuati dal privato. Tali opere costituiscono l'opposto delle opere c.d. “fredde” in cui la funzione sociale è predominante e, di conseguenza, non è possibile applicare tariffe per far fronte ai bisogni dell'utenza se non in misura irrisoria. Queste opere non sono in grado di generare un flusso di cassa tale da consentire il rimborso degli investimenti effettuati e, per questa ragione, non riescono ad interessare nessun investitore privato. La remunerazione, in questo caso, è il pagamento di un prezzo da parte della pubblica amministrazione (si pensi alla costruzione di carceri, scuole o ospedali). Ma vi possono essere anche opere “tiepide”, per le quali il soggetto pubblico fornisce un contributo per la esecuzione, ma che possono, comunque, generare un flusso di capitali tale da risultare appetibili per l'operatore privato. In questi casi, la contribuzione pubblica ha un ruolo accessorio rispetto alla remunerazione dell'opera da parte dei proventi della gestione. Il codice prevede la possibilità che anche queste opere possano essere oggetto di contratti di partenariato pubblico privato.

Infatti, l'art. 180, comma 2 del nuovo codice prevede che i ricavi di gestione dell'operatore economico possono anche provenire dal canone riconosciuto dall'ente concedente e/o da qualsiasi altra forma di contropartita economica ricevuta dal medesimo operatore economico, anche sotto forma di introito diretto della gestione del servizio ad utenza esterna.

Attraverso questi contratti è possibile per le pubbliche amministrazioni affrontare interventi imprescindibili ed onerosi anche in situazioni deficitarie di bilancio ricorrendo all'apporto di imprenditori privati sia come finanziatori sia come partner tecnici in quanto possono offrire il proprio know how per la realizzazione ed la gestione di un'opera o di un servizio.

Il “libro verde sulle partnership di tipo pubblico-privato e sul diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni” (Com/2004/0327) ha individuato gli elementi fondamentali di un'operazione di partenariato pubblico privato, posti poi alla base dell'inquadramento legislativo dell'istituto.

Il primo elemento è rappresentato dalla durata relativamente lunga della collaborazione tra il soggetto pubblico e il soggetto privato. Una tale durata è sintomatica della volontà delle parti di porre in essere una effettiva collaborazione. Il secondo attiene alle modalità di finanziamento del progetto. Il privato può garantire la copertura finanziaria con operazioni complesse coinvolgenti una pluralità di soggetti, anche pubblici, purché non manchi l'apporto del capitale privato. Il terzo è dato dal ruolo dell'operatore economico che partecipa alle varie fasi del progetto (ideazione, progettazione, realizzazione, attuazione e finanziamento), laddove l'amministrazione individua l'interesse pubblico da perseguire, stabilisce gli standards di qualità dei servizi, definisce la politica dei prezzi e delle tariffe e, infine, vigila sul raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Il quarto è quello della ripartizione dei rischi tra il soggetto pubblico e il soggetto privato: al privato vengono trasferiti i rischi che solitamente ricadono sul soggetto pubblico al quale, invece, spetta la funzione di vigilanza. In proposito, bisogna specificare che non è necessario che tutti i rischi vengano accollati al soggetto privato. La ripartizione, infatti, va effettuata caso per caso, a seconda delle concrete capacità delle parti attraverso la negoziazione delle clausole contrattuali.

Vi possono esser varie tipologie di partenariato pubblico privato: quello contrattuale o quello istituzionalizzato. Il partenariato contrattuale è quello che si fonda sul legame convenzionale tra soggetto pubblico e soggetto privato. In esso sono stati ricompresi gli istituti della concessione, sia di lavori pubblici sia di servizi nonché le operazioni di project financing. Mentre per partenariato istituzionalizzato, si identifica la cooperazione tra soggetto privato e soggetto pubblico all'interno di una entità distinta. Vengono in rilievo le nuove formule organizzative basate sulla costituzione di società miste finalizzate alla gestione dei servizi pubblici.

Le nuove direttive del 2014 non si sono occupate in via generale di partenariato pubblico privato ma la direttiva 2014/23/EU disciplina in modo compiuto il contratto di concessione sia di lavori sia, per la prima volta, di servizi. Dal punto di vista generale assumono particolare rilevanza le precisazioni della nuova normativa in materia di allocazione in capo al privato del rischio operativo, aspetto dirimente per distinguere il contratto di concessione da quello di appalto. L'art. 5, comma 1, della direttiva prescrive che: «l'aggiudicazione di una concessione di lavori o di servizi comporta il trasferimento al concessionario di un rischio operativo legato alla gestione dei lavori o dei servizi, comprendente un rischio sul lato della domanda o sul lato dell'offerta, o entrambi. Si considera che il concessionario assuma il rischio operativo nel caso in cui, in condizioni operative normali, non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione. La parte del rischio trasferita al concessionario comporta una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita dal concessionario non sia puramente nominale o trascurabile». Tale precisazione è in linea con quanto richiesto dal diritto comunitario in materia di PPP, ossia che il privato si assuma sostanzialmente e non formalmente il rischio dell'operazione mentre la pubblica amministrazione deve assumere il rischio c.d. “amministrativo”, costituito da eventi riconducibili alla sua diretta responsabilità. La direttiva, quindi, fuga ogni dubbio circa il fatto che non è più consentito ai concessionari e agli istituti finanziatori e alla pubblica amministrazione di prevedere forme di attenuazione o eliminazione del proprio rischio, restituendolo alla amministrazione concedente.

Da questo punto di vista il nuovo codice dei contratti, prevedendo una disciplina quadro del partenariato pubblico privato contiene precisazioni di rilievo circa la ripartizione del rischi e le procedure di affidamento del contratto.

Le ragioni dello sviluppo del partenariato in Italia: le esigenze di bilancio e la modernizzazione gestionale delle pubbliche amministrazioni

Le conseguenze positive per i bilanci delle pubbliche amministrazioni e il miglioramento della qualità delle infrastrutture e dei servizi sono le ragioni fondamentali dello sviluppo del partenariato anche in Italia. Anzi, l'utilizzo del partenariato rappresenta una scelta quasi obbligata per porre in essere una efficace politica di realizzazione delle infrastrutture e dei servizi. Altro fattore di impulso alla costruzione di una categoria autonoma del partenariato pubblico privato è dato dal percorso di modernizzazione organizzativa e gestionale intrapreso negli ultimi anni dalle pubbliche amministrazioni. Questa evoluzione, tra l'altro, ha portato al lento ma progressivo inserimento, in ambito pubblicistico, di principi e criteri economico aziendali, opportunamente adattati (il c.d. new public management), nonché all'affermarsi della concezione della amministrazione di risultato. I capisaldi sui quali si fonda questa teoria della organizzazione e della gestione delle pubbliche amministrazioni consistono nella promozione delle logiche del mercato nel settore dei servizi pubblici, con conseguente favore per i criteri sostanziali rispetto agli elementi formali delle gare ad evidenza pubblica; nel ricorso alle esternalizzazioni, per cui il servizio non viene più erogato dalle pubbliche amministrazioni, bensì affidato a soggetti esterni tramite contratti che individuano la qualità, la quantità dei servizi, il costo, i sistemi di controllo, le penali e lasciano al soggetto esterno l'autonomia e la responsabilità di gestire il servizio; nell'introduzione di sistemi di valutazione e di misurazione, come gli indicatori di efficacia dei servizi e dell'economicità della gestione, e di sistemi innovativi di verifica e controllo, che consentono di acquisire informazioni utili sui settori che non funzionano correttamente. Per quanto concerne l'attività delle pubbliche amministrazioni, il merito di questa nuova concezione è stato di porre in evidenza che il coinvolgimento del privato nella produzione e gestione del servizio pubblico è indispensabile per rendere efficiente ed efficace l'erogazione dello stesso e per realizzare consistenti risparmi economici.

Il ruolo del principio di sussidiarietà nel come fondamento del PPP

Un rilevante contributo all'affermazione del partenariato pubblico privato nell'ordinamento italiano è stato fornito dalla previsione del principio di sussidiarietà. Tale principio indica, in via generale, un arretramento dell'intervento pubblico ed una contemporanea espansione degli spazi riservati ai soggetti privati (art. 118 Cost.) Viene in rilievo la sussidiarietà intesa nella sua concezione “orizzontale”, con riferimento al particolare rapporto tra lo Stato ed i cittadini, sia come singoli sia nelle loro formazioni sociali, per cui l'intervento statale è ridotto al minimo a vantaggio della sempre più ampia autonomia riconosciuta ai privati nello svolgimento di compiti pubblici. Nell'alveo del principio di sussidiarietà si possono far rientrare vari fenomeni come quello della privatizzazione di alcuni settori, della liberalizzazione di attività, della soppressione di funzioni pubbliche non più utili e dell'esternalizzazione di funzioni e compiti pubblici, quando ciò renda più efficace, efficiente e migliore la attività amministrativa. Soprattutto inteso in quest'ultimo senso il principio di sussidiarietà orizzontale costituisce un punto di riferimento al quale il partenariato pubblico privato può rivolgersi per trovare un solido ancoraggio. Ed invero, pur esternalizzando compiti e funzioni la pubblica amministrazione ne rimane la titolare, ma rende partecipe il privato dell'esercizio della stessa, proprio nell'ottica di favorire la collaborazione ed il trasferimento di responsabilità che costituiscono il proprium del partenariato. Un chiaro esempio di questo modo di intendere il principio di sussidiarietà si può trarre dalla disciplina positiva della finanza di progetto, principale espressione del partenariato pubblico privato: il soggetto privato può intervenire nella fase di programmazione delle opere pubbliche suggerendo gli interventi e le opere da inserire nel programma triennale (art. 128, d.lgs. 163 del 2006). In questo modo il privato diviene uno dei centri decisionali della politica infrastrutturale e, di conseguenza, compartecipa alla definizione degli obiettivi della pubblica amministrazione. Infatti, il programma triennale delle opere pubbliche non si deve considerare attività meramente interna, tesa solo alla programmazione finanziaria ed alla razionalizzazione della spesa, ma è attività fondamentale di individuazione degli obiettivi concreti da raggiungere da parte degli organi di governo dell'ente pubblico, cui corrisponde la facoltà di verifica dei cittadini, singoli o associati, sulla congruità delle scelte effettuate. Inoltre, al soggetto privato, una volta aggiudicata la concessione, vengono trasferite tutte le responsabilità relative ai compiti, anch'essi pubblici, in quanto inerenti alla prestazione di servizi ad essi affidati nei confronti della collettività. Alla amministrazione rimane il compito di vigilare sulla corretta realizzazione dell'iniziativa e sulla gestione del servizio pubblico.

Il PPP contrattuale

Dall'art. 3 del codice del 2016 emerge che la categoria del partenariato contrattuale sia caratterizzata da una certa flessibilità, confermata anche da quanto previsto dall'art. 180, comma 8: tale norma, infatti, prevede che fanno parte del partenariato contrattuale, la finanza di progetto, la locazione finanziaria, la concessione di costruzione e gestione, la concessione di servizi, il contratto di disponibilità e ogni altra procedura di realizzazione in partenariato di opere e servizi con le caratteristiche sopra indicate.

La circostanza che il codice preveda un elenco aperto di contratti appartenenti al PPP induce a ritenere che proprio per tale categoria contrattuale le pubbliche amministrazioni possano individuare schemi negoziali atipici per realizzare una valida collaborazione con il privato.

L'utilizzo di contratti atipici da parte della pubblica amministrazione è ammesso in via generale dall'ordinamento. Anche se non vi è una disciplina specifica in merito alle modalità di affidamento di questi contratti, la pubblica amministrazione non è svincolata da qualsiasi regola a tale proposito. Se in astratto le pubbliche amministrazioni hanno la capacità giuridica generale e, quindi, possono utilizzare tutti gli strumenti che l'ordinamento mette loro a disposizione, in concreto il loro agire risulta vincolato dall'interesse pubblico. Quindi, sebbene l'intervento si realizzi attraverso un contratto innovativo come quelli di partenariato, si è pur sempre in presenza di attività amministrativa, soggetta ad alcuni principi generali imprescindibili. Infatti, la pubblica amministrazione non può mai sfuggire al principio di funzionalizzazione della propria attività e il contratto non può mai porsi in contrasto con le finalità istituzionali dell'ente. In questo senso, la pubblica amministrazione deve sempre rispettare il principio di individuazione del proprio partner a seguito di procedure competitive, benché queste non siano state espressamente disciplinate. Viene in rilievo, pertanto, un nucleo di principi comuni, soprattutto di derivazione comunitaria, che fungono da indispensabile guida per le attività di scelta del partner tecnico della amministrazione. Una volta rispettati questi principi fondamentali, il resto della attività può essere oggetto della negoziazione delle parti. In questa successiva attività, comunque, le parti devono sempre tener presente la funzionalizzazione dell'intervento alla realizzazione di un interesse pubblico.

Problemi applicativi

In materia di contratti atipici della pubblica amministrazione viene in rilievo l'art. 4 d.lgs. n. 50 del 2016 relativo ai contratti esclusi dall'applicazione del codice. Tale norma prevede che l'affidamento dei contratti pubblici esclusi dall'ambito di applicazione del codice avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell'ambiente ed efficienza energetica.

In via generale la giurisprudenza ha chiarito che non sussiste alcuna identità tra il principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi e quello di tipicità dei contratti, per cui se in forza del principio di legalità alla pubblica amministrazione è consentita l'adozione dei soli provvedimenti che costituiscono l'espressione di una specifica attribuzione di potere, non per ciò le è negata la generale libertà di contrattare ai sensi dell'art. 1322 c.c., sicché essa può avvalersi delle figure negoziali tipiche previste dalla legge ed anche concludere contratti atipici, purché diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela non confliggenti con le finalità istituzionali. Da ciò deriva che nessuna censura può esser mossa alla amministrazione perché il negozio, che essa intende stipulare, non corrisponde ad una figura o ad un “nomen juris” tipici e predeterminati dal codice civile. L'aggiudicazione di tali contratti deve avvenire nel rispetto delle regole procedurali pubblicistiche circa la formazione della volontà negoziale e l'individuazione del contraente, ai sensi dei parametri di buon andamento e imparzialità di cui all'art. 97 Cost. (Cons. St., Sez. VI, 16 luglio 2015, n. 3571; giurisprudenza costante, si veda anche Cons. St., sez. IV, 4 dicembre 2001, n. 6073).

(Segue). Le norme del nuovo codice in materia di partenariato contrattuale

Il nuovo codice dei contratti contiene una disciplina generale in materia di partenariato contrattuale e ciò rappresenta una novità rispetto alla precedente disciplina che si limitava alla individuazione della nozione. Ciò induce a ritenere che tale disciplina possa riguardare anche i contratti atipici di partenariato.

L'art. 179 del d.lgs. n. 50 del 2016 individua in via generale le norme che sono applicabili alle procedure di affidamento richiamando anche la disciplina circa l'individuazione delle soglie di rilevanza comunitaria. Quest'ultima disposizione è particolarmente rilevante considerato che in precedenza proprio con riferimento ai contratti non tipizzati di partenariato contrattuale non si era mai effettuata una distinzione in relazione alle modalità di affidamento sopra e sotto la soglia comunitaria. Il codice si occupa di precisare, sulla scorta di quanto previsto dalla direttiva comunitaria in materia di concessioni sopra richiamata, le modalità di allocazione dei rischi. In particolare l'art. 180, comma 2, prevede che il trasferimento del rischio in capo all'operatore economico comporta l'allocazione a quest'ultimo, oltre che del rischio di costruzione, anche del rischio di disponibilità o del rischio di domanda dei servizi resi, per il periodo di gestione dell'opera. Tali tipologie di rischi sono descritti dall'art. 3 del codice. Per rischio di costruzione si intende il rischio legato al ritardo nei tempi di consegna, al non rispetto degli standard di progetto, all'aumento dei costi, a inconvenienti di tipo tecnico nell'opera e al mancato completamento dell'opera (art. 3, comma 1, lett. aaa); per rischio di disponibilità si intende il rischio legato alla capacità, da parte del concessionario, di erogare le prestazioni contrattuali pattuite, sia per volume che per standard di qualità previsti (art. 3, comma 1, lett. bbb); per rischio di domanda si intende il rischio legato ai diversi volumi di domanda del servizio che il contraente deve soddisfare, ovvero il rischio legato alla mancanza di utenza e quindi di flussi di cassa (art. 3, comma 1, lett. ccc). Con il contratto di partenariato pubblico privato sono disciplinati anche i rischi, incidenti sui corrispettivi, derivanti da fatti non imputabili all'operatore economico.

A fronte della disponibilità dell'opera o della domanda di servizi, l'amministrazione aggiudicatrice può scegliere di versare un canone all'operatore economico che è proporzionalmente ridotto o annullato nei periodi di ridotta o mancata disponibilità dell'opera, nonché ridotta o mancata prestazione dei servizi. Per la disponibilità l'amministrazione può anche corrispondere una differente utilità, pattuita ex ante, ovvero rimette la remunerazione del servizio allo sfruttamento diretto della stessa da parte dell'operatore economico, che pertanto si assume il rischio delle fluttuazioni negative di mercato della domanda del servizio medesimo.

L'operazione di partenariato si fonda sul raggiungimento dell'equilibrio economico finanziario da parte del privato (definito dall'art. 3, comma 1 lett. fff), come la contemporanea presenza delle condizioni di convenienza economica e sostenibilità finanziaria. Per convenienza economica si intende la capacità del progetto di creare valore nell'arco dell'efficacia del contratto e di generare un livello di redditività adeguato per il capitale investito; per sostenibilità finanziaria si intende la capacità del progetto di generare flussi di cassa sufficienti a garantire il rimborso del finanziamento). La norma di cui all'art. 180, comma 6 prevede che la pubblica amministrazione possa pagare un prezzo consistente in un contributo pubblico o nella cessione di beni immobili che non assolvono più alla funzione di interesse pubblico e il contributo può consistere anche in un diritto di godimento su determinati beni purché siano strumentali all'opera da affidare in concessione. Il pagamento del prezzo può contribuire a garantire l'equilibrio economico finanziario ma, per non snaturare il contratto di partenariato il prezzo o la contribuzione pubblica non può mai superare il trenta per cento del costo dell'investimento effettuato dal privato (l'art. 191 del codice prevede in via generale che il bando di gara possa prevedere a titolo di corrispettivo il trasferimento all'affidatario della proprietà di beni immobili appartenenti all'amministrazione aggiudicatrice).

È essenziale per la sottoscrizione del contratto che il privato documenti la disponibilità del finanziamento necessario per avviare l'operazione in partenariato con la pubblica amministrazione.

L'art. 181 chiarisce che l'affidamento dei contratti di partenariato debba avvenire attraverso procedure a evidenza pubblica indicando tra queste anche il dialogo competitivo. Quest'ultima procedura si caratterizza per essere particolarmente flessibile e, quindi, adatta alla aggiudicazione di contratti di partenariato, anche atipici, in quanto sono gli stessi candidati che concorrono a definire i profili contrattuali e non la pubblica amministrazione a predeterminarli.

Lo schema di procedura delineato dall'art. 181 prevede che l'affidamento possa avere a oggetto la progettazione oppure debba avvenire ponendo a base di gara il progetto definitivo, lo schema de contratto il piano economico finanziario che disciplinano l'allocazione dei rischi fra le parti. Quindi la scelta avviene sulla base dell'analisi della domanda e dell'offerta, della sostenibilità economico-finanziaria e economico-sociale dell'operazione, alla natura e alla intensità dei diversi rischi presenti. Tale valutazione può essere effettuata attraverso strumenti di comparazione per verificare la convenienza del ricorso a forme di partenariato pubblico privato in alternativa alla realizzazione diretta tramite normali procedure di appalto (PSC public sector comparator)

Con riferimento all'attività di esecuzione dell'interventi viene previsto che la pubblica amministrazione eserciti il controllo anche attraverso la predisposizione e applicazione di sistemi di monitoraggio, verificando in particolare la permanenza in capo all'operatore economico dei rischi trasferiti. Le modalità di tale attività di monitoraggio saranno definite da linee guida adottate dall'ANAC.

Infine, il codice prevede norme su finanziamento del contratto che può avvenire anche tramite operazioni di finanza di progetto o attraverso il conferimento di asset patrimoniali pubblici e privati. Si prevede anche la possibilità di ridefinire le condizioni per il raggiungimento dell'equilibrio economico finanziario nell'ipotesi in cui si verifichino fatti non riconducibili all'operatore economico purché vengano mantenuti intatti i rischi trasferiti all'operatore economico. La revisione può essere sottoposta alla valutazione da parte del Nucleo di consulenza per l'attuazione delle linee guida per la regolazione dei servizi di pubblica utilità (NARS).

Il partenariato istituzionalizzato

Il partenariato pubblico privato istituzionalizzato si identifica con il tema delle società miste.

La materia è stata oggetto di svariate riforme ed è destinata a breve ad essere nuovamente disciplinata. Infatti l'art. 18, l. 7 agosto 2015, n. 124, ha delegato il Governo ad intervenire sulla disciplina delle partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche, al fine di assicurare la chiarezza delle regole, la semplificazione normativa e di garantire la tutela e promozione del fondamentale principio della concorrenza. L'intento del legislatore è quello di prevedere un'organica disciplina della materia che in passato è stata oggetto di previsioni confuse e frammentarie che hanno provocato inevitabili problemi interpretativi.

Le amministrazioni pubbliche non possono costituire società non possono costituire società per finalità differenti da quelle di interesse pubblico non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, nè assumere o mantenere direttamente o indirettamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società (art. 3, comma 27, l. 24 dicembre 2007, n. 244, finanziaria 2008, norma ripresa dalla bozza di decreto legislativo sulle società partecipate in corso di approvazione). Di conseguenza, l'art. 1, comma 611, l. 23 dicembre 2014, n. 190, ha prescritto alle regioni, alle province autonome di Trento e di Bolzano, agli enti locali, alle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, alle università e agli istituti di istruzione universitaria pubblici e alle autorità portuali, di avviare un processo di razionalizzazione anche tramite l'eliminazione delle società e delle partecipazioni societarie non indispensabili al perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche mediante messa in liquidazione o cessione”.

Nel nostro ordinamento, quindi, vige una norma imperativa che — esprimendo un principio già in precedenza immanente nel sistema — pone un chiaro limite all'esercizio dell'attività di impresa pubblica rappresentato dalla funzionalizzazione al perseguimento anche dell'interesse pubblico (Cons. St., sez. VI, 20 marzo 2012, n. 1574). La conseguenza di questa norma è che sono ammesse tanto le società che producono servizi di interesse generale e prestano servizi pubblici locali, quanto società strettamente strumentali.

Problemi applicativi

La giurisprudenza ha affrontato varie volte il tema della costituzione di società miste da parte delle pubbliche amministrazioni. Recentemente, ha chiarito che le università, aventi finalità di insegnamento e di ricerca, possono dare vita a società, nell'ambito della propria autonomia organizzativa e finanziaria, solo per il perseguimento dei propri fini istituzionali, in virtù di un principio che si desume dall'ordinamento, ora codificato dall'art. 3, comma 27, l. n. 244 del 2007, secondo il quale in assenza disposizioni normative specifiche, le amministrazioni pubbliche (ivi comprese le università) non possono costituire società commerciali il cui campo di attività esuli dall'ambito delle relative finalità istituzionali, al fine di evitare che soggetti dotati di privilegi operino in mercati concorrenziali. Tale principio è conforme anche alla disciplina comunitaria (art. 106 TFUE, già art. 86 TCE) che stabilisce il divieto per gli stati membri di emanare o mantenere, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, misure contrarie alle disposizioni dei trattati, con particolare riguardo a quelle in tema di tutela della concorrenza e divieto di erogazione di aiuti di Stato (Cons. St., Ad. plen., 3 giugno 2011, n. 10).

(Segue). L'applicazione alle società miste della legge 241 del 1990 e del regime pubblicistico delle assunzioni

Il legislatore ha attuato una decisiva spinta verso la pubblicizzazione delle società sottoponendole a norme sempre più stringenti. Infatti, l'art. 1, comma 1-ter, l. 7 agosto 1990, n. 241 prevede che i soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative siano soggetti ai criteri e ai principi della legge sul procedimento. Più rigida è la norma di cui all'art. 29 che prescrive l'applicazione delle norme della legge (e non dei soli criteri e principi) alle società con totale o prevalente capitale pubblico limitatamente all'esercizio delle funzioni amministrative.

La volontà di pubblicizzare tali soggetti emerge anche dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, di conversione del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, all'art. 18 che prevede l'adozione di procedure improntate ai principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità per il reclutamento del personale.

(Segue). Danno erariale

In materia di società partecipate uno dei problemi più rilevanti è rappresentato dalla imputabilità o meno del danno erariale agli amministratori delle stesse per mala gestio e, quindi, quello di individuare la connessa giurisdizione. La Corte di Cassazione ha precisato, dopo numerose incertezze, che la giurisdizione in ordine all'azione di risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazione pubblica per effetto di condotte illecite degli amministratori o dei dipendenti è del giudice ordinario. In tal caso, infatti, avuto riguardo all'autonoma personalità giuridica della società, non è possibile configurabile, né un rapporto di servizio tra l'agente e l'ente pubblico titolare della partecipazione, né un danno direttamente arrecato allo Stato o ad altro ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione della Corte dei conti. Mentre la giurisdizione della Corte dei conti sussiste quando l'azione di responsabilità trovi fondamento nel comportamento di chi, quale rappresentante dell'ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio, in tal modo pregiudicando il valore della partecipazione, ovvero in comportamenti tali da compromettere la ragione stessa della partecipazione sociale dell'ente pubblico, strumentale al perseguimento di finalità pubbliche ed implicante l'impiego di risorse pubbliche, o da arrecare direttamente pregiudizio al suo patrimonio (Cass civ., Sez. un., 9 marzo 2012, n. 3692).

Una diversa conclusione è stata raggiunta per le società in house. Per queste, infatti, non si può configurare un rapporto di alterità tra l'ente pubblico partecipante e la società che ad esso fa capo, per cui anche la distinzione tra il patrimonio dell'ente e quello della società si può porre in termini di separazione patrimoniale, ma non di distinta titolarità. Da ciò deriva che il danno eventualmente inferto al patrimonio da atti illegittimi degli amministratori, cui possa aver contribuito un colpevole difetto di vigilanza imputabile agli organi di controllo, è arrecato ad un patrimonio (separato, ma pur sempre) riconducibile all'ente pubblico. Si tratta di un danno erariale, che giustifica l'attribuzione alla Corte dei Conti della giurisdizione sulla relativa azione di responsabilità (Cass.civ., Sez. Un., 25 novembre 2013, n. 26283).

(Segue). Individuazione del socio privato e affidamento del servizio

Ulteriore problema è quello relativo alle modalità di scelte del socio privato e dell'affidamento del servizio al quale è funzionale la costituzione della società. Il punto di equilibrio raggiunto dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale è consistito nel ritenere ammissibile l'affidamento diretto di un servizio a una società mista a condizione che la gara per la scelta del socio privato della società affidataria sia stata espletata nel rispetto degli artt. 43 e 49 del Trattato Ce, nonché dei principi di parità di trattamento, di non discriminazione e di trasparenza e che i criteri di scelta del socio privato si riferiscano non solo al capitale da quest'ultimo conferito, ma anche alle capacità tecniche di tale socio e alle caratteristiche della sua offerta in considerazione delle prestazioni specifiche da fornire, in guisa da potersi inferire che la scelta del concessionario risulti indirettamente da quella del socio medesimo (Cons. St., Sez. V, 2 marzo 2015, n. 992; Corte cost., 16 luglio 2014, n. 199).

La gara “a doppio oggetto” non viola i principi comunitari, in quanto, pur nell'incertezza derivante dall'abrogazione dell'art. 23-bis, d.l. 25 giugno 2008, n. 112, che aveva individuato le modalità per l'affidamento dei servizi pubblici locali, in esito al referendum la società mista è una delle molteplici forme attraverso le quali può svilupparsi il partenariato pubblico-privato ed una disciplina di dettaglio all'interno della normativa nazionale non è necessaria, in quanto l'istituto, pur non essendo tipizzato, è conforme al diritto comunitario ed è subordinato ai principi di parità di trattamento, non discriminazione e trasparenza (Comunicazione della Commissione del 19 novembre 2009 COM-2009-615; Risoluzione del Parlamento Europeo del 18 maggio 2010; C. Giust. sezione III 15 ottobre 2009 C-196/08, Acoset, punti 60-63).

Sommario