Il libro IV del nuovo codice dei contratti pubblici (d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36) è dedicato al partenariato pubblico-privato (“Del partenariato pubblico privato e delle concessioni”).
La nozione legislativa del partenariato pubblico privato è contenuta nell'art. 174 del Codice.
Inquadramento
La relazione illustrativa al codice evidenzia un ribaltamento sistematico del precedente impianto normativo, in quanto le disposizioni generali sui PPP vengono prima della disciplina delle figure contrattuali tipiche, come la concessione, il project financing, la locazione finanziaria e il contratto di disponibilità.
Il PPP implica una collaborazione stabile tra il pubblico e il privato. Pur restando distinguibili la sfera pubblica e la sfera privata, si instaura un rapporto rivolto “a coniugare il perseguimento di finalità di interesse generale, la salvaguardia di vincoli di bilancio e la valorizzazione del contributo di soggetti privati in termini di apporto finanziario e di competenze specifiche” (pag. 205 della relazione illustrativa).
Non si tratta di un istituto giuridico a sé stante, unitario, bensì di un'operazione economica che può assumere varie vesti giuridiche, contraddistinta però da alcuni elementi, individuati dalla riforma nella instaurazione di un “rapporto contrattuale” di lungo periodo tra P.A. e privati mirante al raggiungimento di un risultato di interesse pubblico attraverso un progetto comune al quale i privati contribuiscano reperendo una parte significativa delle risorse necessarie a realizzarlo e assumendone gestione e rischio operativo, mentre la parte pubblica ne definisce gli obiettivi e ne verifica l'attuazione.
Attraverso questi contratti è possibile per le pubbliche amministrazioni affrontare interventi onerosi anche in situazioni deficitarie di bilancio, ricorrendo all'apporto di imprenditori privati, sia come finanziatori, sia come partner tecnici in grado di offrire il proprio know how per la realizzazione e la gestione di un'opera o di un servizio di interesse pubblico.
L'art. 174, co. 1, nel delineare le caratteristiche del PPP riprende gli elementi fondamentali di un'operazione di partenariato pubblico privato individuati a livello europeo nel “libro verde sulle partnership di tipo pubblico-privato e sul diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni” (Com/2004/0327), posti poi alla base dell'inquadramento legislativo del fenomeno.
Il primo elemento è rappresentato dalla durata relativamente lunga della collaborazione tra il soggetto pubblico e il soggetto privato. Una tale durata è sintomatica della volontà delle parti di porre in essere una effettiva collaborazione. Il secondo attiene alle modalità di finanziamento del progetto. Il privato può garantire la copertura finanziaria con operazioni complesse coinvolgenti una pluralità di soggetti, anche pubblici, purché non manchi l'apporto del capitale privato. Il terzo è dato dal ruolo dell'operatore economico che partecipa alle varie fasi del progetto (ideazione, progettazione, realizzazione, attuazione e finanziamento), laddove l'amministrazione individua l'interesse pubblico da perseguire, stabilisce gli standards di qualità dei servizi, definisce la politica dei prezzi e delle tariffe e, infine, vigila sul raggiungimento degli obiettivi prefissati. Il quarto è quello della ripartizione dei rischi tra il soggetto pubblico e il soggetto privato: al privato vengono trasferiti i rischi operativi che solitamente ricadono sul soggetto pubblico al quale, invece, spetta la funzione di vigilanza. In proposito, bisogna specificare che non è necessario che tutti i rischi vengano accollati al soggetto privato. La ripartizione, infatti, va effettuata caso per caso, a seconda delle concrete capacità delle parti, attraverso la negoziazione delle clausole contrattuali.
Il codice dei contratti distingue il PPP contrattuale da quello cd. istituzionale. Quest'ultimo si ha in presenza di un soggetto partecipato congiuntamente dalla parte privata e da quella pubblica, tipicamente una società di capitali, e resta disciplinato dal t.u. delle società partecipate (d.lgs. n. 175/2016). Nel PPP contrattuale, disciplinato dal Codice, l'operazione economica si attua mediante figure contrattuali tipiche o atipiche. Tra quelle tipiche, la concessione è il modello principale, la cui disciplina è suppletiva per tutte le altre forme di PPP contrattuale, sia quelle già tipizzate (project financing, locazione finanziaria, contratto di disponibilità), sia quelle atipiche. Alle norme sulla concessione occorre dunque rifarsi, ove non diversamene previsto, per l'affidamento, l'esecuzione, l'allocazione del rischio, la durata del contratto, la determinazione delle soglie e la stima del valore del contratto. Le figure atipiche comprendono ogni altro accordo stipulato tra la P.A. e i privati che configuri un'operazione economica avente i caratteri sopra descritti, purché diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela. Nella nuova disciplina, dunque, il partenariato è il genus e la concessione è la species.
Il Codice dei contratti si occupa anche del PPP sociale (art. 201), attuativo della sussidiarietà cd. orizzontale (art. 118, co. 4, Cost.). Si intende dare certezza giuridica a figure negoziali, come il baratto amministrativo, idonee a realizzare interessi generali o attività utili per le collettività territoriali di riferimento, ad esempio per l'uso dei i cd. beni comuni. E' ambito contiguo a quello disciplinato dal codice del terzo settore, con il quale andrà ricercato il coordinamento.
Problemi applicativi
Il codice dei contratti consente alle amministrazioni di ricorrere a figure contrattuali atipiche di PPP e non solo ai contratti previsti dal codice purché “diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela” (art. 175, co.3), ribadendo così il principio di atipicità e non esclusività delle forme contrattuali partenariali.
Si opera così un rinvio alla capacità generale di diritto privato, cioè di agire utilizzando gli strumenti privatistici anche se, quando agisce con questi strumenti, la PA conserva la cura dell'interesse pubblico. L'operazione giuridico economica sottostante resta permeata dal pubblico interesse.
L'utilizzo di contratti atipici da parte della pubblica amministrazione è ammesso in via generale dall'ordinamento. Anche se non vi è una disciplina specifica in merito alle modalità di affidamento di questi contratti, la pubblica amministrazione, a tale proposito, non è svincolata da qualsiasi regola. Se in astratto le pubbliche amministrazioni hanno la capacità giuridica generale e, quindi, possono utilizzare tutti gli strumenti che l'ordinamento mette loro a disposizione, in concreto il loro agire risulta vincolato dall'interesse pubblico. Quindi, sebbene l'intervento si realizzi attraverso un contratto innovativo come quelli di partenariato, si è pur sempre in presenza di attività amministrativa, soggetta ad alcuni principi generali imprescindibili. La pubblica amministrazione non può mai sfuggire al principio di funzionalizzazione della propria attività e il contratto non può mai porsi in contrasto con le finalità istituzionali dell'ente. In questo senso, la pubblica amministrazione deve sempre rispettare il principio di individuazione del proprio partner a seguito di procedure ad evidenza pubblica, benché queste non siano state espressamente disciplinate. Viene in rilievo, pertanto, un nucleo di principi comuni, soprattutto di derivazione eurounitaria, che fungono da indispensabile guida per le attività di scelta del partner tecnico della amministrazione. Una volta rispettati questi principi fondamentali, il resto della attività può essere oggetto della negoziazione delle parti. In questa successiva attività, comunque, le parti devono sempre tener presente la funzionalizzazione dell'intervento alla realizzazione di un interesse pubblico.
In via generale la giurisprudenza ha chiarito che non sussiste alcuna identità tra il principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi e quello di tipicità dei contratti, per cui, se in forza del principio di legalità alla pubblica amministrazione è consentita l'adozione dei soli provvedimenti che costituiscono l'espressione di una specifica attribuzione di potere, non per ciò le è negata la generale libertà di contrattare ai sensi dell'art. 1322 c.c., sicché essa può avvalersi delle figure negoziali tipiche previste dalla legge ed anche concludere contratti atipici, purché diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela non confliggenti con le finalità istituzionali. Da ciò deriva che nessuna censura può esser mossa alla amministrazione perché il negozio, che essa intende stipulare, non corrisponde ad una figura o ad un “nomen juris” tipici e predeterminati dal codice civile.
L'aggiudicazione di tali contratti deve avvenire nel rispetto delle regole procedurali pubblicistiche circa la formazione della volontà negoziale e l'individuazione del contraente, ai sensi dei parametri di buon andamento e imparzialità di cui all'art. 97 Cost. (Cons. St., Sez. VI, 16 luglio 2015, n. 3571; giurisprudenza costante, si veda anche Cons. St., sez. IV, 4 dicembre 2001, n. 6073).
Gli strumenti di PPP appaiono particolarmente appetibili per le pubbliche amministrazioni e per i privati avendo anche un consistente potenziale mercato.
Infatti, il Senato, in un documento di analisi del 2018 sul mercato del PPP, definito come "mercato potenziale e complementare per alimentare il fabbisogno di investimenti per le opere pubbliche", aveva rilevato come lo stesso fosse in espansione, poiché da 300 bandi nel 2002, si è arrivati a 3000 nel 2016, mobilitando risorse per più di 88 miliardi di euro, utilizzato in modo particolare dai Comuni per finanziare infrastrutture e servizi (circa l'80% dei bandi è in capo a loro).
Per gli enti comunali, i PPP rappresentano un'occasione per rilanciare gli investimenti, avendo pochi spazi di manovra e dovendo fare i conti con i vincoli di bilancio.
Tra le criticità evidenziate: tempi lunghi tra pubblicazione del bando e aggiudicazione della gara, scarse capacità tecniche di progettazione delle stazioni appaltanti, che determinano bandi annullati o gare non aggiudicate per irregolarità.
Proprio per evidenziare che il partenariato necessita di competenze specifiche, i relativi contratti possono essere stipulati solo da enti concedenti qualificati ai sensi dell'art. 63.
La Corte dei Conti Europa (“Partenariati pubblico-privato nell'UE: carenze diffuse e benefici limitati”, Relazione speciale n. 09/2018) aveva evidenziato come per attuare i partenariati è “necessaria una notevole capacità amministrativa, e che quest'ultima può essere garantita solo tramite quadri istituzionali e normativi adeguati e tramite una vasta esperienza. La Corte ha constatato che, attualmente, tali condizioni sussistono solo in pochissimi Stati membri: ciò contrasta con l'accresciuta insistenza dell'UE sul ricorso più ampio ed esteso all'effetto-leva tra fondi pubblici e fondi privati”.
Programmazione e valutazioni di fattibilità e convenienza
Il nuovo codice ha introdotto una serie di disposizioni per la “programmazione, valutazione preliminare, controllo e monitoraggio” dei progetti (art. 175).
La P.A. adotta un «programma triennale delle esigenze pubbliche idonee ad essere soddisfatte attraverso forme di partenariato pubblico-privato». Il programma assicura trasparenza verso gli operatori economici, gli investitori istituzionali e la comunità. La sua preparazione dovrebbe stimolare iniziative private e favorire il dibattito pubblico sui progetti di maggior impatto sociale.
Il ricorso al PPP è preceduto da una valutazione di convenienza e fattibilità, concentrata «sull'idoneità del progetto a essere finanziato con risorse private e sulla possibilità di ottimizzare il rapporto costi e benefici, nonché sull'efficiente allocazione del rischio operativo, sulla capacità di generare soluzioni innovative, sulla capacità di indebitamento dell'ente e sulla disponibilità di risorse sul bilancio pluriennale». E' essenziale per il successo dell'operazione, fuori dai casi di iniziative no-profit, che tale valutazione di fattibilità contempli anche il riscontro di adeguata remunerazione degli investimenti privati, sui quali ricadono rischi e oneri della gestione.
Al fine di coadiuvare le amministrazioni nelle attività di maggiore rilevanza economica, si prevede che per progetti statali, per i quali non sia già previsto che si esprima il CIPESS, gli enti concedenti richiedono parere preventivo sulla valutazione preliminare al CIPESS, sentito il Nucleo di consulenza per l'attuazione delle linee guida per la regolazione dei servizi di pubblica utilità, se l'importo dei lavori o dei servizi è pari o superiore a 250 milioni di euro; mentre si richiede al DIPE se l'importo è compreso tra 50 e 250 milioni di euro.
I pareri devono essere richiesti prima della pubblicazione del bando di gara o della dichiarazione di fattibilità, a seconda che si tratti di progetti a iniziativa pubblica o privata (art. 175, co.3).
Al DIPE possono rivolgersi anche regioni ed enti locali, in funzione consultiva.
Per garantire un controllo qualitativo e quantitativo dell'esecuzione del contratto di PPP, il codice prevede la nomina di un responsabile unico del progetto di PPP, con compiti di coordinamento e di controllo e che l'ente concedente controlli che il rischio operativo resti sull'operatore economico.
Al DIPE è affidato il monitoraggio dei PPP.
Come evidenziato dalla relazione illustrativa, lo scopo è aumentare il ricorso al PPP da parte di tutti gli attori, rendendolo più attraente sotto i profili della certezza del diritto, del riparto dei rischi, della specializzazione degli enti concedenti, con riduzione del c.d. “rischio regolatorio”.
I contratti di concessione
Il codice dei contratti disciplina le concessioni di lavori e servizi negli articoli da 176 a 192, riordinando e chiarendo, senza stravolgimenti, la materia, con particolare attenzione alle regole europee, in particolare la direttiva UE 2014/23, in ossequio al criterio di delega che prevede il “perseguimento di obiettivi di stretta aderenza alle direttive europee” (lett. a).
Secondo la relazione illustrativa, la Parte II del libro IV del codice dei contratti rappresenta l'attuazione “della direttiva 2014/23/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, a cui si deve l'introduzione, per la prima volta, di una disciplina armonizzata della materia”.
La direttiva 2014/23/EU disciplina in modo compiuto il contratto di concessione sia di lavori sia, per la prima volta, di servizi.
L'art. 176 chiarisce che la disciplina trova applicazione anche alle concessioni di servizi economici di interesse generale, rimanendo esclusi i servizi non economici di interesse generale in quanto estranei alle dinamiche di mercato (art. 181).
La definizione di concessione si trova negli allegati al codice: “contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto a pena di nullità in virtù dei quali una o più amministrazioni aggiudicatrici o uno o più enti aggiudicatori affidano l'esecuzione di lavori o la fornitura e la gestione di servizi a uno o più operatori economici, ove il corrispettivo consista unicamente nel diritto di gestire i lavori o i servizi oggetto dei contratti o in tale diritto accompagnato da un prezzo” (all. I.1, art. 2, co. 1, lett. c).
La concessione rientra, come operazione economica, nel più ampio genus del partenariato pubblico-privato di tipo contrattuale, per il quale il nuovo codice ha dettato le disposizioni generali all'inizio del Libro IV. Le disposizioni sulla concessione rappresentano disciplina suppletiva per tutti gli accordi di partenariato (art. 174, co. 3).
Mentre la definizione del contratto di concessione si trova negli allegati al codice, il codice stesso specifica i connotati dell'operazione economica sottostante, distintivi rispetto all'appalto. Elemento discriminate è la traslazione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla realizzazione dei lavori o alla gestione dei servizi. Il rischio operativo, rilevante ai fini della qualificazione dell'operazione economica come concessione, è quello che deriva da fattori al di fuori del controllo delle parti, restando irrilevanti i rischi connessi a cattiva gestione, a inadempimenti contrattuali dell'operatore economico o a causa di forza maggiore.
Il codice chiarisce che il rischio dal lato della domanda, in particolare per le concessioni dove i ricavi per il concessionario derivano da prestazioni rese agli utenti, è quello “associato alla domanda effettiva di lavori o servizi che sono oggetto del contratto”, mentre dal lato dell'offerta, in particolare dove sia la p.a. a ricevere la prestazione, è “il rischio associato all'offerta dei lavori o servizi che sono oggetto del contratto, in particolare il rischio che la fornitura di servizi non corrisponda al livello qualitativo e quantitativo dedotto in contratto”.
Possono ricondursi, quindi, allo schema concessorio tanto i progetti dove i ricavi, e il rischio, del concessionario derivano dalle prestazioni richieste dall'utenza (domanda dei terzi) che permettano la remunerazione dell'investimento, senza apporti finanziari della p.a., quanto i progetti (es., ospedali) per i quali il privato che li realizza e gestisce fornisce direttamente servizi alla p.a., dalla quale è remunerato, assumendo il rischio collegato al fatto che il corrispettivo viene erogato solo a fronte della disponibilità dell'opera ed è declinato attraverso un sistema che lo riduca proporzionalmente o annulli nei periodi di ridotta o mancata disponibilità dell'opera, di ridotta o mancata prestazione dei servizi, oppure in caso di mancato raggiungimento dei livelli qualitativi e quantitativi della prestazione. “Le variazioni del corrispettivo devono, in ogni caso, essere in grado di incidere significativamente sul valore attuale netto dell'insieme dell'investimento, dei costi e dei ricavi” (art. 177, co. 4)
Fuori da queste due ipotesi, se l'operazione economica progettata non può, oggettivamente, raggiungere l'equilibrio economico-finanziario, è possibile un intervento pubblico di sostegno (un contributo finanziario, prestazione di garanzie o cessione di beni immobili o di altri diritti), purché il privato non sia sollevato da ogni rischio attraverso la garanzia di ricavi pari o superiore agli investimenti effettuati e ai costi da sostenere in relazione all'esecuzione del contratto.
Il comma 4 dell'art. 177 chiarisce se la concessione possa avere ad oggetto oltre che le “opere calde”, anche quelle “fredde” e “tiepide”. Si definiscono calde, o “self liquidating”, le opere che prevedono tariffe da far pagare all'utente, appetibili, quindi, per il soggetto privato. Tra le opere c.d. “calde” si potrebbero annoverare impianti sportivi o ricreativi, opere idriche, opere marittime, lacustri o fluviali, opere concernenti la viabilità ed i trasporti (metropolitane, autostrade, parcheggi), opere concernenti l'energia (centrali elettriche, impianti di cogenerazione), impianti di smaltimento di rifiuti solidi urbani ed industriali, opere turistico alberghiere (teatri, alberghi, terme). Sono opere che, in quanto tariffabili sono in grado di generare flussi di cassa tali da remunerare gli investimenti effettuati dal privato. Tali opere costituiscono l'opposto delle opere c.d. “fredde” in cui la funzione sociale è predominante e, di conseguenza, non è possibile applicare tariffe per far fronte ai bisogni dell'utenza se non in misura irrisoria. Queste opere non sono in grado di generare un flusso di cassa tale da consentire il rimborso degli investimenti effettuati e, per questa ragione, non riescono ad interessare nessun investitore privato. La remunerazione, in questo caso, è il pagamento di un prezzo da parte della pubblica amministrazione (si pensi alla costruzione di carceri, scuole o ospedali). Ma vi possono essere anche opere “tiepide”, per le quali il soggetto pubblico fornisce un contributo per la esecuzione, ma che possono, comunque, generare un flusso di cassa tale da risultare appetibili per l'operatore privato. In questi casi, la contribuzione pubblica ha un ruolo accessorio rispetto alla remunerazione dell'opera da parte dei proventi della gestione.
Concessione, equilibrio economico e contribuzione pubblica
Dopo la disciplina di soglia e metodi di calcolo del valore stimato delle concessioni e dei contratti misti aventi per oggetto sia lavori che servizi, il codice si occupa del procedimento per l'aggiudicazione, che implica attività di congrua programmazione.
L'assetto di interessi configurato dal rapporto di concessione deve infatti assicurare l'equilibrio economico-finanziario, intendendosi per tale la presenza delle condizioni di convenienza economica e sostenibilità finanziaria dell'operazione economica progettata. L'equilibrio economico-finanziario sussiste quando i ricavi attesi del progetto sono in grado di coprire i costi operativi e i costi di investimento, di remunerare e rimborsare il capitale di debito e di remunerare il capitale di rischio.
Una novità del nuovo codice è l'eliminazione della regola per cui il contributo pubblico non poteva superare il 49%, cd. tetto che “sembrava rilevante ai fini della stessa configurazione del tipo contrattuale” e trovava origine nell'impatto che tali contratti a lungo termine potevano avere sulla finanza pubblica, alla luce delle condizioni che Eurostat aveva indicato nel 2004 perché potessero essere classificati off-balance, con le relative conseguenze sulla loro contabilizzazione in bilancio e sul debito pubblico.
Nel nuovo codice il vincolo, dal punto di vista della qualificazione dell'operazione ai fini della disciplina del contratto come concessione, è superato, con la precisazione tuttavia che “l'eventuale riconoscimento di un contributo pubblico, in misura superiore alla percentuale indicata nelle decisioni Eurostat e calcolato secondo le modalità ivi previste, non ne consente la contabilizzazione fuori bilancio” (art. 177, co. 7). La relazione al codice sottolinea peraltro che il superamento della percentuale di contribuzione pubblica “… non esclude però che, ricorrendo comunque gli elementi della fattispecie contrattuale, l'operazione economica possa essere qualificata concessoria ai fini dell'applicazione della relativa normativa sulle procedure di aggiudicazione e di esecuzione”.
La contribuzione pubblica, comunque, non può sollevare l'operatore economico da qualsiasi perdita potenziale, garantendogli un ricavo minimo pari o superiore agli investimenti effettuati e ai costi che deve sostenere in relazione all'esecuzione del contratto. Nel caso in cui si verifichi questa ipotesi, non si tratta più di concessione ma di appalto e, quindi, deve essere applicata la relativa disciplina. Inoltre, nel caso in cui la contribuzione pubblica elida l'alea della concessione, la relativa operazione non potrà essere contabilizzata “fuori bilancio”, facendo venir meno uno dei vantaggi più consistenti dell'utilizzo degli strumenti di partenariato pubblico privato.
La durata della concessione non ha limiti prestabiliti dalla legge (come, invece, accadeva in passato, allorché era previsto che potesse avere una durata trentennale). Infatti, l'art. 177 del codice dei contratti prevede che questa sia determinata dal bando di gara in funzione dei lavori o servizi richiesti al concessionario e sia commisurata al valore della concessione e alla complessità organizzativa dell'oggetto della stessa. Comunque, la durata non può essere superiore al periodo di tempo necessario al recupero degli investimenti da parte del concessionario e alla remunerazione del capitale investito come da piano economico finanziario.
Avendo le concessioni natura contrattuale anche ad esse devono applicarsi i principi dell'evidenza pubblica (così come per tutti i contratti di partenariato pubblico privato). Le procedure di affidamento della concessione sono caratterizzate da notevoli elementi di flessibilità (artt. 182 e ss. del codice).
Si prevede in via generale che almeno un progetto di fattibilità sia posto a base di gara, disponendo che sarà poi l'aggiudicatario a predisporre il successivo livello progettuale.
Il Codice non individua espressamente le tipologie di procedure da utilizzare. Ciò significa che l'amministrazione può calibrare come meglio crede la procedura di aggiudicazione in relazione all'oggetto del contratto. Certamente l'aggiudicazione deve avvenire sulla base della pubblicazione di un bando e secondo criteri predeterminati. In tal senso, vista anche la complessità del negozio da aggiudicare sarebbe preferibile per l'amministrazione utilizzare procedure flessibili che consentano il dialogo con i concorrenti come avviene nelle procedure negoziate o nel dialogo competitivo (art. 183, c. 7, codice).
Il Codice introduce la disciplina degli affidamenti delle concessioni “sottosoglia”, cioè il cui valore sia inferiore a 5.382.000 euro (soglia di cui all'art. 14, co. 1, lett. a, richiamato dall'art. 187), rideterminato, a decorrere dal 1° gennaio 2024, in 5.538.000 euro (reg. UE 2023/2495 e reg. UE 2023/2497 che modificano, rispettivamente la dir. 2014/24/UE e 2014/23/UE).
In queste ipotesi si può utilizzare la procedura negoziata, senza la pubblicazione di un bando di gara, consultando, laddove esistenti, un minimo di 10 operatori economici. Questi sono individuati sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici, rispettando un criterio di rotazione degli inviti. Si tratta di una facoltà dell'ente concedente che potrà comunque affidare gli stessi contratti di concessione tramite le procedure di gara ordinarie (art. 187).
Bandi, allegati, schema di contratto e piano economico finanziario, devono garantire “adeguati livelli di bancabilità intendendosi per tali la reperibilità sul mercato finanziario di risorse proporzionate ai fabbisogni, la sostenibilità di tali fonti e la congrua redditività del capitale investito” (art. 182, co. 5).
Anche per gli appalti affidati dai concessionari si prevede l'applicazione delle norme sull'evidenza pubblica. Il nuovo codice prevede che i concessionari scelti senza gara affidano mediante procedura ad evidenza pubblica una quota tra il cinquanta per cento e il sessanta per cento dei contratti (art. 186, c. 2, codice). La quota di lavori, servizi e forniture da esternalizzare viene stabilita convenzionalmente dal concedente e dal concessionario sulla base di alcuni indici (dimensioni economiche e caratteri dell'impresa; epoca di assegnazione della concessione; durata residua; oggetto; valore economico; entità degli investimenti effettuati). Sono, quindi, le parti che modulano caso per caso la quota di appalti da esternalizzare sulla base delle specificità delle concessioni.
Le ragioni dello sviluppo del partenariato in Italia: le esigenze di bilancio e la modernizzazione gestionale delle pubbliche amministrazioni
Le conseguenze positive per i bilanci delle pubbliche amministrazioni e il miglioramento della qualità delle infrastrutture e dei servizi sono le ragioni fondamentali dello sviluppo del partenariato anche in Italia. Anzi, l'utilizzo del partenariato rappresenta una scelta quasi obbligata per porre in essere una efficace politica di realizzazione delle infrastrutture e dei servizi. Altro fattore di impulso alla costruzione di una categoria autonoma del partenariato pubblico privato è dato dal percorso di modernizzazione organizzativa e gestionale intrapreso negli ultimi anni dalle pubbliche amministrazioni. Questa evoluzione, tra l'altro, ha portato al lento ma progressivo inserimento, in ambito pubblicistico, di principi e criteri economico aziendali, opportunamente adattati (il c.d. new public management), nonché all'affermarsi della concezione della amministrazione di risultato. I capisaldi sui quali si fonda questa teoria della organizzazione e della gestione delle pubbliche amministrazioni consistono nella promozione di logiche di mercato nel settore dei servizi pubblici, con conseguente favore per i criteri sostanziali rispetto agli elementi formali delle gare ad evidenza pubblica; nel ricorso alle esternalizzazioni, per cui il servizio non viene più erogato dalle pubbliche amministrazioni, bensì affidato a soggetti esterni tramite contratti che individuano la qualità, la quantità dei servizi, il costo, i sistemi di controllo, le penali e lasciano al soggetto esterno l'autonomia e la responsabilità di gestire il servizio; nell'introduzione di sistemi di valutazione e di misurazione, come gli indicatori di efficacia dei servizi e dell'economicità della gestione, e di sistemi innovativi di verifica e controllo, che consentono di acquisire informazioni utili sui settori che non funzionano correttamente. Per quanto concerne l'attività delle pubbliche amministrazioni, il merito di questa nuova concezione è stato di porre in evidenza che il coinvolgimento del privato nella produzione e gestione del servizio pubblico è indispensabile per rendere efficiente ed efficace l'erogazione dello stesso e per realizzare consistenti risparmi economici.
Inoltre, occorre considerare che nell'attuale momento storico per fronteggiare il susseguirsi di emergenze (crisi finanziaria, pandemia, eventi bellici, questione energetica), si assiste ad un ritorno della centralità della PA. Ci si prepara ad una ridefinizione dei rapporti tra pubblico e privato e alla mobilitazione di risorse, anche private, per il conseguimento di risultati di interesse collettivo. L'efficacia degli interventi del PNRR richiede che la PA disponga di strumenti giuridici per la collaborazione con il settore privato, nella fase di progettazione, di finanziamento e di esecuzione dei progetti. La combinazione delle risorse europee, statali e private dovrebbe fungere da moltiplicatore per il rilancio economico e sociale.
Nella relazione illustrativa al codice si auspica un aumento del ricorso al PPP. Si intende offrire «un quadro chiaro del riparto dei rischi; sul piano della specializzazione degli enti concedenti, a cui è stata data la possibilità di avvalersi di un organismo consultivo; sul piano della maggiore flessibilità e semplificazione delle procedure (anche attraverso la digitalizzazione); attraverso la riduzione del c.d. rischio regolatorio; prestando maggiore attenzione agli aspetti legati all'esecuzione del PPP». Si tenga conto che al contempo l'ISTAT registra un decremento delle partecipate pubbliche, probabilmente per effetto del quadro normativo restrittivo introdotto a fronte di alcuni eccessi nell'utilizzo di uno strumento giuridico che l'esperienza ha dimostrato non essere del tutto idoneo a soddisfare esigenze di programmazione e controllo delle iniziative economiche per i quali è stato impiegato.
Il partenariato istituzionalizzato
Il partenariato pubblico privato istituzionalizzato si identifica con il tema delle società miste.
La materia è disciplinata dall'art. 17 del Decreto legislativo n. 175 del 2016 rubricato “Società a partecipazione mista pubblico-privata” secondo il cui primo e sesto comma: “1. Nelle società costituite per le finalità di cui all'articolo 4, comma 2, lettera c), la quota di partecipazione del soggetto privato non può essere inferiore al trenta per cento e la selezione del medesimo si svolge con procedure di evidenza pubblica a norma dell'articolo 5, comma 9, del decreto legislativo n. 50 del 2016 e ha a oggetto, al contempo, la sottoscrizione o l'acquisto della partecipazione societaria da parte del socio privato e l'affidamento del contratto di appalto o di concessione oggetto esclusivo dell'attività della società mista. […] … 6. Alle società di cui al presente articolo che non siano organismi di diritto pubblico, costituite per la realizzazione di lavori o opere o per la produzione di beni o servizi non destinati ad essere collocati sul mercato in regime di concorrenza, per la realizzazione dell'opera pubblica o alla gestione del servizio per i quali sono state specificamente costituite non si applicano le disposizioni del decreto legislativo n. 50 del 2016, se ricorrono le seguenti condizioni: a) la scelta del socio privato è avvenuta nel rispetto di procedure di evidenza pubblica; b) il socio privato ha i requisiti di qualificazione previsti dal decreto legislativo n. 50 del 2016 in relazione alla prestazione per cui la società è stata costituita; c) la società provvede in via diretta alla realizzazione dell'opera o del servizio, in misura superiore al 70% del relativo importo”.
Il Consiglio di Stato, citando la definizione del Libro Verde della Commissione sopra citato osserva che “l'affidamento di un servizio pubblico ad una società mista, seppure costituente un modello apparentemente alternativo alla “concessione” (intesa nel senso ristretto e formalistico di “provvedimento” costitutivo, traslativo o derivativo-costitutivo), a ben riflettere non si pone in radicale antitesi con il più generale e variegato fenomeno, in uno organizzatorio ed autoritativo, di tipo concessorio, qualora i tratti distintivi di quest'ultimo siano ricostruiti interpretando i dati del diritto interno al lume del formante comunitario” (Sentenza n. 3672/2005).
Nel Parere n. 456/2007 il Consiglio di Stato dopo aver preso atto che il modello della società a capitale misto pubblico privato persiste – come modello distinto dall'in house – nell'ordinamento nazionale, osserva come continui “a suscitare perplessità la piena compatibilità di tale modello con il sistema comunitario, alla stregua della recente e rapida evoluzione giurisprudenziale (che sembra ancora in corso) e stante l'assenza di decisioni specifiche sul punto” e “ritiene possibile affermare che tale compatibilità possa essere rinvenuta, alla stregua dei principi espressi, direttamente o indirettamente, dalla Corte di giustizia, quantomeno in un caso: quello in cui – avendo riguardo alla sostanza dei rapporti giuridico-economici tra soggetto pubblico e privato e nel rispetto di specifiche condizioni, non si possa configurare un “affidamento diretto” alla società mista ma piuttosto un “affidamento con procedura di evidenza pubblica” dell'attività “operativa” della società mista al partner privato, tramite la stessa gara volta alla individuazione di quest'ultimo. In altri termini, in questo caso, indicato di regola come quello del “socio di lavoro”, “socio industriale” o “socio operativo” (come contrapposti al “socio finanziario”), questo Consiglio di Stato ritiene che l'attività che si ritiene “affidata” (senza gara) alla società mista sia, nella sostanza, da ritenere affidata (con gara) al partner privato scelto con una procedura di evidenza pubblica che abbia ad oggetto, al tempo stesso, anche l'attribuzione dei suoi compiti operativi e quella della qualità di socio”.
Secondo i Giudici di Palazzo Spada ciò che distingue questa fattispecie dalle procedure di affidamento normali, si rinviene nel tipo di controllo dell'amministrazione appaltante sul privato esecutore, piuttosto che nella mancanza di una procedura di evidenza pubblica. Non si tratta più di un ordinario “controllo esterno” del soggetto pubblico, secondo i consueti paradigmi della vigilanza del committente, ma di un più significativo “controllo interno” dell'amministrazione, qualora tale strumento sia prescelto per far fronte a specifiche necessità di interesse pubblico stabilite dalla legge.
Con l'Adunanza Plenaria n. 1/2008, il Consiglio di Stato, richiamando la posizione del succitato parere “che si incentra sulla ritenuta ampia fungibilità tra lo schema funzionale della società mista e quello dell'appalto”, ribadisce che “la gestione del servizio può essere indifferentemente affidata con apposito contratto di appalto, o con lo strumento alternativo del contratto di società, costituendo apposita società a capitale misto. Nel caso del “socio di lavoro”, “socio industriale” o “socio operativo” (come contrapposti al “socio finanziario”), si è affermato che l'attività che si ritiene “affidata” (senza gara) alla società mista sia, nella sostanza, da ritenere affidata (con gara) al partner privato scelto con una procedura di evidenza pubblica, la quale abbia a oggetto, al tempo stesso, anche l'attribuzione dei suoi compiti operativi e la qualità di socio”.
Successivamente il Consiglio di Stato, ha osservato che: “che nella concessione di servizi gestita attraverso il modulo della società mista pubblico-privata, è la stessa ratio del partenariato istituzionalizzato stesso, limitato, come ogni forma di concessione di servizi, ai soli che si è scelto di affidare con gara, a circoscrivere l'attività che il partner, quale socio privato industriale/operativo della società mista, è chiamato a svolgere mediante la conduzione manageriale di quest'ultima, sicché la rispondenza tra oggetto sociale, previsto nello statuto, e bando di gara, intesa come affidamento di servizi previamente annoverati nell'oggetto sociale, è destinata a proiettarsi nel medio-lungo termine, ovvero fino alla cessazione del rapporto di partenariato”. Ha tracciato poi la differenza con il modello in house, affermando che mentre per quest'ultimo la disciplina richiede un oggetto sociale esclusivo (ex art. 4, comma 4, d.lgs. n. 175-2016), nelle società miste per la realizzazione e gestione di un'opera pubblica, ovvero per l'organizzazione e gestione di un servizio di interesse generale, l'esclusività riguarda l'attività in concreto svolta dalla società mista, individuabile tramite l'oggetto del contratto di appalto o concessione affidatole all'esito di una gara, che quindi è una gara “a doppio oggetto” (art. 17, comma 2, d.lgs. n. 175-2016), e ciò nel presupposto di previo acquisto o mantenimento di partecipazione societaria, diretta o indiretta, della P.A. esclusivamente per lo svolgimento delle attività elencate all'art. 4, comma 2, d.lgs. n. 175-2016.
Vuoi leggere tutti i contenuti?
Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter continuare a
leggere questo e tanti altri articoli.
Sommario
Programmazione e valutazioni di fattibilità e convenienza
Concessione, equilibrio economico e contribuzione pubblica