Contratti misti

Simone Falerno
Serafino Ruscica
05 Febbraio 2016

La figura dei contratti misti trova cittadinanza all'interno sia del diritto civile, sia del diritto amministrativo: nel primo ambito costituisce esercizio di autonomia privata, garantita dall'art. 1322 c.c.; nel secondo, risponde alla necessità della stazione appaltante di soddisfare una pluralità di esigenze.
Inquadramento

La figura dei contratti misti trova cittadinanza all'interno sia del diritto civile, sia del diritto amministrativo: nel primo ambito costituisce esercizio di autonomia privata, garantita dall'art. 1322 c.c.; nel secondo, risponde alla necessità della stazione appaltante di soddisfare una pluralità di esigenze.

L'istituto in esame è disciplinato agli artt. 13 e 14, d.lgs. 12 aprile 2006, n 163. In particolare, la prima norma rappresenta l'ultimo stadio di un iter evolutivo che ha portato il nostro Paese a rigettare l'impiego esclusivo del criterio economico-quantitativo al fine di determinare la disciplina applicabile al contratto. Prevale, difatti, oggi un approccio sostanzialistico che indaga la prevalenza qualitativa di una prestazione rispetto alle altre, in modo da giustificare l'operatività delle regole specifiche per essa dettate.

La citata norma viene derogata dal successivo art. 15 in relazione ai requisiti di qualificazione richiesti al partner contrattuale dell'amministrazione. La necessità che le prestazioni vengano svolte a regola d'arte ha spinto, infatti, il legislatore ad abbandonare in tal caso il criterio della prevalenza-assorbimento in favore di quello della combinazione. Ne consegue la simultanea richiesta dei requisiti necessari per svolgere tutte le prestazioni di cui si compone il contratto.

Con riferimento ai contratti misti, la nuova direttiva 2014/24 UE, intende ribadire la centralità del criterio qualitativo al fine di determinare la disciplina applicabile all'appalto misto. In tal senso, può innanzitutto valorizzarsi il disposto dell'undicesimo e del dodicesimo considerando che precisano innanzitutto la previa necessità per la stazione appaltante di verificare l'indivisibilità dell'oggetto dell'appalto, basandosi su prove oggettive, nonché su motivi di carattere sia tecnico, sia economico; ciò al fine di evitare una scelta pretestuosa ed immotivata da parte della stazione appaltante. Peraltro, ove le parti dell'appalto misto possano essere agevolmente separabili, la stazione appaltante conserva la facoltà di adottare modelli di aggiudicazione diversificati, purché parametrati sulla specificità degli appalti in considerazione.

In evidenza

Prendendo atto di tale opzione sovranazionale, la giurisprudenza amministrativa ha di recente statuito che la direttiva 2014/24 sugli appalti pubblici (che abroga la direttiva 2004/18/CE) ribadisce il criterio dell'oggetto principale del contratto (11 e 12 considerando), specificando all'art. 3, commi da 2 a 6, che se il principio della prevalenza è predicato per gli appalti le cui parti costitutive non sono separabili, qualora, invece, le stesse lo siano, le Amministrazioni giudicatrici possono decidere di aggiudicare appalti autonomi per le singole parti distinte e, in tal caso, a ognuno si applica il regime giuridico spettante secondo le loro caratteristiche ovvero aggiudicare un appalto unico(TAR Campania, Napoli, sez. V, 21 dicembre 2015, n. 5835).

La disciplina civilistica dei contratti misti

Secondo l'opinione prevalente il contratto misto rientra nel genus dei contratti atipici (art. 1322 c.c.) e si connota per la combinazione all'interno di una unitaria fattispecie negoziale di elementi appartenenti a contratti tipizzati.

La nozione di contratto misto allude, dunque, ad un'operazione di consapevole commistione tra elementi di più contratti tipici che confluiscono e si fondono in un'unica struttura contrattuale, dotata di una propria giustificazione causale, in quanto diretta alla realizzazione di un unico assetto di interessi. In ciò i contratti misti divergono dai contratti collegati, i quali non perdono, invece, l'autonomia della propria causa, nonostante lo stretto nesso che li avvince.

Allo stesso modo, si ritiene che non ricadano propriamente nella categoria dei contratti misti quelle operazioni negoziali in cui si realizzi una prestazione tipica prevalente ed un'altra del tutto marginale ed accessoria, tale da non incidere sulla struttura del contratto, che rimane quella del tipo nettamente prevalente.

Per la configurazione del contratto misto occorre che i vari elementi eterogenei che lo compongono possiedano il medesimo rilievo causale ed assumano una compenetrazione tale da impedire il raggiungimento degli interessi delle parti se non considerati unitariamente.

La riconduzione della categoria dei contratti misti nel genus dei contratti atipici rende maggiormente intellegibile la ragione per cui si ponga anche in questo caso un problema di carattere disciplinatorio. Ci si chiede, cioè, quale sia la disciplina tipica da applicare all'operazione negoziale in esame. Sul punto, nel panorama interpretativo, sono emerse essenzialmente tre tesi. Una prima, decisamente minoritaria, impostazione privilegia il criterio dell'analogia, sostenendo che il contratto debba essere assoggettato (per analogia legis appunto) alla disciplina del contratto tipico cui assomiglia maggiormente.

Una seconda tesi propugna, viceversa, la combinazione delle discipline tipiche in gioco. In tal modo, si ricorre alla contemporanea applicazione delle regolamentazioni proprie dei tipi contrattuali che costituiscono il contratto misto. Tale soluzione non è parsa, tuttavia, facilmente realizzabile, nonostante appaia maggiormente rispettosa della regolamentazione di interessi delle parti.

Per tali ragioni, l'impostazione giurisprudenziale più diffusa è quella del cd. assorbimento. Essa comporta l'applicazione della disciplina del contratto tipico che, alla luce del diverso “peso” che assumono le singole componenti nell'economia dell'operazione negoziale, appaia prevalente.

I contratti misti nel quadro del d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163

Nell'ambito del codice, come rilevato da attenta dottrina, la figura oggetto di trattazione assume delle indubitabili caratteristiche peculiari. Infatti, perlomeno nell'ipotesi di maggiore diffusione, non si tratta di combinazione di elementi di plurimi contratti tipici, bensì di un unico contratto (quello di appalto o di concessione) avente ad oggetto prestazioni di natura diversa. Può dunque affermarsi che l'art. 14, d.lgs. n.163 del 2006, si preoccupa di normare un fenomeno parzialmente diverso da quello civilistico. Nella materia de qua non si rinviene né una combinazione di schemi legali differenti, né una vera e propria atipicità, ma appunto solo la diversificazione dell'oggetto di un unico contratto di appalto o di concessione.

Da quanto detto discende, altresì, un'emancipazione della disciplina dei contratti ex art. 14 d.lgs. n 163 del 2006rispetto alle teorie elaborate dalla giurisprudenza in materia civilistica.

Per vero, l'attuale previsione normativa è il frutto di un percorso che ha visto la progressiva penetrazione nel nostro ordinamento del principio europeo di prevalenza qualitativa dell'oggetto del contratto (nel solco della tendenza del diritto europeo a valorizzare la sostanza degli istituti giuridici). Già prima dell'entrata in vigore, d.lgs. n.163 del 2006, la legge europea del 2005 era intervenuta a modificare la previgente disciplina di settore (cd. Legge Merloni) per porre rimedio alla procedura di infrazione avviata dalla Commissione Europea nei confronti del nostro Paese. La ragione della reprimenda comunitaria era appunto costituita dal fatto che il legislatore interno considerava rilevante esclusivamente il criterio della prevalenza economica dell'oggetto del contratto, obliterando qualsiasi tipo di indagine sulla prevalenza qualitativa. La versione originaria della Legge Merloni disponeva, infatti, che «nei contratti misti di lavori, forniture e servizi e nei contratti di forniture o servizi quando comprendano lavori accessori, si applicano le norme della presente legge qualora i lavori assumano valore economico superiore al cinquanta per cento» (art. 2).

Per effetto dell'intervento correttivo del legislatore, attuato con la legge n. 62 del 2005, si era aggiunto il seguente disposto: quest'ultima disposizione non si applica qualora i lavori abbiano carattere meramente accessorio rispetto all'oggetto principale dedotto nel contratto.

Già prima dell'entrata in vigore, d.lgs. n 163 del 2006, l'Italia si era dunque adeguata alle sollecitazioni sovranazionali, ponendo accanto al criterio della prevalenza economica, quello della prevalenza funzionale.

La giurisprudenza afferma, infatti, che, secondo un'interpretazione orientata al rispetto della normativa comunitaria: «il Codice dei contratti pubblici, ai fini dell'individuazione della disciplina applicabile, pur proseguendo nell'utilizzo del criterio aritmetico fondato sulla prevalenza del valore economico della prestazione (art. 14, commi 3 e 4, d.Lgs. n. 163 del 2006), ha tuttavia recepito il criterio "sostanzialistico" della prestazione, proprio del diritto comunitario, che ha poi integrato nel comma 4 dell'art. 14, con i principi - di rilievo comunitario - della tutela della concorrenza e della non discriminazione sull'affidamento dei contratti in oggetto. In definitiva, pertanto, nelle gare pubbliche, in presenza di contratti misti e al fine di stabilire a quale tipologia di appalti essi sono riconducibili, al criterio aritmetico fondato sulla prevalenza del valore economico della prestazione, contemplato dall'art. 14 comma 3 prima parte, D.Lgs n163/2006, si contrappone, con carattere preferenziale dichiarato dallo stesso comma, quello di matrice comunitaria, cd. sostanzialistico, basato sull'oggetto principale del contratto» (TAR Campania, Napoli, Sez. V, 21 dicembre 2015, n. 5835).

Nello specifico, il legislatore ha previsto che in caso di concomitante presenza di prestazioni di lavori e forniture, il contratto avrà ad oggetto la disciplina delle forniture, purché i lavori di posa in opera e di installazione assumano carattere accessorio. Qualora, invece, vi sia la prestazione di servizi unitamente a quella di forniture, si applicherà la disciplina relativa alla prestazione di maggior valore economico. Infine, nel caso di contemporanea presenza di prestazioni di servizi e lavori, si applicherà la disciplina dei primi qualora i secondi abbiano carattere accessorio.

Dalla normativa considerata emerge, pertanto, l'attuale convivenza, nel nostro ordinamento, del criterio quantitativo (considerato tradizionalmente più sicuro e meno manipolabile dal legislatore) e di quello funzionale. Tale opzione si coglie in maniera evidente dall'analisi del terzo comma dell'art. 14, il quale pone due condizioni per la prevalenza della disciplina degli appalti di lavori: innanzitutto, che essi rappresentino più del cinquanta per cento del valore del contratto; in secondo luogo, che non abbiano carattere meramente accessorio o strumentale. Il legislatore, dunque, non rinuncia all'applicazione del criterio del valore economico, ma lo integra e lo subordina a quello qualitativo. Il superamento della soglia del cinquanta per cento assume, infatti esclusivamente il ruolo di presunzione semplice, vincibile qualora emerga comunque l'accessorietà dei lavori in relazione al complessivo obiettivo perseguito con l'operazione negoziale (come nel caso di lavori di posa in opera o di stesura).

La valorizzazione del criterio funzionale opera, peraltro, anche nella prospettiva opposta, consentendo di escludere l'applicazione della disciplina sugli appalti di servizi o di forniture qualora questi ultimi, pur economicamente prevalenti, siano serventi alla realizzazione di un'opera pubblica. A tal proposito, si fa tradizionalmente l'esempio della costruzione di un ponte, che coinvolge sia forniture di materie prime anche di notevole costo, nonché plurimi servizi, quali indagini geologiche, ecc. Ebbene, se in questo caso si applicasse rigidamente il criterio economico-quantitativo, si finirebbe per applicare la disciplina degli appalti di servizi o di forniture, trascurando che in realtà l'oggetto principale del contratto è costituito pur sempre dalla realizzazione di un'opera pubblica.

Una plastica applicazione dei criteri anzidetti può scorgersi nella pronuncia del Consiglio di Stato che ha optato per la disciplina dell'appalto di servizi in relazione ad un contratto che prevedeva «la fornitura di un sistema integrato di servizi per la gestione e l'esecuzione di tutte le attività necessarie a mantenere in stato di efficienza gli impianti tecnici, idrosanitari, fognari e di climatizzazione, con l'espressa esclusione di nuove opere, fatta eccezione per gli interventi che risultino di volta in volta necessari per l'adeguamento e la riqualificazione degli impianti e delle strutture esistenti, al fine del loro corretto utilizzo»( Cons. St., Sez. III, 15 maggio 2012, n. 2805).

Il comma quarto dell'art. 14 prevede, poi, una disposizione di chiusura, la quale prescrive che, pur utilizzando il criterio della prevalenza qualitativa della prestazione, non si possa obliterare l'operatività delle pertinenti norme comunitarie, in tal modo temperando il disposto dei commi precedenti nel nome della piena garanzia della concorrenza.

Conclusivamente, va fatta una doverosa precisazione in merito al perimetro applicativo dell'art. 14. Infatti, nonostante esso faccia un iniziale riferimento ai contratti pubblici tout court, l'impostazione prevalente, guardando alle ipotesi specifiche disciplinate al comma 2, ritiene che esso riguardi essenzialmente il fenomeno degli appalti misti, in cui dunque la problematica risiede nell'individuazione della prestazione prevalente all'interno del medesimo schema contrattuale. Ciò in ragione del fatto che vi sono altre sedi in cui viene indagato il rapporto tra appalti di lavori e concessioni (art. 142 e ss. d.lgs. n 163 del 2006), nonché il tema delle concessioni di servizi (art. 30).

Quanto detto in merito alla peculiarità degli appalti misti evidenzia la necessità che l'impresa partecipante alla gara indichi in sede di offerta la componente economica relativa a tutte le prestazioni che compongono il contratto. Sul punto, la giurisprudenza amministrativa, sebbene, ad avviso di chi scrive, cadendo nell'errore concettuale dell'assimilazione di fenomeni diversi quali il contratto misto ed il collegamento negoziale, ha recentemente statuito, a conferma del proprio consolidato orientamento, che «nei contratti misti, la fusione delle cause fa si che gli elementi distintivi di ciascun negozio vengano assunti quali elementi di un negozio unico, a mezzo del quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, il che comporta che l'entità, le modalità e le conseguenze del collegamento negoziale, debbano essere considerate in relazione all'interesse perseguito dal soggetto appaltante»(TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 30 dicembre 2015, n. 2874). In presenza di un siffatto contratto misto, caratterizzato da una notevole prevalenza della componente dei servizi, si è, dunque, affermato che sarebbe stato irragionevole parametrare la base d'asta alla sola componente delle forniture.

L'art. 15 d.lgs n 163 del 2006

Si è visto poc'anzi che l'art. 14, d.lgs. n. 163 del 2006 opta per il criterio della prevalenza (nella duplice variante economica e funzionale). Viceversa, il successivo art. 15 rappresenta una vistosa deroga, poiché fa ricorso al criterio della combinazione, applicando, con riferimento ai requisiti di qualificazione, la disciplina peculiare delle prestazioni che vengono in considerazione. Così, se ci si trova di fronte ad un appalto misto di lavori e servizi, il concorrente dovrà possedere sia l'attestazione S.O.A (necessaria negli appalti di lavori) sia adeguata esperienza pregressa (che è invece l'elemento necessario di qualificazione nell'ambito degli appalti di servizi e forniture).

La scelta legislativa pare mossa dalla necessità di assicurare all'Amministrazione un partner dotato della massima affidabilità, che si mostri idoneo a realizzare a regola d'arte tutte le parti che compongono l'appalto misto.

Per questa ragione, l'Autorità di vigilanza ha stabilito che, in relazione ad un appalto misto, concernente la manutenzione degli impianti di pubblica illuminazione, l'illegittimità della mancata richiesta nel bando di gara, del possesso della qualificazione SOA necessaria per eseguire i lavori di manutenzione straordinaria (AVCP, parere28 febbraio 2008 n. 62).

La dimostrazione del possesso dei prescritti requisiti di qualificazione deve essere dunque effettuata dai concorrenti già in fase di gara, ponendosi quale pre-condizione necessaria per l'aggiudicazione del contratto.

Il principio sancito dall'art. 15 rappresenta un punto di rottura rilevante rispetto alla previgente disciplina del d.P.R. n. 34 del 2000, che considerava il possesso dell'attestazione S.O.A. requisito necessario e sufficiente nel caso di appalti di lavori pubblici, quand'anche vi fosse la concomitante presenza accessoria di altre tipologie di prestazioni. Viceversa, l'attuale disciplina afferma che non può farsi a meno dei criteri di qualificazione specifici previsti per queste ultime nonostante la prevalenza della componente lavori ai sensi dell'art. 14, comma 2, d.lgs. n. 163 del 2006.

Le concessioni miste

La medesima problematica inerente alla scelta della disciplina applicabile agli appalti misti si pone anche nel caso di concessioni miste, con specifico riferimento a quelle di costruzione e gestione di lavori e di servizi.

Per una maggiore intelligibilità della trattazione, occorre preliminarmente chiarire la differenza che intercorre tra appalti e concessioni. La differenza tra appalti e concessioni è basata sulle modalità di remunerazione del contraente e sul conseguente diverso atteggiarsi del rischio imprenditoriale (art. 3, comma 11, c.c.p.):se il rischio dell'appaltatore risiede nella eventuale inesatta valutazione dei costi necessari per realizzare l'opera o eseguire il servizio o la fornitura (essendovi un corrispettivo predeterminato a carico della stazione appaltante), nella concessione il concessionario si espone al rischio di gestione, cioè all'aleatorietà della risposta dell'utenza. In quest'ultima figura contrattuale infatti la remunerazione del contraente non viene predeterminata dall'Amministrazione ma dipende in tutto o in parte dalla gestione dell'opera o del servizio, e dunque dai canoni ottenibili dall'utenza. Tale considerazione evidenzia come il concessionario si confronti con un rischio di entità ben maggiore rispetto a quello assunto dall'appaltatore (Cons. St., Sez. VI, 4 settembre 2012, n. 4682).

In ordine alla disciplina applicabile alle concessioni, il legislatore ha previsto all'art. 142, comma 3, d.lgs. n.163 del 2006 che alle concessioni di lavori pubblici si applicano, salvo sia diversamente previsto, le disposizioni del presente codice. Con specifico riferimento alle concessioni miste, si ritiene che, nonostante la previsione dell'art. 14, d.lgs n. 163 del 2006 (come rivelato dal suo secondo comma) sia prevalentemente orientata alla disciplina del fenomeno degli appalti misti, sia nondimeno applicabile altresì alle figure in esame. Ne consegue il rilievo, anche nella materia de qua, della combinazione tra criterio di prevalenza funzionale ed economica.

La giurisprudenza ha chiarito in più di una occasione che la differenza tra le ipotesi della concessione di lavori pubblici e quella della concessione di servizi pubblici vada rinvenuta nel tipo di nesso di strumentalità che lega la gestione del servizio alla realizzazione dell'opera. Ciò con la conseguenza che «si avrà perciò concessione di costruzione ed esercizio se la gestione del servizio è strumentale alla costruzione dell'opera, in quanto diretta a consentire il reperimento dei mezzi finanziari necessari alla realizzazione, mentre si versa in tema di concessione di servizi pubblici quando l'espletamento dei lavori è strumentale, sotto i profili della manutenzione, del restauro e dell'implementazione, alla gestione di un servizio pubblico il cui funzionamento è già assicurato da un'opera esistente. Laddove infatti, l'esecuzione dei lavori si collochi all'interno di un programma complesso, rivolto alla gestione di un servizio, diretto a sua volta, a soddisfare esigenze primarie, di rilevante impatto sociale ed economico (situazioni di disagio abitativo proprie di fasce deboli della popolazione), i lavori risultano accessori e strumentali, rispetto alla gestione di strutture al servizio della collettività ( Cons. St., Ad. plen, 6 agosto 2013, n. 9).

Pertanto bisognerà verificare se la gestione del servizio sia teleologicamente orientata alla remunerazione dei lavori oppure, viceversa, i lavori siano stati realizzati per rendere più agevole ed efficiente l'espletamento del servizio. In questo senso, un indice importante sarà costituito dall'entità del canone a carico dell'utenza. Qualora questo costituisca esclusivamente un corrispettivo per le realizzazione dei lavori si concluderà per la prevalenza della disciplina di questi ultimi, diversamente ove la tariffa a carico dei fruitori non si ponga in rapporto meramente sinallagmatico con la costruzione dell'opera e dunque non miri semplicemente a ripagare l'investimento effettuato per la sua realizzazione, bensì sia volta a remunerare in maniera globale l'intero servizio pubblico, si concluderà per la prevalenza della disciplina relativa ai servizi.

Si ricordi tuttavia che, in quest'ultimo caso, verrebbe in rilievo l'art. 30, d.lgs n. 163 del 2006, il quale esclude tendenzialmente l'applicazione delle norme ivi contenute alle concessioni di servizi, fatta eccezione per i principi generali ed europei, con particolare attenzione alla concorrenza. In tal senso può leggersi il comma 3 del medesimo articolo nella parte in cui testualmente dispone che “la scelta del concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità”.Peraltro, si fanno salve discipline maggiormente garantiste della concorrenza (come ad esempio quella in materia di concessioni di servizi pubblici locali in cui un ruolo centrale è rivestito dalla procedura ad evidenza pubblica per la scelta del contraente).

Il Consiglio di Stato ha ritenuto che nell'accezione principi generali e disposizioni rientrino non solo quelli definiti dal codice, nelle sue parti iniziali (art. 2, d.lgs n. 163 del 2006), come principi generali di una data materia, nel senso di superprincipi o valori o finalità teleologiche del sistema, ma siano compresi anche principi che si desumono da alcune specifiche norme che rendono possibile la comprensione delle singole parti, connettendole al tutto e che rendono intellegibile il disegno armonico, organico e unitario sotteso, rispetto alla frammentarietà delle parti: quest'ultima caratteristica viene di regola ricondotta all'aspirazione propria dei codici di settori ad essere “sistema”.

Tuttavia, il Giudice amministrativo ammette l'applicabilità di disposizioni specifiche di tali codici, solo quando esse superino uno scrutinio rigoroso di indagine, basato sull'accertamento della natura dell'interesse protetto dal precetto e della sua ampiezza applicativa, trovando la propria ratio immediata e diretta, nella tutela di valori immanenti al sistema.

I contratti misti di concessione ed appalto

Manca nell'ordinamento vigente un preciso criterio positivo cui possa farsi ricorso per la determinazione della disciplina applicabile alle figure in esame.

La giurisprudenza prevalente propende per l'operatività anche in tale ambito del criterio della prevalenza qualitativa. Indicazioni in tal senso provengono sia dalla giurisprudenza sovranazionale, sia da quella interna. In particolare, oltre al Consiglio di Stato (Cons. St., Sez. V, 30 aprile 2009, n 2761), le Sezioni unite hanno ribadito il principio ai fini della risoluzione della questione di giurisdizione. In un caso riguardante l'affidamento di servizi aggiuntivi di assistenza agli utenti (quali caffetteria, ristorazione, guardaroba, ecc) integrati dal servizio di biglietteria, si è affermato che ci si trova di fronte ad un contratto misto caratterizzato da una concessione di servizi pubblici (in relazione ai servizi aggiuntivi) e da un appalto di servizi (in relazione a quello di biglietteria). Ebbene, rigettandosi l'opzione che avrebbe condotto alla separazione delle giurisdizioni (e delle relative controversie) in quanto ritenuta lesiva del principio di omogeneizzazione delle stesse (a sua volta corollario dell'effettività della tutela artt. 24 e 113 Cost.), il giudice ha ritenuto di applicare il principio di prevalenza (Cass, Sez. un. ord., 27 maggio 2009, n. 12252)

Le prevalenti conclusioni giurisprudenziali saranno , tuttavia, oggetto di profonde rivisitazioni a seguito dell'entrata in vigore della cd. direttiva concessioni del 2014. L'art. 20 di tale direttiva prevede, infatti, che nel caso di contratti misti che contengono elementi di concessioni nonché elementi di appalti pubblici disciplinati dalla direttiva 2014/24/UE o appalti disciplinati dalla direttiva 2014/25/UE il contratto misto è aggiudicato in conformità, rispettivamente, della direttiva 2014/24/UE o della direttiva 2014/25/UE. Se le diverse parti di un determinato contratto sono oggettivamente non separabili, il regime giuridico applicabile è determinato in base all'oggetto principale del contratto in questione.

La dottrina, chiamata a commentare la disposizione in parola, ha osservato che la scelta del legislatore europeo rappresenta un deciso cambio di prospettiva, in quanto determina l'applicazione prioritaria del principio di combinazione e, solo in seconda battuta, di quello di prevalenza. La regola generale espressa nell'art. 20 è, infatti, quella dell'applicazione della disciplina pertinente a ciascuna componente del contratto misto. Solo qualora le peculiarità del contratto evidenzino l'oggettiva inseparabilità delle diverse parti trova nuovo spazio applicativo il principio di prevalenza. Non pare, tuttavia, agevole stabilire con certezza quali siano i casi di oggettiva inseparabilità, tali da comportare una deroga alla regola generale.

I contratti misti di sponsorizzazione

Nella prassi recente, la scarsa disponibilità di fondi da parte delle amministrazioni pubbliche ha comportato il frequente ricorso a figure contrattuali atipiche, tra le quali spiccano i contratti di sponsorizzazione. In particolare, in quelli a carattere passivo, un soggetto privato (il cd. sponsor) corrisponde denaro o expertise alla p.a. per ricavarne un congruo ritorno di immagine. Pertanto non può qualificarsi come liberale la causa del contratto, stante l'interesse dello sponsor all'ottenimento di un vantaggio pubblicitario. Nondimeno, la dottrina ha evidenziato come sia rinvenibile uno squilibrio tra la posizione del soggetto pubblico sponsorizzato e quella dello sponsor, essendo proprio il primo ad avere necessità di reperire risorse per l'espletamento della sua missione istituzionale.

Il fatto che una siffatta figura contrattuale sia inquadrabile nei c.d. contratti attivi (non comportando alcuna spesa diretta per l'amministrazione) non esclude che si ponga comunque il problema di individuare regole concorrenziali per l'affidamento della stessa, stante il possibile interesse di più operatori a rivestire il ruolo di sponsor. Infatti, la possibilità di presentarsi quali benefattori della propria comunità rappresenta un'operazione di marketing appetibile per molti, in quanto potenzialmente efficace per l'implementazione del proprio giro d'affari. Ciò a fortiori quando l'attività da sponsorizzare possieda una credibilità ed una rilevanza notevole per la collettività. Talora, peraltro, le amministrazioni si sono poste un problema di carattere etico, chiedendosi se la ricezione di risorse da parte di privati potesse valere ad offuscare l'imparzialità che dovrebbe caratterizzare i soggetti pubblici (a tal proposito, si veda la posizione di diffidenza che per lungo tempo ha adottato la FIGC in merito alle sponsorizzazioni in materia calcistica).

Un' importante distinzione va effettuata tra le cd. sponsorizzazioni finanziarie e quelle tecniche. Nelle prime, lo sponsor fornisce all'ente pubblico esclusivamente un contributo di carattere economico. Nelle seconde, invece, lo stesso sponsor svolge determinate prestazioni, quali la realizzazione di un'opera o l'espletamento di una fornitura o di un servizio.

I contratti di sponsorizzazione sono presi in considerazione dal Codice,ma esclusi dall'applicazione delle regole dettate in materia di appalti; è previsto che le procedure di affidamento dei contratti di sponsorizzazione debbano svolgersi nel rispetto dei principi del Trattato. Più precisamente, l'art. 26 del Codice riguarda le sponsorizzazioni passiva (in cui l'amministrazione assume la veste di soggetto sponsorizzato) e tecnica (in cui lo sponsor rende determinate prestazioni), per lavori pubblici, interventi di restauro e manutenzione, servizi e forniture.

Parte degli interpreti contesta la scelta legislativa di escludere dalla disciplina degli appalti le sponsorizzazioni tecniche, in quanto ritenute un possibile stratagemma per eludere le norme pro-concorrenziali contenute nel d.lgs n. 163 del 2006. Altri commentatori ritengono, invece, che il problema sia stemperato dal disposto dell'art. 27, d.lgs. n. 163 del 2006, che, con scelta analoga a quella effettuata in tema di concessione di servizi, prevede che anche tali tipologie di sponsorizzazione debbano sottostare ai principi fondamentali garantiti dal diritto sovranazionale, quali quelli di concorrenza, proporzionalità, economicità, efficienza, trasparenza, ed imparzialità.

Anche per le sponsorizzazioni finanziarie, tuttavia, salvi casi di applicazione della disciplina speciale del codice dei beni culturali, si sostiene l'operatività di tali principi generali, sebbene la normativa rilevante sia costituita dalla legge di contabilità di Stato.

Manca, invece, una puntuale disciplina nel caso di sponsorizzazioni miste, cioè che presentino elementi sia delle sponsorizzazioni tecniche, sia di quelle finanziarie. Possiamo immaginare, a tal proposito, un contratto in cui lo sponsor si impegni non solo ad offrire una provvidenza economica all'ente pubblico per il finanziamento di una determinata attività per la collettività, ma anche all'esecuzione di un'opera destinata alla sua migliore fruizione. In tal caso, come sopra esaminato, sono astrattamente applicabili i criteri della prevalenza e della combinazione. L'impostazione prevalente, tuttavia, ritiene che anche nella materia de qua si debba seguire la soluzione adottata dal legislatore nel caso di appalti misti, con conseguente applicabilità del principio di prevalenza (soprattutto qualitativo) e dell'art. 14, d.lgs n. 163 del 2006ove esso è consacrato.

La risoluzione della questione non è di poco momento poiché incide, altresì, sui criteri di aggiudicazione utilizzabili dall'ente pubblico. Nelle sponsorizzazioni tecniche, infatti, il rilievo della capacità tecnica dello sponsor impone di utilizzare il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, permettendo così all'amministrazione di scegliere il proprio partner anche sulla base di ragioni qualitative. Viceversa, nelle sponsorizzazioni finanziarie, la natura eminentemente economica delle stesse induce a preferire semplicemente colui che offra il massimo rialzo sull'importo richiesto dall'ente aggiudicatore.

Il contratto di manutenzione

Anche con riferimento al contratto di manutenzione si pongono problematiche simili a quelle già esaminate. Infatti, tale tipologia contrattuale include nella prassi molteplici prestazioni, quali servizi in senso proprio (ad es., conduzione e gestione degli impianti) e lavori (riparazione e sostituzione impianti).

La definizione positiva di manutenzione si rinviene nell'art. 3, comma 1, lett. n) del d.P.R.5 ottobre 2010 n. 207 (regolamento di esecuzione del c.c.p.), il quale afferma che essa è «la combinazione di tutte le azioni tecniche, specialistiche ed amministrative, incluse le azioni di supervisione, volte a mantenere o a riportare un'opera o un impianto nella condizione di svolgere la funzione prevista dal provvedimento di approvazione del progetto». Secondo tale definizione, la manutenzione degli immobili si caratterizza per la presenza di un insieme di azioni eterogenee, che possono essere distinte in due macro-categorie: attività a carattere “gestionale” ed attività a carattere “operativo”. Le prime, ascrivibili a quelle definite «amministrative» e di «supervisione», sono rivolte al governo di tutto il sistema manutentivo e sono, di regola, articolate in sotto–attività, quali: la pianificazione e la gestione degli interventi; il presidio e i controlli finalizzati alla verifica dello stato dei beni e degli impianti; la registrazione delle anomalie e dei guasti riscontrati; la reportistica periodica al committente. Le seconde, cioè quelle definite dal Regolamento come «tecniche» e «specialistiche», sono, invece, i veri e propri interventi diretti sull'immobile, volti al buon funzionamento, alla conservazione o al ripristino delle funzioni dei beni e degli impianti. Tra queste attività possono rientrare, ad esempio, la conduzione dell'immobile e degli impianti, gli interventi di manutenzione programmata, di riparazione dei guasti, ecc.. Un fertile terreno applicativo della figura contrattuale in esame si registra nel settore sanitario, ove non è infrequente che venga posta a base di gara la manutenzione di singoli impianti, come gli elevatori. Altre volte, invece, la manutenzione comprende servizi integrati, che possono riguardare anche le apparecchiature mediche, per le quali è richiesta la dimostrazione di specifici requisiti di professionalità/esperienza.

Ciò chiarito, l'opinione maggioritaria ritiene che possa trovare applicazione l'art. 14, d.lgs. n. 163 del 2006, il quali come si è visto riconosce rilievo al principio di prevalenza qualitativa. Occorrerà, quindi, valutare quale sia in concreto la componente principale tra i servizi ed i lavori. Se, infatti, l'obiettivo dell'ente pubblico è costituito principalmente dalla manutenzione e gestione dell'edificio e i lavori hanno il precipuo fine di mantenere l'efficienza dello stesso, si concluderà per la prevalenza della componente dei servizi. Viceversa, se la finalità principale dell'amministrazione è quella di effettuare determinati interventi di manutenzione, ristrutturazione o riparazione (es., tinteggiatura pareti o rifacimento facciate), allora si applica disciplina degli appalti di lavori.

La citata soluzione sembra perfettamente in linea anche con le indicazioni sovranazionali. Infatti, la nuova direttiva 2014/24/UE prevede testualmente, all'ottavo considerando (proprio in relazione alle gestioni immobiliari), che «un appalto dovrebbe essere considerato appalto pubblico di lavori solo se il suo oggetto riguarda specificamente l'esecuzione delle attività di cui all'allegato II, anche se l'appalto può riguardare la fornitura di altri servizi necessari per l'esecuzione delle suddette attività. Gli appalti pubblici di servizi, in particolare nel settore dei servizi di gestione immobiliare, possono in talune circostanze comprendere dei lavori. Tuttavia, se tali lavori sono accessori rispetto all'oggetto principale dell'appalto e costituiscono quindi solo una conseguenza eventuale o un complemento del medesimo, il fatto che detti lavori facciano parte dell'appalto non può giustificare la qualifica di appalto pubblico di lavori per l'appalto pubblico di servizi».

Sul punto, la giurisprudenza ha affermato in più occasioni che la linea discretiva tra applicazione della disciplina degli appalti di lavori e di servizi va ravvisata, rispettivamente, nella tensione dell'attività a realizzare un quid novi o piuttosto ad effettuare una modifica della realtà esistente.

È quasi superfluo affermare che, l'applicazione del criterio della prevalenza ex art. 14 d.lgs n.163 del 2006 non oblitera la concomitante operatività dell'art. 15, che prescrive che l'aggiudicatario possieda pur sempre tutti i requisiti di qualificazione necessari per la realizzazione dell'appalto, anche in relazione alle componenti accessorie.

A tal proposito, l'ANAC raccomanda di evidenziare nel bando di gara la qualificazione (in termini di servizi o lavori) delle attività di cui si compone il contratto, il loro importo complessivo, i requisiti di qualificazione richiesti per l'esecuzione delle stesse, le modalità di pagamento del corrispettivo (determinazione n. 7, 28 aprile 2015).

Con specifico riferimento all'espletamento di lavori, come noto, è necessario che il partecipante sia in possesso di un'attestazione S.O.A che certifichi la sua idoneità tecnica a realizzare opere di natura ed importo corrispondenti a quelle oggetto dell'appalto. La citata scelta legislativa è parsa, tuttavia, ad alcuni viziata da un eccesso di formalismo e rigidità, perlomeno laddove la componente dei lavori abbia un ruolo accessorio o quasi trascurabile nell'ambito dell'appalto misto. Si sostiene, perciò, che in siffatti casi basterebbe ricorrere ai requisiti cui fa riferimento l'art. 42, d.lgs. n. 163 del 2006 (valorizzando in particolare il fatto che il concorrente avesse già svolto servizi analoghi nel triennio precedente). Questa è stata, ad esempio, la posizione espressa dal Consiglio di Stato in un non recentissimo arresto relativo alla manutenzione e gestione del servizio cimiteriale, in cui la componente servizi era prevalente. Schierandosi in favore della legittimità del bando di gara che non aveva previsto la necessità dell'attestazione S.O.A, i giudici di Palazzo Spada hanno affermato che «l'obbligo di qualificazione cade quando dall'esame del carattere prevalente o accessorio delle varie prestazioni si possa ragionevolmente desumere che la garanzia delle attestazioni SOA non rappresenta una condizione indispensabile ai fini del corretto svolgimento del servizio, di talché il percorso logico seguito per stabilire quale prestazione sia accessoria individua anche i requisiti necessari per partecipare alla gara. Sulla scia delle tradizionali direttive e della consolidata giurisprudenza comunitaria, il Codice dei contratti ha demandato la qualificazione del fornitori e prestatori di servizi ad un elenco delle diverse referenze che l'amministrazione aggiudicatrice può scegliere di richiedere per ottenere la dimostrazione dei requisiti minimi di capacità tecnica e professionale da parte degli operatori economici (art. 42), così definitivamente abdicando alla rigidità del sistema di qualificazione degli esecutori di lavori pubblici, articolato in rapporto alle tipologie e all'importo dei lavori stessi, attuato dagli organismi di diritto privato di attestazione autorizzati secondo categorie di opere generali e specializzate (art. 40). Negli appalti misti, la scelta fra l'uno o l'altro dei sistemi di qualificazione è pertanto condizionata dal nucleo principale delle attività dell'appalto, la cui esecuzione deve essere sorretta da adeguate garanzie di affidabilità» (Cons. St, Sez. V, 30 maggio 2007, n. 2765).

Va, inoltre, ricordato che, in relazione ai contratti di manutenzione, si pone una questione non solo di merito, ma anche di metodo. Si realizza sovente infatti una divergenza tra il dover essere degli stessi (nell'ottica dell'osservanza del principio di efficienza) che imporrebbe una compiuta e precisa programmazione degli interventi da attuare, e la loro dimensione concreta, ancorata ad interventi episodici, non coordinati, volti ad intervenire in situazioni urgenti ed improcrastinabili. Questa scarsa lungimiranza dell'amministrazione pubblica incide, ovviamente, sulla globale utilità degli interventi per la collettività, oltre a comportare possibili costi aggiuntivi e in generale inefficienze sul piano gestionale-amministrativo. Da più parti si è, dunque, proposto di superare la logica degli “interventi a guasto” in favore di una “manutenzione programmata”. Una precisa scelta legislativa in tal senso è, peraltro, desumibile dal Regolamento di esecuzione il quale, all'art. 38 definisce il piano di manutenzione come quel documento in grado di pianificare e programmare gli interventi di manutenzione, nel nome dell'efficienza, della qualità e della funzionalità degli interventi. La preferibilità della “manutenzione programmata” non esclude, peraltro, che in casi eccezionali possa esservi spazio, altresì, per “la manutenzione a guasto” in relazione ad interventi indifferibili che non si prestano ad essere previsti con ampio anticipo.

Il contratto di global service

Il global service, istituto di matrice anglosassone, nato in contesti aziendalistici, mostra notevoli affinità con il contratto di manutenzione. Esso può essere definito come il contratto avente ad oggetto la gestione di patrimoni immobiliari di notevole rilevanza. Tale attività tuttavia, va ben oltre la semplice manutenzione e comporta l'erogazione di una serie di servizi per i quali il contraente assume una vera e propria responsabilità da risultato. Il corrispettivo dovuto a quest'ultimo, dunque, pur essendo previsto in maniera omnicomprensiva ed invariabile, dev'essere parametrato sui risultati raggiunti secondo metodologie predefinite.

Il global service, pertanto, da un lato, permette di superare l'inefficiente logica degli “interventi a guasto”, spesso attuati dalle amministrazioni pubbliche, a favore di una logica pianificata e programmata di intervento; dall'altro, permette che queste esternalizzino alcuni propri compiti istituzionali affidandoli al cd. assuntore, con la conseguenza che sarà l'operato di quest'ultimo che andrà misurato in termini di efficacia ed efficienza. Le Pubbliche Amministrazioni cercano, quindi, di ridurre le endemiche inefficienze gestionali che le caratterizzano attraverso un cd. outsourcing strategico, in grado, altresì, di determinare una razionalizzazione della spesa pubblica, particolarmente utile in tempi di spending review.Un classico terreno applicativo della figura è costituito dall'edilizia residenziale, ove il gestore non si limita all'espletamento di attività stricto sensu manutentiva, peraltro nella duplice veste di manutenzione programmata e d'urgenza, ma si occupa, altresì, di assicurare servizi aggiuntivi, quali, ad esempio, il censimento degli abitanti e l'esazione dei canoni di locazione, la predisposizione di report statistici e la gestione di banche dati informatiche. Un utile impiego di tale contratto si è, inoltre, riscontrato nel settore dell'illuminazione pubblica, ove l'assuntore si occupa della fornitura di energia elettrica e al contempo della manutenzione ordinaria e straordinaria degli impianti, nonché in quello del verde pubblico, ove il contraente si occupa della pavimentazione delle aree, della pulizia e del rifacimento delle stesse.

Nessun dubbio, quindi, sulla riconducibilità del global service al genus dei contratti misti. Ciò comporta la necessità di risolvere il consueto quesito inerente alla disciplina applicabile. Ebbene, anche in tal caso non si rinvengono ostacoli alla piena operatività della normativa generale racchiusa negli artt. 14 e 15, d.lgsn.163 del 2006, già compiutamente esaminata. Giova, peraltro, considerare che, nonostante l'opzione normativa evochi un'indagine caso per caso circa la prevalenza qualitativa e talora anche quantitativa della prestazione cui ancorare la disciplina del contratto, un congruo numero di arresti giurisprudenziali sembra effettuare un'adesione precostituita e generalizzata alla disciplina degli appalti di servizi, perlomeno a fronte di contratti multi-funzione di manutenzione e gestione del patrimonio immobiliare. A tal riguardo, l'opinione prevalente distingue, come sopra già accennato, tra interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria. Ove si ravvisino i primi, caratterizzati da ripetitività, continuatività e soprattutto assenza di quid novi, non si fatica a qualificare il contratto come appalto di servizi. Viceversa, ove ci si trovi in presenza dei secondi, si opta per un atteggiamento più cauto, che impone la verifica dell'effettivo peso che tali interventi assumono nell'ambito del contratto, rendendo comunque più probabile l'applicazione della disciplina degli appalti di lavori.

La rilevata eterogeneità delle prestazioni cui si obbliga l'assuntore del global service, se da un lato, può risultare appetibile per la stazione appaltante, dall'altro, può costituire un vulnus al pieno esplicarsi della concorrenza. Parte degli interpreti ha sottolineato, infatti, che la genericità dei bandi di gara aventi ad oggetto i contratti in esame condiziona inevitabilmente sia la completa consapevolezza dell'offerta da parte dei concorrenti, sia la valutazione circa la loro affidabilità tecnico-economica. Si è, quindi, avvertita l'esigenza di integrare la normativa di riferimento con una regolamentazione di livello operativo, che consenta la semplificazione, tipizzazione e standardizzazione dei processi di gara, pur nel rispetto delle peculiarità di ciascun affidamento. Per questa ragione, l'Autorità di vigilanza ha proceduto, nel 2012, alla redazione di un bando-tipo specifico per i servizi di cd. facility management, in modo da orientare attraverso precise linee-guida l'operato delle amministrazioni. Talora, peraltro, una limitata genericità pare essere connaturata alla specificità del global service. Si pensi ai contratti di gestione immobiliare, in cui l'ente aggiudicatore non ha precisa contezza dell'entità dei lavori da effettuare perché non conosce nemmeno in termini certi l'entità del proprio patrimonio immobiliare (per questo, tra le attività dell'assuntore del contratto vi è anche quella di censimento immobiliare). Inoltre, la logica prestazionale e di risultato che permea e caratterizza il contratto in oggetto può rendere accettabile un'attenuazione della sua componente descrittiva.

In conclusione, come osservato da attenta dottrina, pare realizzarsi un trade-off tra determinazione precisa delle prestazioni da svolgere con gli annessi requisiti in capo ai concorrenti ed esigenza di flessibilità, la quale costituisce una delle ragioni per le quali l'amministrazione si determina alla conclusione del global service.

Casistica: Sulla possibilità di prevedere un prezzo a base d'asta unico nei contratti misti

I.1.1) In primo luogo, l'istante sostiene che il criterio di aggiudicazione prescelto sarebbe irragionevole, imponendo il confronto concorrenziale su un prezzo forfetario, comprensivo della fornitura di ossigeno e della prestazione di una serie eterogenea di servizi.

Osserva il Collegio che, pacificamente, l'appalto di che trattasi comprendeva forniture e servizi, come peraltro desumibile dal criterio di aggiudicazione contestato, in base al quale i concorrenti dovevano indicare il prezzo giornaliero dei noli dei concentratori, quello dell'ossigeno, espresso in mc, e quello giornaliero del servizio di consegna, formulando un'unica offerta economica omnicomprensiva di tali voci, e degli ulteriori servizi che l'aggiudicatario sarebbe stato tenuto a prestare, ex art. 7 c.s.a. (numero verde, consulenza, ecc.), che espressamente la ricorrente definisce "di rilevante consistenza".

L'istante non contesta quindi l'eccessivo rilievo attribuito dalla stazione appaltante, in sede di aggiudicazione, ai servizi, rispetto alla loro effettiva incidenza sull'oggetto dell'appalto, quanto invece, tout court, la possibilità di cumulare, nell'ambito di un'unica offerta, il prezzo richiesto per la fornitura e quello per i servizi, laddove si sarebbe invece dovuto procedere "ad una netta separazione tra l'offerta economica concernente la fornitura del farmaco/ossigeno, ed i connessi servizi accessori".

Ritiene il Collegio che, per giurisprudenza costante, nei contratti misti, la fusione delle cause fa sì che gli elementi distintivi di ciascun negozio vengono assunti quali elementi di un negozio unico, a mezzo del quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, il che comporta che l'entità, le modalità, e le conseguenze del collegamento negoziale, debbano essere considerate in relazione all'interesse perseguito dal soggetto appaltante (Cons.St., Sez. V, 30 maggio 2007 n. 2765; Cass., Sez. III, 12 luglio 2005 n. 14611).

In presenza di un siffatto contratto misto, pacificamente contrassegnato da un considerevole rilievo della componente afferente ai servizi, sarebbe stato pertanto irragionevole parametrare il prezzo a base d'asta solo su quello della fornitura, come invece erroneamente sostenuto dalla ricorrente.

TAR Lombardia,Milano, Sez. IV, 30 dicembre 2015, n. 2874

Casistica: Sulla natura degli appalti misti

b) per la prevalente giurisprudenza comunitaria, "in materia di appalti pubblici "misti", per stabilire quale disciplina comunitaria debba essere applicata occorre fare riferimento all'oggetto principale della prestazione, tenendo conto degli obblighi essenziali prevalenti che caratterizzano l'appalto in opposizione a quelli che rivestono carattere accessorio o complementare; il valore delle diverse prestazioni richieste costituisce, a tal riguardo, solo uno dei criteri da prendere in considerazione ai fini della determinazione dell'oggetto principale del contratto". Ne consegue che "la regola contenuta nell'art. 2 comma 1 l. italiana n. 109 del 1994, viola le direttive 92/50 (dir. servizi) e direttiva 93/36 (dir. forniture) in quanto sottrae alle procedure comunitarie gli appalti misti nei quali il valore dei lavori, benché accessori, rappresenti più del 50% del prezzo totale e quest'ultimo rimanga inferiore al limite fissato dalla direttiva 93/37 (dir. lavori), mentre esso raggiunge le soglie stabilite dalle direttive 92/50 e 93/36" (Corte giustizia, UE sez. II, 21 febbraio 2008, n. 412). In altri termini, "l'eventuale contrasto fra la norma comunitaria, "in tale parte recante previsione di dettaglio e perciò autoapplicativa" (Cons. St., Sez. VI, 16 dicembre 1998, n. 1680), e quella interna imporrebbe quindi la disapplicazione di quest'ultima (ex plurimis, Cons. di St., sez. V, 26 settembre 2013, n. 4756)" (TAR Lombardia, Milano, sez. III, 21 gennaio 2015, n. 222);

c) pertanto, secondo un'interpretazione orientata al rispetto della normativa comunitaria, "il Codice dei contratti pubblici, ai fini dell'individuazione della disciplina applicabile, pur proseguendo nell'utilizzo del criterio aritmetico alla prevalenza del rilievo economico dei lavori nelle attività oggetto della gara (art. 14, commi 3 e 4, d.lgs 12 aprile 2006, n. 163) ha tuttavia recepito il criterio "sostanzialistico" della prestazione, proprio del diritto comunitario, che ha poi integrato nel comma 4 dell'art. 14, con i principi - di rilievo comunitario - della tutela della concorrenza e della non discriminazione sull'affidamento dei contratti in oggetto (Cons. St., Sez. V, 30. maggio 2007, n. 2765).

d) in definitiva, pertanto, "nelle gare pubbliche, in presenza di contratti misti e al fine di stabilire a quale tipologia di appalti essi sono riconducibili, al criterio aritmetico fondato sulla prevalenza del valore economico della prestazione, contemplato dall'art. 14 comma 3 prima parte, d.lgs 12 aprile 2006, n. 163, si contrappone, con carattere preferenziale dichiarato dallo stesso comma, quello di matrice comunitaria, cd. sostanzialistico, basato sull'oggetto principale del contratto" (T.A.R. Umbria, Perugia, sez. I, 7 febbraio 2013, n. 74; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 4 novembre 2013, n. 9373).

VI.2. A ciò si aggiunga che, più recentemente, la direttiva 2014/24 sugli appalti pubblici (che abroga la direttiva 2004/18/CE) ribadisce il criterio dell'oggetto principale del contratto (11 e 12 considerando), specificando all'art. 3, commi da 2 a 6, che se il principio della prevalenza è predicato per gli appalti le cui parti costitutive non sono separabili, qualora, invece, le stesse lo siano, le Amministrazioni giudicatrici possono decidere di aggiudicare appalti autonomi per le singole parti distinte e, in tal caso, a ognuno si applica il regime giuridico spettante secondo le loro caratteristiche ovvero aggiudicare un appalto unico. In quest'ultima ipotesi, nella cui fattispecie è sussumibile il caso all'esame, deve, però, necessariamente applicarsi la direttiva 2014/24 e il principio generale sovra enunciato (regime giuridico determinato in base all'oggetto principale del contratto).

TAR Campania, Napoli, Sez. V, 21 dicembre 2015, n. 5835

Casistica: In tema di contratto di manutenzione e global service

“Il contratto di global service, di derivazione anglosassone, si è via via diffuso, anche nel campo pubblicistico, quale figura negoziale attraverso la quale si affidano ad un unico soggetto tutte le attività di gestione e manutenzione di rilevanti patrimoni immobiliari”. Infatti, “lo strumento giuridico permette di superare la tradizionale concezione della manutenzione – ispirata all'ottica dell'emergenza, limitata alla sola realizzazione degli interventi a seguito di guasto e di ordini di lavoro dell'amministrazione – attraverso un nuovo modello fondato su una più ampia strategia gestionale delle varie operazioni da svolgere e tale da assicurare in modo più congruo i principi di buon andamento, efficienza ed economicità. Tale complessa attività, partendo dalla conoscenza dei beni e dalla valutazione del relativo stato di conservazione, assicurate attraverso visite periodiche ed un costante monitoraggio preventivo, passa attraverso la pianificazione e progettazione degli interventi e la gestione informatizzata dei dati e delle comunicazioni, per arrivare fino all'esecuzione dei lavori necessari per prevenire i rischi ed eliminare le anomalie e i guasti”.

TAR Campania, Napoli, Sez I, 19 marzo 2014, n. 1586

L'art. 3, comma 1, lett. n), del d.p.r. 5 ottobre 2010, n. 207, recante il Regolamento di esecuzione ed attuazione del Codice (nel proseguo, “Regolamento”) definisce la manutenzione come «la combinazione di tutte le azioni tecniche, specialistiche ed amministrative, incluse le azioni di supervisione, volte a mantenere o a riportare un'opera o un impianto nella condizione di svolgere la funzione prevista dal provvedimento di approvazione del progetto». Secondo tale definizione, la manutenzione degli immobili si caratterizza per la presenza di un insieme di azioni eterogenee, che possono essere distinte in due macro-categorie: attività gestionali ed attività a

carattere operativo. Le prime, ascrivibili a quelle definite «amministrative» e di «supervisione» – sono quelle indirizzate al governo di tutto il sistema manutentivo e sono, di regola, articolate in sotto–attività, quali: la pianificazione e la gestione degli interventi; il presidio e i controlli finalizzati alla verifica dello stato dei beni e degli impianti; la registrazione delle anomalie e dei guasti riscontrati; la reportistica periodica al committente. Le seconde – rientranti, cioè, tra quelle definite dal Regolamento come «tecniche» e «specialistiche» – sono, invece, i veri e propri interventi diretti sull'immobile, tesi al buon funzionamento, alla conservazione o al ripristino delle funzioni dei beni e degli impianti. Tra queste attività possono rientrare, ad esempio, la conduzione dell'immobile e degli impianti gli, interventi di manutenzione programmata, di riparazione dei guasti, ecc... .
Il corretto inquadramento di tali attività come servizi o lavori rappresenta, spesso, uno degli aspetti più problematici nell'impostazione di una gara di manutenzione degli immobili.
La questione sorge anche in relazione a quanto previsto dall'art. 3, comma 8, del Codice e dall'allegato A del Regolamento, in base ai quali i lavori comprendono, tra l'altro, le attività di manutenzione di opere. Sul punto, sia la soppressa Avcp che la giurisprudenza hanno osservato come il concetto di “manutenzione” rientri nell'ambito dei lavori pubblici qualora l'attività dell'appaltatore comporti un'azione prevalente ed essenziale di modificazione della realtà fisica (c.d. quid novi) che prevede l'utilizzazione, la manipolazione e l'installazione di materiali aggiuntivi e sostitutivi non inconsistenti sul piano strutturale e funzionale (cfr. pareri di precontenzioso dell'Avcp del 13 giugno 2008, n. 184, del 21 maggio 2008, n. 151, del 3 ottobre 2007, n. 55). Viceversa, qualora tali azioni non si traducano in una essenziale/significativa modificazione dello stato fisico del bene, l'attività si configura come prestazione di servizi.
In base a tale logica, sono da ascrivere alla sfera dei servizi le attività «amministrative» e di «supervisione» richiamate dall'art. 3, comma 1, lett. n), del Regolamento, quali, ad esempio, la gestione, la pianificazione, ed azioni «tecniche» e «specialistiche», che non comportano una modificazione della realtà fisica. ANAC, determinazione n. 7 del 2015

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