Tutela in forma specifica e per equivalenteFonte: D.Lgs. 2 luglio 2010 n. 104
22 Gennaio 2018
Inquadramento
Contenuto in fase di aggiornamento autorale di prossima pubblicazione
La disciplina contenuta negli artt. 121-124 c.p.a. si preoccupa di stabilire regole particolari applicabili alle controversie relative alle procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture concernenti, nello specifico, la sorte del contratto a seguito dell'annullamento dell'aggiudicazione e le conseguenti forme di tutela, in forma specifica e per equivalente. Tali norme rappresentano la trasposizione nel codice del processo amministrativo delle disposizioni già inserite nel d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici del 2006) dal d.lgs. 20 marzo 2010, n. 53, di recepimento della direttiva 2007/66/CE. La successiva direttiva 2014/24/UE non ha invece apportato modifiche in relazione agli aspetti trattati in questa voce. Il problema della tutela in forma specifica in materia di contratti pubblici e, quindi, della possibilità di ottenere il contratto pubblico a seguito dell'annullamento dell'aggiudicazione aveva in passato suscitato importanti discussioni in dottrina e giurisprudenza. Si discuteva, in particolare se il giudice amministrativo, una volta annullata l'aggiudicazione, potesse procedere a dichiarare inefficace il contratto e, ricorrendone i presupposti, attribuire il bene della vita (come ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa: Cons. St., Sez. VI, 5 maggio 2003, n. 2332; Id., Sez. V, 28 maggio 2004, n. 3465; Id., 28 maggio 2006, n. 1591) ovvero se la dichiarazione di inefficacia del contratto fosse riservata al giudice ordinario (impostazione fatta propria dalla Corte di cassazione: Cass., Sez. un., 14 giugno 2006, n. 13690; Id., 28 dicembre 2007, n. 27169; Id., 18 luglio 2008, n. 19805). In tale situazione, è intervenuta la direttiva 2007/66/CE, la quale ha espressamente preso in considerazione la possibilità che l'organo deputato a conoscere dei ricorsi in materia di affidamento dei contratti di lavori, servizi o forniture possa decidere sugli effetti del contratto. In particolare, distinguendo tra diverse tipologie di violazioni in ragione della loro gravità, la direttiva comunitaria ha previsto che il legislatore nazionale possa demandare all'autorità competente a conoscere dei ricorsi il potere (i presupposti per il cui esercizio dipendono dalla gravità del vizio) di decidere se privare o meno di effetti il contratto, ovvero se limitare l'inefficacia agli effetti ancora da prodursi, nonché di disporre, laddove l'inefficacia non venga pronunciata, sanzioni alternative. Il legislatore nazionale ha quindi proceduto ad una profonda revisione dell'assetto precedente, con la creazione di un modello processuale differenziato attraverso il quale sono stati attribuiti al giudice amministrativo poteri del tutto peculiari, che lo hanno messo in condizione non soltanto di conoscere dell'efficacia del contratto a seguito dell'annullamento dell'aggiudicazione, ma anche di incidere sugli stessi effetti che il contratto stipulato sulla base di un'aggiudicazione invalida è in grado di produrre. L'art. 121 c.p.a. esordisce affermando che “il giudice che annulla l'aggiudicazione definitiva dichiara l'inefficacia del contratto”, stabilendo poi i casi e i modi in cui tale dichiarazione può aver luogo. L'inefficacia del contratto non è più infatti conseguenza necessaria dell'annullamento dell'aggiudicazione: è il giudice amministrativo a dover valutare, in relazione ai presupposti indicati dalla legge, se il contratto debba essere dichiarato inefficace ab initio, se l'inefficacia riguardi solamente le ulteriori prestazioni da eseguire, se ancora essa debba essere differita, ovvero se il rapporto contrattuale debba rimanere in piedi, ferma restando, nei casi di mancata declaratoria di inefficacia ex tunc in relazione a vizi gravi dell'aggiudicazione, l'applicazione delle sanzioni alternative di cui all'art. 123 c.p.a. L'art. 121 prende dunque in considerazione i vizi più gravi, vizi che, per regola, dovrebbero portare all'inefficacia del contratto. Per i vizi gravi sono disciplinati due gruppi di violazioni:
Nel primo gruppo la gravità del vizio deriva dalla violazione di regole predisposte alla tutela della concorrenza, interesse sul quale si fonda in generale la disciplina europea sui contratti pubblici. Nel secondo gruppo ciò che rileva è la violazione del termine di standstill per la stipula del contratto, previsto per evitare che il rapporto contrattuale possa già essere definito prima che il ricorrente abbia attivato i mezzi di tutela giurisdizionale, così mettendo a rischio le sue possibilità di ottenere l'affidamento del contratto. La ratio sottesa a tali disposizioni è infatti quella di garantire che il ricorrente possa ottenere la tutela, anche in forma specifica, della propria situazione soggettiva: specificano le lett. c) d) dell'art. 121 che in tanto la violazione del termine di standstill rileverà quale vizio grave, in quanto essa abbia contribuito a creare una situazione di fatto per cui, nonostante la tempestiva proposizione da parte del controinteressato dei mezzi di tutela giurisdizionale, l'affidamento dell'esecuzione del contratto non possa più essere a questi attribuito.
Il successivo art. 122 prende invece in considerazione le violazioni ‘non gravi':
In caso di vizi ‘gravi', all'annullamento dell'aggiudicazione consegue normalmente la dichiarazione di inefficacia del contratto. Tuttavia, l'art. 121, comma 2, c.p.a. stabilisce che il contratto rimane efficace laddove “il rispetto di esigenze imperative connesse ad un interesse generale” impone che i suoi effetti siano mantenuti; esigenze che vengono riconnesse all'assoluta necessità che la realizzazione dell'opera pubblica o la gestione del servizio vengano mantenute in capo all'impresa pur illegittimamente aggiudicataria al fine di evitare una lesione di insopportabile entità all'interesse pubblico. Ad ogni modo, se non dichiara inefficace il contratto, dispone le sanzioni alternative ex art. 123 c.p.a. Nel caso di vizi ‘non gravi', invece, il giudice può decidere se dichiarare o meno inefficace il contratto, eventualmente fissando la decorrenza di tale inefficacia, tenendo conto, oltre che degli interessi delle parti, dell'effettiva possibilità del ricorrente di conseguire l'aggiudicazione alla luce dei vizi riscontrati; dello stato di esecuzione del contratto; della possibilità di subentrare nel contratto, nei casi in cui il vizio dell'aggiudicazione non comporti l'obbligo di rinnovare la gara e la domanda di subentro sia stata proposta (Cons. St., Sez. V, 11 luglio 2017, n. 3415). Come si vede, dunque, a differenza di quanto accade in relazione all'art. 121 c.p.a., per questa seconda categoria di vizi dalla norma scaturisce il principio per cui il mantenimento del rapporto contrattuale esistente è la regola, mentre l'inefficacia l'eccezione (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 20 aprile 2017, n. 2183; TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 12 dicembre 2016, n. 2341). Ciò che qui viene in rilievo è l'effettiva possibilità dell'impresa ingiustamente pretermessa a conseguire l'aggiudicazione e lo svolgimento delle prestazioni da eseguire: se la tutela in forma specifica non appare possibile (perché il vizio riscontrato non è tale da dare una ragionevole certezza in ordine alla possibilità per il ricorrente di ottenere l'affidamento, perché l'esecuzione del contratto è ad uno stadio avanzato o si è già conclusa, perché il subentro non è stato richiesto, ecc.) allora l'interesse a mantenere efficace un contratto pur illegittimamente stipulato dovrà prevalere, salvo in ogni caso l'eventuale risarcimento del danno.
Nella prospettiva delineata, laddove si sia al cospetto dell'annullamento giudiziale dell'aggiudicazione di una pubblica gara, spetta quindi in ogni caso al giudice amministrativo il potere di decidere discrezionalmente, anche nei casi di violazioni gravi, se mantenere o non l'efficacia del contratto nel frattempo stipulato, cosicché l'inefficacia del contratto non è la conseguenza automatica dell'annullamento dell'aggiudicazione (Cons. St., Sez. V, 21 aprile 2016, n. 1597; Sez. III, 25 giugno 2013, n. 3437). La tutela in forma specifica
Il rapporto tra la tutela in forma specifica e la tutela per equivalente è disciplinato dall'art. 124 c.p.a. Tale norma prende infatti espressamente in considerazione la domanda volta a conseguire l'aggiudicazione ed il contratto, subordinandola a precisi requisiti. Trattasi di un'azione che deve essere ricompresa sotto il genere dell'azione di adempimento: in particolare, essa si configura quale azione di adempimento tipica, in quanto fatta oggetto di esplicita disciplina da parte della legge, idonea a derogare a quella generale di cui al combinato disposto degli artt. 30, comma 1, e 34, lett. c), c.p.a. Per mezzo della stessa, si sposta al momento della cognizione ciò che precedentemente era ritenuto appartenere al sindacato del giudice dell'ottemperanza (cfr. Cons. St., Ad. plen., 30 luglio 2008, n. 8), secondo il modello generale proprio dell'azione di adempimento.
Si è parlato, in proposito, di pregiudiziale di annullamento e di dichiarazione di inefficacia (‘pregiudiziale composta'), del tutto accettabile in quanto, per ottenere la tutela in forma specifica delle proprie ragioni, la situazione di fatto dovrà atteggiarsi in modo tale da permettere l'attribuzione del contratto al ricorrente, ciò che non è possibile se non dichiarando inefficace il contratto originario. Laddove il giudice non dichiari l'inefficacia del contratto, questi può disporre soltanto il risarcimento del danno per equivalente.
La circostanza che la nuova disciplina non faccia scaturire necessariamente dall'annullamento dell'aggiudicazione l'inefficacia del contratto ha posto particolari problemi in ordine al rapporto sussistente tra le due statuizioni giurisdizionali. In altri termini, poiché l'inefficacia non è conseguenza diretta del venir meno dell'aggiudicazione, ma deriva da una precisa valutazione dell'organo giurisdizionale, ci si è chiesti se il giudice dovesse essere investito di tale compito tramite un'apposita domanda giudiziaria, in mancanza della quale non potrebbe che limitarsi a statuire sull'aggiudicazione, impregiudicata qualsiasi conseguenza sul rapporto contrattuale.
E' però da dire che la giurisprudenza (pur se raramente si è pronunciata su questo preciso aspetto) tende a collegare strettamente dichiarazione di inefficacia e domanda di subentro (TAR Puglia, Bari, Sez. I, 5 luglio 2011, n. 1014; TAR Sicilia, Catania, Sez. IV, 7 novembre 2011, n. 2645). Si intende, peraltro, che la tutela in forma specifica potrà essere disposta solo laddove l'attività compiuta dall'Amministrazione permetta di identificare il soggetto a cui spetta l'affidamento una volta annullata l'aggiudicazione. In mancanza, residuando, cioè, in capo alla P.A. un potere di scelta discrezionale, tale forma di tutela non potrà essere disposta, secondo il limite generale previsto per l'azione di adempimento all'art. 31, comma 3, c.p.a., come richiamato dall'art. 34, lett. c), c.p.a. (cfr. in questo senso Cons. St., Sez. V, 1° ottobre 2015, n. 4585; Sez. III, 3 agosto 2013, n. 4039; TAR Sicilia, Catania, Sez. IV, 8 settembre 2016, n. 2219). La tutela per equivalente
Il primo comma dell'art. 124 c.p.a. specifica che laddove il giudice non dichiari l'inefficacia del contratto, questi può disporre soltanto il risarcimento del danno per equivalente. Si badi, tale disposizione non deve essere interpretata nel senso che la mancata condanna all'adempimento costituisce un presupposto necessario per ottenere il risarcimento del danno: questo infatti ben potrebbe aggiungersi all'attribuzione dell'aggiudicazione laddove (come pure è possibile) la tutela in forma specifica non sia idonea ad evitare il prodursi di un danno ulteriore. In altri termini, l'art. 124 c.p.a. non va interpretato nel senso che il risarcimento del danno debba costituire un rimedio assolutamente alternativo a quello della declaratoria dell'inefficacia del contratto (e del conseguente subentro), come tale incompatibile con esso: se la pronuncia di inefficacia sopraggiunge allorquando il contratto sia già in fase di esecuzione, il risarcimento del danno va riferito al periodo nel quale lo stesso sia rimasto temporaneamente escluso dalla possibilità di fornire la prestazione (Cons. giust. amm. Sic., 7 novembre 2016, n. 381). Per gli opportuni approfondimenti sul punto, si rimanda alla voca sul Risarcimento del danno. Rapporto tra tutela in forma specifica e tutela per equivalente
L'art. 124, comma 2, pone invece una regola per il rapporto tra tutela in forma specifica e quella risarcitoria per equivalente.
Tale disposizione specifica la più generica previsione di cui all'art. 30, comma 3, c.p.a., per cui il ricorrente che richiede soltanto il risarcimento del danno senza impugnare l'atto o comunque senza esperire i rimedi giurisdizionali disponibili si vedrà escludere dal giudice il danno che attraverso di essi si sarebbe potuto evitare. Si ribadisce, quindi, anche attraverso la norma in commento che, dopo il codice del processo amministrativo, la regola della pregiudiziale, pur venuta meno in linea di principio, rimane di fatto, attesa l'idoneità della mancata proposizione dei mezzi di tutela in forma specifica ad incidere sul risarcimento per equivalente (c.d. ‘pregiudiziale mascherata'). Resta da analizzare come tale pregiudiziale ‘di fatto' si atteggi nel contenzioso contrattuale. Sul punto, l'art. 124 c.p.a., richiamando l'art. 1227 c.c., vi introduce un'importante specificazione, atteso che la norma civilistica, per giurisprudenza costante (ex multis Cass., Sez. lav., 21 agosto 2004, n. 16530), non può essere riferita ai mezzi di tutela giurisdizionale. L'art. 124 fa invece riferimento ai casi di mancata proposizione della domanda di conseguire l'aggiudicazione ed il contratto, ma limita l'applicabilità dell'art. 1227 c.c. ai casi in cui ciò avvenga “senza giustificato motivo”. A al proposito, Cons. St., Ad. plen., 23 marzo 2011, n. 3 ha stabilito che il principio in esame non può trovare applicazione quando l'interesse all'annullamento oggettivamente non esista, sia venuto meno e, in generale, non sia adeguatamente suscettibile di soddisfazione, quando, cioè, l'esperimento di tale mezzo di tutela non possa soddisfare, in termini reali, l'aspirazione al conseguimento del bene della vita desiderato. Tuttavia la successiva giurisprudenza ha in taluni casi applicato in maniera estensiva tale disposizione. Nella sostanza, l'impostazione generale è quella per cui, nella materia degli appalti, la tutela risarcitoria, quale accolta all'art. 124 c.p.a., costituisce una misura residuale, essendo consentito il passaggio a riparazioni per equivalente solo quando nonostante la sollecita attivazione dell'interessato, il contratto nelle more stipulato abbia avuto concreta esecuzione in tutto o in parte. Cosicché parte della giurisprudenza è arrivata a sostenere che la condotta processuale della ricorrente che non ha per tempo attivato il prioritario rimedio specifico volto a conseguire l'annullamento dell'aggiudicazione ed il subentro nel contratto, valutata ai sensi dell'art. 1227 c.c., determini di per sé il rigetto della domanda risarcitoria TAR Veneto, Sez. I, 28 aprile 2017, n. 423). Casistica
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