Informative interdittive antimafia

10 Gennaio 2017

Le informative interdittive del prefetto hanno lo scopo di prevenire il pericolo di infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici, impedendo agli operatori economici contigui ad ambienti malavitosi di avere rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione. Esse consistono nella valutazione, da parte del prefetto, dell'esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa nell'impresa, comportandone l'estromissione dal mercato degli appalti pubblici.
Inquadramento

Contenuto in fase di aggiornamento autorale di prossima pubblicazione

Le informative interdittive del prefetto hanno lo scopo di prevenire il pericolo di infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici, impedendo agli operatori economici contigui ad ambienti malavitosi di avere rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione. Esse consistono nella valutazione, da parte del prefetto, dell'esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa nell'impresa, comportandone l'estromissione dal mercato degli appalti pubblici.

La misura ha natura cautelare e preventiva, si aggiunge alle misure di prevenzione antimafia giurisdizionali e prescinde dall'accertamento in sede penale di uno o più reati connessi all'associazione di tipo mafioso, ma si fonda su indizi ed elementi sintomatici di vicinanza al fenomeno mafioso, la cui rilevanza è rimessa alla valutazione discrezionale del prefetto. La relativa disciplina (prima recata dagli artt. 4 d.lgs. 8 agosto 1994, n. 490 e art. 10 d.P.R. 3 giugno 1998, n. 252) è ora contenuta nel Libro II (artt. 82 ss.) del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, di seguito anche “codice antimafia”). Un richiamo a tali disposizioni e, in particolare, alla portata escludente delle informative interdittive nell'ambito di una procedura di appalto o di concessione è ora espressamente contenuto nell'art. 80, comma 2, del nuovo “Codice dei contratti pubblici”, di cui al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50.

In virtù dell'art. 80, comma 2, costituisce motivo di esclusione la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto previste dall'art. 67 del codice antimafia ovvero di un tentativo di infiltrazione mafiosa di cui all'art. 84, comma 4, dello stesso; ciò fermo restando quanto previsto dagli artt. 88, comma 4-bis, e 92, commi 2 e 3, del medesimo codice in relazione, rispettivamente, alle comunicazioni e alle informazioni antimafia.

Per quanto riguarda gli appalti nei settori speciali, l'art. 133 d.lgs. n. 50 del 2016 stabilisce che per la selezione dei partecipanti e delle offerte si applicano, per quanto compatibili, anche le disposizioni di cui all'art. 80, mentre l'art. 136 d.lgs. n. 50 del 2016 precisa che le norme e i criteri oggettivi per l'esclusione e la selezione degli operatori economici che richiedono di essere qualificati in un sistema di qualificazione e le norme e i criteri oggettivi per l'esclusione e la selezione dei candidati e degli offerenti nelle procedure aperte, ristrette o negoziate, nei dialoghi competitivi oppure nei partenariati per l'innovazione possono includere i motivi di esclusione di cui all'art. 80 alle condizioni stabilite in detto articolo; laddove l'ente aggiudicatore sia un'amministrazione aggiudicatrice, tali criteri e norme comprendono i criteri di esclusione di cui all'art. 80 alle condizioni stabilite in detto articolo.

Disciplina ed effetti delle informative interdittive

Le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici e gli altri soggetti aggiudicatori (cfr. art. 83 del codice antimafia), prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti d'importo superiore a determinate soglie relativi a lavori, servizi e forniture pubblici, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nell'art. 67, d.lgs. n. 159 del 2011 (tra cui sono, inter alia, incluse le attestazioni di qualificazione per eseguire lavori pubblici) devono acquisire dal prefetto la documentazione antimafia, che impedisce la contrattazione (i) in presenza delle cause ostative previste dalla legislazione antimafia a carico dei soggetti responsabili dell'impresa ovvero dei familiari, anche di fatto, conviventi nel territorio dello Stato, o (ii) nel caso in cui risultino tentativi di infiltrazione mafiosa o forme di collegamento con la criminalità organizzata, volte a condizionare le scelte e gli indirizzi dell'operatore economico. Il codice antimafia prevede, quindi, due tipi di attestazioni prefettizie: (i) le prime, ricognitive di condizioni interdittive già previste dalle norme antimafia (denominate dal codice “comunicazioni antimafia”); (ii) le altre, riguardanti eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa, la cui efficacia interdittiva è rimessa alla valutazione del prefetto (denominate dal codice “informazioni antimafia”).

Più in dettaglio, richiamando le definizioni recate dall'art. 84 d.lgs. n. 159 del 2011, la comunicazione antimafia consiste nell'attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, sospensione o divieto di cui all'art. 67 del codice antimafia (connesse all'applicazione di misure di prevenzione), mentre l'informazione antimafia consiste sia nell'attestazione della sussistenza o meno di una delle citate cause di decadenza, sospensione o divieto, sia nell'attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi dell'operatore economico, che possono essere desunti da una serie di indici indicati agli artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, del codice antimafia. Gli elementi da porre a sostegno della valutazione prefettizia indicati all'art. 84, comma 4, codice antimafia si riferiscono, essenzialmente, ad atti giudiziari o di polizia, ovvero a vicende imprenditoriali sintomatiche di un intento elusivo della normativa sulla documentazione antimafia. L'art. 91, comma 6, attribuisce rilievo alle condanne non definitive per reati strumentali alle attività mafiose ed anche alle reiterate violazioni agli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari.

Entrambe le attestazioni sono rilasciate dal prefetto territorialmente competente, come individuato dagli artt. 87 (per la comunicazione) e 90 (per l'informazione).

I soggetti sottoposti alla verifica antimafia sono elencati all'art. 85 d.lgs. n. 159 del 2011 e individuati a seconda delle diverse modalità di esercizio dell'attività imprenditoriale. La verifica è, inoltre, estesa anche ai familiari conviventi dei soggetti indicati.

Come anticipato, in caso di rilascio dell'informativa interdittiva antimafia, le pubbliche amministrazioni non possono stipulare, approvare o autorizzare contratti o subcontratti, né autorizzare, rilasciare o comunque consentire concessioni ed erogazioni (art. 94, comma 1, d.lgs. n. 159 del 2011). Ai sensi degli artt. 88, comma 4-bis, e 92, comma 3, codice antimafia, richiamati dall'art. 80, comma 2, del nuovo codice dei contratti pubblici, per l'ipotesi di mancato tempestivo inoltro della documentazione antimafia alle stazioni appaltanti ovvero di situazioni di urgenza le amministrazioni possono procedere anche in assenza della documentazione prefettizia, ma il rapporto contrattuale deve intendersi sottoposto a condizione risolutiva; pertanto laddove sopravvenga l'interdittiva, deve provvedersi alla revoca delle autorizzazioni e delle concessioni o al recesso dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite. L'informativa antimafia ricevuta durante l'esecuzione del contratto non costituisce una sopravvenienza impeditiva dell'ulteriore esecuzione del contratto stipulato, ma accerta una incapacità originaria del privato ad essere parte contrattuale dell'amministrazione, con la conseguenza che sulla revoca del provvedimento di affidamento dell'appalto ovvero sul recesso dal contratto la giurisdizione è devoluta al giudice amministrativo e si applica il rito speciale di cui agli artt. 120 e ss. c.p.a. (Cons. St., Sez. IV, 20 luglio 2016, n. 3247).

L'art. 91, comma 7-bis, codice antimafia prescrive che l'informazione interdittiva sia comunicata all'Osservatorio dei contratti pubblici istituito presso l'ANAC ai fini dell'annotazione nel casellario informatico, con funzione di pubblicità notizia per tutte le amministrazioni aggiudicatrici della condizione ostativa alla partecipazione alle procedure di gara ed anche ai fini della risoluzione dei contratti in essere (comunicato del Presidente ANAC del 27 maggio 2015, pubblicato in G.U. 23 giugno 2015, n. 143).

Accanto alle delineate tipologie, la prassi amministrativa e l'evoluzione giurisprudenziale, in costanza della disciplina previgente all'attuale codice antimafia, hanno elaborato un terzo tipo d'informativa prefettizia, la c.d. informativa supplementare atipica, fondata sull'accertamento di elementi che, pur denotando il pericolo di collegamento tra l'operatore economico e la criminalità organizzata, non raggiungono la soglia di gravità tale da determinare un'interdizione legale a contrarre. In altri termini, l'informativa supplementare o atipica non preclude inderogabilmente la sottoscrizione del contratto con l'aggiudicatario, ma consente all'amministrazione appaltante di non stipulare il contratto sulla base di ragioni d'interesse pubblico (cfr. AVCP, det. n. 1 del 2010; Cons. St., Sez. III, 8 settembre 2014, n. 4540). Secondo la giurisprudenza più recente, tale informativa è priva di efficacia interdittiva e costituisce mero atto endoprocedimentale, insuscettibile di formare oggetto di autonoma impugnazione in sede giurisdizionale (in questo senso, Cons. St., Sez. III, 13 maggio 2015, n. 2410).

Diversamente, le informative prefettizie disciplinate dal codice antimafia hanno effetti inscindibili sull'intero territorio nazionale e sono immediatamente impugnabili. In caso di contestuale impugnazione dell'informativa e dei conseguenti atti applicativi adottati dalla stazione appaltante, ai sensi dell'art. 14 c.p.a., il giudice territorialmente competente è il TAR nella cui circoscrizione si trova la prefettura che ha adottato l'informativa, poiché rileva l'interesse del ricorrente all'annullamento dell'informativa e dunque prevale il criterio della competenza territoriale per il giudizio principale, rispetto a quello della competenza funzionale previsto dall'art. 119 c.p.a. per il giudizio accessorio riguardante l'impugnazione degli atti della gara d'appalto (Cons. St., Ad. plen., 31 luglio 2014, n. 17).

Presupposti fattuali

Come suesposto, l'informativa interdittiva antimafia è volta a garantire la massima anticipazione dell'azione di prevenzione ai pericoli di inquinamento mafioso, con la conseguenza che ai fini della sua adozione è sufficiente, quale presupposto fattuale, un quadro indiziario tale da generare un ragionevole convincimento sulla sussistenza di un condizionamento mafioso dell'impresa (Cons. St., Sez. III, 1 dicembre 2015, n. 5437; Cons. St., Sez. III, 9 ottobre 2015, n. 4679; Cons. St., Sez. III, 3 giugno 2015, n. 2734).

In proposito, la giurisprudenza ha sottolineato che è estranea al sistema delle informative antimafia qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria al di là di ogni ragionevole dubbio (né – tanto meno – occorre l'accertamento di responsabilità penali), poiché simile logica vanificherebbe la finalità anticipatoria dell'informativa, che è quella di prevenire un grave pericolo e non quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante (Cons. St., Sez. III, 31 agosto 2016, n. 3754; Cons. St., Sez. III, 7 luglio 2016, n. 3009). È perciò sufficiente la presenza di una serie di indizi in base ai quali non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose o di un condizionamento da parte di esse (TAR Campania, Napoli, 28 settembre 2016, n. 4471). L'interdittiva è, dunque, legittima laddove si basi su elementi sintomatici e indiziari da cui sia deducibile anche il solo tentativo di ingerenza – quali, a titolo esemplificativo, una condanna non irrevocabile, l'irrogazione di misure cautelari, il coinvolgimento in un'indagine penale, collegamenti parentali, cointeressenze societarie e/o frequentazioni con soggetti malavitosi – che, complessivamente valutati, siano tali da fondare un giudizio di possibilità che l'attività d'impresa sia in grado, anche in maniera indiretta, di agevolare le attività criminali o esserne in qualche modo condizionata. In tal senso, basta che emerga un compiuto quadro fattuale e indiziario di un tentativo di infiltrazione avente lo scopo di condizionare le scelte dell'impresa, anche se tale scopo non si è in concreto realizzato. Tale scelta è coerente con le caratteristiche oggettive e sociologiche del fenomeno mafioso che non necessariamente si concretizza in fatti univocamente illeciti, potendo invero fermarsi alla soglia dell'intimidazione, dell'influenza e del condizionamento latente di attività economiche formalmente lecite.

Non dovendosi applicare i canoni propri dell'accertamento in sede penale, secondo la giurisprudenza richiamata, il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del “più probabile che non”, alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall'osservazione dei fenomeni sociali, qual è anche quello mafioso; ne consegue che gli elementi posti a base dell'informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o addirittura possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione (Cons. St., Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743).

“Catalogo” degli elementi indiziari (Cons. Stato, Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743)

Il Consiglio di Stato ha evidenziato che il catalogo delle situazioni sintomatiche del condizionamento mafioso voluto dal legislatore (artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, del codice antimafia) è un catalogo aperto. L'autorità prefettizia deve valutare il rischio che l'attività di impresa possa essere oggetto di infiltrazione mafiosa, in modo concreto e attuale, sulla base dei seguenti elementi:

a) i provvedimenti “sfavorevoli” del giudice penale;

b) le sentenze di proscioglimento o di assoluzione;

c) la proposta o il provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione previste dal d.lgs. n. 159 del 2011;

d) i rapporti di parentela;

e) i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia;

f) le vicende anomale nella formale struttura dell'impresa;

g) le vicende anomale nella concreta gestione dell'impresa;

h) la condivisione di un sistema di illegalità, volto ad ottenere i relativi “benefici”;

i) l'inserimento in un contesto di illegalità o di abusivismo, in assenza di iniziative volte al ripristino della legalità.

Nella valutazione dei suindicati indici è riservata al prefetto un'ampia discrezionalità di apprezzamento a tutela dell'ordine pubblico, che può essere sindacata dal giudice amministrativo nei soli limiti della manifesta illogicità e irragionevolezza e del travisamento dei fatti (Cons. St., Sez. III, n. 3754 del 2016, cit.; Cons. St., Sez. III, 23 aprile 2015, n. 1576).

È stato, inoltre, evidenziato che si tratta di uno strumento di tutela da utilizzare con estrema attenzione e cautela, «perché il suo meccanismo opera incidendo nel delicato equilibrio che sussiste tra diritti di libertà di impresa da un lato ed esigenze di politica repressiva e preventiva dall'altro. Pertanto se non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto in sede penale, non possono tuttavia ritenersi sufficienti fattispecie fondate sul semplice sospetto o su mere congetture prive di riscontro fattuale. Al contrario, è pur sempre richiesta l'indicazione di circostanze e di indizi obiettivamente sintomatici di connessioni, collegamenti e condizionamenti dell'impresa con le predette associazioni» (TAR Emilia Romagna, Parma, Sez. I, 24 dicembre 2015, n. 319).

In evidenza

La giurisprudenza ha rimarcato che, se è vero che l'interdittiva antimafia risponde a una logica di anticipazione della tutela e non presuppone, pertanto, l'accertamento di responsabilità penali, con conseguente legittimità della sua adozione anche in caso di elementi sintomatici che dimostrino il concreto pericolo (anche se non la certezza) di infiltrazioni della criminalità organizzata, è anche vero che «l'apprezzamento degli indici significativi del predetto rischio deve necessariamente fondare una valutazione di attualità del tentativo di condizionamento della gestione dell'impresa da parte di associazioni mafiose». Ne consegue che l'interdittiva antimafia può essere legittima anche se fondata, oltre che su indici più recenti, su fatti e circostanze risalenti nel tempo, purché dall'analisi del complesso degli stessi «emerga un quadro indiziario idoneo a giustificare il necessario giudizio di attualità e di concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa» (Cons. St., Sez. III, 5 febbraio 2016, n. 463; Cons. St., Sez. III,7 ottobre 2015, n. 4657; Cons. St., Sez. III, 13 marzo 2015, n.1345). Più di recente, è stato invece evidenziato che laddove la contiguità al fenomeno criminale emerga da elementi risalenti nel tempo, per togliere ad essi rilievo occorre che venga dimostrata, o possa essere ipotizzata, una discontinuità nei comportamenti e nelle attività economiche (Cons. St., Sez. III, n. 3009 del 2016, cit.).

Casistica: Informativa interdittiva antimafia e gestione straordinaria dell'impresa

L'art. 32, comma 10, d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni nella l. 11 agosto 2014, n. 114, prevede che le misure previste dal comma 1 (tra cui il potere del prefetto, a seguito dell'istruttoria svolta con l'ANAC, di disporre «la straordinaria e temporanea gestione dell'impresa appaltatrice limitatamente alla completa esecuzione del contratto di appalto […]») si applicano anche nei casi in cui sia stata emessa dal prefetto un'informativa antimafia interdittiva. La disposizione mira a tutelare l'interesse pubblico alla prosecuzione del rapporto contrattuale già instaurato, senza gravare l'amministrazione dell'onere di espletare una nuova gara, e quindi a salvaguardare l'attuazione dei principi di efficacia, efficienza ed economicità dell'azione amministrativa. L'individuazione degli appalti che è opportuno completare e l'adozione della descritta misura (volta a sterilizzare il condizionamento mafioso dell'impresa, consentendone una gestione immune da infiltrazioni criminali, e che priva le stazioni appaltanti del potere di recedere sulla base del mero presupposto dell'interdittiva antimafia) sono rimesse alla valutazione del prefetto, sulla scorta dei criteri individuati dalla legge, ossia l'indifferibilità per la tutela di diritti fondamentali, la salvaguardia dei livelli occupazionali e dei bilanci pubblici. In proposito, il riferimento alla fase dell'esecuzione è da intendersi nel senso proprio giuridico come fase successiva a quella di stipula del contratto e non in quello di materiale inizio della prestazione (TAR Abruzzo, Pescara, Sez. I, 4 gennaio 2016, n. 1). Il provvedimento prefettizio ex art. 32, comma 10, d.l. n. 90 del 2014, è una misura ad contractum, che vale quindi con esclusivo riferimento a contratti individuati e in corso di esecuzione, con la conseguenza che l'interdittiva antimafia legittimamente continua a spiegare il proprio effetto escludente nell'ambito delle diverse procedure di gara ancora in corso (TAR, Lazio, Roma, Sez. II-bis, 13 gennaio 2016, n. 328; Cons. St., Sez. V, 27 luglio 2016, n. 3400). La stazione appaltante, peraltro, è vincolata a recedere dal contratto quando sia stata emessa l'informativa (e salva l'eccezionale ipotesi dell'art. 94, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011), se e fino a quando non sopraggiunga l'eventuale provvedimento di straordinaria e temporanea gestione adottata dal prefetto per le eccezionali esigenze contemplate dall'art. 32, comma 10, cit. (Cons. St., Sez. III, 28 aprile 2016, n. 1630).

Casistica: Interdittiva antimafia e raggrupamento temporaneo di imprese

CGA, 8 febbraio 2016, n. 34

Le disposizioni sulla sostituzione della impresa mandataria divenuta incapace, di cui all'art. 37, comma 18, d.lgs. n. 163 del 2006, si applicavano anche nei casi in cui l'incapacità conseguiva all'adozione di una interdittiva antimafia.

Il citato art. 37, commi 18 e 19, prevedeva che, venuto meno (per le cause ivi indicate: fallimento della società, morte, interdizione, inabilitazione o fallimento dell'imprenditore individuale, ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia) il mandatario originario, il rapporto contrattuale poteva proseguire con l'ATI solo se un altro operatore economico in possesso dei requisiti si costituiva come nuovo mandatario o altrimenti si estingueva. Invece se veniva meno il mandante, il rapporto con l'ATI proseguiva comunque, o con la sostituzione di quello o con l'esecuzione della prestazione, già affidata al mandante stesso, da parte del mandatario o degli altri mandanti (ove esistenti). Si trattava di disposizioni di natura eccezionale, che derogavano al principio di immodificabilità del soggetto partecipante alla gara.

Data la natura eccezionale della norma citata, essa prevaleva sulle disposizioni successive, parzialmente difformi, recate dal codice antimafia.

Quest'ultimo testo di legge detta, infatti, una disciplina analoga a quella dell'allora vigente codice dei contratti pubblici solo in caso di interdittiva a carico dell'impresa mandante, mentre nulla dispone per l'ipotesi in cui l'interdittiva colpisca la mandataria, trovando così in astratto applicazione la regola generale (data dall'art. 94, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011) del recesso dal contratto e non prevedendo quindi la possibilità che il rapporto contrattuale prosegua previa sostituzione della mandataria.

Ciò nonostante, secondo la richiamata giurisprudenza, in applicazione del generale canone ermeneutico secondo cui la norma generale posteriore non prevale sulla speciale anteriore, non si poteva ritenere che la disciplina antimafia avesse inciso sulla previsione recata dalla normativa appalti in caso di interdittiva a carico della mandataria, previsione a sua volta speciale e derogatoria.

Questo anche in considerazione della circostanza che la responsabilità dell'impresa soggetta ad infiltrazione mafiosa non può che essere personale e soggettiva, in difetto di prova contraria, e non può quindi automaticamente propagarsi a carico di altri autonomi soggetti imprenditoriali: «sicché ragionevolmente il legislatore – nel bilanciamento dei contrapposti interessi – ha inteso contemperare il prosieguo dell'iniziativa economica delle imprese in forma associata con le esigenze afferenti alla sicurezza e all'ordine pubblico connesse alla repressione dei fenomeni di stampo mafioso consentendo appunto la prosecuzione dell'appalto purché, a mezzo di pronte misure espulsive, si determini l'allontanamento e la sterilizzazione della impresa in pericolo di condizionamento mafioso».

Cons. St., Sez. III, 7 marzo 2016, n. 923

È illegittima l'informativa interdittiva antimafia che non scaturisce da un autonomo e specifico accertamento istruttorio, idoneo a dare conto di effettivi tentativi di infiltrazione mafiosa, ma che trae esclusivamente origine dalla partecipazione dell'impresa destinataria al r.t.i., e alla società consortile conseguentemente costituita, insieme ad altra impresa gravata a sua volta da una interdittiva specifica (peraltro immediatamente estromessa dalla società consortile appena raggiunta dal provvedimento prefettizio).

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