Gli indici di affidabilità fiscale sono costituzionali?
04 Ottobre 2017
Premessa
È noto che gli studi di settore, sin dalla loro prima applicazione, hanno alimentato discussioni, generato sperequazioni e implementato il contenzioso in occasione dei controlli effettuati dall'Amministrazione finanziaria. Per superare tali criticità non sono stati sufficienti i continui affinamenti apportati nel tempo con interventi legislativi che, privi di qualsiasi obiettivo di coordinamento e razionalizzazione, sono stati adottati esclusivamente per fronteggiare specifici aspetti circostanza che, sovente, non solo non è riuscita ad eliminare gli inconvenienti ma ha addirittura alimentato ulteriori criticità.
D'altra parte, è pacifico che le disposizioni emanate per potenziare gli studi di settore nonché per procedere alla loro revisione, ivi compresa la introduzione del contraddittorio soprattutto per agevolare l'eventuale accertamento con adesione, hanno determinato un forte gap tra ricostruzione presuntiva e realtà fattuale e prodotto due ulteriori conseguenze: necessità di fare ricorso sempre più frequente alle indagini finanziarie e uso indiscriminato delle presunzioni. Di qui la decisione governativa di procedere alla loro sostituzione con i c.d. indici di sintetici di affidabilità fiscale (ISAF) sebbene vada doverosamente ricordato che, nonostante siano diverse le cause del fallimento della procedura, alcuni risultati positivi sono stati comunque conseguiti non tanto in termini di perequazione del carico fiscale – e, quindi, del rispetto del principio della capacità contributiva – quanto in termini di gettito e di maggiore affidabilità del rapporto Fisco – contribuente.
In ogni caso, con l'art. 7 del D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, è stato disposto che, la decorrere dal periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2017 sono abrogati i parametri e gli studi di settore. Tale disposizione, pur salvaguardando il principio, è stata completamente riscritta con l'art. 9-bis al D.L. 24 aprile 2017, n. 50, procedura che, di per sé, è già adeguatamente sufficiente per evidenziare la mancanza di certezza in una materia che, per contro, dovrebbe fare di tale parametro il suo principale punto di forza. Le caratteristiche degli indici
In materia di accertamento per presunzioni non può prescindersi dal ricordare l'autorevole orientamento della suprema corte di Cassazione secondo cui la "procedura di accertamento tributario standardizzato, mediante applicazione dei parametri o degli studi di settore, è un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dal mero scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati" (Cass. civ., ss.uu., 18 dicembre 2009, n. 26635).
Come logica conseguenza sono stati annullati gli atti impositivi la cui motivazione si basava sullo scostamento tra reddito dichiarato e i parametri di riferimento dovendo, per contro, essere integrata con la dimostrazione dell'applicabilità in concreto dello standard prescelto nonché con l'indicazione delle ragioni per le quali sono state disattese, dall'Ufficio, le obiezioni sollevate dal contribuente.
Non è certamente questa la sede per richiamare le molteplici criticità emerse, anche a seguito del pregevole contributo della dottrina e della giurisprudenza; è sufficiente, allora, evidenziare la mancata adesione della base imponibile derivante dall'applicazione degli studi di settore (e, in pochi casi residui, dei parametri) alla realtà fattuale delle singole categorie economiche e, comunque, le difficoltà da parte dell'amministrazione finanziaria di supportare le sue pretese creditorie con argomentazioni giuridicamente attendibili e soddisfacenti.
Come si è avuto modo di rilevare da tempo (S. Capolupo, Manuale dell'accertamento delle imposte, IX ed. Milano, 2015) sul piano procedimentale uno dei fattori condizionanti dell'azione dell'Amministrazione finanziaria è da ricercare certamente nella scelta operata, a suo tempo, dal legislatore di collocare l'accertamento per studi di settore nell'ambito dell'accertamento analitico.
Sarebbe logico, allora, attendersi che il Parlamento, nell'introdurre in sostituzione degli studi di settore gli indici sintetici di affidabilità fiscale, oltre a tener conto dei difetti dell'abrogata procedura, emanasse una disciplina idonea non solo ad eliminare i vari inconvenienti emersi dalla pratica applicazione ma anche in linea sia con i principi dello statuto dei diritti del contribuente (L. 27 luglio 2000, n. 212) sia con gli obblighi di motivazione (art. 43 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600), nel rispetto, ovviamente, dei principi costituzionali.
La nuova procedura si pone l'obiettivo di “favorire l'emersione spontanea delle basi imponibili e di stimolare l'assolvimento degli obblighi tributari da parte dei contribuenti e il rafforzamento della collaborazione tra questi e l'Amministrazione finanziaria, anche con l'utilizzo di forme di comunicazione preventiva rispetto alle scadenze fiscali”.
Per espressa previsione legislativa gli indici sintetici di affidabilità fiscale sono elaborati con una metodologia basata su analisi di dati e informazioni relativi a più periodi d'imposta; rappresentano la sintesi di indicatori elementari tesi a verificare la normalità e la coerenza della gestione aziendale o professionale, anche con riferimento a diverse basi imponibili ed esprimono, come già ricordato, su una scala da 1 a 10 il grado di affidabilità fiscale attribuito a ciascun contribuente.
I vantaggi previsti sono assai rilevanti atteso che incidono sia sui termini di decadenza per l'esercizio dell'attività di accertamento – fino ad escluderla – sia sulla metodologia essendo stati esclusi, tra l'altro, il ricorso alle presunzioni e l'inapplicabilità dell'accertamento sintetico.
In ordine ai criteri da seguire per la ricostruzione dei citati indici, essi sono chiaramente definiti atteso che i dati rilevanti per la loro progettazione, realizzazione, costruzione e applicazione sono acquisiti dalle dichiarazioni fiscali previste dall'ordinamento vigente, dall'anagrafe tributaria, dalle agenzie fiscali, dall'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), dall'Ispettorato nazionale del lavoro e dalla Guardia di finanza nonché da altre fonti.
Nell'ottica di incentivare la compliance è stata previsto una sorta di ravvedimento qualora le loro comunicazioni non siano complete e/o veritiere. Invero, relativamente ai periodi d'imposta per i quali trovano applicazione gli ISAF, i contribuenti interessati possono indicare nelle dichiarazioni fiscali ulteriori componenti positivi, non risultanti dalle scritture contabili, rilevanti per la determinazione della base imponibile ai fini delle imposte sui redditi. Le dichiarazioni integrative non comportano l'applicazione di sanzioni e interessi a condizione che il versamento delle relative imposte sia effettuato entro il termine e con le modalità previsti per il versamento a saldo delle imposte sui redditi, con facoltà di effettuare il pagamento rateale delle somme dovute a titolo di saldo e di acconto delle imposte.
L'elemento determinante della nuova procedura, quale presupposto per poter beneficiare dei previsti vantaggi, è costituito certamente dalla ricordata attribuzione, su una scala da 1 a 10, di un grado di affidabilità fiscale a ciascun contribuente. In sostanza, il sistema dovrebbe, per ogni categoria economica, determinare i ricavi o i corrispettivi di ciascun soggetto passivo d'imposta in passato assoggettato al regime degli studi di settore e, in relazione al loro ammontare, misurare il tasso di affidabilità (o veridicità) della dichiarazione del contribuente per poi attribuire una valutazione espressa in termini numerosi da uno a 10 come si usava una volta nelle scuole primarie e secondarie.
Va da sé che le finalità che si intendono conseguire, in precedenza richiamate, non solo sono condivisibili ma sono addirittura meritevoli di essere incentivate ulteriormente essendo innegabile che una maggiore base imponibile potrebbe aiutare a ridurre la pressione fiscale, soprattutto per alcune categorie, avendo raggiunto livelli oggettivamente insostenibili.
Va da sé che la condivisione delle finalità non implica anche la condivisione della procedura adottata e dei criteri utilizzabili. Tralasciando il primo aspetto, è indubbio che il profilo di maggiore criticità sia costituito dall'attribuzione del voto. Sotto tale aspetto la norma giuridica è carente sotto diversi aspetti, certamente lesiva dei principi di uguaglianza, legalità e capacità contributiva. La valutazione dei criteri, ovviamente, non può prescindere da quella degli effetti che conseguono a ciascun “voto” attribuito in relazione ai diversi livelli di affidabilità fiscale conseguenti all'applicazione degli indici. In sostanza, i contribuenti che, a seguito dell'esame, conseguono un voto massimo chiudono il loro rapporto con il fisco; quelli che vengono “respinti” saranno accertati (e in questa sede non importa come); coloro che conseguono un voto da due a nove possono beneficiare dei vantaggi diversificati in funzione dell'esito della valutazione.
Sul piano potenziale il principio parrebbe logico non sussistendo alcun motivo di controllare i contribuenti che hanno dichiarato una base imponibile in linea con la loro capacità contributiva e distribuire i vantaggi in proporzione alla loro correttezza. Al riguardo, giova ricordare che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale, sussiste la lesione del principio di uguaglianza ogni qualvolta situazioni uguali sono disciplinate in modo differente ovvero, per situazioni diverse, è stata prevista una disciplina uguale.
Il legislatore, per evitare il rischio di incostituzionalità del richiamato art. 9-bis del D.L. n. 50/2017, avrebbe dovuto prevedere dei criteri che, sia pure in modo ragionevole, assicurassero un voto uguale a tutti i contribuenti che versano nelle stesse condizioni in modo che meriti o demeriti fossero attribuiti in egual misura.
Ne, al riguardo, può essere sollevata la fondata eccezione della impossibilità, ogni qualvolta si proceda per presunzioni, di assicurare un trattamento omogeno se non altro in funzione dei diversi criteri, non determinabili a priori essendo affidati alla professionalità, alla correttezza, al buon senso ecc. del funzionario preposto all'accertamento.
Si è dell'avviso, infatti, che nel caso in esame difettino almeno due criteri informatori dell'ordinamento giuridico in generale e di quello fiscale in particolare. Il primo è costituito dalla ragionevolezza; il secondo dalla indeterminatezza dei criteri, entrambi determinanti in ordine agli effetti dell'attribuzione del voto. Certo, la professionalità dei funzionari dell'Agenzia delle Entrate – quale organo tecnico preposto all'accertamento – e la loro riconosciuta serietà potrebbero costituire certamente valide garanzie per il contribuente. Tale valutazione, però, sia pure rilevante, attiene all'aspetto fattuale.
In termini di puro diritto, invece, se prima della valutazione deve ritenersi che il contribuente sia titolare di un interesse legittimo affinché la valutazione sia operata in modo omogeneo, una volta divenuto destinatario del voto consegue un diritto soggettivo a beneficiare i vantaggi corrispondenti quali, ad esempio, l'esclusione dall'accertamento per presunzioni semplici e dall'accertamento sintetico. Il comma 11, lett. e) dell'art. 9-bis prevede, tra i benefici, l'anticipazione di almeno un anno, con graduazione in funzione del livello di affidabilità, dei termini di decadenza per l'attività di accertamento. Sotto il profilo in esame la norma sembra carente almeno di due elementi determinanti. Invero, il legislatore, nel prevedere “almeno un anno” della riduzione dei termini di decadenza, non esclude che questi possano essere addirittura azzerati qualora, per ipotesi, il contribuente consegua un voto massimo (10), a prescindere dalla data di presentazione della dichiarazione.
Il secondo attiene alla mancata indicazione di criteri specifici e, quindi, alla loro indeterminatezza con il rischio di creare sperequazioni che impattano, in modo immediato e diretto, sia sui criteri di determinazione della capacità contributiva sia sul piano procedimentale qualora l'atto impositivo fosse impugnato, ad esempio, dinanzi al giudice tributario.
Indubbiamente, l'Amministrazione finanziaria dovrà motivare adeguatamente i criteri seguiti nel caso specifico per l'assegnazione del voto e, probabilmente, sotto tale aspetto si potrebbero anche superare i dubbi di costituzionalità nel caso specifico. Le perplessità, tuttavia, riguardano il sistema nel suo insieme e, in particolare, il vuoto legislativo che, solo in parte, potrebbe essere colmato dalla solita circolare dell'Agenzia delle Entrate. In ogni caso, la materia in esame non può essere disciplinata sul piano amministrativo essendo palese, in tal caso, la violazione del principio di legalità di cui all'art. 23 della Costituzione.
In verità anche l'idea del voto appare quanto meno originale, se non stravagante, soprattutto laddove si pensi, ad esempio, che è stata sollevata più volte dinanzi al giudice amministrativo l'insufficienza del solo voto numerico in sede di partecipazione ad un concorso per esprimere il giudizio della commissione di esame ritenendo che lo stesso debba essere accompagnato da una descrizione delle domande, delle risposte, della loro aderenza alla materia trattata, ecc. pur essendoci un verbale in cui i commissari fissano, a priori, i criteri di valutazione, con conseguente omogeneità di trattamento per tutti i candidati.
In un'ottica di serena ma anche oggettiva valutazione non può essere disconosciuto che il sistema introdotto a decorrere dal primo gennaio 2017 per misurare la correttezza della quasi totalità dei contribuenti aggrava ulteriormente l'attuale sperequazione tra categorie economiche e professionali, tra i singoli appartenenti alle citate categorie, tra aree geografiche e categorie di reddito, ecc. per cui questa un'ulteriore variabile di discriminazione può costituire effettivamente non solo un fattore disincentivante alla tanta auspicata e pubblicizzata compliance ma anche un'ulteriore alimentazione del contenzioso, aggravio di cui nessuno avverte la necessità. Conclusioni
La procedura per indici sintetici di affidabilità fiscale, che ha già subito un completo stravolgimento prima ancora di entrare in vigore, dovrà essere necessariamente integrata essendo evidenti i profili di incostituzionalità e, in ogni caso, i rischi di consumare sperequazioni tra contribuenti.
Premesso che il tasso di affidabilità poteva essere espresso anche in termini “meno scolastici”, peraltro in buona parte superati anche in quella sede, esistono almeno due ulteriori considerazioni che meritano di essere evidenziate.
La prima riguarda il rischio concreto che la valutazione venga effettuata (ed i vantaggi attribuiti e goduti) sulla base di presupposti non corretti atteso che la procedura è comunque costruita utilizzando le informazioni fornite soprattutto dei contribuenti, aspetto che non assicura affatto che vi sia corrispondenza, ancorché con ragionevoli scarti, con la posizione reddituale dei contribuenti. In sostanza, non si hanno certezze che la comunicazione dei dati sia veritiera, completa, comprensibile. La seconda concerne la veridicità, completezza ed attualità degli elementi e delle informazioni contenute nell'anagrafe tributaria e nelle singole banche dati utilizzabili, anche a voler ignorare talune resistenze a superare ingiustificate gelosie nel consentire la interoperabilità di tutti i data base. |