Il rischio di licenziamento in caso di appropriazione di beni aziendali

30 Dicembre 2014

La suprema corte di cassazione con sentenza n.26323 del 15/12/2014 afferma che il giudice non deve applicare automaticamente la sanzione del licenziamento prevista dal contratto collettivo per una determinata infrazione, ma deve procedere ad una valutazione dell'adeguatezza della sanzione.

La suprema corte di cassazione con sentenza n.26323 del 15/12/2014 afferma che il giudice non deve applicare automaticamente la sanzione del licenziamento prevista dal contratto collettivo per una determinata infrazione, ma deve procedere ad una valutazione dell'adeguatezza della sanzione.

Nel caso in esame il dipendente era stato licenziato in quanto incolpato di aver irregolarmente registrato come “impianto fisso” un computer portatile acquistato dall'azienda e di averlo conservato nella sua abitazione, contravvenendo alla regola per cui era vietato, senza autorizzazione, portare fuori dall'ambiente di lavoro i beni aziendali.

Il lavoratore fu licenziato in forza dell'art. 25, lett. B), disc. Gen., sezione terza del CCNL Metalmeccanici industria, il quale punisce con licenziamento per giusta causa il “furto nell'azienda” ed il “trafugamento” di beni appartenenti all'azienda stessa. Impugnato il licenziamento, la corte, pur ritenendo effettivamente attuato il comportamento descritto, si esprime in favore del lavoratore.

Nella sentenza, la suprema corte sostiene che il licenziamento per giusta causa è concepito come extrema ratio laddove qualsiasi altra sanzione risulti insufficiente a tutelare gli interessi dell'azienda e vi sia l'impossibilità, anche provvisoria, di una prosecuzione del rapporto di lavoro.

Il giudice non è quindi vincolato all'ipotesi di giusta causa prevista dal contratto collettivo, ma deve sempre verificare la corrispondenza con l'ipotesi generale di cui all'art. 2119 cc.