Contestazioni disciplinari

Giuseppe Buscema
15 Novembre 2023

Il lavoratore, quale parte del contratto di lavoro, nell'esecuzione dello svolgimento della sua attività soggiace alle obbligazioni legali e contrattuali derivanti dalla stipulazione del contratto.Egli deve osservare le direttive del datore di lavoro, svolgere l'attività diligentemente e fedelmente. Più in generale non deve incorrere in comportamenti che possono incidere negativamente sul rapporto di lavoro.La violazione di tali comportamenti comporta l'assoggettamento alle sanzioni disciplinari previste dal codice disciplinare applicabile e, in caso di particolare gravità, a quella espulsiva del licenziamento.Tuttavia, rispetto agli altri contratti, quello di lavoro subordinato soggiace ad importanti limitazioni che trovano giustificazione nel fatto che il lavoratore rappresenta la parte debole del contratto.

Inquadramento

Il lavoratore, quale parte del contratto di lavoro, nell'esecuzione dello svolgimento della sua attività soggiace alle obbligazioni legali e contrattuali derivanti dalla stipulazione del contratto.

Egli deve osservare le direttive del datore di lavoro, svolgere l'attività diligentemente e fedelmente. Più in generale non deve incorrere in comportamenti che possono incidere negativamente sul rapporto di lavoro.

La violazione di tali comportamenti comporta l'assoggettamento alle sanzioni disciplinari previste dal codice disciplinare applicabile e, in caso di particolare gravità, a quella espulsiva del licenziamento.

Tuttavia, rispetto agli altri contratti, quello di lavoro subordinato soggiace ad importanti limitazioni che trovano giustificazione nel fatto che il lavoratore rappresenta la parte debole del contratto.

Il legislatore ha pertanto previsto che la possibilità di irrogare sanzioni al lavoratore è sottoposta a precise procedure che il datore di lavoro deve seguire nella fase procedimentale.

Le regole sono previste, in particolare, dallo

Statuto dei lavoratori

finalizzate a consentire al lavoratore di far valere le proprie ragioni sin dall'avvio del procedimento e dunque prima dell'irrogazione delle sanzioni.

Rimane peraltro la possibilità per i lavoratore di opporsi alle sanzioni irrogate nelle diverse sedi competenti (sindacali, amministrative, giudiziarie).

Contestazioni disciplinari: le reciproche obbligazioni

Il contratto di lavoro, così come qualsiasi altra tipologia di contratto, prevede delle reciproche obbligazioni per le parti che lo hanno stipulato.

In particolare, il lavoratore subordinato, ai sensi dell'

articolo 2094 del codice civile

, è colui che chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore.

Il datore di lavoro si obbliga alla corresponsione della retribuzione, il lavoratore mette a disposizione del primo, le proprie energie lavorative (obbligazione di mezzi).

Il lavoratore nell'esecuzione della propria attività lavorativa, dunque, soggiace al potere gerarchico del datore di lavoro e dei suoi collaboratori, che può essere esercitato costantemente attraverso le direttive assegnate.

Il successivo

articolo 2104 c.c.

prevede altresì che il lavoratore deve usare nello svolgimento dell'attività, la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta e dall'interesse dell'impresa.

In buona sostanza si tratta dei doveri di obbedienza e diligenza.

Deve inoltre osservare le disposizioni per l'esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall'imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende.

Si tratta dell'obbligazione derivante dal vincolo di subordinazione prevista dal citata art. 2094 c.c. che rappresenta l'elemento distintivo del contratto che lo distingue del contratto di lavoro autonomo nel quale il lavoratore invece svolge la propria attività senza l'assoggettamento al potere gerarchico del datore di lavoro e quindi in autonomia col solo vincolo di rispettare quanto contrattualmente stabilito.

A ciò va altresì aggiunto l'ulteriore obbligo di fedeltà regolato dall'

articolo 2105 c.c.

in base al quale egli non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l'imprenditore, né divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio.

In materia di lavoro il punto centrale è analizzare quali sono le conseguenze derivanti dalla violazioni di detti doveri e soprattutto quali sono le modalità per metterle in atto?

Dalla violazione di tali obblighi consegue, infatti, il potere disciplinare del datore di lavoro che potrà essere esercitato tuttavia nei limiti e con le procedure previste dalla

Legge

20 maggio 1970,

n. 300 (

Statuto dei lavoratori)

, nonché dalla

legge 15 luglio 1966 n.604

in materia di licenziamenti individuali e dalla disciplina prevista dal contratto collettivo applicabile.

Tali provvedimenti regolano le modalità ed i limiti per l'irrogazione delle sanzioni disciplinari da parte del datore di lavoro con l'obiettivo di tenere conto del differente peso contrattuale delle parti.

Infatti, considerato che il lavoratore rappresenta la parte debole del contratto, il legislatore ha previsto specifiche condizioni per l'esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro, ciò al fine di evitare un esercizio smisurato o almeno incontrollato del potere disciplinare attraverso l'adozione delle sanzioni disciplinari.

Sanzioni conservative ed espulsive

Preliminarmente va fatta una distinzione tra le sanzioni disciplinari conservative e quelle espulsive.

Le prime sono quelle che non fanno conseguire la risoluzione del rapporto di lavoro e sono:

  • il richiamo verbale,
  • il richiamo scritto,
  • la sospensione e la multa.

La sanzione espulsiva è quella dalla quale deriva la decisione del datore di lavoro di recedere dal contatto di lavoro per giustificato motivo soggettivo e, nei casi più gravi, per giusta causa, cd. licenziamento disciplinare.

Non costituisce invece un provvedimento disciplinare la sospensione cautelare eventualmente comunicata dal datore di lavoro al lavoratore in casi particolari che, tuttavia, non priva il lavoratore del diritto alla retribuzione.

In particolare è con la

legge n. 300/1970

(cd.

Statuto dei lavoratori

) che si giunge ad una regolamentazione puntuale del potere disciplinare in capo al datore di lavoro, definendo limiti e procedure per il concreto esercizio di tale potere.

In ogni caso, va considerato che, secondo quanto previsto dall'

articolo 2106 c.c.,

è necessario che si tenga conto nell'esercizio di tale potere, del principio di proporzionalità tra infrazione e sanzione irrogata.

Limitandoci alla trattazione delle sanzioni conservative, ci occupiamo del procedimento disciplinare.

Il procedimento disciplinare

L'esercizio del potere disciplinare e quindi l'irrogazione di sanzioni, come anticipato, è subordinato al rispetto da parte del datore di lavoro di precise regole che sono contenute all'

articolo 7 dello Statuto dei lavoratori

.

L'applicazione di tali procedure riguardano tutti i datori di lavoro a prescindere dal numero di lavoratori occupati e dunque sia quelli ai quali si applica il regime di tutela reale che quelli in regime di tutela obbligatoria.

La differenza prevista dal comma 6 dell'art. 18 della legge n. 300/1970 a seconda dei limiti dimensionali del datore riguarda, infatti, le conseguenze del licenziamento illegittimo e non anche le procedure disciplinari che invece sono generali.

La condizione necessaria per l'avvio di un procedimento disciplinare consiste nel mettere a conoscenza i lavoratori delle regole da osservare nello svolgimento dell'attività lavorativa e le relative conseguenze in caso di inadempimento.

A tal fine, il datore di lavorodeve procedere all'affissione in luogo accessibile a tutti i lavoratori del codice disciplinare.

Un vero è proprio regolamento nel quale saranno previste le diverse tipologie di sanzioni citate in precedenza.

Peraltro, tale codice potrà essere quello già previsto nel contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro; in tal caso, occorrerà comunque procedere all'affissione della parte del contratto collettivo nel quale sono previste le norme disciplinari.

È importante ricordare che l'affissione del codice disciplinare non può essere sostituita da altre modalità che pur abbiamo consentito al lavoratore di entrare in possesso del documento o comunque gli abbiano consentito di conoscerne i contenuti (

Cass. Sez. Unite 5 febbraio 1988 n. 1208

).

Dunque non sarà regolare ad esempio la consegna in sede di assunzione e neanche successivamente.

Conseguentemente, un eventuale violazione di tale regola, potrebbe costituire, salvo le ipotesi più gravi (v. infra) un vizio insanabile che pregiudica l'intera procedura a prescindere dalla fondatezza dell'eventuale addebito.

Per completezza, va inoltre evidenziato che l'unica ipotesi che non richiede la presenza del codice riguarda il licenziamento per giusta causa derivante da un così grave inadempimento da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro.

Tale possibilità trova fondamento nel fatto che si tratta di una ipotesi legale di risoluzione del rapporto di lavoro prevista dall'

articolo 2119 c.c.

Va considerato, sotto tale profilo, che alcuni comportamenti costituiscono inadempimenti così gravi, in quanto previsti dalla legge o comunque appartenenti al patrimonio deontologico di qualsiasi persona onesta, ovvero dei doveri imposti al prestatore di lavoro dalle disposizioni di carattere generale proprie del rapporto di lavoro subordinato che non richiedono l'indicazione in un codice disciplinare affinché il lavoratore venga messo a conoscenza della violazione delle proprie obbligazioni (

Cass. Sez. Lavoro sent. 10 maggio 2010, n. 11250

).

Tale principio è stato ribadito dalla sentenza

Cass. Sez. Lavoro n. 7105 del 26 marzo 2014

laddove viene fissato il principio che anche relativamente alle sanzioni disciplinari conservative - e non per le sole sanzioni espulsive - deve ritenersi che, in tutti i casi nei quali il comportamento sanzionatorio sia immediatamente percepibile dal lavoratore come illecito, perché contrario al cosiddetto «minimo etico» o a norme di rilevanza penale, non sia necessario provvedere alla affissione del codice disciplinare, in quanto il lavoratore ben può rendersi conto, anche al di là di una analitica predeterminazione dei comportamenti vietati e delle relative sanzioni da parte del codice disciplinare, della illiceità della propria condotta.

Il rimando ai contratti collettivi

Per quanto riguarda le previsioni del codice disciplinare ed in particolare delle sanzioni in esso previste, va tenuto conto di quanto previsto dai contratti collettivi in virtù di quanto indicato nell'ultimo periodo del comma 1 dell'

art.

7, legge n.

300/1970

secondo il quale le norme di disciplinari " [...] devono applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano ". Va peraltro considerato, a tal fine, che, nel settore privato, trattandosi di contratti di diritto comune, la piena applicabilità di tale previsione deve ritenersi sussistere per i datori di lavoro vincolatisi all'applicazione del contratto collettivo vuoi in quanto aderenti all'associazione firmataria o poiché abbiano comunque deciso spontaneamente di applicarlo.

Ne discende che, se nella prassi di sovente l'affissione del codice disciplinare avviene attraverso l'estrazione della parte del CCNL che lo regolamenta generalmente in misura adeguata, debbono ritenersi legittimi i comportamenti dei datori di lavoro i quali abbiano deciso, con i limiti visti in precedenza, di discostarsi dalle previsioni collettive.

Va però puntualizzato in ogni caso che ciò non vale per la più grave delle sanzioni disciplinari e cioè il licenziamento, la cui applicabilità delle previsioni dei CCNL è espressamente richiamata dall'

articolo 12 della legge n.604/1966

.

Abbiamo visto dunque l'aspetto pubblicitario richiesto dal legislatore con la finalità di rendere edotto il lavoratore delle conseguenze di un suo comportamento non coerente con quello richiesto dal datore di lavoro.

La fase successiva è quella relativa all'adozione dei provvedimenti che prevede l'obbligo per il datore di lavoro di contestare l'addebito al fine di consentire al lavoratore l'esercizio del diritto di difesa.

A tal fine, è necessario che le contestazioni vengano formulate per iscritto. Tale forma è da ritenersi pertanto ad substantiam.

Tali contestazioni devono essere tempestive, specifiche e soprattutto non devono essere modificate.

Le ragioni sono da ricercarsi nella possibilità per il lavoratore di esercitare adeguatamente il proprio diritto di difesa ma anche evitare che esse mutino in ragione delle fasi della procedura disciplinare (immodificabilità) ed anche evitare di mantenere un stato di soggezione del lavoratore il quale si potrebbe trovare sotto la latente incombenza di una sanzione per un lasso temporale irragionevolmente lungo (tempestività).

Peraltro, ciò non significa che la contestazione disciplinare comporti un termine di decadenza qualora il datore di lavoro abbia la necessita di una istruttoria preliminare ovvero qualora non abbia avuto immediata conoscenza dei fatti.

Tali principi sono da ritenersi fondamentali al fine di poter consentire la legittimità della sanzione successivamente eventualmente irrogata dal datore di lavoro.

Il lavoratore, una volta ricevuta la contestazione dell'addebito, avrà legalmente cinque giorni di tempo per esporre le proprie ragioni e quindi difendersi.

Il secondo comma dell'

articolo 7 dello Statuto dei lavoratori

prevede infatti che il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l'addebito e senza averlo sentito a sua difesa.

Considerando il valore recettizio della comunicazione, il termine decorre dalla data di ricezione della comunicazione da parte del lavoratore.

Quest'ultimo potrà decidere altresì di farsi assistere da un'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato.

Decorso tale arco temporale minimo ovvero quello previsto dai contratti collettivi di lavoro ovvero dal codice disciplinare, il datore di lavoro comunicherà, sempre per iscritto, il provvedimento disciplinare irrogato al lavoratore a prescindere dalle difese del lavoratore ovvero dall'eventuale mancata presentazione di scritti difensivi.

Egli potrà infatti esercitare il proprio potere disciplinare e dunque irrogare la sanzione in quanto il lavoratore potrà comunque far valere le proprie ragioni e quindi opporsi al provvedimento, nelle sedi competenti.

In particolare, l'irrogazione del provvedimento potrà essere impugnato dal lavoratore attraverso la richiesta, entro i venti giorni successivi, della costituzione tramite l'ufficio territoriale del lavoro di un collegio di conciliazione ed arbitrato; durante tale periodo il provvedimento rimarrà sospeso.

Rimane peraltro impregiudicato il diritto del lavoratore di ricorso all'autorità giudiziaria avverso il provvedimento.

L'interesse del lavoratore all'impugnazione non è solo tesa alla rimozione della sanzione ma anche ad evitare che la stessa possa assumere un ruolo nel caso si futuri ulteriori procedimenti disciplinari quale recidività del comportamento ed anche nell'ottica di quel principio di proporzionalità delle sanzioni richiamato all'

articolo 2106 c.c.

.

Circa la recidività dei comportamenti del lavoratore, lo

Statuto dei lavoratori

prevede comunque l'impossibilità di tenere conto delle sanzioni disciplinari irrogate, trascorsi due anni dalla data di applicazione.

In conclusione, dunque, il datore di lavoro che intende esercitare il potere disciplinare deve assolvere all'onere di pubblicità del codice, contestare l'addebito, attendere i termini per la difesa del lavoratore, irrogare la sanzione.

Il lavoratore, dal canto suo, potrà difendere le proprie ragioni nella fase che precede l'eventuale irrogazione della sanzione mediante gli scritti difensivi o con l'assistenza sindacale e nella fase successiva sia in sede amministrativa che giudiziale.

Riferimenti

Normativi

Legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori)

Legge 15 luglio 1966, n. 604

D.Lgs. 23/2015 

art. 2094 c.c.

art . 2104 c.c.

art. 2105 c.c.

art. 2106  c.c.

Giurisprudenza

Per i recenti orientamenti sul tema, v. Cass. sez. lav., 26 settembre 2023, n. 27353, con commento di F. Pedroni, Licenziamento disciplinare per sottrazione di beni: rilevanza della tenuità del valore del bene ai fini della tutela applicabile

Cass. Sez. Lavoro 26 marzo 2014, n. 7105

Cass. Sez. Lavoro 10 maggio 2010, n. 11250

Cass. Sez. Unite 5 febbraio 1988, n. 1208