18 Gennaio 2024

L'art. 39 della Costituzione che fissa il principio della libertà sindacale, l'art. 40 il diritto di sciopero. Se da un lato libertà sindacale significa possibilità di associazione e di adesione senza alcuna limitazione, dall'altro l'effettivo esercizio di tale attività all'interno dell'impresa è riconosciuto sulla base di precise regole anche finalizzate a bilanciare un altro diritto costituzionalmente garantito, questa volta a favore dell'impresa, contenuto all'articolo 41 Cost. in cui è prevista la libertà di esercizio dell'attività economica.

Inquadramento

Il diritto sindacale trova origine e tutela nell'art. 39 Cost. che fissa il principio della libertà sindacale.

Nell'ambito del diritto sindacale va ricondotto anche il successivo art. 40 Cost. che invece riconosce il diritto di sciopero.

Va altresì ricordata la convenzione adottata dalla Conferenza dell'Organizzazione internazionale del lavoro n. 87 del 1948 concernente la libertà sindacale e protezione del diritto sindacale, nonché la n. 98 del 1949 relativa all'applicazione dei principi del diritto di organizzazione e di negoziazione collettiva, entrambe ratificate dalla L. 367/58.

Se da un lato libertà sindacale significa possibilità di associazione e di adesione senza alcuna limitazione, dall'altro l'effettivo esercizio di tale attività all'interno dell'impresa è riconosciuto sulla base di precise regole anche finalizzate a bilanciare un altro diritto costituzionalmente garantito, questa volta a favore dell'impresa, contenuto all'art. 41 Cost. in cui è prevista la libertà di esercizio dell'attività economica.

Ai citati articoli 39 e 40, tuttavia, non è stata data una piena attuazione pur avendo comunque il legislatore introdotto una serie di norme volte a sostenere i suddetti principi costituzionali.

Relativamente al diritto di sciopero, la regolamentazione riguarda esclusivamente i servizi pubblici essenziali ed ha la finalità di bilanciare tale diritto di rilievo costituzionale, con altri diritti sempre meritevoli di tutela costituzionale (es. diritto alla salute, all'istruzione, trasporto, ecc.).

Proprio per contemperare tale esigenze, il diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali è regolato dalla L. 146/90 per il rispetto della quale è stata istituita un'apposita autorità amministrativa Commissione di Garanzia.

I diritti sindacali nello Statuto dei lavoratori: Titolo II

La disciplina principale di tutela e sostegno del diritto sindacale è contenuta nella L. 300/70, con cui è stato approvato lo Statuto dei lavoratori.

In particolare, lo Statuto dei lavoratori fissa le prerogative e diritti sindacali nei titoli II, III e IV.

Il Titolo II riguarda la tutela della libertà sindacale assicurando ai lavoratori la possibilità di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale all'interno dei luoghi di lavoro, nonché la nullità di atti discriminatori.

Ciò significa, prima di tutto, possibilità per chiunque di decidere se aderire o meno ad una associazione sindacale ed anche di poterla costituire.

Le associazioni sindacali, che sono poi gli attori principali per la difesa e l'esercizio collettivo del diritto sindacale, trovano anch'essi tutela nell'art. 39 Cost.

In esso è previsto che, ai sindacati, non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge.

Tale registrazione, con finalità pubblicistiche, consente ai sindacati di stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce (c.d. efficacia erga omnes).

A tal fine va ricordato che il contratto collettivo di lavoro rappresenta l'obiettivo primario del sindacato in quanto consente di fissare i trattamenti economici e normativi nonché tutti gli altri diritti dei lavoratori, oltre a fissare anche le regole che si applicano alle parti stipulanti (cd. parte obbligatoria).

Va tuttavia ricordato che le relazioni industriali e quindi la negoziazione e stipula di accordi, vengono svolte da organizzazioni sindacali che hanno storicamente scelto di non aderire al modello delineato dal citato art. 39 Cost.

In buona sostanza, le associazioni sindacali, pur fondate sui principi democratici enunciati dalla disciplina costituzionale, sono organismi associativi di natura privatistica e non registrati secondo le regole costituzionali citate. Di conseguenza, non possono derivarne le prerogative che il legislatore costituzionale ha previsto di assegnare esclusivamente a quei sindacati che abbiano conseguito il riconoscimento pubblicistico conseguibile attraverso la registrazione.

Senza entrare nel merito delle motivazioni che hanno portato i sindacati a scegliere la natura privatistica piuttosto che quella pubblicistica, verosimilmente ritenuto che in qualche modo potesse limitare l'autonomia sindacale per effetto del controllo pubblico, quello che interessa è l'effetto di tale scelta in ordine agli accordi stipulati ed alle regole in essi contenute.

Il punto è, infatti, quello dell'applicabilità del contratto collettivo che, in conseguenza dello status delle parti firmatarie, rappresenta un accordo privato che vincola le parti che lo hanno, direttamente o indirettamente sottoscritto, e che, di conseguenza, ne limita l'efficacia per gli altri soggetti.

Parliamo dell'efficacia soggettiva del contratto collettivo, la cui interpretazione circa la sua applicabilità rimane ancorata a principi che sono frutto della giurisprudenza. Quest'ultima è stata ed è chiamata a bilanciare l'esigenza di assicurare la tutela diritti del lavoro previsti dalla Costituzione, ma consentendone l'applicabilità in ossequio al principio fissato dall'art. 39 Cost., il quale - abbiamo visto - fissa precise condizioni per l'applicabilità generalizzata.

Il diritto prima di tutto ad una equa retribuzione fissato dall'art. 36 Cost la cui misura non è fissata, come è noto, da disposizioni normative.

Tuttavia, il giudice chiamato a sensi dell'art. 2099 c.c. a determinarne la misura, individua il parametro costituzionale nei trattamenti economici minimi previsti dal contratto collettivo di categoria, seppur con alcune limitazioni.

Ma è necessario assicurare anche la libertà del lavoratore di non aderire al sindacato firmatario del contratto ed anche del datore di lavoro di decidere con quale sindacato negoziare e regolare i rapporti.

Va peraltro osservato che lo schema adottato dal sindacato determina anche problematiche sul fronte dei diversi livelli di contrattazione esistenti e, dunque, degli accordi da essi stipulati.

L'attuale contrattazione collettiva prevede infatti due livelli: il primo che è quello nazionale, il secondo che è quello territoriale o aziendale.

Si tratta di livelli che hanno (rectius: avrebbero) prerogative differenti; volendo sintetizzare, il contratto nazionale si occupa di fissare le regole generali, i trattamenti economici e normativi minimi; il secondo livello svolge quelle attività assegnate dagli accordi nazionali.

La questione, però, riguarda le conseguenze relative alle non rare ipotesi in cui il secondo livello di contrattazione svolga attività (o se vogliamo fissi regole) ad esso non affidate ovvero deroghi il contratto nazionale in peius. In buona sostanza accordi sindacali in sede aziendale o territoriale che regolino aspetti non previsti dal contratto nazionale ovvero vadano a derogarlo.

Si pensi ad una riduzione dei trattamenti economici o normativi per poter affrontare periodi o situazioni che concretamente in sede aziendale le parti abbiano riconosciuto sussistere ed affrontare con una regolamentazione autonoma.

A tal fine, la giurisprudenza è stata tendenzialmente orientata nel non riconoscere una gerarchia tra livelli con conseguente piena legittimità di quegli accordi stipulati in sede aziendale o territoriale anche se prevedono trattamenti peggiorativi rispetto al livello nazionale.

Sul punto, la Cass. 18 maggio 2010 n. 12098, ha affermato che il contrasto fra contratti collettivi di diverso ambito territoriale va risolto non in base a principi di gerarchia e di specialità propri delle fonti legislative, ma sulla base della effettiva volontà delle parti.

Titolo III

Il Titolo III dello Statuto dei lavoratori prevede norme di sostegno all'attività sindacale attraverso il diritto dei lavoratori di costituire rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro, di assemblea, svolgimento di referendum, contributi sindacali, diritti di affissione nonché diritti a favore dei dirigenti sindacali.

L'esercizio dei suddetti diritti, tuttavia, a differenza delle altre norme dello Statuto dei lavoratori, non si applica alla generalità dei lavoratori.

Ciò non significa evidentemente impedimento della libertà sindacale per tutti gli altri lavoratori occupati in aziende dimensioni inferiori, ma impossibilità di poter godere dei specifici diritti previsti dalla L. 300/70.

Infatti, le disposizioni previste dal Titolo III della L. 300/70 sono riconosciute esclusivamente ai lavoratori occupati nelle imprese che occupano più di quindici lavoratori.

L'art. 35 dello Statuto dei lavoratori prevede, infatti, che il campo di applicazione del Titolo III, si riferisca a ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo che occupa più di quindici dipendenti; per le imprese agricole, invece, riguarda quelle che occupano più di cinque dipendenti.

In ogni caso, l'applicazione riguarda le imprese industriali e commerciali che, nell'ambito dello stesso comune, occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti.

Pertanto, in tali ipotesi, si prescinde dal fatto che ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge i suddetti limiti.

Il riferimento è l'unità produttiva, di conseguenza può accadere che un'azienda abbia singole unità produttive nelle quali non è applicabile il Titolo III, altre invece sì.

L'art. 35 dello Statuto dei lavoratori fa riferimento alla sede, stabilimento, ufficio o reparto autonomo.

La giurisprudenza ha ritenuto che deve trattarsi di un'articolazione autonoma dell'impresa che abbia “idoneità ad esplicare in tutto o in parte, l'attività di produzione di beni o servizi dell'impresa, della quale costituisce una componente dotata di indipendenza tecnica e amministrativa” (Cass. 13 giugno 1998 n. 5934).

I lavoratori da computarsi sono tutti i lavoratori subordinati con esclusione degli apprendisti (cfr. art. 47 D.Lgs. 81/2015). I lavoratori a tempo parziale e con contratto di lavoro intermittente, conteggiati in misura proporzionale.

Nel primo caso, occorre tenere conto dell'orario di lavoro del contratto individuale rispetto a quello normalmente previsto per i lavoratori a tempo pieno; l'arrotondamento opera per le frazioni di orario che eccedono la somma degli orari a tempo parziale corrispondente a unità intere di orario a tempo pieno (cfr. art. 9 D.Lgs. 81/2015). Nel secondo caso, invece, i lavoratori a chiamata andranno conteggiati sulla base del lavoro effettivamente svolto nel semestre precedente (cfr. art. 18 D.Lgs. 81/2015). Per i contratti a tempo determinato, si tiene conto del numero mensile di lavoratori sulla base della media di coloro che siano stati occupati nei 24 mesi precedenti e dell'effettiva durata dei loro rapporti di lavoro (cfr. art. 27 D.Lgs. 81/2015). Non si computano, invece, se essi siano stati assunti in sostituzione di lavoratori aventi diritto alla conservazione del posto, mentre vanno conteggiati i lavoratori sostituiti anche se assenti.

Attenzione perché l'art. 35 dello Statuto dei lavoratori non prevede l'esclusione del coniuge e degli altri familiari, prevista, invece, dall'art. 18 per il calcolo del regime di tutela applicabile in caso di licenziamenti illegittimi.

Inoltre, sono esclusi i datori di lavoro non imprenditori. Tale esclusione è stata dichiarata legittima dalla Corte costituzionale con la C. Cost. 8 luglio 1975 n. 189.

La verifica circa la veste imprenditoriale del datore di lavoro si ritiene non riguardi esclusivamente la veste giuridica, ma anche l'attività svolta.

La giurisprudenza ha, ad esempio, ritenuto che svolgono attività imprenditoriali le congregazioni religiose che gestiscono istituti scolastici nella misura in cui l'attività venga svolta con finalità lucrativa e non di religione o di culto (Cass. SU 11 aprile 1994 n. 3353).

Diventa, dunque, determinante la modalità concreta con cui viene svolta l'attività e l'economicità della gestione della medesima.

Rappresentanze sindacali

Nei luoghi di lavoro possono essere costituite rappresentanze sindacali.

L'art. 19 L. 300/70, anche a seguito dell'esito del referendum abrogativo dell'11 giugno 1995, prevede che tale possibilità sia assegnata alle associazioni sindacali firmatarie dei contratti collettivi di lavoro applicati nell'unità produttiva interessata su iniziativa dei lavoratori ovvero, per effetto della sentenza della C. Cost. 23 luglio 2013, n. 231, che abbiano comunque partecipato alle trattative relative ai medesimi accordi in rappresentanza dei lavoratori prescindendo dunque dal fatto che li abbiano successivamente o meno firmati.

La Costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali (RSA) non richiede particolari forme in quanto quello che occorre è che esse nascano su iniziativa dei lavoratori operanti nell'impresa interessata e siano espressione dei sindacati di cui all'articolo 19 cit. (v. supra).

Le rappresentanze sindacali costituite nell'ambito di più associazioni possono decidere di assumere forma unitaria (RSU).

L'art. 27 L. 300/70 prevede per i datori di lavoro che occupano nell'unità produttiva almeno 200 dipendenti di mettere a disposizione delle rappresentanze sindacali aziendali, per l'esercizio delle loro funzioni, un idoneo locale comune all'interno dell'unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa.

Nelle unità produttive con un numero inferiore di dipendenti, le rappresentanze sindacali aziendali hanno diritto di usufruire, invece, ove ne facciano richiesta, di un locale idoneo per le loro riunioni.

Le più rappresentative associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro hanno concordato le regole per la rappresentanza sindacale nel Testo Unico della rappresentanza sottoscritto da CGIL, CISL, UIL e Confindustria il 10 gennaio 2014 e da CGIL, CISL, UIL– Confservizi il 10 febbraio 2014.

Accordi ai quali hanno aderito numerose altre associazioni sindacali e che modificano le regole già previste da precedenti accordi: Protocollo 23 luglio 2013; Accordo interconfederale 28 giugno 2011; Protocollo d'intesa 31 maggio 2013.

Occorre tenere presente che l'applicabilità del testo unico sulla rappresentanza riguarda le parti che lo hanno sottoscritto (v. supra relativamente alla efficacia soggettiva dei contratti collettivi di lavoro).

Il testo unico regola:

  • certificazione della rappresentanza delle OO.SS.;
  • elezione e poteri RSU;
  • modalità di nomina e poteri RSA;
  • ruoli e funzioni della contrattazione collettiva.

La misurazione della forza sindacale ai fini della rappresentanza è una scelta volontaria ed avviene su base nazionale.

Le federazioni di categoria che raggiungono la soglia del 5% a livello nazionale hanno diritto alla convocazione per la stipulazione dei CCNL.

La misurazione viene effettuata dal CNEL.

La certificazione della rappresentanza delle OO.SS. viene determinata ponderando due fattori con un peso del 50% ciascuno:

  • la media annuale delle deleghe sindacali che danno diritto alla trattenuta sindacale mensile;
  • i voti raccolti nell'assemblea delle elezioni RSU.

Si aggiungono le deleghe dei lavoratori di imprese in cui ci sono RSA o nessuna rappresentanza collettiva.

La ponderazione dei dati viene effettuata dal CNEL e viene comunicata alle parti.

Una volta effettuata la ponderazione, il dato calcolato della rappresentatività, relativo a ciascuna associazione sindacale firmataria del TU o aderente ad esso, è utile a diversi fini, oltre a quello di identificare le associazioni titolate a partecipare alle trattative per la stipulazione del CCNL.

Il TU prevede, infatti, che il CCNL sottoscritto formalmente dalle associazione sindacali che rappresentano almeno il 50% + 1 dei lavoratori è esigibile, per tutti i sindacati aderenti al TU anche se non abbiano firmato il CCNL poiché in disaccordo con esso, ed efficace, per tutti i lavoratori di imprese affiliate ad organizzazioni imprenditoriali firmatarie del TU anche se iscritti ad un'associazione sindacale non firmataria del CCNL.

Detta misura della rappresentatività risulta però imperfetta. Poiché riferita esclusivamente alla cerchia di soggetti ai quali si applica il TU.

Elezione RSU:

  • possono costituirle le federazioni di categoria espressione delle OO.SS. che hanno sottoscritto gli Accordi 28 giugno 2011, 31 maggio 2014 e T.U. 2014, ovvero che vi abbiano aderito o che siano firmatari dei CCNL;
  • possono essere indette congiuntamente o disgiuntamente;
  • durano in carica 3 anni e decadono automaticamente;
  • possono partecipare al voto tutti i lavoratori in forza;
  • le RSU subentrano alle RSA e relativi dirigenti e diritti;
  • le RSU sono composte da:

- imprese fino a 200 dipendenti: 3 componenti;

- fino a 3000: 3 componenti ogni 300 o frazione;

- oltre 3000: si aggiungono 3 dipendenti ogni 500 o frazione.

Poteri RSU:

  • contrattazione collettiva aziendale;
  • i contratti sono efficaci per tutti i lavoratori in forza;
  • vincolano le OO.SS. aziendali.

Le RSU hanno facoltà di chiedere ai lavoratori di esprimersi sul contratto collettivo aziendale.

RSA:

  • vengono nominate su iniziativa dei lavoratori nell'ambito dei sindacati firmatari dei contratti collettivi applicati nell'unità produttiva;
  • durano in carica tre anni;
  • non possono comportare oneri aziendali maggiori delle RSU;
  • stipula contratti collettivi aziendali qualora sottoscritto dalla maggioranza;
  • per determinare il criterio della maggioranza si fa riferimento al numero di iscritti certificati l'anno precedente;
  • i contratti sono efficaci per tutti i lavoratori in forza.

Le Categorie o il 30% dei lavoratori hanno facoltà di chiedere il voto entro dieci giorni dalla sottoscrizione dell'accordo collettivo aziendale.

Assemblea

Il diritto di assemblea è regolato dall'art. 20 dello Statuto dei lavoratori il quale lo assicura ai lavoratori che possono riunirsi, nell'unità produttiva in cui prestano la loro opera, fuori dell'orario di lavoro, nonché durante l'orario di lavoro, nei limiti di dieci ore annue, per le quali verrà corrisposta la normale retribuzione.

Il diritto di indire assemblee di cui all'art. 20 L. 300/70 rientra, quale specifica agibilità sindacale, tra le prerogative attribuite non solo alla RSU intesa come organo collegiale, ma anche alle sue singole componenti, magari minoritarie e dissenzienti, la cui posizione deve essere salvaguardata, purchè queste siano state elette nelle liste di un sindacato che, nell'azienda di riferimento sia, di fatto, dotato di rappresentatività, ai sensi dell'art. 19 L. 300/70, quale risultante a seguito della C. Cost. 231/2013.

Disposizioni più favorevoli possono essere previste dalla contrattazione collettiva.

Le riunioni, con ordine del giorno su materie di interesse sindacale e del lavoro e secondo l'ordine di precedenza delle convocazioni, sono comunicate al datore di lavoro e possono essere indette dalle rappresentanze sindacali nell'unita produttiva.

Conseguentemente esse non possono essere convocate su iniziativa di soggetti diversi (es. singoli lavoratori), mentre possono parteciparvi, previo preavviso al datore di lavoro, dirigenti esterni del sindacato che ha costituito la rappresentanza sindacale aziendale.

Ulteriori modalità per l'esercizio del diritto di assemblea possono essere stabilite dai contratti collettivi di lavoro, anche aziendali.

La finalità del diritto d'assemblea è quello di consentire ai lavoratori di discutere e così partecipare attivamente alle materie di interesse sindacale e del lavoro.

È un diritto primario del lavoratore che è stato ritenuto prevalente anche su quello aziendale del datore di lavoro. La giurisprudenza ha ritenuto che la tutela del datore di lavoro risulta garantita dai limiti delle ore di assemblea consentite nell'anno (Cass. 5 luglio 1997 n. 6080).

Le assemblee possono essere convocate durante o fuori dell'orario di lavoro. Nel primo caso il lavoratore matura comunque il diritto alla retribuzione a condizione che faccia parte di coloro che l'abbiano indetta e che vi sia stata effettiva partecipazione.

Va rimarcato, peraltro, che l'applicabilità riguarda i datori di lavoro che superano i limiti dimensionali previsti per l'applicazione del Titolo III dello Statuto dei lavoratori.

Referendum

L'art. 21 L. 300/70 prevede l'obbligo per il datore di lavoro di consentire nell'ambito aziendale lo svolgimento, esclusivamente fuori dell'orario di lavoro, di referendum, sia generali che per categoria, su materie inerenti all'attività sindacale, indetti da tutte le rappresentanze sindacali aziendali tra i lavoratori, con diritto di partecipazione di tutti i lavoratori appartenenti alla unità produttiva e alla categoria particolarmente interessata.

Ulteriori modalità per lo svolgimento del referendum possono essere stabilite dai contratti collettivi di lavoro anche aziendali.

L'esito del referendum ha un valore prevalentemente consultivo, lasciato alla discrezionalità delle organizzazioni sindacali che lo promuovono.

Nella disciplina del TU Rappresentanza, il ricorso al referendum è stato formalmente previsto, in certi casi, ai fini dell'approvazione finale del contratto collettivo.

Dirigenti sindacali

La L. 300/70 prevede diverse tutele a favore dei dirigenti sindacali.

Intanto l'art. 22 dello Statuto dei lavoratori afferma che il trasferimento dall'unità produttiva dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali può essere disposto solo previo nulla osta delle associazioni sindacali di appartenenza.

La violazione comporta l'applicazione dell'art. 28 L. 300/70, ovvero che la condotta possa essere considerata un comportamento antisindacale sanzionabile penalmente.

L'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, inoltre, dispone che in caso di licenziamento dei dirigenti di cui all'articolo 22, su istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi aderisca o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.

Ai dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali, per l'espletamento del loro mandato, è altresì riconosciuto il diritto a permessi retribuiti nella seguente misura:

  • un dirigente per ciascuna rappresentanza sindacale aziendale nelle unità produttive che occupano fino a 200 dipendenti della categoria per cui la stessa è organizzata;
  • un dirigente ogni 300 o frazione di 300 dipendenti per ciascuna rappresentanza sindacale aziendale nelle unità produttive che occupano fino a 3.000 dipendenti della categoria per cui la stessa è organizzata;
  • un dirigente ogni 500 o frazione di 500 dipendenti della categoria per cui è organizzata la rappresentanza sindacale aziendale nelle unità produttive di maggiori dimensioni, in aggiunta al numero minimo di cui alla precedente lettera b).

Si tratta di permessi che spettano ad ognuna delle categorie per la quale risulta una rappresentanza sindacale aziendale.

Dunque, il riferimento non è alla sigla sindacale, ma alle categorie; di conseguenza, potrebbe accadere che siano presenti rappresentanze sindacali appartenenti alla stessa organizzazione sindacale, ma di categorie diverse (es. per dirigenti e per altre categorie di lavoratori).

I suddetti permessi retribuiti non potranno essere inferiori a otto ore mensili nelle aziende di cui alle lettere b) e c); nelle aziende di cui alla lettera a) i permessi retribuiti non potranno essere inferiori ad un'ora all'anno per ciascun dipendente.

Essi sono retribuiti secondo un monte ore proporzionale alla consistenza occupazionale dell'unità produttiva interessata, ma che di solito è ricalcolato, in termini più favorevoli, dalla contrattazione collettiva.

L'utilizzo palesemente abusivo dei permessi costituisce fonte di responsabilità disciplinare per i lavoratori che ne siano protagonisti.

Nel caso di una pluralità di dirigenti sindacali della rappresentanza sindacale aventi diritto, le ore di permesso possono essere tra di loro ripartite di talchè rimanga il limite annuo spettante alla categoria interessata.

Il lavoratore che intenda esercitare il diritto di cui al primo comma deve darne comunicazione scritta al datore di lavoro di regola 24 ore prima, tramite le rappresentanze sindacali aziendali. Alla comunicazione deve corrispondere una presa d'atto e non quindi una mera richiesta a cui potrebbe seguire una concessione discrezionale del datore.

Si tratta di un onere finalizzato a consentire al datore di lavoro di essere messo nelle condizioni di potersi organizzare in conseguenza all'assenza del lavoratore.

I contratti collettivi di lavoro possono stabilire condizioni più favorevoli.

I dirigenti sindacali aziendali hanno altresì diritto a permessi non retribuiti per la partecipazione a trattative sindacali o a congressi e convegni di natura sindacale, in misura non inferiore a otto giorni all'anno, con l'onere di darne comunicazione scritta al datore di lavoro di regola tre giorni prima, tramite le rappresentanze sindacali aziendali.

Va comunque ricordato che il diritto ai permessi in ogni caso spetta ai dirigenti delle rappresentanze sindacali aventi diritto e quindi che siano state regolarmente costituite ai sensi dell'art. 19 dello Statuto dei lavoratori (v. supra).

Ulteriore diritto che spetta ai dirigenti sindacali riguarda coloro che ricoprono cariche sindacali ovvero siano eletti a funzioni pubbliche elettive.

In particolare, l'art. 31 dello Statuto dei lavoratori prevede che possano essere collocati in aspettativa non retribuita per tutta la durata del mandato coloro che ricoprano cariche sindacali provinciali e nazionali, nonché gli eletti quali membri del parlamento nazionale o di assemblee regionali ovvero siano chiamati a ricoprire funzioni pubbliche elettive.

Come si può notare, non matura il diritto alla retribuzione, ma il periodo è considerato utile ai fini pensionistici. L'accreditamento dei contributi figurativi è a carico dell'INPS.

Inoltre, maturano i diritti dei lavoratori legati all'anzianità di servizio quali scatti di anzianità, passaggi di livello.

Diritto di affissione

L'art. 25 dello Statuto dei lavoratori assicura alle rappresentanze sindacali aziendali il diritto di affiggere, su appositi spazi, che il datore di lavoro ha l'obbligo di predisporre in luoghi accessibili a tutti i lavoratori all'interno dell'unità produttiva, pubblicazioni, testi e comunicati inerenti a materie di interesse sindacale e del lavoro.

Contributi sindacali

L'art. 26 dello Statuto dei lavoratori prevede, invece, il diritto dei lavoratori di raccogliere contributi e di svolgere opera di proselitismo per le loro organizzazioni sindacali all'interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del normale svolgimento dell'attività aziendale.

Molto importante, ai fini del finanziamento delle associazioni sindacali, è il sistema della delega sindacale, operante per effetto delle previsioni dei contratti collettivi e di prassi ormai acquisite, rilanciato inoltre dal TU Rappresentanza . Detto sistema consiste nel diritto dell'associazione sindacale di percepire i contributi sindacali che i lavoratori dichiarino di voler versare ad esse, tramite la modalità della trattenuta in busta paga del datore.

Il conteggio delle deleghe sindacali è fondamentale per la misurazione della rappresentatività dei sindacati ai fini della contrattazione collettiva.

Patto della fabbrica

Per Patto della Fabbrica si intende l'Accordo del 28 febbraio 2018, firmato da Confindustria, CGIL, CISL e UIL e ratificato il 9 marzo 2018, recante contenuti e linee di indirizzo per le relazioni industriali e per la contrattazione collettiva, il quale intende definire un nuovo, partecipativo ed efficace, modello di relazioni industriali, per rafforzare la competitività del Paese, attraverso un ammodernamento del sistema, un incremento della produttività delle imprese,un rafforzamento dell'occupabilità delle lavoratrici e dei lavoratori e la creazione di posti di lavoro qualificati.

Esso si pone tre obiettivi centrali:

- condividere una strategia di sviluppo, coordinata e coerente con le trasformazioni in atto, basata su formazione, ricerca e innovazione, volta a dare all'economia del Paese una crescita sostenibile e inclusiva, capace di affrontare e ridurre i dualismi produttivi, occupazionali e territoriali;

- fornire un mercato del lavoro più dinamico ed equilibrato;

- rafforzare le misure di sostegno ad un modello di relazioni sindacali autonomo, innovativo e partecipativo.

L'Accordo rappresenta la convinzione delle Parti che relazioni industriali autorevoli, dinamiche e qualificate costituiscano un fattore di sviluppo, in grado di incidere positivamente su un sistema economico - produttivo, che permetta di vincere le sfide poste da mercati sempre più globalizzati, dalla tecnologia e dai conseguenti cambiamenti del lavoro.

Riferimenti

Normativa

D. Lgs. 81/2015

L. 300/70

L. 367/58  art. 39,  40 e

41 Cost.

Accordo Interconfederale 28 febbraio 2018, ratificato il 9 marzo 2018

Giurisprudenza

Per i recenti orientamenti sul tema, v.  Cass. Pen., sez. VI, 23 febbraio 2023, n. 21400, con commento di A. Lanzara, L'attività sindacale espletata in modo violento integra gli estremi del reato di associazione a delinquere? Cass., sez. lav., 5 dicembre 2022, n. 35643, con commento di G. Lavizzari, V.M. Manzotti, I limiti al volantinaggio elettronico a contenuto sindacale sul luogo di lavoroCass. Civ. sez. lav., 22 dicembre 2023, n. 35922, con commento di G. Lavizzari, V.M. Manzotti, Limiti all'esercizio del diritto di critica del rappresentante sindacale: legittimo il licenziamento per condotte lesive dell'immagine e della dignità datoriale Cass., sez. lav., 18 gennaio 2024, n. 1975, con commento di T. Zappia, Conciliazione sindacale: è valido il verbale stipulato tra datore e lavoratore in una sede non “protetta”?

C. Cost. 23 luglio 2013 n. 231

Cass . 18 maggio 2010 n. 12098

Cass. 13 giugno 1998 n. 5934

Cass., 5 luglio 1997 n. 6080

Cass. SU 11 aprile 1994 n. 3353

C. Cost. 8 luglio 1975 n. 1989