Videosorveglianza
16 Novembre 2023
Inquadramento
Con il termine videosorveglianza si intende l'attività del vigilare, generalmente un luogo o comunque un bene, tramite l'utilizzo di telecamere o di altri strumenti in grado di assicurare la trasmissione di immagini strategicamente posizionate; si tratta quindi di un controllo effettuato a distanza.
Le immagini registrate rimangono a disposizione e possono essere visualizzate in qualunque momento da coloro che hanno la gestione della struttura informatico/riproduttiva.
Di fatto, le videocamere utilizzate per lo scopo trasmettono le immagini attraverso i più diversi tipi di cablaggio ad un'apparecchiatura apposita, ad esempio hard disk remoto, che conserva le stesse per una durata temporale anche molto lunga a seconda delle necessità ambientali e o aziendali.
Lo Statuto dei Lavoratori, Legge n. 300/1970, rappresenta la prima fonte normativa che interviene a regolare in maniera esplicita il potere datoriale di controllo, dettando una disciplina dettagliata con lo scopo di tutelare la libertà, la dignità e la personalità morale del lavoratore. In particolare, l'art. 4 della citata Legge vieta l'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori.
L'art. 23, D.Lgs. n. 151/2015, in attuazione della Legge Delega n. 183/2014 (Jobs Act), interviene sulla disciplina prevista dallo Statuto dei Lavoratori revisionando la disciplina dei controlli a distanza sugli impianti e strumenti di lavoro.
Premessa
La videosorveglianza costituisce una peculiare tipologia di controllo diffusamente utilizzata dagli organismi privati e pubblici, in quanto assolve molteplici finalità: di protezione degli individui e della proprietà, di interesse pubblico, di scoperta, prevenzione e controllo delle infrazioni, presentazione di prove e di altri interessi legittimi.
I principi fondamentali della Legge a tutela della privacy in ordine alla videosorveglianza sono essenzialmente i seguenti:
Quest'ultimo aspetto è uno dei più importanti e controverso. Si deve distinguere essenzialmente dove avviene la ripresa. Nel caso che la stessa sia in un ambiente aperto, tipo piazza, spiaggia, strada o altro, non è possibile, senza motivazione oggettivamente rilevante, chiedere l'accesso ai dati di registrazione, perché in questa circostanza il soggetto è ripreso insieme a molte altre persone e pertanto visionerebbe anche gli altri.
Diverso è il caso in cui la ripresa avvenga in circostanze ristrette che lo riguardano personalmente, ad esempio si pensi ad una telecamere vicino all'ingresso di una banca, posta ecc., oppure vicino ad un bancomat, e il soggetto ripreso viene rapinato, percosso o altro.
In questi casi egli ha due possibilità:
Spesso uno degli errori più frequenti in cui cade il titolare del trattamento dei dati è il rifiuto di far visionare le immagini in quanto la richiesta non contiene la motivazione. Fac-simile di istanza di richiesta visione dati registrati
Cartello informativo in azienda
La Cassazione 2 settembre 2015, n. 17440 ha chiarito le regole generali della videosorveglianza in azienda, precisando nuovamente l'obbligo in capo al Titolare del trattamento dei dati personali di informare gli Interessati sulla presenza di un impianto di videosorveglianza.
La Corte di Cassazione, seconda sezione civile, con la sentenza 5 luglio 2016, n. 13633 ha disposto l'obbligo di segnalazione delle telecamere, all'interno di un esercizio commerciale, non solo all'interno dell'esercizio medesimo ma, anche, prima dello spazio in cui l'impianto è ubicato.
I giudici della Cassazione confermano la sanzione comminata dal Garante della Privacy ad un'impresa che non aveva esposto il cartello informativo previsto per la videosorveglianza. Infatti, la ripresa di immagini è sempre considerata videosorveglianza, anche se non è registrata.
Comunicazione a soggetti terzi
Un'altra problematica ricorrente è il fatto che i dati registrati vengono molto spesso trasmessi ad altri soggetti terzi che visionano e gestiscono le immagini al di fuori della struttura e dell'Ente che ha posto in essere l'impianto di video sorveglianza.
Ciò riguarda in particolare le grandi aziende, piuttosto che le strutture pubbliche e o private come banche, uffici postali, istituzioni, luoghi di interesse storico o siti sensibili alla sicurezza, centri commerciali o altro.
In altri casi, ancora, può avvenire che la registrazione avvenga esclusivamente in remoto e non sia minimamente gestita dalla struttura in cui avvengono le riprese e i soggetti interessati al trattamento dei dati sono pertanto tutti esterni. In tutti i casi, i soggetti che sono tenuti alla visione e o conservazione dei dati registrati, devono essere facilmente individuabili dagli interessati e dai Garanti la Privacy.
Deve esserci comunicazione scritta antecedente la messa in funzione dell'impianto e nella stessa devono essere comunicate le mansioni specifiche di verifica, visione, controllo. Ognuno avrà la sua mansione specifica e dovrà attenersi specificatamente a questa, consentendo ai verificatori eventuali, il rispetto delle c.d. misure di sicurezza. Misure di sicurezza
Il Garante della Privacy, con il Provvedimento del 29 novembre 2000, ha previsto un decalogo precettivo e con il successivo Provvedimento del 29 aprile 2004 (sostituito dal Provvedimento in materia di videosorveglianza 8 aprile 2010), ha emanato i quattro principi fondamentali per la concessione delle autorizzazioni all'utilizzo dei sistemi di videosorveglianza.
Un aspetto di rilevanza fondamentale è il rispetto delle misure di sicurezza previste dalla normativa vigente. Di fatto i dati registrati devono essere protetti affinché sia ridotto al minimo il rischio di distruzione, perdita degli stessi, ma soprattutto sia tutelato l'accesso non autorizzato, la visione a terze persone e quanto altro, in linea di principio difforme alla normativa.
In pratica saranno adottate misure tali per cui sia garantita:
Videosorveglianza in luoghi con presenza di lavoratori
L'imprenditore può organizzare liberamente l'impresa, purché l'attività non si svolga in contrasto con l'utilità sociale, o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana, in base al principio di libertà dell'iniziativa economica ex art. 41, comma 1 della Costituzione.
È legittimato, pertanto, il potere dell'imprenditore di controllare e di vigilare ex art. 2104, co. 2 e art. 2087 c.c., affinché l'attività lavorativa sia eseguita dal lavoratore in conformità alle direttive dallo stesso impartite.
L'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori regola i cosiddetti controlli a distanza, vietando all'imprenditore l'installazione e l'utilizzo degli impianti audiovisivi e degli altri apparecchi, finalizzati esclusivamente alla vigilanza sull'attività lavorativa.
L'evoluzione tecnologica e le strumentazioni che i datori di lavoro oggi possono utilizzare hanno determinato una serie di dubbi in merito alla sua applicabilità, rendendo necessario aggiornare il quadro normativo. La riforma, attuata prima con l'art. 23, D.Lgs. n. 151/2015 e con il D.Lgs. n. 185/2016poi, è fondata su una miglior specificazione delle forme di controllo, comunque indirette, in quanto la valutazione della prestazione non può esserne l'oggetto ed il motivo fondante.
Il nuovo art. 4 dispone che “gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale”.
Vengono, pertanto, confermati i princìpi fondanti dell'istituto, consentendo una disciplina del controllo a distanza su impianti e strumenti, con esclusione della possibilità di controllare la sola prestazione lavorativa del dipendente. La dignità e la riservatezza del lavoratore permangono quali diritti la cui tutela è primaria, da contemperare con le esigenze produttive ed organizzative o della sicurezza del lavoro.
Tra i requisiti oggettivi che legittimano l'installazione di impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo, alle esigenze organizzative e produttive e alla sicurezza del lavoro, si aggiungono quelle richieste per la tutela del patrimonio aziendale. Quindi, ad esempio, è consentita l'installazione di una videocamera in un magazzino al fine di prevenire furti o danneggiamenti, sempre con l'approvazione sindacale o dell'Amministrazione Pubblica.
La registrazioni di immagini in videosorveglianza in ambienti dove sono presenti lavoratori, devono quindi essere preventivamente autorizzate o dalla RSA o dalla DTL.
Alle imprese con unità produttive dislocate in più sedi del territorio italiano, è data la possibilità di richiedere l'autorizzazione con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, così che si eviti la frammentazione di accordi differenti per ciascuna sede di riferimento di una singola azienda. In tale ipotesi la subordinata autorizzazione amministrativa deve essere richiesta al Ministero del Lavoro.
In mancanza di accordo, gli impianti possono essere installati previa autorizzazione della sede territoriale dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell'Ispettorato nazionale del lavoro (ultimo periodo del comma 1 dell'art. 4 modificato dall'art. 5 comma 2 del D.Lgs. n. 185/2016).
In relazione agli impianti di allarme o antifurto, l'INL è intervenuto con la Nota n. 299 del 28 novembre 2017 per chiarire che la riconducibilità di tali impianti nell'ambito della norma contenuta nell'art. 4, per la potenziale interferenza di tali apparecchiature con l'attività lavorativa del personale dipendente presente in azienda. Secondo la nota l'installazione è in linea con il dettato normativo e trova la sua giustificazione nella finalità di tutela del patrimonio aziendale, come sancito nel primo comma. Tuttavia, atteso che le videocamere o fotocamere, secondo la loro effettiva ratio, si attivano esclusivamente con l'impianto di allarme inserito, non sussiste – secondo quanto sostenuto dall'INL – alcuna possibilità di controllo “preterintenzionale” sul personale e, pertanto, non ci sono motivi ostativi al rilascio del provvedimento. Conseguentemente, in relazione alla evidente esigenza di celerità nell'attivazione dei predetti impianti, l'INL invita i suoi Uffici a rilasciare il provvedimento autorizzativo in tempi assolutamente rapidi stante l'inesistenza di qualunque valutazione istruttoria.
Sulle ragioni di tutela della sicurezza sul lavoro, che giustificano l'autorizzazione all'istallazione di un impianto di videosorveglianza, l'INL si pronuncia tramite due circolari: nel documento del 18 giugno 2018 ribadisce che le cause devono già emergere nel documento di valutazione dei rischi redatto dall'azienda. In tal senso, quindi, l'istanza rivolta alle strutture territoriali e all'Ispettorato nazionale (per le imprese plurilocalizzate) dovrà essere corredata dagli estratti del documento di valutazione dei rischi, dai quali risulti, in stretta connessione teleologica, che l'installazione di strumenti di controllo a distanza è misura necessaria ed adeguata per ridurre i rischi di salute e sicurezza cui sono esposti i lavoratori. Nel documento del 19 febbraio 2018 l'INL aveva già sancito che le ragioni giustificatrici del controllo a distanza dei lavoratori sono l'unico vero presupposto alla base dell'autorizzazione all'impiego di un impianto di videosorveglianza, ai sensi dell'art. 4 della L. 300/1970.
L'Ispettorato Nazionale del Lavoro nella Nota 1881 del 25/02/2019 ha fornito precisazioni in relazione all'utilizzo di impianti audiovisivi o altri elementi dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori (già installati) nel caso in cui si verifichi un cambio di titolarità dell'impresa. A parere del INL, la soluzione va ricercata non tanto nei profili formali legati alla titolarità dell'impresa, quanto negli aspetti sostanziali concernenti la possibile modifica delle condizioni e dei presupposti di fatto che avevano consentito l'installazione degli impianti. In altri termini, il mero “subentro” di un'impresa in locali già dotati degli impianti/strumenti in premessa non integra di per sé profili di illegittimità qualora gli impianti/strumenti stessi siano stati installati osservando le procedure (accordo collettivo o autorizzazione) previste dall'art. 4 della L. n. 300/1970 e non siano intervenuti mutamenti:
Il Garante per la Privacy, con provvedimento del 16 marzo 2017, n. 138 ha reso noto che per poter attivare il sistema di localizzazione dei veicoli aziendali, dovrà essere raggiunto un apposito accordo con le rappresentanze sindacali o, in sua assenza, dovrà essere richiesta l'autorizzazione all'INL.
Infatti, riconosciuto il legittimo interesse della società a rilevare la posizione dei propri mezzi per finalità quali “come l'ottimizzazione delle richieste di intervento o delle emergenze, l'innalzamento delle condizioni di sicurezza sul lavoro dei dipendenti, la corretta manutenzione dei veicoli, la tutela del patrimonio aziendale, il calcolo del tempo di lavoro effettivo oppure la gestione di eventuali incidenti stradali o di sanzioni subite per violazioni del codice della strada”, l'Autorità ha ritenuto che il sistema possa essere utilizzato solo nel pieno rispetto della privacy dei dipendenti.
Rimane necessario, quindi, l'accordo sindacale, come previsto dallo Statuto dei Lavoratori, e dovranno essere definite le modalità di raccolta, elaborazione e conservazione dei dati di geolocalizzazione e degli altri dati personali, differenziando le tutele in base alla singola finalità perseguita.
Ad esempio, se il datore intende avvalersi del sistema di localizzazione per la regolare tenuta del libro unico del lavoro, potrà conservare i dati necessari per 5 anni, mentre i dati da utilizzare in caso di contestazione di violazione amministrativa con modalità non immediata potranno essere conservati al massimo per 90 giorni, ovvero il tempo previsto per notificare un eventuale verbale di contestazione. Al termine del periodo individuato, i dati personali raccolti dovranno essere automaticamente cancellati o resi anonimi. Inoltre, va escluso il monitoraggio dei percorsi tracciati, salvo il possibile trattamento dei dati in forma aggregata o anonima per finalità statistiche e di programmazione del lavoro.
Il Garante precisa anche che l'accesso ai dati trattati dovrà essere consentito al solo personale incaricato, definendo per i dati di geolocalizzazione appositi profili autorizzativi individuali per ogni singolo utente.
Infine, la società potrà avviare il trattamento delle informazioni sulla posizione geografica dei veicoli di lavoro solo dopo aver effettuato la notificazione al Garante della privacy ai sensi dell'art. 37 comma 1 lett. a) del D.Lgs. n. 196/2003 e aver fornito un'informativa completa ai dipendenti, ossia comprensiva di tutti gli elementi contenuti nell'art. 13 del predetto Decreto (tipologia di dati, finalità e modalità del trattamento, compresi i tempi di conservazione).
Deve essere inoltre escluso il monitoraggio dei tracciati percorsi, salvo il possibile trattamento dei relativi dati in forma aggregata o anonima per finalità statistiche e di programmazione del lavoro; l'accesso ai dati sarà consentito al solo personale incaricato e verranno definiti appositi profili autorizzativi individuali per ogni singolo utente.
Per quanto riguarda l'installazione dei sistemi di controllo a distanza, il Ministero del Lavoro con la Nota 16 aprile 2012, n. 7162 ha inteso semplificare la procedura con riferimento a quegli esercizi commerciali (ricevitorie, tabaccherie, oreficerie, farmacie, edicole, distributori di carburante) dove non ci sono rappresentanze sindacali, che di fatto evita alla Direzione Territoriale del Lavoro di effettuare il sopralluogo.
Il datore di lavoro deve redigere un'esplicita richiesta contenente determinate caratteristiche sostanziali e trasmetterla alla territorialmente competente Direzione Territoriale del Lavoro. Senza necessità che ci sia la verifica, pur dovendo attendere comunque l'esplicita autorizzazione, il datore di lavoro, una volta trasmessa la domanda, ha ottemperato a tutti i suoi adempimenti e deve unicamente aspettare la risposta da parte dell'Ente preposto che in genere, se rispettati tutti i requisiti, non ha motivo di eccepire.
Le suddette istanze, tese ad ottenere l'autorizzazione ad installare impianti e apparecchiature audiovisive, sono soggette all'imposta di bollo nella misura di euro 16 (art. 3 della tariffa allegata al D.P.R. n. 642/1972), così come il provvedimento di autorizzazione rilasciato delle predette Direzioni provinciali (Nota Ministero del Lavoro 17 febbraio 2011, n. 4016).
Con il Comunicato del 10 marzo 2017, l'Ispettorato Nazionale del Lavoro fa presente che nella sezione modulistica del sito dell'INL sono presenti i nuovi modelli della istanza di autorizzazione all'installazione di impianti di videosorveglianza e di sistemi di controllo a distanza diversi dalla videosorveglianza con l'esatta indicazione della documentazione necessaria da allegare alla medesima.
In mancanza degli elementi minimi indicati nell'istanza, la medesima risulterà incompleta e laddove tali mancanze non venissero sanate, l'autorizzazione non potrà essere rilasciata.
Fac-simile istanza
La legge non consente di sostituire l'accordo con la RSA ove l'azienda abbia più di 15 dipendenti, o l'autorizzazione alla DPL al di sotto dei 15, con il solo consenso rilasciato dai singoli lavoratori dell'azienda.
Il Ministero del Lavoro, con Interpello 5 dicembre 2005, prot. n. 2975, ha ritenuto legittimo il comportamento del datore di lavoro che abbia predisposto l'installazione di telecamere previo accordo con la sola maggioranza delle RSA, senza il consenso unanime di tutte le RSA.
Controlli difensivi
L'orientamento prevalente della giurisprudenza fino al 2007 riteneva i cosiddetti “controlli difensivi”, diretti ad accertare condotte illecite del lavoratore, leciti in ogni caso, a prescindere dal grado di invasività sulla sfera della dignità e riservatezza del lavoratore.
La Suprema Corte, con le sentenze n. 15892/2007 e n. 16622/2012, apre sul tema dell'intangibilità della legittimità dei controlli difensivi, ampliando il campo di applicazione delle garanzie previste dall'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori.
Sul punto il Giudice di Legittimità, intervenendo in tema di apparecchiature di controllo a distanza ex art. 4 Statuto dei Lavoratori, ha statuito che la “insopprimibile esigenza del datore di lavoro di evitare condotte illecite da parte dei dipendenti, non può assumere portata tale da giustificare un sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia della dignità e riservatezza del lavoratore, con la conseguenza che tale legittima necessità non consente di espungere dalla fattispecie astratta i casi dei cosiddetti controlli difensivi, quando tali comportamenti riguardino l'esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro e non la tutela di beni estranei al rapporto stesso”.
La Cassazione Civile Sezione Lavoro, con la sentenza n. 4375/2010, ha ritenuto che rientrano nell'applicazione del divieto ex art. 4, L. n. 300/1970 i programmi informatici che consentono il monitoraggio dei messaggi di posta elettronica aziendale e degli accessi a internet, ove per le loro caratteristiche consentano al datore di lavoro di controllare a distanza ed in via continuativa durante la prestazione, l'attività lavorativa e il suo corretto adempimento, sotto il profilo del rispetto delle direttive aziendali.
Il nuovo art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (modificato dall'art. 23, D.Lgs. n. 151/2015) codifica il giudizio di legittimità, da tempo avallato dalla giurisprudenza, dei controlli difensivi diretti all'accertamento di comportamenti illeciti diversi dal mero inadempimento della prestazione lavorativa.
Sanzioni
Per l'inosservanza delle disposizioni in materia di apparecchi di controllo (art. 4 e 38, L. n. 300/1970; artt. 114 e 171, D.Lgs. n. 196/2003), a meno che il fato non costituisca un reato più grave, è prevista l'ammenda da € 154 a € 1.549, oppure l'arresto da 15 giorni ad un anno.
Nei casi più gravi le pene sono applicate congiuntamente ed inoltre, qualora la pena dell'ammenda sia inefficace, il giudice può quintuplicarla. Per il mancato rispetto delle disposizioni in materia di videosorveglianza è prevista la sanzione amministrativa da € 30.000,00 a € 180.000,00 (art. 162, comma 2 ter, D.Lgs. n. 196/2003).
Riferimenti Normativi
Giurisprudenza Per i recenti orientamenti sul tema, v. Cass., sez. lav., 23 marzo 2023, n. 8375, con commento di G. Allieri, L'impianto di videosorveglianza a tutela della sicurezza degli studenti e il controllo preterintenzionale degli insegnanti; T.A.R. Roma Lazio sez. III, 23 novembre 2022, n. 15644; Cass., sez. lav., 26 giugno 2023, n.18168
Prassi Per i recenti orientamenti sul tema, v. Nota INL, 14 aprile 2023, n. 2572; Garante per la Privacy, Provvedimento 16 novembre 2023, n. 578
Riferimenti normativiRiferimenti giurisprudenziali |