Teresa Zappia
23 Aprile 2024

Con il termine videosorveglianza si intende l'attività del vigilare, generalmente un luogo o comunque un bene, tramite l'utilizzo di telecamere o di altri strumenti in grado di assicurare la trasmissione di immagini strategicamente posizionate; si tratta quindi di un controllo effettuato a distanza. Le immagini registrate rimangono a disposizione e possono essere visualizzate in qualunque momento da coloro che hanno la gestione della struttura informatico/riproduttiva. Di fatto, le videocamere utilizzate per lo scopo trasmettono le immagini attraverso i più diversi tipi di cablaggio ad un'apparecchiatura apposita, ad esempio hard disk remoto, che conserva le stesse per una durata temporale anche molto lunga a seconda delle necessità ambientali e o aziendali. Rientra in tale campo anche il controllo della navigazione in internet e quello della posta elettronica. Lo Statuto dei Lavoratori, Legge n. 300/1970, rappresenta la prima fonte normativa che interviene a regolare in maniera esplicita il potere datoriale di controllo, dettando una disciplina dettagliata con lo scopo di tutelare la libertà, la dignità e la personalità morale del lavoratore. In particolare, l'art. 4 della citata Legge vieta l'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori.

Inquadramento

Con il termine videosorveglianza si intende l'attività del vigilare, generalmente un luogo o comunque un bene, tramite l'utilizzo di telecamere o di altri strumenti in grado di assicurare la trasmissione di immagini strategicamente posizionate; si tratta quindi di un controllo effettuato a distanza.

Le immagini registrate rimangono a disposizione e possono essere visualizzate in qualunque momento da coloro che hanno la gestione della struttura informatico/riproduttiva.

Di fatto, le videocamere utilizzate per lo scopo trasmettono le immagini attraverso i più diversi tipi di cablaggio ad un'apparecchiatura apposita, ad esempio hard disk remoto, che conserva le stesse per una durata temporale anche molto lunga a seconda delle necessità ambientali e/o aziendali.

Rientra in tale campo anche il controllo della navigazione in Internet e quello della posta elettronica.

La Legge n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori) rappresenta la prima fonte normativa che interviene a regolare in maniera esplicita il potere datoriale di controllo, dettando una disciplina dettagliata con lo scopo di tutelare la libertà, la dignità e la personalità morale del lavoratore.

In particolare, l'art. 4 della citata Legge, come modificato dal D.lgs. n. 151/2015, definisce i limiti entro i quali è possibile l'uso impianti audiovisivi e di altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori.

È stato chiarito che l'applicazione dell'art. 4 non è esclusa né dalla circostanza che le apparecchiature siano state solo installate ma non siano ancora funzionanti, né dall'eventuale preavviso dato ai lavoratori, né dal fatto che tale controllo è destinato a essere discontinuo perché esercitato in locali dove i lavoratori possono trovarsi solo saltuariamente (Trib. Milano, sez. lav., n. 205/2017; provvedimento del Garante della privacy 9 febbraio 2012, n. 56)

Le immagini registrate sono a tutti gli effetti considerate quali dati sensibili e, pertanto, soggette alla normativa prevista in materia di privacy.

Premessa

La videosorveglianza costituisce una peculiare tipologia di controllo diffusamente utilizzata dagli organismi privati e pubblici, in quanto assolve molteplici finalità: protezione degli individui e della proprietà; prevenzione e controllo delle infrazioni; ecc.

Il limite principale di tale controllo si individua nel rispetto della sfera di intangibilità dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone.

I principi fondamentali della Legge a tutela della privacy in ordine alla videosorveglianza sono essenzialmente i seguenti:

  • obbligo di informativa - coloro che si recano o entrano in ambienti soggetti a video sorveglianza devono essere informati da apposite comunicazioni attraverso la lettura delle quali il soggetto è consenziente alla registrazione se entra nell'ambiente. Se non lo desidera si limiterà a non entrare;
  • obbligo di notificazione - i dati trattati devono essere notificati al Garante solo se rientrano nei casi specificatamente previsti dalla normativa vigente sulla privacy;
  • obbligo di non detenere i file di registrazione per un tempo superiore allo stretto indispensabile;
  • diritto di accesso - consentire a colui che è ripreso la possibilità di accedere ai dati che lo riguardano avendo l'opportunità di verificare le modalità e la logica del trattamento.

Con riferimento a tale ultimo punto acquista particolare rilievo il luogo in cui avvengono le riprese. Infatti, nel caso che la stessa sia in un ambiente aperto (es. strada), non è possibile, senza motivazione oggettivamente rilevante, chiedere l'accesso ai dati di registrazione, perché in questa circostanza il soggetto è ripreso insieme a molte altre persone e, pertanto, visionerebbe anche altri individui. Diverso è il caso in cui la ripresa avvenga in circostanze ristrette che lo riguardano personalmente (es. ingresso di una banca, posta ecc.). In questi casi egli ha due possibilità: 1. rivolgersi all'autorità di pubblica sicurezza facendo presente che nel luogo dell'aggressione/sinistro sono presenti delle telecamere; 2. chiedere direttamente di visionare il tracciato.

Obbligo di informativo

Il datore di lavoro è tenuto ad informare i lavoratori circa le modalità di impiego degli strumenti di videosorveglianza e la conservazione dei dati acquisiti. L'informativa deve essere redatta in un linguaggio semplice e contenere tutti gli elementi previsti dall'art. 13 GDPR.

In base al provvedimento 8 aprile 2010 del Garante della Privacy, inoltre, un'informativa breve:

  • deve essere collocata prima del raggio di azione della telecamera;
  • deve avere un formato ed un posizionamento tale da essere chiaramente visibile;
  • può inglobare un simbolo o una stilizzazione di esplicita e immediata comprensione, eventualmente diversificati se le immagini sono solo visionate o anche registrate.

Il datore di lavoro dovrà indicare nell'informativa in quali casi verranno attivati controlli, in quali forme e da chi saranno condotti. Il tutto nel rispetto del principio di minimizzazione del trattamento di dati personali.

Comunicazione a soggetti terzi

Una problematica ricorrente è la trasmissione dei dati registrati ad altri soggetti terzi, i quali visionano e gestiscono le immagini al di fuori della struttura e dell'Ente che ha posto in essere l'impianto di videosorveglianza.

In questi casi, oltre che all'interno della propria struttura, spesso le immagini vengono visionate, trattenute e conservate anche in remoto, presso centri specializzati di videosorveglianza e controllo (es. centri di vigilanza privata). In altri casi può avvenire che la registrazione avvenga esclusivamente in remoto e non sia minimamente gestita dalla struttura in cui avvengono le riprese e i soggetti interessati al trattamento dei dati sono pertanto tutti esterni.

In tutti queste ipotesi i soggetti che sono tenuti alla visione e/o conservazione dei dati registrati, devono essere facilmente individuabili dagli interessati e dai Garanti della Privacy.

Deve esserci comunicazione scritta, antecedente la messa in funzione dell'impianto, nella quale devono essere indicate le mansioni specifiche di verifica, visione, controllo. Tali mansioni dovranno essere limitate, nel tempo e nelle persone, a quanto necessario al corretto svolgimento del controllo.

Misure di sicurezza

In materia di videosorveglianza un aspetto di rilevanza fondamentale è il rispetto delle misure di sicurezza: i dati registrati devono essere protetti affinché sia ridotto al minimo il rischio di distruzione, perdita degli stessi, ma soprattutto sia tutelato l'accesso non autorizzato, la visione a terze persone e quanto altro, in linea di principio difforme alla normativa.

Le misure adottate dovranno garantire:

·         la durata limitata del periodo di conservazione delle immagini per il tempo strettamente necessario alla motivazione per cui la registrazione si tiene;

·         la procedura di cancellazione anche automatica delle immagini registrate, trascorso il tempo di cui al precedente punto 1);

·         l'individuazione precisa dei soggetti abilitati alla visione, controllo, gestione delle immagini con le rispettive mansioni;

·         tutela dei dati registrati nel momento in cui l'impianto viene messo sotto manutenzione da personale esterno;

·         se i dati vengono trasmessi in linea digitale, la protezione delle reti informatiche contro accessi abusivi;

·         la trasmissione crittografata se le immagini navigano attraverso reti pubbliche o reti wireless.

Videosorveglianza in luoghi con presenza di lavoratori

L'imprenditore può organizzare liberamente l'impresa, purché l'attività non si svolga in contrasto con l'utilità sociale, o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana, in base al principio di libertà dell'iniziativa economica ex art. 41, comma 1 della Costituzione.

È legittimato, pertanto, il potere dell'imprenditore di controllare e di vigilare ex art. 2104, co. 2 e art. 2087 c.c., affinché l'attività lavorativa sia eseguita dal lavoratore in conformità alle direttive dallo stesso impartite.

L'art. 4 St. Lav. regola i cosiddetti controlli a distanza, vietando all'imprenditore l'installazione e l'utilizzo degli impianti audiovisivi e degli altri apparecchi, finalizzati esclusivamente alla vigilanza sull'attività lavorativa.

L'evoluzione tecnologica e le strumentazioni che i datori di lavoro oggi possono utilizzare hanno determinato una serie di dubbi in merito alla sua applicabilità, rendendo necessario aggiornare il quadro normativo. La riforma, attuata prima con l'art. 23, D.Lgs. n. 151/2015e con il D.Lgs. n. 185/2016, poi, è fondata su una miglior specificazione delle forme di controllo, comunque indirette, in quanto la valutazione della prestazione non può esserne l'oggetto ed il motivo fondante.

Il nuovo art. 4 dispone che “gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale”.

Vengono, pertanto, confermati i princìpi fondanti dell'istituto, consentendo una disciplina del controllo a distanza su impianti e strumenti, con esclusione della possibilità di controllare la sola prestazione lavorativa del dipendente.

La dignità e la riservatezza del lavoratore permangono quali diritti la cui tutela è primaria, da contemperare con le esigenze produttive ed organizzative o della sicurezza del lavoro.

In evidenza: Il badge come strumento di controllo del lavoratore

Il badge che si limitino a registrare l'orario d'accesso e d'uscita mediante un sistema elettronico, sulla base dell'attuale formulazione dell'art. 4 St. Lav., non necessitano del previo accordo con le rappresentanze sindacali o l'autorizzazione dell'ITL competente. I dati raccolti tramite badge sono utilizzabili dal datore di lavoro per qualsiasi fine connesso al rapporto di lavoro, a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d'uso dello stesso.

Nel caso di badge che utilizzino la tecnologia RFID, basata sullo sfruttamento delle onde radio che consentono l'identificazione di oggetti dotati di un'etichetta elettronica collegata a un lettore, il controllo riguarda non solo gli ingressi e le uscite ma spesso anche gli accessi a luoghi riservati o aree ad alto rischio per la sicurezza. Tale sistema può, dunque, consentire al datore di lavoro di monitorare gli spostamenti del dipendente all'interno dell'azienda. Il Garante per la Privacy, con provvedimento del 9 marzo 2005, ha individuato una serie di garanzie per l'utilizzo dei sistemi RFID (vd. anche Cass., sez. lav., n. 17531/2017: secondo la Corte di Cassazione questo tipo di badge, il quale consente al datore di effettuare un controllo costante sul rispetto dell'orario di lavoro e sulla qualità della prestazione lavorativa, non concordato con le rappresentanze sindacali, rientra in pieno nella fattispecie prevista dal secondo comma dell'art. 4 L. n. 300/1970).

Autorizzazione in mancanza di accordo

In mancanza di accordo con le rsa/rsu, gli impianti possono essere installati previa autorizzazione della sede territoriale dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell'Ispettorato nazionale del lavoro (ultimo periodo del comma 1 dell'art. 4 modificato dall'art. 5 comma 2 del D.Lgs. n. 185/2016). L'autorizzazione rilasciata può essere sostituita da un successivo accordo sindacale (nota INL 24 maggio 2017, n. 4619; Cass. pen., Sez. III, n. 50919/2019).

Il Ministero del lavoro ha precisato che la formulazione dell'art. 4, co. 1, St. Lav., non consente la possibilità di installazione ed utilizzo degli impianti di controllo in assenza di un atto espresso di autorizzazione, sia esso di carattere negoziale (l'accordo sindacale) o amministrativo (il provvedimento). A sostegno di tale conclusione interpretativa il Ministero ha richiamato anche l'orientamento del Garante per la protezione dei dati personali secondo il quale è da escludere l'applicazione del principio del silenzio-assenso (Provvedimento generale sulla videosorveglianza dell'8 aprile 2010).

Con la nota n. 2572 del 14/04/2023, l'INL ha fornito indicazioni operative in ordine al rilascio di provvedimenti autorizzativi. Nello specifico, è stato rammentato che l'accordo con le rappresentanze aziendali costituisce il percorso prioritario previsto dal Legislatore, sicché la procedura autorizzatoria pubblica rappresenta solo una eventualità successiva al mancato accordo con i sindacati ed è condizionata, ai fini istruttori, alla dimostrazione, in sede di istanza, dell'assenza della RSA/RSU, ovvero del mancato accordo con esse. Tenuto conto che il bene giuridico tutelato dall'art. 4 St. Lav., ha natura collettiva e non individuale, la carenza di accordo tra il datore di lavoro e le rappresentanze sindacali aziendali o del successivo provvedimento autorizzativo, non possono essere supplite dall'eventuale consenso, seppur informato, dei singoli lavoratori, restando in quest'ultimo caso l'istallazione illegittima e penalmente sanzionata, in quanto la tutela penale è apprestata per la salvaguardia di interessi collettivi di cui le rappresentanze sindacali sono portatrici, in luogo dei lavoratori (Cass. Pen., Sez. III, n. 1733/2020; Cass. Pen., Sez. III, n. 50919/2019; Cass. Pen, Sez. III, n. 22148/2017.).

Le imprese con più unità produttive ubicate nell'ambito di competenza della medesima sede territoriale dell'INL - in caso di mancato accordo con la RSA/RSU o in assenza delle rappresentanze sindacali - in presenza di medesime ragioni legittimanti e avuto riguardo allo stesso sistema, possono presentare una sola istanza di autorizzazione all'ispettorato territorialmente competente il quale, previa verifica delle condizioni formali e sostanziali previste, emanerà un unico provvedimento valido per tutte le unità produttive interessate dall'istanza medesima.

Le imprese con unità produttive ubicate in diverse province, in alternativa alla stipulazione di singoli accordi con le RSA/RSU, possono stipulare un unico accordo con le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In caso di mancato accordo o in assenza della RSA/RSU, potranno presentare istanza di autorizzazione alle singole sedi territoriali dell'INL o, in alternativa, alla sede centrale.

Qualora una azienda sia già in possesso di un provvedimento autorizzativo ed abbia intenzione di installare il medesimo sistema in una diversa unità produttiva, può presentare istanza di integrazione, purché l'impianto da autorizzare presenti i medesimi presupposti legittimanti e le stesse modalità di funzionamento di quello già autorizzato. Anche l'istanza di mera integrazione all'Ispettorato può avere seguito in subordine all'assenza della RSA/RSU ovvero in caso di mancato accordo con le rappresentanze sindacali presenti nell'unità produttiva oggetto di istanza.

In evidenza: posta elettronica

Account posta elettronica dell'ex dipendente - Garante Privacy, 4 dicembre 2019

Nell'ambito degli eventuali controlli a distanza, posti in essere da parte del datore di lavoro sul dipendente, rileva anche lo stato evolutivo del rapporto che intercorre tra il datore di lavoro ed il lavoratore nonché, di conseguenza, l'eventuale cessazione dello stesso rapporto. In particolare, ciò che si evince dal Provvedimento del 4 dicembre 2019, n. 216 è che il datore di lavoro commette un illecito nell'ipotesi in cui dovesse mantenere attivo uno strumento di controllo – quale ad esempio l'account di posta aziendale di un dipendente – dopo l'interruzione del rapporto di lavoro, accedendo alle mail contenute nella sua casella di posta elettronica poiché la protezione della vita privata si estende anche all'ambito lavorativo. In particolare, ciò che evidenzia l'Autorità sono le modalità di trattamento che devono, necessariamente, rispecchiare i principi previsti in materia di protezione dei dati personali, anche attraverso l'adozione di specifiche misure tecnologiche (nel caso di specie, il Garante ha sottolineato l'obbligo, da parte del datore di lavoro, subito dopo la cessazione del rapporto di lavoro, di rimuovere l'account di posta elettronica riconducibile all'interessato dipendente, assicurando la continuità operativa attraverso la predisposizione di indirizzi alternativi per chi dovesse contattare, tramite l'indirizzo disattivato, la società in qualità di titolare del trattamento).

Sanzione penale in mancanza dell'accordo sindacale o dell'autorizzazione

La Corte di Cassazione ha affermato che l'installazione di un impianto di videosorveglianza che consenta di controllare l'attività dei dipendenti senza il preventivo accordo sindacale o, in mancanza, senza la previa autorizzazione delle competenti sedi dell'INL ex art. 4 St. Lav. deve essere sanzionata penalmente, anche qualora i singoli lavoratori abbiano acconsentito all'utilizzo dell'apparecchio (Cass. pen., sez. III, n. 50919/2019; Cass. pen., sez. III, n. 38882/2018; Cass. pen., sez. III, n. 22148/2017). In tal modo, la Suprema Corte si discosta dall'orientamento che esclude la rilevanza penale del comportamento nei casi in cui il datore di lavoro, pur non rispettando la predetta disposizione, installi impianti di controllo chiedendo preventivamente il consenso a tutti i lavoratori. Anzi, secondo la pronuncia in esame, la condotta datoriale integra non solo un illecito penale, bensì anche una condotta antisindacale, suscettibile di essere repressa con la speciale procedura descritta dall'art. 28 St. Lav.

In relazione agli impianti di allarme o antifurto, l'INL è intervenuto con la nota n. 299 del 28 novembre 2017 per chiarire che la riconducibilità di tali impianti nell'ambito della norma contenuta nell'art. 4, per la potenziale interferenza di tali apparecchiature con l'attività lavorativa del personale dipendente presente in azienda. Secondo la nota l'installazione è in linea con il dettato normativo e trova la sua giustificazione nella finalità di tutela del patrimonio aziendale, come sancito nel primo comma.

Tuttavia, atteso che le videocamere o fotocamere, secondo la loro effettiva ratio, si attivano esclusivamente con l'impianto di allarme inserito, non sussiste – secondo quanto sostenuto dall'INL – alcuna possibilità di controllo “preterintenzionale” sul personale e, pertanto, non ci sono motivi ostativi al rilascio del provvedimento. Conseguentemente, in relazione alla evidente esigenza di celerità nell'attivazione dei predetti impianti, l'INL invita i suoi Uffici a rilasciare il provvedimento autorizzativo in tempi assolutamente rapidi stante l'inesistenza di qualunque valutazione istruttoria.

Sulle ragioni di tutela della sicurezza sul lavoro, che giustificano l'autorizzazione all'istallazione di un impianto di videosorveglianza, l'INL si pronuncia tramite due circolari: nel documento del 18 giugno 2018 ribadisce che le cause devono già emergere nel documento di valutazione dei rischi redatto dall'azienda. In tal senso, quindi, l'istanza rivolta alle strutture territoriali e all'Ispettorato nazionale (per le imprese plurilocalizzate) dovrà essere corredata dagli estratti del documento di valutazione dei rischi, dai quali risulti, in stretta connessione teleologica, che l'installazione di strumenti di controllo a distanza è misura necessaria ed adeguata a ridurre i rischi di salute e sicurezza cui sono esposti i lavoratori. Nel documento del 19 febbraio 2018 l'INL aveva già sancito che le ragioni giustificatrici del controllo a distanza dei lavoratori sono l'unico vero presupposto alla base dell'autorizzazione all'impiego di un impianto di videosorveglianza, ai sensi dell'art. 4 della L. 300/1970.

Ipotesi di deroga all'accordo/autorizzazione

L'art. 4, co.2, L. n. 300/70 prevede due ipotesi che non sottostanno al regime generale che impone in via preventiva all'installazione con accordo sindacale o in subordine con l'autorizzazione amministrativa:

  • per gli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa, come pc e smartphone;
  • per gli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.

Si tratta di una sorta di presunzione legale di ipotesi della più generale categoria delle esigenze organizzative e produttive, rispetto alle quali il legislatore ha previsto una deroga alle anzidette procedure autorizzative.

La "chat" aziendale, destinata alle comunicazioni di servizio dei dipendenti, è qualificabile come strumento di lavoro, essendo funzionale alla prestazione lavorativa. Tuttavia, le informazioni tratte dalla "chat" stessa, a seguito dei controlli effettuati dal datore di lavoro, sono inutilizzabili in mancanza di adeguata informazione preventiva ex art. 4, comma 3, St. Lav (Cass., sez. lav., n.25731/2021)

Il riconoscimento biometrico installato su macchinari e dispositivi per i quali è necessario impedire l'accesso ad altri se non al diretto titolare può essere considerato strumento di lavoro, indispensabile per rendere la prestazione, utilizzabile, quindi senza necessità di accordo sindacale o preventiva autorizzazione (Circolare INL n. 5/2018). Secondo il Garante della privacy gli strumenti di rilevazione delle presenze che utilizzano i dati biometrici devono essere proporzionati in relazione all'obiettivo perseguito al fine di garantire la tutela degli interessati (Garante Privacy Newsletter. n. 473 del 22 febbraio 2021; Garante Privacy ordinanza ingiunzione del 22 novembre 2022; Cass., sez. lav., n. 13873/2023).

L'Ispettorato Nazionale del Lavoro nella nota 1881 del 25 febbraio 2019 ha fornito precisazioni in relazione all'utilizzo di impianti audiovisivi o altri elementi dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori (già installati) nel caso in cui si verifichi un cambio di titolarità dell'impresa.

A parere dell'INL, la soluzione va ricercata non tanto nei profili formali legati alla titolarità dell'impresa, quanto negli aspetti sostanziali concernenti la possibile modifica delle condizioni e dei presupposti di fatto che avevano consentito l'installazione degli impianti.

In altri termini, il mero “subentro” di un'impresa in locali già dotati degli impianti/strumenti in premessa non integra di per sé profili di illegittimità qualora gli impianti/strumenti stessi siano stati installati osservando le procedure (accordo collettivo o autorizzazione) previste dall'art. 4 della L. n. 300/1970 e non siano intervenuti mutamenti:

  • dei presupposti legittimanti (esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale);
  • delle modalità di funzionamento. Anche al fine di consentire un efficace svolgimento di eventuali iniziative ispettive, si ritiene pertanto opportuno che, nei casi in esame, il titolare subentrante:
  • comunichi all'Ufficio che l'ha rilasciato gli estremi del provvedimento di autorizzazione alla installazione degli impianti;
  • renda dichiarazione con la quale attesti che, con il cambio di titolarità, non sono mutati né i presupposti legittimanti il suo rilascio, né le modalità di uso dell'impianto audiovisivo o dello strumento autorizzato. Laddove peraltro non ricorra l'evidenziata condizione di invarianza dei richiamati presupposti, sarà necessario avviare nuovamente le procedure ex art. 4 L. n. 300/1970, fermo restando che sono in ogni caso assolutamente vietate eventuali modalità di uso diverse da quelle già autorizzate.

Il Garante per la Privacy, con provvedimento del 16 marzo 2017, n. 138 ha reso noto che per poter attivare il sistema di localizzazione dei veicoli aziendali, dovrà essere raggiunto un apposito accordo con le rappresentanze sindacali o, in sua assenza, dovrà essere richiesta l'autorizzazione all'INL. Infatti, riconosciuto il legittimo interesse della società a rilevare la posizione dei propri mezzi per finalità quali “come l'ottimizzazione delle richieste di intervento o delle emergenze, l'innalzamento delle condizioni di sicurezza sul lavoro dei dipendenti, la corretta manutenzione dei veicoli, la tutela del patrimonio aziendale, il calcolo del tempo di lavoro effettivo oppure la gestione di eventuali incidenti stradali o di sanzioni subite per violazioni del codice della strada”, l'Autorità ha ritenuto che il sistema possa essere utilizzato solo nel pieno rispetto della privacy dei dipendenti. Rimane necessario, quindi, l'accordo sindacale, come previsto dallo Statuto dei Lavoratori, e dovranno essere definite le modalità di raccolta, elaborazione e conservazione dei dati di geolocalizzazione e degli altri dati personali, differenziando le tutele in base alla singola finalità perseguita. Ad esempio, se il datore intende avvalersi del sistema di localizzazione per la regolare tenuta del libro unico del lavoro, potrà conservare i dati necessari per 5 anni, mentre i dati da utilizzare in caso di contestazione di violazione amministrativa con modalità non immediata potranno essere conservati al massimo per 90 giorni, ovvero il tempo previsto per notificare un eventuale verbale di contestazione. Al termine del periodo individuato, i dati personali raccolti dovranno essere automaticamente cancellati o resi anonimi. Inoltre, va escluso il monitoraggio dei percorsi tracciati, salvo il possibile trattamento dei dati in forma aggregata o anonima per finalità statistiche e di programmazione del lavoro. Il Garante precisa anche che l'accesso ai dati trattati dovrà essere consentito al solo personale incaricato, definendo per i dati di geolocalizzazione appositi profili autorizzativi individuali per ogni singolo utente. Infine, la società potrà avviare il trattamento delle informazioni sulla posizione geografica dei veicoli di lavoro solo dopo aver effettuato la notificazione al Garante della privacy ai sensi dell'art. 37 comma 1 lett. a) del D.Lgs. n. 196/2003 e aver fornito un'informativa completa ai dipendenti, ossia comprensiva di tutti gli elementi contenuti nell'art. 13 del predetto Decreto (tipologia di dati, finalità e modalità del trattamento, compresi i tempi di conservazione). Deve essere inoltre escluso il monitoraggio dei tracciati percorsi, salvo il possibile trattamento dei relativi dati in forma aggregata o anonima per finalità statistiche e di programmazione del lavoro; l'accesso ai dati sarà consentito al solo personale incaricato e verranno definiti appositi profili autorizzativi individuali per ogni singolo utente.

In materia di geolocalizzazione nell'ambito del rapporto di lavoro, pertanto, trovano applicazione i principi di protezione dei dati, con particolare riferimento a quello di liceità, necessità e proporzionalità dei trattamenti dei dati personali (vd. prov. n. 370/2011; prov. n. 247/2017). I dati raccolti e trattati devono essere limitati a quelli strettamente necessari per il perseguimento delle finalità prestabilite e attinenti alle esigenze organizzative e produttive, di sicurezza sul lavoro o di tutela del patrimonio aziendale, che costituiscono i presupposti di liceità di cui all'art. 4 L. n. 300/1970. Di conseguenza, l'accesso ai dati da parte del datore di lavoro dovrà avvenire solo ed esclusivamente in funzione delle motivazioni poste a fondamento del provvedimento autorizzativo, sicché ogni diverso trattamento non consentito dei dati non rende utilizzabili le informazioni raccolte ai fini connessi al rapporto di lavoro.

Per quanto riguarda l'installazione dei sistemi di controllo a distanza, il Ministero del Lavoro con la nota del 16 aprile 2012 n. 7162 ha inteso semplificare la procedura con riferimento a quegli esercizi commerciali (ricevitorie, tabaccherie, oreficerie, farmacie, edicole, distributori di carburante) dove non ci sono rappresentanze sindacali, che di fatto evita alla Direzione Territoriale del Lavoro di effettuare il sopralluogo.

Il datore di lavoro deve redigere un'esplicita richiesta contenente determinate caratteristiche sostanziali e trasmetterla alla territorialmente competente Direzione Territoriale del Lavoro. Senza necessità che ci sia la verifica, pur dovendo attendere comunque l'esplicita autorizzazione, il datore di lavoro, una volta trasmessa la domanda, ha ottemperato a tutti i suoi adempimenti e deve unicamente aspettare la risposta da parte dell'Ente preposto che in genere, se rispettati tutti i requisiti, non ha motivo di eccepire.

Nella sezione modulistica del sito dell'INL sono presenti i modelli per l'istanza di autorizzazione all'installazione di impianti di videosorveglianza e di sistemi di controllo a distanza diversi dalla videosorveglianza, con l'esatta indicazione della documentazione necessaria da allegare alla medesima.

In mancanza degli elementi minimi indicati nell'istanza, la medesima risulterà incompleta e laddove tali mancanze non venissero sanate, l'autorizzazione non potrà essere rilasciata.

Controlli difensivi

Si distingue tra controlli difensivi in senso lato, strettamente collegati con le esigenze datoriali di tutela del patrimonio aziendale, con riferimento ai quali non è discussa l'applicabilità dell'art. 4 St. Lav., e controlli difensivi in senso stretto, i quali sono diretti accertare, in base alla ricorrenza di indizi concreti (“fondato sospetto”) di condotte illecite ascrivibili ai singoli dipendenti e poste in essere dai medesimi durante la prestazione di lavoro. Questi ultimi, non avendo ad oggetto la normale attività del lavoratore, non rientrano nell'ambito applicativo dell'articolo prefato (Cass., sez. lav., n. 29115/2020; Cass., sez. lav., n. 8375/2023). È stata, però, evidenziata l'insopprimibile esigenza di evitare che asserite condotte illecite da parte dei dipendenti assumano una portata tale da giustificare un sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia della dignità e riservatezza del lavoratore. (Cass., sez. lav., n. 18168 del 2023; Cass., sez. lav., n. 34092/2021).

Sanzioni

Sul piano civilistico, la violazione dell'art. 4 St. Lav. comporta l'inutilizzabilità del dato informativo così acquisito (Cass., sez. lav., n. 28378/2023). Pertanto, è esclusa la rilevanza probatoria dei risultati dei controlli dell'attività dei lavoratori, sia a fini disciplinari sia a fini risarcitori (Cass., sez. lav., n. 25731/2021; Cass., sez. lav., n. 32760/2021), purché non vi sia il fondato sospetto della commissione di un illecito, il che, in ogni caso, non legittima un controllo indiscriminato sugli strumenti di lavoro, nel senso che il controllo – fatto salvo l'onere di informazione - deve essere attuato ex post e deve estendersi solo alla raccolta delle informazioni acquisite da quel momento in poi, non potendo il datore di lavoro esercitare alcun controllo su dati e informazioni presenti sugli strumenti di lavoro prima del momento identificato rilevante ai fini della commissione dell'illecito, senza il rispetto delle previsione dell'art. 4 St. Lav. (Cass., sez. lav., n. 8375/2023; Cass., sez, lav., n. 25732/202). La Corte EDU, nel caso López Ribalda e altri c. Spagna del 17 ottobre 2019, ha ritenuto che costituisca una giustificazione legittima del controllo “l'esistenza di un ragionevole sospetto circa la commissione di illeciti”, mentre “non è accettabile la posizione secondo cui anche il minimo sospetto ..omissis… possa autorizzare l'installazione di strumenti occulti di videosorveglianza”(vd anche Corte EDU, Grande Camera, Barbulescu c. Romania, 5 settembre 2017).

La violazione integra, altresì, un illecito penaleex art. 38 dello Statuto dei Lavoratori, tenuto conto di quanto disposto dall'art. 171, D.Lgs. n. 196/2003, come modificato dalla L. n. 101/2018. Non è configurabile la violazione della disciplina prefata quando l'impianto audiovisivo o di controllo a distanza, sebbene installato sul luogo di lavoro in difetto di accordo con le rappresentanze sindacali legittimate o di autorizzazione dell'Ispettorato del lavoro, sia strettamente funzionale alla tutela del patrimonio aziendale, sempre che il suo utilizzo non implichi un significativo controllo sull'ordinario svolgimento dell'attività lavorativa dei dipendenti o resti necessariamente ‘riservato' per consentire l'accertamento di gravi condotte illecite degli stessi” (Cass. pen., sez. III, n. 3255/2020). Si è evidenziato, infatti, che non risponderebbe ad alcun criterio logico-sistematico garantire al lavoratore - in presenza di condotte illecite sanzionabili penalmente - una tutela alla sua "persona" più intensa di quella riconosciuta ai terzi estranei all'impresa.

Riferimenti

Prassi

nota n. 2572 del 14/04/2023, l'INL

  • INL nota 14/04/2023, n. 2572
  • Garante per la Privacy, provvedimento 16 novembre 2023, n. 578
  • Garante Privacy Newsletter. n. 473 del 22 febbraio 2021
  • Garante Privacy ordinanza ingiunzione del 22 novembre 2022

Giurisprudenza

Per i recenti orientamenti sul tema, v. Cass., sez. lav., 23 marzo 2023, n. 8375, con commento di G. Allieri, L'impianto di videosorveglianza a tutela della sicurezza degli studenti e il controllo preterintenzionale degli insegnanti; rib. Imperia, sez. lav., 11 settembre 2023, con commento di G. Allieri, Controlli difensivi in senso stretto: presupposti applicativi e utilizzo dei dati illecitamente raccolti a fondamento probatorio del licenziamento; Cass. Pen. sez. I, 9 settembre 2021, n. 13649, con commento di T. Zappia, Prova illecita nel procedimento penale e controlli c.d. difensivi; Cass., sez. lav., 12 novembre 2021, n. 33809, con commento di T. Zappia, Controlli difensivi e utilizzabilità nel processo civile dei dati raccolti in violazione della Legge sulla Privacy.

  • Cass., sez. lav., n. 18168 del 2023
  • Cass., sez. lav., n. 28378/2023
  • Cass., sez. lav., n. 8375/2023
  • Cass., sez. lav., n. 13873/2023
  •  Cass., sez., lav., n. 25732/2021
  • Cass., sez. lav., n. 34092/2021
  • Cass., sez. lav., n. 25731/2021
  • Cass., sez. lav., n. 32760/2021
  • Cass. Pen., Sez. III, n. 1733/2020