Lavoro dipendente e subordinazione

Marco Proietti
22 Novembre 2016

Scheda in fase di aggiornamento

La natura subordinata del rapporto di lavoro determina, in capo al prestatore, il diritto ad una serie di prerogative e tutele dalle quali, diversamente, sarebbe escluso. In molte circostanze il datore di lavoro simula con il lavoratore una prestazione di lavoro autonomo, al fine di eludere in primis la normativa previdenziale ed, in secundis, quella sulla tutela da licenziamenti illegittimi. Diventano, pertanto, essenziali sia la prova che si svolge innanzi al Giudice del Lavoro, sia la possibilità di dimostrare che le attività svolte sono state etero-dirette o etero-organizzate dal datore di lavoro, quale unico beneficiario della prestazione. Il riconoscimento della subordinazione comporta alcuni diritti tra cui: il versamento dei contributi, la tutela reale o quella obbligatoria, il diritto alle ferie, ai permessi, alla malattia e alla maternità.

Inquadramento

Scheda in fase di aggiornamento

La natura subordinata del rapporto di lavoro determina, in capo al prestatore, il diritto ad una serie di prerogative e tutele dalle quali, diversamente, sarebbe escluso.

In molte circostanze il datore di lavoro simula con il lavoratore una prestazione di lavoro autonomo, al fine di eludere in primis la normativa previdenziale ed, in secundis, quella sulla tutela da licenziamenti illegittimi. Diventano, pertanto, essenziali sia la prova che si svolge innanzi al Giudice del Lavoro, sia la possibilità di dimostrare che le attività svolte sono state etero-dirette o etero-organizzate dal datore di lavoro, quale unico beneficiario della prestazione.

Il riconoscimento della subordinazione comporta alcuni diritti tra cui: il versamento dei contributi, la tutela reale o quella obbligatoria, il diritto alle ferie, ai permessi, alla malattia e alla maternità.

La distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato

L'art. 2094 c.c. stabilisce che il lavoratore subordinato è colui il quale svolge la propria prestazione all'interno dell'organizzazione del datore (ovvero nell'impresa) e sotto il potere direttivo, gerarchico e disciplinare dello stesso.

Sicuramente non è semplice individuare i c.d. “indici” della subordinazione, soprattutto in tutti quei casi in cui le parti stipulano un contratto che – almeno nel nomen – risulta essere di tipo autonomo; è quindi opportuna una ricerca attenta e specifica, da parte del Giudice del Lavoro, volta a determinare con la massima sicurezza che le mansioni svolte da parte del lavoratore, per modalità, tempi e natura delle stesse, sono di tipo subordinato e che, pertanto, al lavoratore spettano tutta una serie di garanzie particolari.

La Corte di Cassazione, oramai da tempo, ha riconosciuto che l'elemento principale che contraddistingue un rapporto di lavoro subordinato è la soggezione del lavoratore al potere direttivo, gerarchico e disciplinare del datore di lavoro e l'inserimento in modo sistematico nell'organigramma.

Ecco dunque che, per poter individuare un lavoratore subordinato occorre guardare, innanzitutto, ai tre indici fondamentali:

  1. il potere direttivo e di controllo, ovvero la sottoposizione del lavoratore alle scelte esercitate dal datore nella piena e libera organizzazione dell'attività di impresa e dei beni aziendali, secondo quanto garantito dall'art. 41 Cost.;
  2. il potere gerarchico, ovvero l'inserimento del lavoratore all'interno dell'organizzazione aziendale e nell'organigramma stabilito dal datore medesimo;
  3. il potere disciplinare, quindi la sottoposizione del lavoratore alle norme disciplinari ed alla possibilità dello stesso di essere sanzionato in caso di violazione.

Può tornare utile, per un rapido confronto, l'analisi con alcune delle più recenti sentenze sull'argomento nelle quali il Giudice ha accertato la sussistenza degli indici sopra indicati ed, in particolare modo:

  • l'assoggettamento al vincolo di orario;
  • l'esercizio in concreto del potere disciplinare;
  • la predeterminazione e la corresponsione a cadenza mensile del compenso;
  • lo stabile inserimento nell'organizzazione aziendale;
  • l'esecuzione dell'attività lavorativa all'interno dell'impresa e con attrezzature e materiali propri dell'impresa stessa;
  • l'assenza in capo alla lavoratrice di una sia pur minima struttura imprenditoriale.

In evidenza: Il concetto di subordinazione nella giurisprudenza della Cassazione

Cass. sez. lav., 19 febbraio 2016, n. 3303:

“Posto che l'indice principale di subordinazione ai sensi dell'art. 2094 c.c. è costituito dall'assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro, va qualificato come subordinato il rapporto caratterizzato dalla presenza giornaliera e continua del prestatore, con sottoposizione della sua attività al puntuale controllo datoriale, senza che rilevi in senso contrario il difforme nomen iuris utilizzato dalle parti”.

Cass. sez. lav., 8 aprile 2015, n. 7024:

“L'elemento che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoro autonomo è il vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell'organizzazione aziendale, mentre altri elementi, quali l'assenza di rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza di un orario e la forma della retribuzione, pur avendo natura meramente sussidiaria e non decisiva, possono costituire indici rivelatori della subordinazione, idonei anche a prevalere sull'eventuale volontà contraria manifestata dalle parti, ove incompatibili con l'assetto previsto dalle stesse; l'operazione qualificatoria del rapporto deve, tuttavia, comprendere la considerazione secondo cui alcuni lavori non possono che svolgersi con modalità di subordinazione, essendo rilevanti, quali indici di subordinazione, l'assenza di rischio economico per il lavoratore, l'osservanza di un orario e dell'inserimento nell'altrui organizzazione produttiva, specie in relazione al coordinamento con l'attività degli altri lavoratori”.

Cass. sez. lav., 17 aprile 2009, n. 9256:

"In tema di distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, l'esistenza del vincolo di subordinazione va valutata dal giudice di merito [...] avuto riguardo alla specificità dell'incarico conferito al lavoratore ed al modo della sua attuazione, fermo restando che, ove l'assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa della peculiarità delle mansioni, occorre fare riferimento a criteri complementari e sussidiari - come quelli della collaborazione, della continuità delle prestazioni, dell'osservanza di un orario predeterminato, del versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita, del coordinamento dell'attività lavorativa all'assetto organizzativo dato dal datore di lavoro, dell'assenza in capo al lavoratore di una sia pur minima struttura imprenditoriale - che, privi ciascuno di valore decisivo, possono essere valutati globalmente come indizi probatori della subordinazione".

Le varie forme di lavoro autonomo: distinzioni concettuali e pratiche

Diverso, a questo punto, il ragionamento da seguire per il lavoro autonomo, il quale si caratterizza per elementi diametralmente opposti da quelli appena visti.

Infatti, caratteristiche tipiche di un rapporto di lavoro autonomo sono:

  • assenza di potere direttivo, gerarchico e disciplinare da parte del datore di lavoro;
  • organizzazione imprenditoriale, anche minima, in capo al lavoratore;
  • assunzione di rischio economico da parte del lavoratore;
  • nessun obbligo di orario o di giustificazione per assenze e malattia;
  • la retribuzione viene liberamente stabilita dalle parti senza alcun criterio riferito alle tabelle retributive dei vari contratti collettivi;
  • il lavoratore auto-organizza il proprio lavoro ed è vincolato al semplice risultato;
  • gli strumenti di lavoro sono di proprietà del lavoratore;
  • il rapporto di lavoro non è necessariamente continuativo.

Le forme di lavoro autonomo posso essere molte, in ragione del diverso tipo di prestazione che viene chiesta allo stesso e si può passare dal classico incarico che viene affidato ad un professionista (anche un avvocato, per esempio) al lavoro occasionale, allo stesso lavoro a progetto.

La disciplina, in questi casi, è lasciata all'art. 2222 c.c., che definisce il lavoro autonomo il contratto con cui “…una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente”. Va chiarito che il nomen iuris attribuito dalle parti al contratto non ha alcun valore, poiché ciò che rileva sono le effettive modalità di svolgimento della prestazione lavorativa.

Un caso particolare: le CO. CO. CO.

Un'altra forma di lavoro autonomo, estranea all'art. 2222 c.c., è la collaborazione coordinata e continuativa a progetto che trova il proprio fondamento nella Legge Biagi (D.Lgs. n. 276/2003, ad oggi parzialmente abrogata dal Jobs Act, così come la disciplina che riguardava la collaborazioni a progetto); tuttavia, nell'interpretazione fornita dell'art. 409 c.p.c., non risulterebbe vietato stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa (priva di un progetto) alla stregua di quanto avveniva prima della novella del 2003.

In questo senso dunque, le collaborazioni rivivono sotto altra forma e rappresentano comunque un'alternativa al lavoro subordinato che spesso – per uso distorno di questa particolare forma contrattuale – viene dissimulato; ad ogni modo, tali forme di collaborazioni sono ricondotte nell'alveo del lavoro autonomo e si caratterizzano per tre elementi:

  1. la collaborazione, intesa come elemento diverso dal vincolo della subordinazione nei confronti del soggetto destinatario della prestazione, in quanto il collaboratore è totalmente svincolato dalla struttura del committente a cui è destinata la sua opera;
  2. il coordinamento, ovvero la possibilità di coordinarsi con il committente che richiede specifici interventi, comunque da realizzare in piena autonomia;
  3. la continuità, in quanto la prestazione non deve essere meramente occasionale ma duratura e ininterrotta nell'arco del tempo.

Quando si parla di lavoro a progetto si fa riferimento alla c.d. “parasubordinazione”, poiché si è di fronte ad una forma contrattuale ibrida ed a metà strada tra la subordinazione vera e propria e l'autonomia, seppur il rapporto sia – per natura e modalità di esecuzione della prestazione – espressamente di tipo autonomo. A seguito dell'intervento operato dal D.Lgs. n. 81/2015, è legittimo ritenere che per aversi una valida collaborazione coordinata e continuativa – dunque non una simulazione di lavoro autonomo a mascherare il lavoro subordinato – si debba escludere la etero-organizzazione da parte del committente o, come ritenuto anche da parte della dottrina, è necessario che nel contratto di lavoro siano specificatamente indicati gli elementi del coordinamento funzionale col committente.

Indicando puntualmente in cosa consiste il coordinamento con l'azienda si viene (o meglio, dovrebbe) ad escludere che il rapporto possa essere qualificato come subordinato.

In evidenza: La qualificazione del rapporto di lavoro

Il metodo da utilizzare nell'opera di qualificazione del rapporto di lavoro è quello del sillogismo giuridico ed il meccanismo da utilizzare per la qualificazione di un rapporto di lavoro è quello dell'analisi della fattispecie concreta messa a confronto con quella astratta.

Le caratteristiche della fattispecie astratta da mettere in relazione alla fattispecie concreta sono:

  • la collaborazione nell'impresa ovvero la causa individuatrice del tipo negoziale del contratto di lavoro subordinato;
  • l'eterodeteminazione della prestazione lavorativa ovvero la prestazione di lavoro è determinata e conformata da specifiche direttive e controlli sulle modalità di esecuzione;
  • l'oggetto dell'obbligazione ovvero la mera attività lavorativa e non il risultato o l'opera;
  • l'assenza del rischio nel caso del mancato conseguimento del risultato ovvero del mancato compimento dell'opera;
  • altri indici.

La caratteristica essenziale del lavoro subordinato può dirsi essere l'eterodirezione dell'attività, nel senso che la prestazione lavorativa deve essere svolta nel modo imposto dal datore di lavoro mediante ordini che il lavoratore è obbligato a rispettare.

Questo assoggettamento di una persona ad un'altra è ammesso dall'ordinamento solo in quanto limitato alla prestazione dedotta in contratto e si tratta, perciò, di una dipendenza tecnica funzionale all'organizzazione dell'impresa di cui l'imprenditore è il “capo” dal quale “dipendono gerarchicamente” i collaboratori.

Sembra possa dirsi che, nel merito, il requisito della eterodeterminazione della prestazione lavorativa sia decisivo ai fini della qualificazione del rapporto. Tutti gli altri indici sarebbero compatibili anche con il lavoro autonomo e possono così concorrere solo in via indiziaria a qualificare il rapporto di lavoro.

Il potere di controllo del datore di lavoro

Il potere direttivo del datore di lavoro si esprime, in primo luogo, attraverso il controllo circa l'esatta prestazione di lavoro svolta da parte del lavoratore e la verifica sul rispetto della dovuta diligenza e osservanza delle norme disciplinari (artt. 2104 e 2106 c.c.), nel perseguimento dell'interesse economico d'impresa. Il problema che si pone in questo caso, nella giurisprudenza e nella dottrina, riguarda la possibilità che questo potere si dilati a tal punto da ledere alcuni diritti fondamentali del lavoratore, quali la dignità e la riservatezza, finendo anche a forme di discriminazione o di disparità di trattamento.

Il soggetto legittimato ad effettuare i controlli sul lavoratore è, in primo luogo, il datore stesso quale titolare dell'azienda e, in secondo luogo, i superiori gerarchici, che possono essere individuati nei Dirigenti e Quadri, o comunque nei dipendenti con specifiche funzioni direttive seppur questo potere incontri dei notevoli limiti. Ad esempio, il personale addetto alla vigilanza ed al controllo sui dipendenti deve essere preventivamente comunicato ai dipendenti, in quanto gli stessi devono essere messi in condizione di verificare che non vi sia stata un'ingiustificata compressione della propria riservatezza.

Ancora, seppur è lecito l'utilizzo di investigatori privati per accertare il configurarsi di reati in azienda (es. furti e truffe), non viene invece consentito il controllo da parte delle guardie giurate per evitare che vi sia una forma di intervento di tipo “poliziesco” e quindi intimidatorio, atteso anche il particolare valore probatorio che tali verifiche hanno nell'esercizio del connesso potere disciplinare. Il persona dei vigilanza, infatti, per definizione, ha solo potere di tutela del patrimonio aziendale e non potrebbe mai contestare al dipendente una condotta non connessa ad una eventuale lesione del patrimonio stesso.

A questo punto è necessario distinguere le forme di controllo consentite da quelle ritenute illegittime se non addirittura illecite.

Uno dei temi più dibattuti, infatti, riguarda la possibilità del datore di sottoporre il lavoratore a controlli a distanza al fine di verificarne l'operato ritenuto palesemente in contrasto con la normativa sul lavoro, sulla privacy e sulla riservatezza. In questo senso, dunque, è espressamente vietato il controllo a distanza tramite videosorveglianza e, inoltre, la stessa possibilità di installare impianti di questo genere è subordinata ad un accordo con le sigle sindacali e deve essere finalizzata, anche qui, unicamente alla tutela del patrimonio aziendale; una telecamera, infatti, non dovrebbe mai puntare sul banco di lavoro ma può, ad esempio, essere posta (a circuito chiuso) all'interno di un magazzino.

Sul punto sono intervenute recenti modifiche all'art. 4 St. Lav., ma in questa sede è utile richiamare l'argomento solo per quello che riguarda l'incidenza sugli indici rivelatori della subordinazione di cui si diceva all'inizio.

Discorso a parte viene fatto per la posta elettronica del dipendente. In questo caso, infatti, non costituisce lesione della privacy il controllo da parte del datore dell'uso della casella di posta elettronica aziendale assegnata al dipendente solo per lo svolgimento delle proprie mansioni seppur, poi, il Garante per la privacy sia intervenuto (Provvedimento 1 marzo 2007) nel definire una serie di accorgimenti per evitare che, in assenza del dipendente, il datore possa accedere alla posta. La questione è ampiamente dibattuta, soprattutto per le conseguenze disciplinari legate non solo all'uso della posta elettronica ma anche, e più genericamente, di internet e di social network o simili: la tendenza è quella di ritenere rilevante la condotta del dipendente che, per un tempo sufficientemente prolungato, utilizzi le apparecchiature datoriali (es. l'email o la connessione internet) non per lavorare ma per scopi personali.

Resta comunque salva la possibilità per i contratti collettivi aziendali o territoriali, di derogare alla disciplina sugli impianti audiovisivi e sull'introduzione di nuove tecnologie in azienda.

Tra le forme di controllo ritenuto a pieno espressione del potere direttivo del datore di lavoro, rientrane le visite personali sul lavoratore (perquisizioni) quando le stesse sono considerate indispensabili per la tutela del patrimonio aziendale o nell'impossibilità di utilizzare metodi alternativi, volti ad evitare la reiterazione di furti e reati simili. Tali forme di ispezioni, nei casi previsti, possono essere effettuate solo all'uscita dal luogo di lavoro e comunque con modalità che garantiscano il rispetto della dignità e riservatezza del lavoratore.

Parimenti legittime sono le forme di controllo del dipendente in malattia il quale deve rendersi reperibile nelle fasce orarie previste dalla legge (10:00 – 12:00 e 17:00 – 19:00), durante le quali può essere effettuata la verifica da parte di un medico – inserito in una specifica lista dell'INPS – il quale, dopo l'accesso presso la residenza del lavoratore, dovrà verificare se lo stesso può o meno riprendere il servizio. La questione non è da poco conto in quanto, nel caso concreto, se il lavoratore si assenta nelle fasce orarie può essere sottoposto a procedimento disciplinare oppure, nel caso in cui la visita accerti il termine della malattia, lo stesso è obbligato a riprendere il servizio, onde evitare (anche qui) il rischio di un procedimento disciplinare.

In evidenza: Subordinazione e potere di controllo del datore di lavoro – Cassazione

Un'interessante questione è quella decisa dalla Cassazione in merito all'accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro fra il componente del Consiglio di Amministrazione di una società di capitali – o l'Amministratore Delegato – e la società stessa, con le conseguente in termini di retribuzione e versamento dei contributi.

Cass. civ. sez. I, 6 novembre 2013, n. 24972:

“Per la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato fra un membro del consiglio di amministrazione di una società di capitali, ovvero dell'amministratore delegato, e la società stessa, è necessario che colui che intende far valere tale tipo di rapporto fornisca la prova della sussistenza del vincolo della subordinazione, e cioè l'assoggettamento, nonostante la suddetta carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell'organo di amministrazione della società nel suo complesso”.

In ogni caso, la valutazione della natura subordinata passa per l'accertamento della sottoposizione del lavoratore anche al potere di controllo sulla prestazione, effettuato da parte del datore di lavoro.

Cass. sez. lav., 10 luglio 2012, n. 11538:

“La sussistenza di specifiche modalità di svolgimento della prestazione lavorativa (nella specie, la continuità dell'attività lavorativa, la localizzazione della stessa in ambito aziendale, la sottoposizione al potere datoriale di vigilanza e controllo, l'osservanza di orari di lavoro secondo il regime della turnazione, la commisurazione dei compensi ricevuti al tempo di lavoro) è indice di subordinazione, risultando irrilevante l'accertata flessibilità dell'orario di lavoro, consistente in ritardi nell'ingresso nel luogo di lavoro compensati da successivi recuperi, in quanto modalità ampiamente ricorrente nei sistemi di organizzazione aziendale e del tutto compatibile con la natura subordinata del rapporto di lavoro”.

Il potere disciplinare

Il potere disciplinare trova fondamento nel contratto di lavoro in quanto, nella prestazione di tipo subordinato, il dipendente ha l'onere di garantire l'attività lavorativa con la prescritta diligenza ed obbedienza, nel rispetto del codice disciplinare e dell'obbligo di fedeltà (art. 2104 c.c.).

Il potere disciplinare è diretta espressione del potere di organizzazione e direttivo del datore di lavoro il quale, in applicazione di quanto stabilito dall'art. 41 Cost., ha il pieno controllo sull'impresa e verifica che i propri dipendenti non disattendano il fine a cui è predisposta l'attività stessa. In estrema sintesi, dunque, si può dire che il potere disciplinare è (in qualche modo) una garanzia anche per i dipendenti, in quanto il datore lo esercita affinché l'attività imprenditoriale sia resa al meglio, quindi con reddito e garanzia di mantenimento dei livelli occupazionali.

Certo è che il potere disciplinare non può essere esercitato in modo arbitrario, e trova la fonte normativa nell'art. 7, St. Lav., oltre che nella contrattazione collettiva che ha delimitato il confine di applicazione ed ha stabilito delle procedure specifiche; in questo senso, ad esempio, il primo aspetto che rileva è l'obbligo di affissione del codice disciplinare da parte del datore in un luogo pubblico ed accessibile a tutti i dipendenti, affinché gli stessi possano prendere conoscenza delle norme che regolano il proprio rapporto.

Va comunque detto che, nella prassi quotidiana, il codice disciplinare (spesso) è consegnato al momento dell'assunzione e, comunque, se il lavoratore assume una condotta che – nel sentire comune – è percepita come riprovevole (si pensi, ad esempio, ad un furto o comunque ad un reato) l'esercizio del potere disciplinare è perfettamente legittimo anche in assenza di una vera e propria affissione.

La procedura per l'esercizio del procedimento disciplinare è molto semplice.

Accertata una condotta in violazione delle norme disciplinari, il datore di lavoro deve provvedere alla contestazione dei fatti con una comunicazione scritta al lavoratore, il quale ha 5 giorni di tempo per fornire proprie controdeduzioni o per chiedere l'audizione personale al datore con l'assistenza di un legale o di un sindacalista.

Ricevute le giustificazioni, oppure effettuata l'audizione personale, il datore di lavoro può archiviare la questione oppure irrogare una sanzione secondo la seguente scala di graduazione:

  1. rimprovero verbale;
  2. rimprovero scritto;
  3. multa fino a 4 ore di retribuzione;
  4. sospensione dal servizio e dalla retribuzione fino ad un massimo di 10 giorni;
  5. licenziamento per giustificato motivo soggettivo, con preavviso;
  6. licenziamento per giusta causa, senza preavviso.

La parte relativa ai licenziamenti viene trattata nei paragrafi successivi, è qui sufficiente aggiungere che il datore di lavoro deve contestare tempestivamente il fatto se non vuole incorrere nella nullità del provvedimento disciplinare, né può accumulare più addebiti in una sola contestazione. Infatti, ogni violazione vive di una propria esistenza a parte e se in una sola contestazione si addebitano più fatti al lavoratore, è legittimo ritenere che la medesima sia generica, fuorviante o perfino pretestuosa.

Qualora il datore di lavoro sia a conoscenza di fatti, gravi, che possono qualificare anche forme di reato, può provvedere alla sospensione cautelare del dipendente che, in ogni caso, continua a percepire la retribuzione;. La sospensione, in questo caso, serve al datore per effettuare le dovute verifiche e poi contestare, se necessario, i fatti al dipendente secondo la procedura di cui sopra si è descritto.

In evidenza: Il potere disciplinare – posizione della giurisprudenza di merito

Trib. Genova, 11 gennaio 2016:

“Ogni attività lavorativa può essere svolta in regime di autonomia ovvero di subordinazione e, secondo i principi ex art. 2697 c.c., l'onere della prova è a carico dell'attore; inoltre, in tale tipo di controversie, il discrimine tra autonomia e subordinazione, viene ricondotto ad un procedimento logico giuridico secondo il c.d. modello tipologico e non sussuntivo; il che null'altro vuole dire se non che occorre nel complesso valutare, in assenza di indici forti di subordinazione quali l'esercizio datoriale del potere direttivo e disciplinare, se dai c.d. indici deboli (tra cui l'assenza di rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza di un orario, la cadenza e misura della retribuzione) sia possibile evocare con un giudizio sintetico che valuta tali indici in uno con la peculiarità del caso concreto, la fattispecie della subordinazione; l'analisi degli elementi emersi dall'istruttoria valutati nel loro complesso escludono proprio la subordinazione e confermano, invece, l'autonomia del rapporto intercorso tra le parti”.

Trib. Chieti, 12 febbraio 2013:

“Spetta a chi chieda accertarsi la natura subordinata del rapporto di collaborazione, allegare e provare elementi idonei a configurare il dedotto vincolo di subordinazione, ovverosia non solo la connessione funzionale della propria attività con l'attività d'impresa, ma anche di aver reso la propria prestazione secondo modalità individuate dal datore di lavoro nell'esercizio dei propri poteri di direzione ed organizzazione dell'azienda, la cui osservanza è resa obbligatoria dalla titolarità, in capo all'imprenditore, di un potere disciplinare idoneo a sanzionare eventuali inadempienze”.

Trib. Bari, 17 luglio 2012:

“La qualificazione formale attribuita dalle parti ad un determinato rapporto di lavoro non ha rilievo assorbente, poiché deve tenersi altresì conto, sul piano dell'interpretazione della volontà delle stesse parti, del comportamento complessivo delle medesime, anche posteriore alla conclusione del contratto, ai sensi dell'art. 1362, co. 2, c.c. e, in caso di contrasto fra dati formali e dati fattuali relativi alle caratteristiche e modalità della prestazione, è necessario dare preminente rilievo ai secondi (nel caso di specie non si è ritenuto comprovato, tra gli altri, l'elemento centrale della subordinazione - ovvero la soggezione al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro - in un rapporto qualificato in contrasto come associazione in partecipazione)”.

Retribuzione, contribuzione e declaratorie del CCNL di riferimento

Il lavoratore che agisce innanzi al Giudice del lavoro per l'accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro può ottenere, in caso di totale accoglimento delle domande spiegate col ricorso, il riconoscimento del livello di inquadramento corrispondete a quello previsto dal contratto collettivo applicato dall'azienda per le mansioni dallo stesso svolte. Ciò determina, nella generalità dei casi, il riconoscimento delle differenze retributive risultanti tra quanto corrisposto dal datore di lavoro e quanto effettivamente spettante in base alle declaratorie contrattuali collettive.

In questo primo aspetto è opportuno ricordare che l'azione per l'accertamento del proprio diritto alle differenze retributive, e quindi il diritto al pagamento delle stesse, si prescrive in 5 anni dalla data di maturazione delle singole somme. Un'opinione sempre più diffusa, in ragione della riduzione della tutela reale nei nuovi rapporti di lavoro sorti dopo il marzo 2015, ritiene che il dies a quo debba essere sempre considerato – invece – il giorno successivo a quello della cessazione del rapporto di lavoro, trovando sempre applicazione la tutela obbligatoria (oramai) come forma risarcitoria in caso di licenziamento.

Tuttavia, si può obiettare, non sempre l'accertamento della natura subordinata è collegata alla cessazione del rapporto di lavoro, quindi bisogna calare ogni valutazione nel caso concreto.

Il secondo aspetto che viene collegato alla natura subordinata del rapporto di lavoro è l'inevitabile condanna del datore di lavoro al versamento dei contributi previdenziali omessi:

  • sulle somme eventualmente corrisposte sotto forma di prestazione occasionale o irregolare (lavoro sommerso)
  • sulle ulteriori somme dovute a titolo di differenze retributive, evidentemente mai corrisposte.

Anche in questo caso la prescrizione è di 5 anni, seppur il diritto alla qualifica si prescriva nel termine di 10 anni, così come previsto costantemente dalla giurisprudenza di legittimità e di merito.

Il caso “foodora” e le collaborazioni dei c.d. “riders”

Dalla recente questione del c.d. “caso Foodora” sono nate nuove riflessioni sul ruolo delle collaborazioni coordinate e continuative, e sugli indici di subordinazione: la questione, che ruota attorno alla GIG economy e quindi a tutte quelle attività lavorative che, per antonomasia, sono svolte con un minime margine di autonomia organizzativa ma comunque riconducibile nell'alveo della parasubordinazione.

Il fattorino delle pizze a domicilio (caso emblematico) gode di un margine di autonoma evidentemente ristretta nell'esecuzione della prestazione di lavoro ma, evidentemente, non vi è alcun dubbio che la medesima attività non richieda necessariamente la presenza di un contratto di lavoro subordinato per essere svolta; le commesse a chiamata, dunque, possono essere eseguite correttamente da un collaboratore autonomo, vincolato solo dalla corretta esecuzione della “chiamata” stessa (la consegna della pizza o di altro prodotto), senza essere sottoposto ad alcun vincolo di orario, per esempio, e potendo gestire le varie richieste con un minimo di autonomia (per esempio, dando la precedenza al destinatario più vicino).

Ciò posta, quali sono le novità che investono il lavoro subordinato e le collaborazioni all'indomani del caso “Foodora”? Con la sentenza n. 26 del 2019 della Corte d'appello di Torino ha, nei fatti, applicato per la prima volta l'art. 2 del d.lgs. n. 81 del 2015. In particolare, è stato – da un alto – riconosciuto che il rapporto di lavoro dei “riders” non sia necessariamente di tipo subordinato ma – dall'altro lato – agli stessi sono stati riconosciuti quei benefici economici tipici del lavoro dipendente.

Torna nuovamente di moda la parasubordinazione.

Seppur in forme diverse, il Giudice di Torino ha sostanzialmente elaborato un terzo genere a metà tra le collaborazioni autonome ex art. 409, c.p.c., e il lavoro subordinato ex art. 2094, c.c., applicando per la prima volta quanto stabilito dal d.lgs. n. 81 del 2015. Infatti, ai sensi dell'art. 2 del d.lgs. n. 81 del 2015a far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalita' di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”.

Non si configura, automaticamente, il rapporto di lavoro subordinato, ma la presenza dell'etero-direzione da parte del committente/datore di lavoro è comunque sufficiente per consentire al collaboratore/lavoratore di rivendicare alcune spettanze economiche, tipiche del lavoro dipendente.

Orientamenti a confronto

Una questione certamente di interesse riguarda gli effetti determinati dall'accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro. Rapportando la stessa alla retribuzione spettante al lavoratore secondo le declaratorie del contratto collettivo, il diverso accertamento svolto da parte del Giudice del Lavoro può dare luogo a una distinzione non di poco conto, considerando le differenze retributive e contributive che potrebbero emergere in un rapporto di lavoro poi qualificato come subordinato.

La società cooperativa è comunque obbligata al versamento dei contributi nei confronti dei soci lavoratori a prescindere dalla sussistenza dei requisiti della subordinazione

In tema di obblighi contributivi delle società cooperative nei confronti dei soci lavoratori, l'art. 2, r.d. n. 1422 del 1924 (da ritenersi tuttora vigente in forza dell'art. 140, r.d.l. n. 1827 del 1935, nonostante l'abrogazione, ad opera dell'art. 141 stesso r.d.l., della legge delegata r.d. n. 3184 del 1923) è norma regolamentare (per l'esecuzione del r.d. n. 3184 del 1923) che, con una fictio, ha equiparato ai fini assicurativi la posizione dei soci lavoratori di società cooperative a quella dei lavoratori subordinati, con conseguente sussistenza dell'obbligazione contributiva a carico di tali società a prescindere dalla sussistenza degli estremi della subordinazione in rapporto alla posizione dei soci lavoratori e del fatto che la cooperativa svolga attività per conto proprio o per conto terzi, non rilevando in senso contrario il disposto d.P.R. n. 602 del 1970, che si è limitato ad indicare alcune categorie di lavoratori soci di società ed enti cooperativi (specificamente indicati in allegato elenco) assoggettandole, sia pure a determinate condizioni, agli oneri contributivi previdenziali, senza peraltro incidere sulla disciplina dettata in via generale dal citato art. 2, r.d. n. 1422 del 1924.

Il socio lavoratore di cooperativa è legato da due distinti vincoli: quello associativo e quello di lavoro. Il primo non presuppone automaticamente l'esistenza del secondo, e senza il vincolo di subordinazione non sussistono oneri retributivi o contributivi aggiuntivi a carico della cooperativa stessa.

Posto che la l. n. 142 del 2001 ha previsto la possibilità che il socio lavoratore di cooperativa instauri, a latere del rapporto associativo, un ulteriore e diverso rapporto di lavoro, in forma autonoma o subordinata, con cui contribuisce al perseguimento degli scopi sociali, incombe al socio lavoratore fornire la prova dell'esistenza degli indici atti a fare ritenere l'esistenza della subordinazione (nella specie, la suprema corte conferma la sentenza di merito, ritenendo che l'assunto di parte ricorrente circa la sussistenza degli indici di subordinazione si sia palesato apodittico e non suffragato dalle dovute istanze probatorie).

Casistica più recente e indici di subordinazione

CASISTICA

La subordinazione è esclusa nel caso del direttore di una testata giornalistica

Cass. sez. lav., 24 febbraio 2016, n. 3647.

Non vi è necessaria correlazione tra l'incarico di direttore responsabile di testata giornalistica e l'instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato con l'azienda proprietaria della stessa, essendo a tal fine necessario che in capo alla medesima persona, chiamata ad assolvere detta funzione di carattere pubblicistico, si cumulino altri e diversi compiti, svolti in modo tale da dimostrare l'inserimento del lavoratore nell'organizzazione dell'impresa, con le caratteristiche essenziali della subordinazione e della collaborazione.

Per la subordinazione è necessaria la continuità della prestazione di lavoro

Cass. sez. lav., 19 febbraio 2016, n. 3303.

Posto che l'indice principale di subordinazione ai sensi dell'art. 2094 c.c. è costituito dall'assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro, va qualificato come subordinato il rapporto caratterizzato dalla presenza giornaliera e continua del prestatore, con sottoposizione della sua attività al puntuale controllo datoriale, senza che rilevi in senso contrario il difforme nomen iuris utilizzato dalle parti.

L'onere della prova spetta al ricorrente che agisce per l'accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro

Trib. Genova, 11 gennaio 2016.

Ogni attività lavorativa può essere svolta in regime di autonomia ovvero di subordinazione e, secondo i principi (ex art. 2697 c.c.) l'onere della prova è a carico dell'attore; inoltre, in tale tipo di controversie, il discrimine tra autonomia e subordinazione, viene ricondotto ad un procedimento logico giuridico secondo il c.d. modello tipologico e non sussuntivo; il che null'altro vuole dire che occorre nel complesso valutare, in assenza di indici forti di subordinazione quali l'esercizio datoriale del potere direttivo e disciplinare, se dai c.d. indici deboli (tra cui l'assenza di rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza di un orario, la cadenza e misura della retribuzione) sia possibile evocare con un giudizio sintetico che valuta tali indici in uno con la peculiarità del caso concreto, la fattispecie della subordinazione. Lanalisi degli elementi emersi dall'istruttoria valutati nel loro complesso escludono proprio la subordinazione e confermano, invece, l'autonomia del rapporto intercorso tra le parti.

Trattenuta Irap e attività del medico svolta intra moenia

Cass. sez. lav., 11 gennaio 2016, n. 199.

L'attività libero professionale svolta intra moenia dal medico ospedaliero (c.d. Alpi) rientra nello schema generale della subordinazione, sicché è illegittima la trattenuta Irap operata dall'asl sui relativi onorari - comunque immodificabili unilateralmente perché concordati -, restando l'onere dell'imposta a carico esclusivo dell'azienda che, quale sostituto di imposta, può trasferirlo sui pazienti, adeguando le tariffe su cui i medici, meri subordinati estranei al rapporto tributario, non hanno invece il potere di incidere.

Riferimenti

Normativi

  • Legge 28 giugno 2012, n. 92
  • art. 36 Cost.
  • art. 2094 c.c.
  • 2099 c.c.
  • 2103 c.c.
  • 2104 c.c.

Giurisprudenza

  • Cass. civ, sez. lav., 19 febbraio 2016, n. 3303
  • Cass. sez. lav., 8 aprile 2015, n. 7024
  • Cass. sez. lav., 17 aprile 2009, n. 9256

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