Lavoro dipendente e subordinazioneFonte: Cod. Civ. Articolo 2094
22 Novembre 2016
Inquadramento
Scheda in fase di aggiornamento
La natura subordinata del rapporto di lavoro determina, in capo al prestatore, il diritto ad una serie di prerogative e tutele dalle quali, diversamente, sarebbe escluso. In molte circostanze il datore di lavoro simula con il lavoratore una prestazione di lavoro autonomo, al fine di eludere in primis la normativa previdenziale ed, in secundis, quella sulla tutela da licenziamenti illegittimi. Diventano, pertanto, essenziali sia la prova che si svolge innanzi al Giudice del Lavoro, sia la possibilità di dimostrare che le attività svolte sono state etero-dirette o etero-organizzate dal datore di lavoro, quale unico beneficiario della prestazione. Il riconoscimento della subordinazione comporta alcuni diritti tra cui: il versamento dei contributi, la tutela reale o quella obbligatoria, il diritto alle ferie, ai permessi, alla malattia e alla maternità. La distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato
L'art. 2094 c.c. stabilisce che il lavoratore subordinato è colui il quale svolge la propria prestazione all'interno dell'organizzazione del datore (ovvero nell'impresa) e sotto il potere direttivo, gerarchico e disciplinare dello stesso.
Sicuramente non è semplice individuare i c.d. “indici” della subordinazione, soprattutto in tutti quei casi in cui le parti stipulano un contratto che – almeno nel nomen – risulta essere di tipo autonomo; è quindi opportuna una ricerca attenta e specifica, da parte del Giudice del Lavoro, volta a determinare con la massima sicurezza che le mansioni svolte da parte del lavoratore, per modalità, tempi e natura delle stesse, sono di tipo subordinato e che, pertanto, al lavoratore spettano tutta una serie di garanzie particolari.
La Corte di Cassazione, oramai da tempo, ha riconosciuto che l'elemento principale che contraddistingue un rapporto di lavoro subordinato è la soggezione del lavoratore al potere direttivo, gerarchico e disciplinare del datore di lavoro e l'inserimento in modo sistematico nell'organigramma.
Ecco dunque che, per poter individuare un lavoratore subordinato occorre guardare, innanzitutto, ai tre indici fondamentali:
Può tornare utile, per un rapido confronto, l'analisi con alcune delle più recenti sentenze sull'argomento nelle quali il Giudice ha accertato la sussistenza degli indici sopra indicati ed, in particolare modo:
Le varie forme di lavoro autonomo: distinzioni concettuali e pratiche
Diverso, a questo punto, il ragionamento da seguire per il lavoro autonomo, il quale si caratterizza per elementi diametralmente opposti da quelli appena visti.
Infatti, caratteristiche tipiche di un rapporto di lavoro autonomo sono:
Le forme di lavoro autonomo posso essere molte, in ragione del diverso tipo di prestazione che viene chiesta allo stesso e si può passare dal classico incarico che viene affidato ad un professionista (anche un avvocato, per esempio) al lavoro occasionale, allo stesso lavoro a progetto.
La disciplina, in questi casi, è lasciata all'art. 2222 c.c., che definisce il lavoro autonomo il contratto con cui “…una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente”. Va chiarito che il nomen iuris attribuito dalle parti al contratto non ha alcun valore, poiché ciò che rileva sono le effettive modalità di svolgimento della prestazione lavorativa. Un caso particolare: le CO. CO. CO.
Un'altra forma di lavoro autonomo, estranea all'art. 2222 c.c., è la collaborazione coordinata e continuativa a progetto che trova il proprio fondamento nella Legge Biagi (D.Lgs. n. 276/2003, ad oggi parzialmente abrogata dal Jobs Act, così come la disciplina che riguardava la collaborazioni a progetto); tuttavia, nell'interpretazione fornita dell'art. 409 c.p.c., non risulterebbe vietato stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa (priva di un progetto) alla stregua di quanto avveniva prima della novella del 2003.
In questo senso dunque, le collaborazioni rivivono sotto altra forma e rappresentano comunque un'alternativa al lavoro subordinato che spesso – per uso distorno di questa particolare forma contrattuale – viene dissimulato; ad ogni modo, tali forme di collaborazioni sono ricondotte nell'alveo del lavoro autonomo e si caratterizzano per tre elementi:
Quando si parla di lavoro a progetto si fa riferimento alla c.d. “parasubordinazione”, poiché si è di fronte ad una forma contrattuale ibrida ed a metà strada tra la subordinazione vera e propria e l'autonomia, seppur il rapporto sia – per natura e modalità di esecuzione della prestazione – espressamente di tipo autonomo. A seguito dell'intervento operato dal D.Lgs. n. 81/2015, è legittimo ritenere che per aversi una valida collaborazione coordinata e continuativa – dunque non una simulazione di lavoro autonomo a mascherare il lavoro subordinato – si debba escludere la etero-organizzazione da parte del committente o, come ritenuto anche da parte della dottrina, è necessario che nel contratto di lavoro siano specificatamente indicati gli elementi del coordinamento funzionale col committente.
Indicando puntualmente in cosa consiste il coordinamento con l'azienda si viene (o meglio, dovrebbe) ad escludere che il rapporto possa essere qualificato come subordinato.
Il potere di controllo del datore di lavoro
Il potere direttivo del datore di lavoro si esprime, in primo luogo, attraverso il controllo circa l'esatta prestazione di lavoro svolta da parte del lavoratore e la verifica sul rispetto della dovuta diligenza e osservanza delle norme disciplinari (artt. 2104 e 2106 c.c.), nel perseguimento dell'interesse economico d'impresa. Il problema che si pone in questo caso, nella giurisprudenza e nella dottrina, riguarda la possibilità che questo potere si dilati a tal punto da ledere alcuni diritti fondamentali del lavoratore, quali la dignità e la riservatezza, finendo anche a forme di discriminazione o di disparità di trattamento.
Il soggetto legittimato ad effettuare i controlli sul lavoratore è, in primo luogo, il datore stesso quale titolare dell'azienda e, in secondo luogo, i superiori gerarchici, che possono essere individuati nei Dirigenti e Quadri, o comunque nei dipendenti con specifiche funzioni direttive seppur questo potere incontri dei notevoli limiti. Ad esempio, il personale addetto alla vigilanza ed al controllo sui dipendenti deve essere preventivamente comunicato ai dipendenti, in quanto gli stessi devono essere messi in condizione di verificare che non vi sia stata un'ingiustificata compressione della propria riservatezza.
Ancora, seppur è lecito l'utilizzo di investigatori privati per accertare il configurarsi di reati in azienda (es. furti e truffe), non viene invece consentito il controllo da parte delle guardie giurate per evitare che vi sia una forma di intervento di tipo “poliziesco” e quindi intimidatorio, atteso anche il particolare valore probatorio che tali verifiche hanno nell'esercizio del connesso potere disciplinare. Il persona dei vigilanza, infatti, per definizione, ha solo potere di tutela del patrimonio aziendale e non potrebbe mai contestare al dipendente una condotta non connessa ad una eventuale lesione del patrimonio stesso.
A questo punto è necessario distinguere le forme di controllo consentite da quelle ritenute illegittime se non addirittura illecite.
Uno dei temi più dibattuti, infatti, riguarda la possibilità del datore di sottoporre il lavoratore a controlli a distanza al fine di verificarne l'operato ritenuto palesemente in contrasto con la normativa sul lavoro, sulla privacy e sulla riservatezza. In questo senso, dunque, è espressamente vietato il controllo a distanza tramite videosorveglianza e, inoltre, la stessa possibilità di installare impianti di questo genere è subordinata ad un accordo con le sigle sindacali e deve essere finalizzata, anche qui, unicamente alla tutela del patrimonio aziendale; una telecamera, infatti, non dovrebbe mai puntare sul banco di lavoro ma può, ad esempio, essere posta (a circuito chiuso) all'interno di un magazzino.
Sul punto sono intervenute recenti modifiche all'art. 4 St. Lav., ma in questa sede è utile richiamare l'argomento solo per quello che riguarda l'incidenza sugli indici rivelatori della subordinazione di cui si diceva all'inizio.
Discorso a parte viene fatto per la posta elettronica del dipendente. In questo caso, infatti, non costituisce lesione della privacy il controllo da parte del datore dell'uso della casella di posta elettronica aziendale assegnata al dipendente solo per lo svolgimento delle proprie mansioni seppur, poi, il Garante per la privacy sia intervenuto (Provvedimento 1 marzo 2007) nel definire una serie di accorgimenti per evitare che, in assenza del dipendente, il datore possa accedere alla posta. La questione è ampiamente dibattuta, soprattutto per le conseguenze disciplinari legate non solo all'uso della posta elettronica ma anche, e più genericamente, di internet e di social network o simili: la tendenza è quella di ritenere rilevante la condotta del dipendente che, per un tempo sufficientemente prolungato, utilizzi le apparecchiature datoriali (es. l'email o la connessione internet) non per lavorare ma per scopi personali.
Resta comunque salva la possibilità per i contratti collettivi aziendali o territoriali, di derogare alla disciplina sugli impianti audiovisivi e sull'introduzione di nuove tecnologie in azienda.
Tra le forme di controllo ritenuto a pieno espressione del potere direttivo del datore di lavoro, rientrane le visite personali sul lavoratore (perquisizioni) quando le stesse sono considerate indispensabili per la tutela del patrimonio aziendale o nell'impossibilità di utilizzare metodi alternativi, volti ad evitare la reiterazione di furti e reati simili. Tali forme di ispezioni, nei casi previsti, possono essere effettuate solo all'uscita dal luogo di lavoro e comunque con modalità che garantiscano il rispetto della dignità e riservatezza del lavoratore.
Parimenti legittime sono le forme di controllo del dipendente in malattia il quale deve rendersi reperibile nelle fasce orarie previste dalla legge (10:00 – 12:00 e 17:00 – 19:00), durante le quali può essere effettuata la verifica da parte di un medico – inserito in una specifica lista dell'INPS – il quale, dopo l'accesso presso la residenza del lavoratore, dovrà verificare se lo stesso può o meno riprendere il servizio. La questione non è da poco conto in quanto, nel caso concreto, se il lavoratore si assenta nelle fasce orarie può essere sottoposto a procedimento disciplinare oppure, nel caso in cui la visita accerti il termine della malattia, lo stesso è obbligato a riprendere il servizio, onde evitare (anche qui) il rischio di un procedimento disciplinare.
Il potere disciplinare
Il potere disciplinare trova fondamento nel contratto di lavoro in quanto, nella prestazione di tipo subordinato, il dipendente ha l'onere di garantire l'attività lavorativa con la prescritta diligenza ed obbedienza, nel rispetto del codice disciplinare e dell'obbligo di fedeltà (art. 2104 c.c.).
Il potere disciplinare è diretta espressione del potere di organizzazione e direttivo del datore di lavoro il quale, in applicazione di quanto stabilito dall'art. 41 Cost., ha il pieno controllo sull'impresa e verifica che i propri dipendenti non disattendano il fine a cui è predisposta l'attività stessa. In estrema sintesi, dunque, si può dire che il potere disciplinare è (in qualche modo) una garanzia anche per i dipendenti, in quanto il datore lo esercita affinché l'attività imprenditoriale sia resa al meglio, quindi con reddito e garanzia di mantenimento dei livelli occupazionali.
Certo è che il potere disciplinare non può essere esercitato in modo arbitrario, e trova la fonte normativa nell'art. 7, St. Lav., oltre che nella contrattazione collettiva che ha delimitato il confine di applicazione ed ha stabilito delle procedure specifiche; in questo senso, ad esempio, il primo aspetto che rileva è l'obbligo di affissione del codice disciplinare da parte del datore in un luogo pubblico ed accessibile a tutti i dipendenti, affinché gli stessi possano prendere conoscenza delle norme che regolano il proprio rapporto. Va comunque detto che, nella prassi quotidiana, il codice disciplinare (spesso) è consegnato al momento dell'assunzione e, comunque, se il lavoratore assume una condotta che – nel sentire comune – è percepita come riprovevole (si pensi, ad esempio, ad un furto o comunque ad un reato) l'esercizio del potere disciplinare è perfettamente legittimo anche in assenza di una vera e propria affissione.
La procedura per l'esercizio del procedimento disciplinare è molto semplice.
Accertata una condotta in violazione delle norme disciplinari, il datore di lavoro deve provvedere alla contestazione dei fatti con una comunicazione scritta al lavoratore, il quale ha 5 giorni di tempo per fornire proprie controdeduzioni o per chiedere l'audizione personale al datore con l'assistenza di un legale o di un sindacalista.
Ricevute le giustificazioni, oppure effettuata l'audizione personale, il datore di lavoro può archiviare la questione oppure irrogare una sanzione secondo la seguente scala di graduazione:
La parte relativa ai licenziamenti viene trattata nei paragrafi successivi, è qui sufficiente aggiungere che il datore di lavoro deve contestare tempestivamente il fatto se non vuole incorrere nella nullità del provvedimento disciplinare, né può accumulare più addebiti in una sola contestazione. Infatti, ogni violazione vive di una propria esistenza a parte e se in una sola contestazione si addebitano più fatti al lavoratore, è legittimo ritenere che la medesima sia generica, fuorviante o perfino pretestuosa.
Qualora il datore di lavoro sia a conoscenza di fatti, gravi, che possono qualificare anche forme di reato, può provvedere alla sospensione cautelare del dipendente che, in ogni caso, continua a percepire la retribuzione;. La sospensione, in questo caso, serve al datore per effettuare le dovute verifiche e poi contestare, se necessario, i fatti al dipendente secondo la procedura di cui sopra si è descritto.
Il lavoratore che agisce innanzi al Giudice del lavoro per l'accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro può ottenere, in caso di totale accoglimento delle domande spiegate col ricorso, il riconoscimento del livello di inquadramento corrispondete a quello previsto dal contratto collettivo applicato dall'azienda per le mansioni dallo stesso svolte. Ciò determina, nella generalità dei casi, il riconoscimento delle differenze retributive risultanti tra quanto corrisposto dal datore di lavoro e quanto effettivamente spettante in base alle declaratorie contrattuali collettive.
In questo primo aspetto è opportuno ricordare che l'azione per l'accertamento del proprio diritto alle differenze retributive, e quindi il diritto al pagamento delle stesse, si prescrive in 5 anni dalla data di maturazione delle singole somme. Un'opinione sempre più diffusa, in ragione della riduzione della tutela reale nei nuovi rapporti di lavoro sorti dopo il marzo 2015, ritiene che il dies a quo debba essere sempre considerato – invece – il giorno successivo a quello della cessazione del rapporto di lavoro, trovando sempre applicazione la tutela obbligatoria (oramai) come forma risarcitoria in caso di licenziamento.
Tuttavia, si può obiettare, non sempre l'accertamento della natura subordinata è collegata alla cessazione del rapporto di lavoro, quindi bisogna calare ogni valutazione nel caso concreto.
Il secondo aspetto che viene collegato alla natura subordinata del rapporto di lavoro è l'inevitabile condanna del datore di lavoro al versamento dei contributi previdenziali omessi:
Anche in questo caso la prescrizione è di 5 anni, seppur il diritto alla qualifica si prescriva nel termine di 10 anni, così come previsto costantemente dalla giurisprudenza di legittimità e di merito. Dalla recente questione del c.d. “caso Foodora” sono nate nuove riflessioni sul ruolo delle collaborazioni coordinate e continuative, e sugli indici di subordinazione: la questione, che ruota attorno alla GIG economy e quindi a tutte quelle attività lavorative che, per antonomasia, sono svolte con un minime margine di autonomia organizzativa ma comunque riconducibile nell'alveo della parasubordinazione.
Il fattorino delle pizze a domicilio (caso emblematico) gode di un margine di autonoma evidentemente ristretta nell'esecuzione della prestazione di lavoro ma, evidentemente, non vi è alcun dubbio che la medesima attività non richieda necessariamente la presenza di un contratto di lavoro subordinato per essere svolta; le commesse a chiamata, dunque, possono essere eseguite correttamente da un collaboratore autonomo, vincolato solo dalla corretta esecuzione della “chiamata” stessa (la consegna della pizza o di altro prodotto), senza essere sottoposto ad alcun vincolo di orario, per esempio, e potendo gestire le varie richieste con un minimo di autonomia (per esempio, dando la precedenza al destinatario più vicino).
Ciò posta, quali sono le novità che investono il lavoro subordinato e le collaborazioni all'indomani del caso “Foodora”? Con la sentenza n. 26 del 2019 della Corte d'appello di Torino ha, nei fatti, applicato per la prima volta l'art. 2 del d.lgs. n. 81 del 2015. In particolare, è stato – da un alto – riconosciuto che il rapporto di lavoro dei “riders” non sia necessariamente di tipo subordinato ma – dall'altro lato – agli stessi sono stati riconosciuti quei benefici economici tipici del lavoro dipendente.
Torna nuovamente di moda la parasubordinazione.
Seppur in forme diverse, il Giudice di Torino ha sostanzialmente elaborato un terzo genere a metà tra le collaborazioni autonome ex art. 409, c.p.c., e il lavoro subordinato ex art. 2094, c.c., applicando per la prima volta quanto stabilito dal d.lgs. n. 81 del 2015. Infatti, ai sensi dell'art. 2 del d.lgs. n. 81 del 2015 “a far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalita' di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”.
Non si configura, automaticamente, il rapporto di lavoro subordinato, ma la presenza dell'etero-direzione da parte del committente/datore di lavoro è comunque sufficiente per consentire al collaboratore/lavoratore di rivendicare alcune spettanze economiche, tipiche del lavoro dipendente.
Orientamenti a confronto
Una questione certamente di interesse riguarda gli effetti determinati dall'accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro. Rapportando la stessa alla retribuzione spettante al lavoratore secondo le declaratorie del contratto collettivo, il diverso accertamento svolto da parte del Giudice del Lavoro può dare luogo a una distinzione non di poco conto, considerando le differenze retributive e contributive che potrebbero emergere in un rapporto di lavoro poi qualificato come subordinato.
Riferimenti
Normativi
Giurisprudenza
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