09 Dicembre 2024

Il licenziamento rappresenta la causa di cessazione del rapporto di lavoro che consegue all'esercizio, da parte del datore di lavoro, del diritto di recesso. L'odierno quadro normativo inerente i licenziamenti individuali è la sintesi di una serie di norme che si sono succedute nel tempo e che, nel corso degli anni, hanno apportato severe e radicali modifiche, sino al Decreto Legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (c.d. Jobs Act) ed al decreto legge 12 luglio 2018, n. 87, recante Misure urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese. Tuttavia, resta fermo il fatto che, nonostante lo “stratificarsi” di diverse normative, e di ripetute decisioni della Corte Costituzionale intervenute su di queste, l'illegittimità del licenziamento presuppone sempre la violazione di specifici requisiti sostanziali o formali.

Inquadramento

Il licenziamento rappresenta la causa di cessazione del rapporto di lavoro che consegue all'esercizio, da parte del datore di lavoro, del diritto di recesso, configurato dall'art. 2118 c.c. come facoltà esercitabile da ciascuna parte di tale rapporto, ove concluso a tempo indeterminato, e che comporta l'obbligo della parte recedente di dare all'altra un periodo di preavviso, sostituibile con il pagamento di una indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per tale periodo. Ove il recesso sia esercitato per una giusta causa ai sensi dell'art. 2119 c.c., viene meno l'obbligo di osservare il predetto periodo di preavviso e, nei contratti a tempo determinato, l'obbligo di rispettare il termine di scadenza del rapporto, che può essere fatto cessare immediatamente.

L'odierno quadro normativo inerente i licenziamenti individuali è il risultato di una serie di norme che si sono succedute nel tempo e che, nel corso degli anni, hanno subito severe e radicali modifiche, sino al Decreto Legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (c.d. Jobs Act) ed al decreto legge 12 luglio 2018, n. 87, recante Misure urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese.

Su tale quadro hanno influito diverse decisioni della Corte costituzionale.

Nonostante lo “stratificarsi” di diverse normative inerenti il regime sanzionatorio, l'illegittimità del licenziamento presuppone sempre la violazione di specifici requisiti sostanziali (come la sussistenza di una giusta causa o uno giustificato motivo) o formali (quali, ad esempio, il contenuto e la forma dell'atto di recesso, il mancato rispetto della procedura disciplinare di cui all'art. 7, L. n. 300/1970).

Fino all'entrata in vigore della L. 15 luglio 1966, n. 604, il recesso - con la sola eccezione della giusta causa anzidetta - era esercitabile liberamente da ciascuna delle parti del rapporto di lavoro, la quale poteva porvi fine, liberandosi così degli obblighi connessi, senza addurre alcuna giustificazione.

Successivamente a tale legge, invece è stato introdotto il principio, valido per la generalità dei rapporti di lavoro (con poche eccezioni, quali ad es. i rapporti dei lavoratori domestici), per il quale il recesso da parte del datore di lavoro, e cioè il licenziamento, deve essere sempre motivato, anche in considerazione dei principi desumibili dagli art. 4 e 35 della Costituzione; tale necessità è stata tradotta dalla l. n. 604 del 1966 nella previsione secondo cui il licenziamento  non può essere legittimamente esercitato se non ricorre un giusto motivo, o una giusta causa ai sensi dell'art. 2119 c.c.

Il giusto motivo preso in considerazione dalla legge n. 604 del 1966 può essere sia di carattere “soggettivo”, e cioè “determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro”, sia “oggettivo”, e cioè “determinato da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa” (art. 3).

Con tale legge sono state disciplinate anche le conseguenze dell'esercizio del potere di licenziamento in contrasto con le disposizioni da essa stabilite, le quali hanno subito progressivi cambiamenti per effetto dei numerosi interventi riformatori intervenuti negli ultimi anni.

E' importante quindi analizzare l'evoluzione della disciplina del licenziamento individuale nel corso del tempo, poiché i suoi mutamento hanno dato luogo a conseguenze e regimi di tutela del lavoratore differenziati.

La disciplina ante Riforma Fornero (L. n. 92 del 2012)

A seguito dell'approvazione del cd Statuto dei lavoratori, introdotto con la legge n. 300 del 20 maggio 1970, entrato in vigore pochi anni dopo la predetta legge n. 604 del 1966, nel nostro ordinamento si sono venuti ad affiancare, in relazione al licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo, due distinti regimi di tutela, la c.d. "tutela reale" del lavoratore (prevista dall'articolo 18, Legge n. 300 del 1970) e la c.d. "tutela obbligatoria" (già prevista dall'articolo 8, L. n. 604/1966).

La “tutela reale” del lavoratore

Tale “tutela reale”, introdotta dall'articolo 18, Legge n. 300/1970, e poi in parte modificata dalla legge n. 108 del 1990, comportava che, una volta accertata l'illegittimità del licenziamento per mancanza di giusta causa o giustificato motivo, il datore di lavoro fosse obbligato a reintegrare il lavoratore nel suo posto di lavoro, sicchè il rapporto di lavoro si considerava come mai interrotto sin dalla data del licenziamento; essa si applicava nei confronti dei datori di lavoro che occupavano alle loro dipendenze  un certo numero di lavoratori, ovvero: più di 15 dipendenti (ovvero 5 dipendenti per gli imprenditori agricoli) in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento, oppure più di 15 dipendenti (ovvero 5 dipendenti per gli imprenditori agricoli), nell'ambito dello stesso comune, oppure ancora, più di 60 dipendenti.

All'obbligo di reintegrazione era accompagnato l'obbligo di corrispondere al lavoratore un'indennità a titolo di risarcimento del danno di importo pari alla retribuzione globale di fatto dal momento del licenziamento a quello della reintegrazione, e comunque, non inferiore a cinque mensilità, oltre che l'obbligo di versare i contributi assistenziali e previdenziali dovuti per legge.

Fermo restando il diritto al risarcimento del danno quantificato come sopra, al prestatore di lavoro era riconosciuta la facoltà di chiedere, in luogo della reintegrazione, un'indennità pari a 15 mensilità di retribuzione globale di fatto (articolo 18, comma 5, Legge n. 300/1970).

La tutela reale (e quindi la reintegrazione), trovava inoltre applicazione, indipendentemente dai limiti dimensionali del datore di lavoro, allorché il giudice avesse:

  • dichiarato il licenziamento inefficace per mancanza della forma scritta o della comunicazione, sempre per iscritto, dei motivi del licenziamento stesso di cui all'articolo 2 della Legge n. 604/1966;
  • dichiarato la nullità del licenziamento discriminatorio, determinato cioè (a prescindere dalla motivazione addotta) da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall'appartenenza ad un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacali, ovvero da ragioni di discriminazione razziale, di lingua o di sesso (articolo 4, Legge n. 604/1966 e articolo 15 della Legge n. 300/1970);
  • dichiarato la nullità del licenziamento ai sensi della legge.

La "tutela obbligatoria" del lavoratore

Nel caso in cui il licenziamento fosse stato irrogato a un lavoratore impiegato da un datore di lavoro per il quale non ricorrevano le soglie occupazionali di cui all'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, e dunque al di fuori del suo campo di operatività, si applicava invece la c.d. tutela obbligatoria già prevista dall'articolo 8, Legge n. 604/1966, come modificato anch'esso dalla legge n. 108 del 1990, che consente al datore di lavoro di scegliere se riassumere alle proprie dipendenze il lavoratore licenziato o risarcirgli il danno cagionato dal licenziamento ingiustificato.

Tale articolo dispone che, ove non ricorrano gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, "il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un'indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti. La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro".

Le modifiche dell'art. 18 St. Lav. apportate dalla legge n. 92 del 2012 (c.d. Riforma Fornero)

La Legge n. 92 del 28.06.2012 (pubblicata in G.U. il 3.07.2012) ha apportato notevoli modifiche alla disciplina previgente, mantenendo ferma la sussistenza del predetto regime sanzionatorio differenziato in relazione ai requisiti occupazionali del datore di lavoro, introducendo però per il regime di tutela reale un'importante distinzione, tale da differenziare tale tutela a seconda del vizio che può affliggere il licenziamento.

a. Licenziamento nullo perché

.         determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell'art. 1345 c.c.;

•          determinato da motivi di credo politico o fede religiosa, da ragioni connesse alla etnia, alla lingua, all'orientamento sessuale e, dunque, nei casi in cui il provvedimento espulsivo risulti discriminatorio (licenziamento discriminatorio ex art. 3 l. 108/90);

•          intimato in presenza di uno dei divieti di legge, come ad esempio durante il matrimonio della lavoratrice, durante lo stato di gravidanza o puerperio, durante la malattia o in caso di infortunio, o nel caso di richiamo alle armi del lavoratore.

b. Licenziamento dichiarato inefficace perché intimato in forma orale.

In questi casi è stata mantenuta la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto, a prescindere dal numero di dipendenti occupati dal datore di lavoro, e si applica anche ai dirigenti.

È, inoltre, prevista un'indennità risarcitoria, non inferiore a 5 mensilità, commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal momento del licenziamento sino all'effettiva reintegrazione, dedotto, tuttavia, quanto eventualmente percepito da un'attività lavorativa espletata a seguito del licenziamento (c.d. aliunde perceptum)

Il datore di lavoro è tenuto, inoltre, a garantire la regolarizzazione della posizione contributiva e assistenziale del lavoratore.

E' prevista la possibilità per il lavoratore di optare, in alternativa alla reintegrazione, per un'indennità pari a 15 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, qualora la relativa richiesta avvenga entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione dalla comunicazione della sentenza o dall'invito del datore di lavoro a riprendere la prestazione.

c. Licenziamento privo di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo per insussistenza del fatto contestato al lavoratore o, quando tale fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base del ccnl o del codice disciplinare applicabili (art. 18, comma 4, l. n. 300/70).

In questi casi è stata conservata la tutela reintegratoria, ma con un'attenuazione delle conseguenze risarcitorie, poiché è stato previsto il riconoscimento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto di fatto dal giorno del licenziamento a quello della reintegra, che non può però eccedere le 12 mensilità (cd. tutela reintegratoria attenuata), con l'introduzione quindi di un tetto massimo rispetto al previgente limite minino di 5 mensilità.

Dall'importo riconosciuto andrà dedotto quanto percepito dal lavoratore, dopo il licenziamento, per lo svolgimento di altre attività lavorative (c.d. aliunde perceptum) nonché quanto avrebbe potuto percepire se si fosse diligentemente adoperato per la ricerca di una nuova occupazione (c.d.aliunde percipiendum).

Il datore di lavoro è tenuto inoltre a garantire la regolarizzazione della posizione previdenziale e assistenziale del lavoratore per il periodo intercorrente tra il licenziamento e l'effettiva reintegrazione.

Qualora, a seguito dell'ordine di reintegrazione, il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall'invito del datore di lavoro, il rapporto di lavoro si intende definitivamente risolto, salvo che lavoratore, in alternativa alla reintegrazione del posto di lavoro, abbia esercitato l'opzione per un'indennità pari a 15 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto percepita, possibilità consentita anche in tale ipotesi, fermo restando il diritto al risarcimento sopra descritto.

d. Licenziamento privo di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo in relazione a tutte le restanti ipotesi (art. 18, comma 5, l. n. 300/70).

In questi casi il giudice, una volta riconosciuta l'illegittimità del licenziamento, non ordinerà più la reintegrazione nel posto di lavoro, bensì dichiarerà risolto il rapporto di lavoro riconoscendo un'indennità risarcitoria omnicomprensiva individuata tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.

Ai fini della determinazione di tale indennità il Giudice dovrà tener conto di specifici parametri, quali l'anzianità del lavoratore, le dimensioni dell'attività economica, il numero dei dipendenti e la condotta tenuta dalle parti.

e. Licenziamento privo di giustificato motivo oggettivo, anche consistente nell'inidoneità fisica o psichica del lavoratore, o intimato in violazione del divieto di licenziare i dipendenti in malattia ex art. 2110 c.c.  (art. 18, comma 7, l. n. 300/70).

Per tutte tali ipotesi, a seguito delle sentenze della Corte costituzionale n. 59 del 2021 e n. 125 del 2022, si applica la tutela prevista per il licenziamento privo di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo, con limitate differenze in relazione ai criteri di quantificazione dell'indennità risarcitoria, per i casi di accertata mancanza del giustificato motivo oggettivo diversi dall'insussistenza del fatto dedotto a suo fondamento.

f. Licenziamento inefficace per altri vizi formali e procedurali (art. 18, comma 6, l. n. 300/70).

Nel caso in cui il datore di lavoro licenzi un dipendente:

  • violando la procedura disciplinare di cui all'art. 7, St. Lav.
  • violando l'obbligo di motivazione nella comunicazione scritta del licenziamento di cui all'art. 2, comma 2, Legge n. 604/1966
  • violando la procedura di preventiva conciliazione di cui all'art. 7, L. n. 604/1966, in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo

è previsto che il licenziamento è inefficace, ma non trova più applicazione la tutela reale e dunque la reintegrazione nel posto di lavoro, bensì il riconoscimento, adeguatamente motivato dal Giudice, in capo al lavoratore, di un'indennità risarcitoria omnicomprensiva determinata tra un minimo di 6 e un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, ferme restando le ulteriori sanzioni di cui all'art. 18 nel caso in cui, su domanda del lavoratore, emerga l'insussistenza di un giustificato motivo o di una giusta causa del licenziamento.

La disciplina introdotta dal Decreto legislativo n. 23 del 2015 (c.d. Jobs Act)

Il decreto legislativo n. 23 del 2015 ha introdotto ulteriori e significative modifiche in materia di licenziamento per i nuovi assunti con contratto a tempo indeterminato a far data dal 7.03.2015 (c.d. regime delle tutele crescenti in ragione dell'aumento dell'anzianità di servizio).

Tale decreto legislativo si applica

•          ai licenziamenti intimati ai lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dopo il 7 marzo 2015 (data di entrata in vigore del decreto legislativo 23/2015);

•          nei casi di conversione, successiva all'entrata in vigore del decreto legislativo, di contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato;

•          ai licenziamenti dei lavoratori, anche se assunti con contratti precedenti all'entrata in vigore del decreto legislativo 23/2015, quando l'impresa ha raggiunto il requisito dimensionale di cui all'art. 18 commi 8 e 9 dello statuto dei lavoratori mediante assunzioni successive all'entrata in vigore del decreto legislativo 23/2015.

La disciplina introdotta da tale decreto legislativo è stata successivamente integrata dalle disposizioni dettate dal Decreto-legge n. 87 del 2018, c.d. “decreto Dignità”, convertito con modifiche, dalla Legge n. 96 del 9 agosto 2018, ed è stata ridisegnata, in più punti, da diversi interventi della Corte costituzionale.

In particolare, tra le innovazioni apportate dalla disciplina anzidetta, così come risultata all'esito degli interventi della Corte costituzionale, figura in primo luogo l'eliminazione della reintegrazione in caso di licenziamento illegittimo perché privo di giusta causa, giustificato motivo soggettivo e oggettivo.

In questo caso, infatti, il lavoratore, ove dipendente da datore di lavoro rientrante nel campo di applicazione dell'art. 18 dello statuto dei lavoratori,  avrà diritto esclusivamente a un'indennità di tipo risarcitorio, il cui importo cresce in funzione dell'anzianità di servizio, con un minimo di sei e un massimo di trentasei mensilità, importi applicabili per i licenziamenti intimati successivamente al 12 agosto 2018, data di entrata in vigore del predetto decreto Dignità (prima di esso gli importi erano, rispettivamente quattro e ventiquattro).

La Corte costituzionale, con sentenza n. 184 dell'8 novembre 2018, ha dichiarato incostituzionale la disposizione originariamente contenuta nell'art. 3, comma1, del d. lgs. 23 del 2015, e successive modifiche, secondo cui nel caso in esame al lavoratore sarebbe spettata un'indennità risarcitoria pari a due mensilità di retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, avendo ritenuto che il parametro dell'anzianità di servizio non può costituire l'unico per la quantificazione dell'indennità risarcitoria in parola, dovendosi prendere in considerazione a tal fine, nell'ambito del limite minimo e massimo fissato dalla norma, anche altri criteri desumibili in chiave sistematica dalla evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti (numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell'attività economica, comportamento e condizioni delle parti).

La tutela reintegratoria è stata mantenuta dal d. lgs. n. 23 del 2015 (art. 3, comma, 2) in caso di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo esclusivamente per l'ipotesi in cui “sia dimostrata direttamente in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento”.

A tale ipotesi, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 128 del 16 luglio 2024 (che ha dichiarato incostituzionale sul punto l'art. 3 comma 2 anzidetto), è stato equiparato il caso del licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo, “nelle ipotesi in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale allegato dal datore di lavoro”, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa il ricollocamento del lavoratore.

In aggiunta alla tutela reintegratoria, per le ipotesi in cui questa è stata prevista dal d. lgs. n. 23 del 2015, è stato mantenuto anche diritto al risarcimento del danno attraverso l'indennità risarcitoria commisurata alle retribuzioni, la cui disciplina non si discosta sostanzialmente da quella dettata dalla legge n. 92 del 2012, salvo che per il riferimento al tipo di retribuzione, essendosi presa in considerazione non più la retribuzione globale di fatto, che poteva dar adito ad incertezze applicative, ma la retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto.

È rimasto invece invariato il regime di tutela previsto nei casi di licenziamento discriminatorio, intimato in forma orale, o nullo per i casi in cui la nullità sia prevista dalla legge (art. 2 del d. lgs. n. 23 del 2015, nella formulazione risultata all'esito della sentenza della Corte costituzionale n. 22 del 22.02.2024).      

In queste ipotesi la tutela prevista è analoga a quella dell'articolo 18, St. Lav., come modificato dalla l. n. 92 del 2012, ovvero la reintegrazione e la corresponsione di una indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto maturata tra il giorno del licenziamento e quello della reintegrazione e comunque non inferiore a 5 mensilità, dedotto l'aliunde perceptum nel periodo di estromissione.

Permane, inoltre, in capo al datore di lavoro, l'obbligo di garantire la regolarizzazione della posizione contributiva e assistenziale del lavoratore.

L'applicazione di una tale disciplina è stata prevista anche per le ipotesi in cui il giudice accerta il difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68.

Ulteriori modifiche sono state apportate alle sanzioni indennitarie previste dalla Riforma Fornero in caso di licenziamento intimato senza comunicazione della motivazione o non rispettando la procedura in materia disciplinare prevista dall'art.7 Statuto dei Lavoratori.

Anche in questi casi, è stata mantenuta la sola tutela risarcitoria; l'art. 4 comma 1 del d. lgs. n. 23 del 2015, ha infatti previsto l'obbligo per il datore di lavoro di corrispondere un'indennità crescente di importo pari a una mensilità di retribuzione per ogni anno di anzianità di servizio, con un minimo di due e un massimo di 12 mensilità.

Tale disposizione è stata dichiarata incostituzionale dalla sentenza della Corte costituzionale n. 150 del 16.07.2020nella parte in cui prende in considerazione unicamente il dato dell'anzianità di servizio per quantificare l'importo dell'indennità da riconoscere, dovendo invece concorrere a tale determinazione, nell'ambio del limite minimo e massimo stabilito dalla norma,  anche altri criteri desumibili dal sistema, idonei a rendere la determinazione dell'indennità aderente alle particolarità del caso concreto.

Una modifica ha subito anche la disciplina sanzionatoria applicabile in caso di licenziamenti intimati da datori di lavoro al di fuori del campo di applicazione dell'art. 18 dello statuto dei lavoratori, essendosi previsto (art. 9) che l'ammontare delle indennità previste dall'articolo 3, comma 1, dall'articolo 4, comma 1, è dimezzato e non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità.

Sull'applicazione di tale disposizione sono suscettibili di influire le menzionate decisioni della Corte costituzionale che hanno affermato che il criterio dell'anzianità di servizio non può essere l'unico da prendere in considerazione per determinare l'indennità risarcitoria spettante al lavoratore.

Casistica

CASISTICA

Applicazione della disciplina del d. lgs. n. 23 del 2015   

I lavoratori assunti con contratto a tempo determinato prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 23/2015, con rapporto di lavoro giudizialmente convertito a tempo indeterminato solo successivamente a tale decreto, in alcun modo possono essere considerati "nuovi assunti", cosicché per essi non trova applicazione la disciplina dal medesimo introdotta. (Cass. sez. lav., n. 823/2020).

Applicazione della tutela reintegratoria attenuata ex art. 3, comma 2, d. lgs. n. 23 del 2015 

In tema di licenziamento disciplinare, nel caso in cui il fatto contestato al lavoratore, pur sussistente nella sua materialità, risulti privo di illiceità, offensività o antigiuridicità, trova applicazione la tutela reintegratoria cd. attenuata prevista ex art. 3, comma 2, d.lgs. n. 23 del 2015, vigente ratione temporis. (Cass. sez. lav., n. 30469/2023).

La detrazione dell'aliunde percipiendum 

Nell'ipotesi di licenziamento illegittimo cui consegua la tutela reintegratoria cd. "piena", di cui all'art. 18, comma 1, st.lav. riformulato - che opera quale regime speciale concernente la materia dei licenziamenti individuali - non trova applicazione la detrazione dell'"aliunde percipiendum" in quanto il comma 2 dell'articolo citato dispone che nella predetta ipotesi dal risarcimento vada dedotto esclusivamente quanto dal lavoratore percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative e non anche quanto il lavoratore "avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione", come previsto, invece, dal successivo comma 4 in materia di tutela reintegratoria cd. "attenuata".  (Cass. sez. lav., n. 1602/2023).

L'illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo nell'ambito della l. n. 92 del 2012 

In caso di licenziamento illegittimo per violazione dell'obbligo di repêchage, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 125/2022, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 18, comma 7, secondo periodo, L. n. 300 del 1970, come modificato dall'art. 1, comma 42, lett. b), L. n. 92 del 2012, limitatamente alla parola "manifesta", il lavoratore ha diritto alla tutela "reintegratoria". (Cass. sez. lav., n. 33341/2022).

L'inefficacia del licenziamento per violazione dell'onere della motivazione

Nel regime di tutela obbligatoria, in caso di licenziamento inefficace per violazione del requisito di motivazione ex art. 2, comma 2, della l. n. 604 del 1996, come modificato dall'art. 1, comma 37, della l. n. 92 del 2012, trova applicazione l'art. 8 della medesima legge, in virtù di un'interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata della novella del 2012 che ha modificato anche l'art. 18 della l. n. 300 del 1970, prevedendo, nella medesima ipotesi di omessa motivazione del licenziamento, una tutela esclusivamente risarcitoria.  (Cass. sez. lav., n. 19323/2022).

Riferimenti

Normativi

  • Normativi

  • Legge 10 dicembre 2014, n. 183
  • Decreto legislativo 4 marzo 2015 n. 23
  • Legge 28 giugno 2012, n. 92
  • Legge 20 maggio 1970, n. 300
  • Legge 15 luglio 1966, n. 604
  • Legge 9 agosto 2018, n. 96
  • Giurisprudenziali

  • Cass. sez. lav., n.   8365/2024
  • Cass. sez. lav., n. 10802/2023
  • Cass. sez. lav., n.   2234/2023
  • Cass. sez. lav., n. 11863/2022
  • Cass. sez. lav., n.   6744/2022
  • Cass. sez. lav., n.   1507/2021

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