Lavoro
ilGiuslavorista
22 Maggio 2024

La malattia professionale è una patologia la cui causa agisce lentamente e progressivamente sull’organismo, contratta dal lavoratore nell’esercizio e a causa delle lavorazioni rischiose (artt. 3 e 211, d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124). Se un lavoratore contrae una malattia professionale ha diritto alle prestazioni assicurate dall’INAIL, secondo le regole concernenti gli infortuni sul lavoro, salvo le disposizioni speciali contenute negli artt. da 131 a 139 (settore industria) e negli artt. da 249 a 255 (settore agricoltura).

Inquadramento

La malattia professionale è una patologia la cui causa agisce lentamente e progressivamente sull'organismo, contratta nell'esercizio e a causa delle lavorazioni rischiose (artt. 3 e 211, D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124). Il rischio può essere provocato dalla lavorazione che l'assicurato svolge oppure dall'ambiente in cui la lavorazione stessa si svolge.

Le malattie professionali possono essere tabellate o non tabellate.

Sono tabellate le malattie previste nelle due tabelle (una per l'industria e una per l'agricoltura), derivate dalle lavorazioni indicate nelle stesse tabelle e denunciate entro un determinato periodo dalla cessazione dell'attività rischiosa, fissato nelle tabelle stesse. Per tutte le malattie elencate nella tabella, derivate da quelle specifiche lavorazioni, manifestatesi in quel lasso di tempo si presume l'origine professionale che esonera il lavoratore tecnopatico dall'onere di dimostrare il nesso causale tra lavorazione e patologia, superabile soltanto con la prova che la malattia è stata determinata da cause extraprofessionali.

Le malattie non tabellate sono quelle non comprese nelle tabelle di cui agli artt. 3 e 211, D.P.R. n. 1124/65 delle quali il lavoratore deve dimostrare l'origine professionale (art. 10, comma 4, D.Lgs. n. 38/2000).

Se un lavoratore contrae una malattia professionale ha diritto alle prestazioni economiche, sanitarie e riabilitative assicurate dall'INAIL, secondo le regole concernenti gli infortuni sul lavoro, salvo le disposizioni speciali contenute negli articoli da 131 a 139 (settore industria) e negli articoli da 249 a 255 (settore agricoltura).

La nozione di malattia professionale: dal sistema tabellare chiuso al sistema misto

Nella legge istitutiva dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro (l. n. 80/1898) non era contemplata una tutela indennitaria per le malattie professionali, introdotta dapprima per il settore industria (r.d. 13 maggio 1929, n. 929 — r.d. 5 ottobre 1934, n. 1565) e successivamente anche per il settore agricoltura (l. 21 marzo 1958, n. 313).

La legge attualmente in vigore non contiene una definizione di malattia professionale, da intendersi come una patologia la cui causa agisce lentamente e progressivamente sull'organismo compromettendone l'integrità, ma si limita a stabilire, con una formulazione testuale identica per il settore industria e quello agricoltura, che le medesime devono essere contratte nell'esercizio e a causa delle lavorazioni specificate in una specifica tabella, rientranti fra quelle previste nell'art. 1 (artt. 3 e 211, D.P.R. n. 1124/65).

In principio era operante un sistema tabellare c.d. chiuso, che limitava la tutela ad alcune patologie di comprovata origine professionale, la cui eziologia lavorativa era dunque presunta, restando esclusa la possibilità per il lavoratore di fruire della protezione per una patologia non tabellata.

La Corte costituzionale ha ritenuto incostituzionale il sistema tabellare chiuso, dichiarando illegittime le norme contenute negli artt. 3, comma 1, e 211, comma 1, D.P.R. n. 1124/1965, nella parte in cui non garantivano la tutela per malattie diverse da quelle tabellate e causate da lavorazioni o agenti patogeni non tabellati « delle quali sia comunque provata la causa di lavoro », insieme agli artt. 134, comma 1, e 254, D.P.R. n. 1124/1965, nella parte in cui, in caso di abbandono della lavorazione morbigena, stabilivano che le prestazioni per le malattie professionali erano dovute « sempreché » le manifestazioni morbose si fossero verificate entro un determinato termine (Corte cost. 18 gennaio 1988, n. 179); successivamente la Consulta dichiarava incostituzionale anche l'art. 135, comma 2, D.P.R. n. 1124/1965, reputando illegittimo che una denunzia tardiva potesse privare automaticamente dell'indennizzo il lavoratore la cui malattia si fosse verificata nei termini tabellari (Corte cost. 25 febbraio 1988, n. 206).

Dal sistema tabellare chiuso si è così passati all'attuale sistema misto che, oltre alle tecnopatie tabellate, estende la tutela anche alle malattie professionali non tabellate (art. 10, comma 4, D. Lgs. n. 38/2000).

Per la tutela della malattia professionale non è sufficiente la mera occasionalità di lavoro, contemplata per gli infortuni, ma occorre che la stessa sia contratta « nell'esercizio e a causa delle lavorazioni » (art. 3 per il settore industria e art. 211 per il settore agricoltura), ponendosi in rapporto di stretta derivazione causale con l'attività lavorativa; inoltre, a differenza degli infortuni, per i quali vale la causa violenta, la menomazione derivante dalla malattia è provocata da una lenta esposizione, anche se non prolungata, all'azione del fattore morbigeno. La Cassazione ha riconosciuto l'indennizzabilità pure della malattia contratta dal lavoratore non adibito alla lavorazione morbigena, purché abbia frequentato gli ambienti in cui la stessa era esercitata (Cass. 18 settembre 2013, n. 21360; Cass. 5 marzo 2013, n. 5375; Cass. 13 luglio 2011, n. 15400; Cass. 4 giugno 2002, n. 8108; Cass. 2 settembre 1995, n. 9277; Cass. 13 aprile 1995, n. 4223).

Le malattie professionali tabellate

Per le malattie professionali tabellate vale la presunzione legale di origine professionale (Cass. 1° febbraio 2002, n. 1318; Cass. 10 giugno 1999, n. 5716; Cass. 24 aprile 1999, n. 4107; Cass. 28 novembre 1992, n. 12740; Cass. 14 ottobre 1983, n. 6016), ove il lavoratore abbia provato l'adibizione abituale e sistematica alla lavorazione tabellata (Cass. 13 dicembre 2021, n. 39751), gravando sull'INAIL l'onere di dimostrare l'inesistenza del nesso causale (Cass. 21 novembre 2016, n. 23653; Cass. 10 dicembre 2013, n. 27520; Cass. 9 gennaio 2013, n. 358; Cass. 21 dicembre 2009, n. 26893; Cass. 3 aprile 2008, n. 8638; Cass. 26 luglio 2004, n. 14023). La presunzione legale di origine professionale scatta solo se la lavorazione tabellata sia svolta in modo continuativo e non in maniera episodica e occasionale (Cass. 10 marzo 2004, n. 4927). Le elencazioni contenute nella tabella hanno carattere tassativo; cosicché, non è consentita un'applicazione analogica delle relative previsioni, ma una mera interpretazione estensiva. La presunzione vale anche per le lavorazioni che, pur non espressamente previste nelle tabelle, siano da intendersi come implicitamente incluse, alla stregua dell'identità dei connotati essenziali, ma non per quelle lavorazioni che presentino solo alcuni caratteri in comune, unitamente ad elementi non marginali di diversità: in tale ipotesi, si configura una mera somiglianza con la fattispecie inclusa nella lista (Cass. 26 giugno 2023, n. 18175; Cass. s.u. 9 marzo 1990, n. 1919).

Le malattie professionali non tabellate

Per le malattie non tabellate, quelle non comprese nelle tabelle di cui agli artt. 3 e 211, D.P.R. n. 1124/65 delle quali il lavoratore dimostri l'origine professionale (art. 10, comma 4, D. Lgs. n. 38/2000), la prova dell'origine professionale incombe sullo stesso lavoratore che ne rivendica la tutela (Cass. 21 giugno 2006, n. 14308; Cass. 25 settembre 2004, n. 19312; Cass. 7 giugno 2003, n. 9171; Cass. 28 maggio 2003, n. 8468; Cass. 4 luglio 2001, n. 9048; Cass. 13 dicembre 1999, n. 13986), il quale deve provare l'esistenza della malattia, la sua indennizzabilità, le caratteristiche morbigene della lavorazione svolta e il rapporto eziologico fra quest'ultima e la malattia, con la precisazione che l'eziologia professionale sia dimostrata in termini di « ragionevole certezza », nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità, l'origine professionale può essere dedotta « con elevato grado di probabilità, dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalla natura dei macchinari presenti nell'ambiente di lavoro, dalla durata della prestazione lavorativa e dall'assenza di altri fattori extralavorativi, alternativi o concorrenti, che possano costituire causa della malattia » (Cass. 6 dicembre 2021, n. 38659; Cass. 8 novembre 2021, n. 32449; Cass. 20 ottobre 2021, n. 29133; Cass. 27 aprile 2017, n. 10430; Cass. 15 ottobre 2014, n. 21825; Cass. 12 giugno 2014, n. 13342; Cass. 8 maggio 2013, n. 10818; Cass. 12 ottobre 2012, n. 17438; Cass. 11 ottobre 2012, n. 17349; Cass. 10 febbraio 2011, n. 3227) o da dati statistici ed epidemiologici, tali cioè da tradurre in certezza giuridica le conclusioni fornite in termini meramente probabilistici dal consulente tecnico che ritenga compatibile la malattia non tabellata con la noxa professionale (Cass. 22 marzo 2022, n. 9342; Cass. 10 aprile 2018, n. 8773; Cass. 14 gennaio 2015, n. 467; Cass. n. 15080/2009).

Nel caso di malattia ad eziologia multifattoriale, quella riconducibile a fattori di rischio ubiquitari, ai quali si è esposti anche al di fuori del luogo di lavoro o a fattori genetici, « il nesso di causalità relativo all'origine professionale della malattia non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione e, se questa può essere data anche in termini di probabilità sulla base delle particolarità della fattispecie (essendo impossibile, nella maggior parte dei casi, ottenere la certezza dell'eziologia), è necessario pur sempre che si tratti di “probabilità qualificata”, da verificarsi attraverso ulteriori elementi (come ad esempio i dati epidemiologici), idonei a tradurre la conclusione probabilistica in certezza giudiziale » (Cass. 11 ottobre 2022, n. 29609; Cass. 3 dicembre 2021, n. 38377; Cass. 21 agosto 2020, n. 17576; Cass. n. 736/2018; Cass. n. 10097/2015; Cass. 26 luglio 2004, n. 14023).

In base all'art. 41 c.p. (principio di equivalenza causale), va data rilevanza ad ogni concausa che abbia contribuito alla produzione dell'evento lesivo, quand'anche la sua incidenza in termini di efficienza eziologica non sia stata preponderante, ma abbia contribuito in maniera indiretta e remota (Cass. n. 27952/18, Cass. n. 6105/15). Il nesso eziologico tra concausa ed evento è escluso solo quando questa degradi a mera occasione per l'intervento di fattori estranei all'attività lavorativa di per sé assorbenti (Cass. n. 23990/2014; Cass. n. 15107/2005; Cass. n. 8033/2002). La predisposizione morbosa del lavoratore non recide il rapporto causale con la lavorazione svolta, ove da sola non sufficiente a provocare la malattia (Cass. 11 dicembre 2013, n. 27649; Cass. 28 novembre 2013, n. 26663; Cass. 30 luglio 2013, n. 18267; Cass. 10 aprile 2013 n. 8839).

Le patologie da costrittività organizzativa sul lavoro

Oltre ai tradizionali rischi chimici, fisici e/o biologici, già da tempo tutelati dall'INAIL, negli ultimi decenni sono apparsi i rischi psicosociali derivanti da inadeguate modalità di progettazione, organizzazione e gestione del lavoro o da un contesto lavorativo socialmente mediocre, che determinano conseguenze psicologiche, fisiche e sociali negative, come stress, esaurimento o depressione connessi al lavoro, ossia patologie psichiche derivanti da « costrittività organizzativa », che l'INAIL ha inteso tutelare sulla base delle istruzioni fornite con la circolare n. 71 del 17 dicembre 2003, annullata, unitamente al D.M. 27 aprile 2004, nella parte in cui includeva le patologie psichiche da costrittività organizzativa nell'elenco delle malattie per le quali è obbligatoria la denuncia ai sensi dell'art. 139, D.P.R. n. 1124/1965, dal TAR per il Lazio (T.A.R. Lazio, Sez. Roma, 4 luglio 2005, n. 5454), con sentenza poi confermata dal Consiglio di Stato (Cons. Stato 17 marzo 2009, n. 1576), avendo ritenuto illegittima l'estensione della tutela in favore di patologie che sono prive della causalità richiesta dall'art. 3, D.P.R. n. 1124/1965.

Nonostante l'annullamento della circolare del 2003 e del decreto ministeriale del 2004, la Cassazione ha riconosciuto l'indennizzabilità di qualunque patologia derivante dall'organizzazione del lavoro e dalle sue modalità di esplicazione, reputando meritevoli di tutela tutte le malattie, di natura fisica o psichica, la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione, sia che riguardi l'organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione, dovendosi ritenere incongrua una qualsiasi distinzione in tal senso, posto che il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, sottoponendola a rischi rilevanti sia per la sfera fisica che psichica (Cass. 28 novembre 2022, n. 34976 — fattispecie di mobbing; Cass. 25 ottobre 2022, n. 31514 — fattispecie di stress; Cass. 11 ottobre 2022, n. 29611; Cass. 11 ottobre 2022, n. 29515; Cass. 14 maggio 2020, n. 8948; Cass. 17 agosto 2018, n. 20774; Cass. 5 marzo 2018, n. 5066).

La denuncia di malattia professionale

Il lavoratore che contrae una malattia professionale non acquista il diritto soggettivo alle prestazioni economiche o sanitarie assicurate dall'INAIL in difetto della denuncia della malattia professionale che «deve essere fatta dall'assicurato al datore di lavoro entro il termine di giorni quindici dalla manifestazione di essa» (art. 52, comma 2, T.U.).

La mancata denuncia della malattia professionale non comporta la perdita definitiva dell'indennità, ma solo per i giorni antecedenti la denuncia (art. 52, comma 2).

Il datore di lavoro, entro i cinque giorni successivi, deve trasmettere in via telematica all'INAIL la denuncia, corredata dei riferimenti al certificato medico già trasmesso per via telematica direttamente dal medico o dalla struttura sanitaria competente al rilascio. Il certificato deve contenere, oltre l'indicazione del domicilio dell'ammalato e del luogo dove questi si trova ricoverato, una relazione particolareggiata della sintomatologia accusata dall'ammalato stesso e di quella rilevata dal medico certificatore (art. 53, comma 5, D.P.R. n. 1124/65).

La denuncia delle malattie professionali accadute ai lavoratori autonomi o subordinati avventizi nel settore agricoltura, disciplinata dalle norme contenute nel titolo II, D.P.R. n. 1124/65 (art. 4, D.M. 29 maggio 2001), deve essere effettuata dal medico che ha prestato la prima assistenza con un modulo apposito che funge da denuncia e da certificato medico (cd. certificato-denuncia), anch'esso trasmesso all'INAIL per via telematica, entro 10 giorni dalla data della prima visita medica (circ. INAIL 21 marzo 2016, n. 10; art. 251, comma 1 e 1/bis, D.P.R. n. 1124/65, aggiunto dall'art. 21, comma 1, lett. f), D. Lgs. n. 151/2015).

La mancata o tardiva denuncia di infortunio o malattia professionale è punita con la sanzione amministrativa, da un minimo di € 258,00 ad un massimo di € 1.549,00 (art. 53, comma 8, D.P.R. n. 1124/65; art. 2, comma 1, lett. b), L. n. 561/1993); importo quintuplicato da un minimo di € 1.290,00 ad un massimo di € 7.745,00 per le violazioni commesse a partire dal 1° gennaio 2007 (art. 1, comma 1177, L. n. 296/2006).

L'INAIL, sulla base della denuncia e del certificato medico attestante l'impossibilità fisica dell'assicurato di recarsi al lavoro, accertata la sussistenza dei requisiti di indennizzabilità, provvede nel più breve tempo possibile o non oltre il ventesimo giorno da quello dell'infortunio, all'erogazione dell'indennità per inabilità temporanea (art. 100, D.P.R. n. 1124/65). Al contrario, se non sussiste il diritto alle prestazioni, l'INAIL ne dà immediata comunicazione all'interessato, spiegando i motivi del rifiuto (art. 101, D.P.R. n. 1124/65).

Una volta ricevuto il certificato medico constatante l'esito definitivo della lesione riportata, l'Istituto comunica all'infortunato la cessazione della corresponsione dell'indennità per inabilità temporanea e se siano residuati postumi permanenti indennizzabili (art. 102, D.P.R. n. 1124/65); nel termine di trenta giorni, decorrente dal ricevimento del suddetto certificato medico, viene comunicato il grado e la specie dell'inabilità residuata, per poi procedere alla liquidazione delle prestazioni di legge. Se, invece, gli esiti della lesione non siano ancora stabilizzati o l'Istituto non sia in grado di accertare il grado definitivo della menomazione riportata dal lavoratore assicurato, si procede alla costituzione di una rendita in misura provvisoria con riserva di procedere alla liquidazione definitiva.

A proposito delle malattie non sempre è facile comprendere se la loro origine sia professionale o extra-professionale. Al fine di ridurre i tempi di attesa per l'erogazione delle prestazioni economiche scaturenti dall'incerta genesi della patologia, INAIL ed INPS hanno stipulato una convenzione in base alla quale l'ente compulsato anticipa le prestazioni in via provvisoria; dissipati i dubbi in ordine all'origine, l'Istituto competente rimborserà all'altro gli importi nel frattempo versati, corrispondendo all'assicurato l'eventuale differenza, se dovuta (circ. INAIL 10 luglio 2009, n. 38 e circ. INPS 10 luglio 2009, n. 91).

In evidenza: decorrenza delle prestazioni economiche

Cass. 1° giugno 2018, n. 14053; Cass. 31 gennaio 2013, n. 2285; Cass. 31 agosto 2011, n. 17909

La rendita per infortunio sul lavoro o malattia professionale non può decorrere da data anteriore a quella della domanda amministrativa, in conformità al principio secondo cui il titolare del diritto ad una prestazione previdenziale deve manifestare la propria volontà di farlo valere e la manifestazione di tale volontà costituisce il momento di decorrenza del diritto stesso.

Cass. 13 gennaio 2022, n. 958

L'indennità per inabilità temporanea assoluta non può avere decorrenza anteriore rispetto alla denuncia di malattia professionale e la decorrenza della rendita va fissata dal momento della cessazione del periodo di inabilità temporanea assoluta, anche in presenza di una domanda amministrativa ulteriore presentata dal lavoratore infortunato al fine della commisurazione del danno a percentuale più elevata rispetto a quella riconosciuta dall'INAIL.

In evidenza: qualificazione della malattia professionale nella denuncia  

Cass. 15 novembre 2012, n. 20022; Cass. 21 dicembre 2001, n. 16138

Il lavoratore non ha l'onere di qualificare la malattia professionale denunciata, bensì soltanto di allegare alla denuncia una relazione particolareggiata della sintomatologia da lui accusata e di quella rilevata dal medico certificatore, in quanto una domanda volta ad ottenere la prestazione assicurativa per malattia professionale, che, anche se non coincidente con quella denunciata, rientri pur sempre nel quadro della sintomatologia allegata e sia relativa all'attività lavorativa dedotta, non può essere considerata nuova, trattandosi in tal caso di mera diversità di qualificazione dello stesso fatto costitutivo già allegato, consentita, in sede giudiziaria, anche al giudice di appello, previo esperimento, qualora occorra, di una nuova consulenza tecnica.

Cass. 14 marzo 2016, n. 5004; Cass. 29 aprile 2010, n. 10434; Cass. 19 giugno 1999, n. 6175; Cass. 5 dicembre 1998, n. 12349; Cass. 1° settembre 1997, n. 8281; Cass. 23 giugno 1997, n. 5600; Cass. 11 gennaio 1995, n. 262; Cass. 18 febbraio 1991, n. 1702

Non è nuova, sia in sede amministrativa che giudiziaria, la domanda di prestazione assicurativa per una malattia professionale che, pur non coincidente con quella denunciata, rientri nel quadro della sintomatologia allegata e sia relativa alla lavorazione dedotta, trattandosi di mera qualificazione del fatto costitutivo allegato, consentita anche al giudice d'appello previo esperimento, se necessario, di nuova consulenza.

La manifestazione della malattia professionale e la prescrizione del diritto alle prestazioni

Nel Testo unico del 1965 la manifestazione della malattia professionale si considera verificata nel primo giorno di completa astensione dal lavoro a causa della malattia (art. 135, comma 1). La corretta individuazione di tale momento è fondamentale perché la manifestazione della malattia professionale identifica il dies a quo del termine prescrizionale triennale per conseguire le prestazioni economiche assicurate dall'INAIL (art. 112, comma 1).

La malattia si considera manifestata purché la patologia denunciata abbia raggiunto il minimo indennizzabile (Corte cost. 8 luglio 1969, n. 116); se il consolidamento della malattia è intervenuto in epoca precedente alla sua manifestazione, il termine prescrizionale inizia correttamente a decorrere dalla sua manifestazione purché si tratti «di ogni emersione della malattia, per segni o per sintomi, che sia univoca, e quindi idonea a rendere edotto l'assicurato dell'esistenza della malattia stessa e della sua incidenza sull'attitudine lavorativa, e a consentirgli quindi di poter utilmente far valere il proprio diritto» (Corte cost. 24 gennaio 1991, n. 31).

La Magistratura superiore, nel rispetto delle sentenze della Consulta, ha ritenuto che «la prescrizione del diritto alla rendita da malattia professionale decorre dal momento in cui l'assicurato sia in condizione di conoscere l'esistenza della malattia, la sua natura professionale e la sua giuridica indennizzabilità» (Cass. 26 settembre 2013, n. 22068; Cass. 18 aprile 2007, n. 9252; Cass. 26 giugno 2006, n. 14717; Cass. 27 dicembre 2005, n. 27323; Cass. 16 dicembre 2004, n. 23418; Cass. 28 settembre 2004, n. 19371), interpretando il concetto di «manifestazione» di cui all'art. 112 come «oggettiva possibilità che il fatto sia conosciuto dal soggetto interessato, cioè la sua conoscibilità» (Cass. n. 5090/2001; Cass. 11 maggio 2017, n. 11593), sussistente in presenza di uno o più fatti concorrenti che «forniscano certezza dell'esistenza dello stato morboso o della sua conoscibilità da parte dell'assicurato, in relazione anche alla sua eziologia professionale e al raggiungimento della misura minima indennizzabile» (Cass. 6 febbraio 2018, n. 2842; Cass. 23 novembre 2012, n. 20774; Cass. 28 giugno 2011, n. 14281).

In evidenza: gli eventi oggettivi ed esterni alla persona dell'assicurato, da cui trarre presunzioni gravi, precise e concordanti sul conseguimento della consapevolezza della malattia

  • la domanda amministrativa (Cass. 31 maggio 2019, n. 15042; Cass. 29 gennaio 2014, n. 1921; Cass. 31 gennaio 2013, n. 2285; Cass. 14 dicembre 2011, n. 26883; Cass. 4 giugno 2008, n. 14770; Cass. 7 giugno 2007, n. 13301; Cass. 23 agosto 2005, n. 17140; Cass. 10 dicembre 2004, n. 23110);
  • la diagnosi medica dalla quale la malattia sia riconoscibile per l'assicurato (Cass. 24 gennaio 2020, n. 1661; Cass. 28 gennaio 2013, n. 1822; Cass. 28 giugno 2011, n. 14281; Cass. 5 novembre 2009, n. 23457; Cass. 12 dicembre 2005, n. 27323; Cass. 29 settembre 2004, n. 19575);
  • il certificato medico (Cass. 3 marzo 2010, n. 5117);
  • l'accertamento medico dei postumi consolidati e definitivi dell'incapacità lavorativa determinata dalla patologia (Cass. 26 giugno 2006, n. 14717; Cass. 30 ottobre 2002, n. 15343);
  • l'espletamento di esami diagnostici richiesti dallo stesso lavoratore assicurato per l'accertamento di una patologia (Cass. 3 agosto 2020, n. 16605; Cass. 18 aprile 2007, n. 9259; Cass. 21 marzo 2002, n. 4069);
  • l'accertamento contenuto in una c.t.u. (Cass. 6 agosto 2014, n. 17700);
  • la domanda di riconoscimento di causa di servizio (Cass. 15 gennaio 2016, n. 598).

Il lavoratore può sempre dimostrare che «il dies a quo di decorrenza della prescrizione non si identifichi con quello dell'effettiva manifestazione della patologia ove la soglia di indennizzabilità sia conseguita in epoca successiva» (Cass. 26 giugno 2006, n. 14717) o che «la manifestazione della malattia sia avvenuta in epoca successiva all'abbandono della lavorazione» (Cass. 21 novembre 2001, n. 14675); a sua volta l'INAIL può dare la prova che «l'assicurato aveva consapevolezza della sussistenza della malattia in data anteriore alla presentazione della domanda amministrativa» (Cass. 18 maggio 2007, n. 11623; Cass. 14 settembre 2006, n. 19773; Cass. 27 gennaio 2006, n. 1717; Cass. 11 gennaio 2006, n. 246; Cass. 1° marzo 2004, n. 4151; Cass. 11 luglio 2001, n. 9388; Cass. 13 luglio 2001, n. 9563).

La revisione periodica delle tabelle delle malattie professionali

Nell'art. 10, D. Lgs. n. 38/2000, il legislatore delegato ha regolamentato le procedure volte a garantire il costante aggiornamento sia delle tabelle delle malattie professionali degli artt. 3 e 211 T.U. 1965 sia dell'elenco delle malattie per le quali è obbligatoria la denuncia da parte del medico ai sensi dell'art. 139, T.U. 1965.

Con il D.M. 10 ottobre 2023, pubblicato sulla G.U. del 18 novembre 2023, n. 270, si è proceduto all'aggiornamento delle tabelle delle malattie professionali nell'industria e nell'agricoltura, di cui agli artt. 3 e 211 T.U., le cui previsioni, prima delle modifiche operate con il D.M. 9 aprile 2008, risalivano al D.P.R. 13 aprile 1994, n. 336. L'INAIL ha fornito istruzioni operative con la circolare 15 febbraio 2024, n. 7, chiarendo che esse sono applicabili ai casi denunciati a partire dal 19 novembre 2023.

Con il D.M. 27 aprile 2004 e, successivamente, con i DD.MM. 14 gennaio 2008, 11 dicembre 2009 e 10 giugno 2014 si è provveduto all'aggiornamento dell'elenco dell'art. 139, D.P.R. n. 1124/65, suddiviso in tre sezioni contenenti la lista delle malattie la cui origine lavorativa è di «elevata probabilità», di «limitata probabilità» e quella delle malattie la cui origine lavorativa è soltanto «possibile».

Lista I: malattie la cui origine lavorativa è di elevata probabilità. Tale lista contiene quelle malattie che costituiranno la base per la revisione delle tabelle ex artt. 3 e 211 del T.U.; Lista II: malattie la cui origine professionale è di limitata probabilità. Si tratta di malattie per le quali non sussistono ancora conoscenze sufficientemente approfondite perché siano incluse nella Lista I;

Lista III: malattie la cui origine professionale è possibile. Si tratta di malattie per le quali non è definibile il grado di probabilità per le sporadiche e ancora non precisabili evidenze scientifiche.

Quest'ultimo elenco ha una funzione prevenzionale e l'iscrizione di una malattia non fa maturare la presunzione legale prevista per le malattie tabellate (Cass. 2 agosto 2012, n. 13868).

Silicosi e malattie asbesto correlate

La silicosi è una fibrosi polmonare provocata da inalazione di polvere di biossido di silicio allo stato libero; anche l'asbestosi è una fibrosi polmonare provocata dall'inalazione di fibre di amianto.

Tra le malattie neoplastiche provocate dall'inalazione delle polveri di amianto si annovera il mesotelioma.

A partire dalla legge 27 dicembre 1975, n. 780, che ha sostituito il contenuto degli artt. 140,144,145 e 146 T.U. 1965 e abrogato gli artt. 142 e 143, D.P.R. n. 1124/65, tali malattie sono tutelate purché contratte «nell'esercizio» – e non più «nell'esercizio e a causa» – dei lavori indicati in tabella che risultino tra quelli di cui all'art. 1, D.P.R. n. 1124/65.

Oltre alle normali prestazioni economiche, al lavoratore che abbia dovuto abbandonare, per ragioni profilattiche, la lavorazione morbigena in quanto affetto da conseguenze dirette della silicosi o asbestosi, è corrisposta per il periodo successivo una speciale rendita, definita di passaggio, per la durata di un anno (art. 150, D.P.R. n. 1124/65).

La rendita di passaggio può essere concessa una seconda volta, entro il termine massimo di dieci anni dalla sua cessazione, quando la successiva lavorazione, non compresa fra quelle di cui all'art. 140 T.U. 1965, risulti dannosa all'assicurato, influendo sull'ulteriore corso della malattia (art. 150, comma 5, D.P.R. n. 1124/65), anche se non fu richiesta in occasione dell'abbandono dell'attività lavorativa silicotigena precedente, quindi anche se il beneficiario non ne abbia in precedenza goduto (Corte cost. 18 febbraio 1988, n. 178).

Per approfondimenti:

A. De Matteis, Infortuni sul lavoro e malattie professionali, 2024, Giuffré Francis Levebvre.

S. Giubboni, G. Ludovico, A. Rossi, Infortuni sul lavoro e malattie professionali, 2023, Cedam Wolters Kluwer.

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