Mobbing

08 Agosto 2013

Scheda in fase di aggiornamento

Il termine mobbing comprende tutte quelle condotte vessatorie, reiterate e durature, individuali e collettive, rivolte nei confronti di un lavoratore ad opera di superiori gerarchici, colleghi, sottoposti nei confronti di un superiore o in alcuni casi si tratta di una precisa strategia con il fine di estromettere il lavoratore dall'azienda.

Abstract

Il termine mobbing comprende tutte quelle condotte vessatorie, reiterate e durature, individuali e collettive, rivolte nei confronti di un lavoratore ad opera di superiori gerarchici, colleghi, sottoposti nei confronti di un superiore o in alcuni casi si tratta di una precisa strategia con il fine di estromettere il lavoratore dall'azienda.
Quindi in base a quanto suddetto, ci sono differenti tipologie di mobbing, in base al soggetto che lo pone in essere. Si parla di mobbing verticale quando avviene per opera di superiori gerarchici; mobbing orizzontale da parte di colleghi; mobbing ascendente da parte di sottoposti ed infine si parla di bossing quando si attua una vera e propria strategia per l'estromissione del lavoratore dall'azienda.
Sul lavoro tale pratica viene condotta con lo scopo di portare la vittima ad abbandonare il posto di lavoro, senza quindi dover ricorrere al licenziamento, possibile solo per giusta causa, a seguito di

ritorsioni per comportamenti non condivisi o per il rifiuto della vittima di sottostare a richieste immorale o illegali.
Per poter parlare di mobbing devono esserci determinate condizioni, come la sua protrazione nel tempo attraverso una pluralità di atti materiali, diretti alla persecuzione o all'emarginazione del dipendente e la conseguente lesione arrecata al lavoratore sul piano professionale o sessuale o morale o psicologico o fisico.
In Italia non esiste una legge specifica in materia di mobbing, ma gli atti di mobbing possono essere ricompresi in altre fattispecie di reato, previste dal codice penale, quali le lesioni gravi o gravissime, anche colpose che sono perseguibili di ufficio e si ritengono di fatto sussistenti nel caso di riconoscimento dell'origine professionale della malattia. In ogni caso in base all'articolo 2087 del codice civile, il datore di lavoro è tenuto in generale a preservare l'integrità fisica e morale del lavoratore, pena il risarcimento dell'eventuale danno, anche non patrimoniale.
Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno che si prescrive entro 10 anni dalla manifestazione del danno stesso ed è necessario che i comportamenti illegittimi posti in essere dal datore di lavoro siano obiettivamente lesivi per il lavoratore.

Introduzione

Il termine mobbing è stato coniato negli anni settanta dall'etologo Konrad Lorenz per indicare un particolare comportamento aggressivo tra individui della stessa specie con lo scopo di escludere un membro dello stesso gruppo. Con tale termine si vogliono indicare tutte quelle condotte vessatorie, reiterate e durature, verso un lavoratore ad opera sia di superiori gerarchici sia di colleghi.

Ci sono determinate caratteristiche che vanno ad individuare tale comportamento:
- il suo prolungamento nel tempo attraverso una pluralità di atti;
- la volontà che lo sostiene diretta alla persecuzione o all'esclusione del dipendente;
- la conseguente lesione arrecata al lavoratore, sia sul piano professionale sia su quello sessuale, morale, psicologico o fisico.
Da quanto chiarito sopra, si può dedurre che si tratta di una pratica condotta dal datore di lavoro con il fine di portare il lavoratore ad abbandonare da sé il lavoro per ritorsione a seguito di comportamenti non condivisi, o per il rifiuto della vittima di sottostare a richieste immorali o illegali, senza così dover ricorrere al licenziamento possibile solo per giusta causa.

Tipologie di mobbing

Esistono diverse tipologie di mobbing:
- mobbing verticale, quando attuato da superiori gerarchici;
- mobbing orizzontale, quando posto in essere da colleghi;
- mobbing ascendente, quando si verifica per opera di sottoposti nei confronti di un superiore;
- bossing, quando si tratta di una specifica strategia con il fine di estromettere il lavoratore dall'azienda.

La pratica del mobbing sul posto di lavoro si sviluppa mediante la vessazione sistematica di un lavoratore dipendente con diversi metodi di violenza psicologica o in alcuni casi anche fisica.
Alcuni esempi di mobbing verificati, sono la sottrazione ingiustificata di incarichi o della postazione di lavoro, dequalificazione delle mansioni a compiti banali con scarsa autonomia decisionale, rimproveri e richiami, espressi in pubblico o in privato. Dotare il lavoratore di attrezzature di lavoro di scarsa qualità o obsolete, arredi scomodi, ambiente mal tenuti, mal illuminati creando un ambiente di lavoro ostile. Tutto ciò con il fine di dequalificare il lavoratore per demotivarlo, farlo ammalare costringendolo alle dimissioni.

Normativa di riferimento

In Italia non esiste una legge specifica in materia di mobbing, ma può rientrare in altre fattispecie di reato, previste dal codice penale. In ogni caso si deve sempre tener conto di quanto disposto dall'articolo 2087 del codice civile, dove il datore di lavoro è tenuto in generale a preservare l'integrità fisica e morale del lavoratore, pena il risarcimento dell'eventuale danno, anche non patrimoniale.

La giurisprudenza di solito riconosce più frequentemente il risarcimento del danno biologico che del danno morale, infatti il mobbing deve aver procurato una delle malattie documentate dalla letteratura medica, per aver diritto a un'indennità dell'azienda.

Ci sono stati alcuni casi su cui la giurisprudenza ha riconosciuto la compromissione della sfera relazionale dell'individuo e il risarcimento del danno non patrimoniale. Tali casi sono i seguenti:
- riduzione ingiustificata dell'ambito di autonomia operativa del lavoratore, con una mortificazione sul piano professionale e in una serie di attacchi sul piano personale (Trib. Agrigento 1 febbraio 2005; Cass. 28 agosto 2007, n. 18262);
- brusca e improvvisa interruzione della carriera professionale, ambiente di lavoro ostile, umiliazioni e pressioni psicologiche scaturanti sofferenze morali, danni alla vita di relazione ed esaurimento nervoso, licenziamento (Trib. Pinerolo 2 aprile 2004);
- atti sistematici, formalmente legittimi, ma solo in apparenza giustificati in forza del potere-dovere di controllo del dirigente. (Trib. Trieste 10 dicembre 2003);
- perdurante situazione di tensione, per sanzioni disciplinari illegittime, archiviazione della richiesta di qualifica superiore, riduzioni delle funzioni (Trib. Tempio Pausania 10 luglio 2003);
- adozione di provvedimenti disciplinari per ragioni strumentali ed in maniera pretestuosa (Cass. 20 marzo 2009, n. 6907).

Responsabilità del datore di lavoro e risarcimento del danno

La responsabilità del datore di lavoro può sussistere solo con l'esistenza dell'elemento soggettivo del dolo, ossia della specifica intenzione di discriminare il mobbizzato fino ad esercitare nei suoi confronti una vera e propria forma di violenza morale.
Tuttavia il datore è responsabile anche quando il comportamento mobbizzante sia posto in essere da altro dipendente, in quanto il datore di lavoro deve in ogni caso reprimere, prevenire e scoraggiare tali comportamenti.
Il lavoratore mobbizzato ha diritto al risarcimento del danno che si prescrive entro 10 anni dalla manifestazione del danno e non dall'inizio delle vessazioni. Ai fini del risarcimento è necessario che i comportamenti illegittimi del datore siano obiettivamente lesivi per il lavoratore, non essendo sufficiente che gli stessi siano avvertiti come tali dalla vittima.
Quindi il datore di lavoro ha l'onere di provare di avere adempiuto all'obbligo di protezione dell'integrità psico-fisica del lavoratore, mentre sul lavoratore grava l'onere di provare la lesione dell'integrità psico-fisica ed il nesso di causalità tra tale evento dannoso e l'espletamento della propria prestazione lavorativa.

Malattia professionale

L'INAIL con la Circolare del 17 dicembre 2003, n. 71 ha precisato che il mobbing rientra tra le malattie professionali non tabellate ed indennizzabili, fornendo le istruzioni operative per la trattazione del caso. Come per tutte le altre malattie, l'assicurato ha l'obbligo di produrre la documentazione idonea a supportare la propria richiesta per quanto concerne sia il rischio sia la malattia.
Ciò anche a seguito della Sentenza della Corte Costituzionale, n. 179/1998, dove viene dichiarato che anche le malattie non tabellate vanno indennizzate ed alla previsione dell'art. 13 del D.Lgs. n. 38/2000 che ha stabilito il diritto per il lavoratore all'indennizzo da danno biologico, inteso come lesione all'integrità psicofisica suscettibile di valutazione medico-legale alla persona.
Tuttavia, va rammentata, la sentenza del TAR del Lazio n. 5454 del 4 luglio 2005, che ha bocciato la Circolare INAIL n. 71/2003 precisando che il mobbing non può essere inserito tra le malattie professionali tabellate.

Riferimenti

Normativa:

Art. 2087 c.c.

D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38

D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124

Prassi:

INPS, Circolare 18 dicembre 2012, n. 142

INPS, Circolare 13 gennaio 2009, n. 1

INAIL, Circolare 14 febbraio 2008, n. 14

INAIL, Circolare 17 dicembre 2003, n. 71

Giurisprudenza:

Cass. civ., sez. lav., 11 giugno 2013, n. 14643

Cass. civ., sez. lav., 4 giungo 2013, n. 14017

Cass. civ., sez. lav., 23 maggio 2013, n. 12725

Corte Cost., 22 giugno 2006, n. 239

Corte Cost., 27 gennaio 2006, n. 22

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