Sabrina Apa
08 Novembre 2016

Scheda in fase di aggiornamento

Lo sciopero è un'astensione concertata dal lavoro per la tutela di un interesse professionale collettivo. All'interruzione parziale o temporanea del lavoro, che configura la sospensione della prestazione lavorativa, corrisponde, in forza del principio sinallagmatico che governa il rapporto contrattuale di lavoro subordinato, la sospensione dell'obbligazione retributiva da parte del datore limitatamente alla durata dell'astensione.

Inquadramento

Lo sciopero è un'astensione concertata dal lavoro per la tutela di un interesse professionale collettivo. All'interruzione parziale o temporanea del lavoro, che configura la sospensione della prestazione lavorativa, corrisponde, in forza del principio sinallagmatico che governa il rapporto contrattuale di lavoro subordinato, la sospensione dell'obbligazione retributiva da parte del datore limitatamente alla durata dell'astensione.

Alla forma tradizionale di sciopero, vale a dire quello economico, finalizzato a conseguire un miglioramento delle condizioni lavorative, si affiancano altre tipologie, tra le quali quello economico-politico, volto ad ottenere provvedimenti per l'intera categoria professionale, quello di solidarietà, caratterizzato dal fatto che un gruppo di lavoratori solidarizza con le rivendicazioni di un altro gruppo, rispetto al quale sussiste quindi una comunione di interessi, nonché quello di protesta, usato dai lavoratori per reagire agli inadempimenti delle obbligazioni da parte del datore di lavoro.

La mancanza di una definizione legislativa del diritto di sciopero risulta colmata dall'intervento di dottrina e giurisprudenza, ed in particolar modo dal giudice costituzionale che, alla luce della formulazione onnicomprensiva dello sciopero, vi fa rientrare altresì quello politico, con la sola esclusione dello sciopero volto a sovvertire l'ordinamento costituzionale ovvero ad impedire o ostacolare il libero esercizio dei poteri legittimi nei quali si esprime la sovranità popolare (Corte Cost. n. 290/1974).

Origini e natura del diritto di sciopero

Fino al 1889 lo sciopero era considerato un delitto, per cui in base al codice penale sardo erano sanzionate penalmente “tutte le intese degli operai allo scopo di sospendere, ostacolare, o far rincarare il lavoro senza ragionevole causa”.

Con l'entrata in vigore del codice Zanardelli lo sciopero smise di integrare una fattispecie penale, purché fosse posto in essere senza violenza o minaccia, ma la sospensione della prestazione lavorativa continuò a costituire un illecito civilistico, quale ipotesi di inadempimento contrattuale. Successivamente, con il codice Rocco, furono nuovamente incriminate le fattispecie di lotta sindacale agli artt. 502508 e puniti gli scioperi dei pubblici dipendenti e degli addetti ai servizi pubblici con gli artt. 330 e 333 nell'ambito dei reati contro la pubblica amministrazione.

E' solo attraverso il riconoscimento costituzionale dell'autonomia sindacale che lo sciopero, da “strumento di lotta tra capitale e lavoro” - come fu definito dall'on. Tumminelli -, assurge a diritto costituzionalmente garantito, come tale bisognoso di un bilanciamento con gli altri diritti di rilievo costituzionale. La configurazione dello sciopero come diritto si rinviene nella Carta Costituzionale che all'art. 40 istituzionalizza il conflitto contrattuale tra lavoratore e datore di lavoro da cui trae origine il fenomeno economico-sociale dello sciopero. In questo contesto, all'affermazione dello sciopero, quale diritto assoluto della persona, fa da contraltare la regolamentazione legislativa del suo esercizio, così da risultare espressione di un conflitto collettivo regolato ed idoneo a determinare il contemperamento degli interessi coinvolti. A riguardo autorevole dottrina (Calamandrei), qualifica il diritto di sciopero come diritto pubblico di libertà inserito nell'ambito del rapporto tra Stato e cittadino, mentre altra dottrina (F. Santoro Passarelli) delinea l'atto di esercizio di sciopero come negozio giuridico, rispetto al quale la proclamazione viene ricostruita come negozio di autorizzazione con la conseguenza che l'esercizio del diritto, la cui titolarità spetta al singolo lavoratore, sarebbe subordinato all'autorizzazione del sindacato, portatore degli interessi della collettività professionale. Diversamente, secondo altra dottrina (Mengoni) rispetto allo sciopero, quale atto unitario di natura collettiva, la proclamazione rileva solo come mero invito a scioperare.

In evidenza: Cassazione

La giurisprudenza ha rilevato che lo sciopero costituisce un diritto individuale del lavoratore, attribuito per la tutela di un interesse collettivo e quindi suscettibile di esercizio collettivo, che prescinde da iniziative ed autorizzazione degli organi sindacali (Cass. n. 2480/1976).

Modalità attuative

E' opportuno rilevare che diverse possono essere le modalità attuative in cui lo sciopero si configura. Sotto questo profilo si distingue tra una forma comune, in cui l'astensione dal lavoro viene posta in essere in maniera collettiva e continuata, ed una definita anomala, o meglio, articolata, nella quale l'astensione risulta discontinua con riferimento ai tempi di lavoro o ai settori aziendali in cui si esplica. Il riferimento è alle fattispecie di sciopero a singhiozzo e a scacchiera, rispettivamente caratterizzate, secondo una parte della dottrina (Carinci, De Luca Tamajo, Tosi, Treu), la prima, da un susseguirsi di brevi interruzioni e riprese dal lavoro da parte di tutti i lavoratori interessati, e la seconda dall'alternarsi di interruzioni dal lavoro da parte dei soli lavoratori appartenenti a determinati reparti o profili professionali in modo da ottenere la massimizzazione dei costi imposti al datore con la minimizzazione di quelli sopportati dai lavoratori.

In evidenza: Cassazione

In ragione del fatto che siffatte modalità attuative possono comportare conseguenze deleterie, la giurisprudenza ha precisato che, ove lo sciopero a singhiozzo sia posto in essere in un impianto a ciclo continuo, il datore di lavoro è legittimato a rifiutare l'irregolare prestazione offerta laddove la stessa sia inutilizzabile e non più proficua in relazione alla particolare tipologia degli impianti, rimanendo quindi esonerato dall'obbligo di corrispondere la retribuzione (Cass. n. 1331/1987).

Limiti interni ed esterni

La formulazione delineata dall'art. 40 Cost. lascia al legislatore il compito di dettare una regolamentazione puntuale del diritto di sciopero. Tuttavia, fino all'emanazione della L. n. 146/1990, è stata la giurisprudenza ad occuparsi di individuare la portata concreta di un fenomeno sociale diventato ormai un diritto costituzionalizzato.

Giova precisare che poiché nel nostro ordinamento giuridico ogni diritto è esercitabile nel rispetto dei limiti consentiti, rilevando altrimenti quale ipotesi di abuso, è opportuno delineare i limiti interni, vale a dire quelli connaturali al contenuto del diritto, ed i limiti esterni concernenti l'esercizio del diritto ed il rapporto coordinato con gli altri valori costituzionali.

In evidenza: Corte Costituzionale

A riguardo la Consulta ha osservato che i limiti al diritto di sciopero si rinvengono in relazione ai preminenti interessi dell'organizzazione sociale e giuridica, che non potrebbero essere subordinati ad un incondizionato e illimitato esercizio dello stesso (Corte Cost. n. 46/1958).

Ne consegue che lo sciopero, fondandosi sull'esistenza di interessi di carattere diffuso propri di intere categorie di lavoratori, si manifesta come un'astensione collettiva dal lavoro animata dallo scopo di ottenere il conseguimento di beni economico-sociali, evitando al contempo di provocare interferenze sul diritto di lavorare per coloro che scelgono di non aderire allo sciopero e soprattutto sul diritto degli utenti a fruire dei servizi pubblici essenziali (Corte Cost. n. 125/1980).

Sempre in relazione alla tematica dei limiti al diritto di sciopero, di recente la Suprema Corte ha precisato che il diritto di sciopero, quale che sia la sua forma di esercizio e l'entità del danno arrecato, non ha altri limiti, attesa la genericità della sua nozione comune derivante dal precetto costituzionale di cui all'art. 40 Cost. e la mancanza di una legge attuativa, se non quelli che si rinvengono nelle norme che tutelano posizioni soggettive concorrenti, su un piano prioritario, come il diritto alla vita o all'incolumità personale, o, quantomeno, su un piano paritario, come il diritto alla libertà di iniziativa economica. Ne consegue che esorbitano da tali limiti, e sono illegittime, le modalità di attuazione dello sciopero rimesse totalmente agli interessati (nella specie, lasciando nella facoltà del singolo lavoratore quando e per quanto tempo astenersi dal lavoro) senza alcuna predeterminazione, poiché ne snaturano la forma e la finalità tipicamente collettive, esponendo il datore di lavoro ai pregiudizi derivanti dall'impossibilità di prevenire i rischi alla produttività e all'organizzazione gestionale dell'azienda (Cass. n. 24653/2015).

L'esercizio del diritto di sciopero e la repressione della condotta antisindacale

Il diritto di sciopero, quale diritto individuale ad esercizio collettivo che spetta singolarmente ad ogni lavoratore, ed il cui riconoscimento è funzionalmente orientato ad ottenere la tutela di un interesse contrattuale collettivo, comporta l'inibizione da parte del datore di lavoro dell'adozione di atti o comportamenti volti a mortificarne o limitarne indebitamente l'esercizio, potendo altrimenti gli stessi essere ascritti ad una condotta antisindacale ex art. 28, L. n. 300/70 e, come tali, risultare passibili di sanzione.

Formulazione emblematica, idonea ad esprimere tale principio è l'art. 4, L. n. 604/1966 secondo cui è nullo il licenziamento determinato dalla partecipazione ad attività sindacali, ove nell'ambito delle stesse deve considerarsi ricompresa la partecipazione allo sciopero.

L'esercizio del diritto di sciopero, reso effettivo dalla tutela disegnata dall'art. 28, L. n. 300/70, che poggia a sua volta sul riconoscimento costituzionale di cui all'art. 40 Cost., non costituisce un inadempimento dell'obbligazione lavorativa, e pertanto non legittima l'irrogazione di sanzioni disciplinari. Ne consegue non solo l'illegittimità di un licenziamento intimato a causa di uno sciopero svoltosi legittimamente, ma anche l'illegittimità, e quindi l'antisindacalità, da valutare di volta in volta, di altri comportamenti da parte del datore diretti a reprimere la libertà di scioperare dei lavoratori. Invero, al fine di verificare la legittimità o meno della condotta datoriale è opportuno distinguere i comportamenti diretti ad impedire tout court l'esercizio del diritto di sciopero da quelli volti solo a contenerne gli effetti pregiudizievoli. Così come, per valutare la legittimità o meno dell'esercizio del diritto di sciopero, si dovrà aver riguardo alla pregnanza del pregiudizio che lo stesso è idoneo a determinare alle ragioni del datore di lavoro, nonché alle concrete modalità di estrinsecazione dello stesso.

Come rilevato da autorevole dottrina (Giugni), l'antisindacalità della condotta datoriale, individuata dall'art. 28 St. Lav. sulla base dell'idoneità della stessa a ledere i beni protetti, si presenta quale connotato teleologico-funzionale, non già strutturale.

In evidenza: Cassazione

In proposito va notato che l'accertamento del giudice di merito circa l'idoneità di una determinata condotta a ostacolare o a reprimere l'attività sindacale si risolve in un giudizio di fatto, censurabile in sede di legittimità solo sotto il profilo della congruità della motivazione (Cass. n. 7779/1998).

Dunque, sebbene per integrare gli estremi della condotta antisindacale sia sufficiente che il comportamento datoriale leda oggettivamente gli interessi collettivi di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali, occorre che la condotta abbia in concreto limitato la libertà sindacale o il diritto di sciopero, con la conseguenza che non è antisindacale la condotta dovuta all'esercizio di un diritto del datore di lavoro, al quale si contrapponga un opposto diritto dei lavoratori valido a contrastare il primo, o all'adempimento di un dovere, imposto allo stesso datore di lavoro da una disposizione di legge dettata a tutela di diritti di pari o superiore dignità (Cass. n. 13383/1999).

In evidenza: Cassazione

In particolare, la giurisprudenza ha ritenuto antisindacale la condotta del datore che, in sostituzione dei lavoratori aderenti allo sciopero, impieghi in mansioni inferiori il personale non scioperante, facendo così ricadere su quest'ultimo le conseguenze negative dello sciopero. Tuttavia, a contemperamento della precedente statuizione, la Suprema Corte ha precisato che non si ravvisa il carattere antisindacale della condotta datoriale ove le mansioni inferiori cui siano assegnati i lavoratori non aderenti allo sciopero si risolvano in mansioni marginali, funzionalmente accessorie e complementari (Cass. n. 26368/2009).

Sotto altro profilo va sottolineato che l'esercizio del diritto di sciopero non travalichi certi limiti assurgendo a comportamento illegittimo. In proposito la giurisprudenza ha affermato l'illegittimità dello sciopero, laddove il suo esercizio si sia estrinsecato in condotte comportanti pericoli, danni, alterazioni all'integrità e funzionalità degli impianti, ovvero abbia pregiudicato la produttività dell'azienda, compromettendo l'organizzazione istituzionale e la funzionalità dell'impresa (Cass. nn. 46/1984 e 11147/1999). In questa ipotesi infatti, si è ben al di fuori del danno che secondo il costante orientamento della giurisprudenza il datore di lavoro deve subire in conseguenza all'esercizio dello sciopero, vale a dire il danno alla produzione, poiché si entra nell'ambito di un pregiudizio attinente alla compromissione o distruzione degli impianti stessi. Pertanto, con riferimento specifico a questo tipo di danno, suscettibile di manifestarsi soprattutto nel caso di impianti destinati ad essere utilizzati a ciclo continuo, la Suprema Corte ha rilevato che non può considerarsi antisindacale la condotta dell'imprenditore che provveda a mantenere accesi i forni per evitare il pregiudizio, derivante dallo spegnimento, ad alcune parti degli stessi (Cass. n. 2899/1986).

In evidenza: Cassazione

Altro limite alla valutazione della condotta datoriale come antisindacale, è stato rinvenuto nel caso degli scioperi anomali, rispetto ai quali si è evidenziato che il datore di lavoro è legittimato a rifiutare l'irregolare prestazione lavorativa offerta se antieconomica, cioè inutilizzabile e non più proficua, e quindi a non corrispondere il relativo corrispettivo (Cass. n. 2282/1987).

Allo stesso modo è stato considerato legittimo il rifiuto da parte del datore di lavoro della prestazione offerta dai lavoratori non aderenti allo sciopero solo ove sia assolutamente impossibile un qualsiasi utilizzo della stessa, e non in virtù di mere ragioni organizzative (Cass. nn. 150/1988 e 8574/1992).

Da ultimo, è opportuna una considerazione sulla serrata, quale attività tradizionalmente suscettibile di repressione ai sensi dell'art. 28 St. Lav., che consiste nella chiusura o nell'interruzione temporale dell'attività aziendale, totale o parziale, attuata da una o più imprese con finalità di pressione e lotta sindacale. A riguardo la giurisprudenza ha affermato che al fine di valutare la legittimità della stessa, il giudice deve tener conto delle modalità dell'azione sindacale, della natura del ciclo produttivo, della dimensione e articolazione dell'attività industriale nonché della ricerca di rimedi alternativi da parte del datore di lavoro. Ne consegue che, in determinate fattispecie, la serrata è stata ritenuta legittima, come nel caso di un datore di lavoro che proceda alla chiusura degli impianti produttivi, a fronte di comportamenti violenti dei lavoratori sugli impianti stessi e idonei a mettere in pericolo l'incolumità degli impiegati addetti (Cass. n. 4426/1995).

Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali

L'esercizio del diritto di sciopero nell'ambito dei servizi pubblici essenziali è regolamentato dalla L. n. 146/1990, così come modificata dalla L. n. 83/2000 che fissa i principi sostanziali della materia rimettendo alle fonti secondarie la concreta disciplina. In particolare il riferimento è ai contratti collettivi per il settore privato e pubblico, ai codici di autoregolamentazione emanati dalle associazioni o dagli organismi di rappresentanza delle categorie per il lavoro autonomo, assoggettati ad un controllo di congruità da parte della Commissione di garanzia cui è demandato il compito di valutare l'idoneità delle misure volte ad assicurare il contemperamento dell'esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona costituzionalmente protetti.

In via preliminare è opportuno precisare che per servizio pubblico essenziale si intende quello diretto al soddisfacimento dei diritti della persona costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà, alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all'assistenza e previdenza sociale, all'istruzione ed alla libertà di comunicazione. Come rilevato da una parte della dottrina (Treu), l'aggettivo “pubblico” è funzionalmente orientato a delineare la destinazione alla collettività o comunque l'essenzialità rispetto ai bisogni dei cittadini. Alla definizione di servizio pubblico essenziale contenuta nell'art. 1, comma 1, L. n. 146/1990, segue al secondo comma l'elencazione, meramente esemplificativa, di una serie di servizi pubblici essenziali, per cui spetta di volta in volta alla Commissione di garanzia la verifica sull'essenzialità del servizio in rapporto al soddisfacimento dei diritti della persona costituzionalmente protetti. A riguardo un rilievo merita la complessa questione concernente l'individuazione, in relazione ad ogni servizio essenziale, delle attività che sono oggettivamente connesse allo stesso in quanto servizi strumentali ed ausiliari. Si pensi in tal senso alla regolamentazione provvisoria relativa al trasporto aereo (Delibera n. 92/2001) che, tra i servizi strumentali, ha ricompreso quelli di assistenza al volo, quelli professionali di supporto tecnico-legale, quelli di sicurezza aeroportuale, e molti altri. Su questo tema, concernente l'ambito dei servizi pubblici essenziali interessati da fenomeni di esternalizzazione idonei a determinare l'affiancarsi di servizi strumentali ed ausiliari rispetto a quello essenziale, la dottrina (Magnani) ha rilevato la difficoltà nell'individuare la disciplina applicabile al servizio che risulta così frazionato in attività gestite da vari soggetti, anche alla luce della diversa rappresentanza sindacale dei lavoratori coinvolti.

In considerazione del fatto che in questo delicato settore il diritto di sciopero incide principalmente sui diritti degli utenti, ben si comprende come la legge, pur ammettendone la manifestazione in quanto diritto fondamentale, imponga il rispetto di limiti e procedure rigorose, volte a salvaguardare l'erogazione delle prestazioni indispensabili.

In evidenza: Corte Costituzionale

Questo profilo è stato fin da subito oggetto di interesse da parte della giurisprudenza costituzionale che per prima ha precisato che non vi può essere un divieto di sciopero nei servizi pubblici essenziali fino a che non vengano ad essere compromesse le prestazioni indispensabili (Corte Cost. n. 222/1976).

In particolare, la legge prevede l'obbligatorio esperimento di procedure di raffreddamento e conciliazione, al fine di scongiurare lo sciopero, considerato come ipotesi eventuale che si configura solo laddove fallisca una soluzione concordata del conflitto. Va precisato che a seguito delle modifiche apportate dalla L. n. 83/2000, l'art. 2, comma 2, L. n. 146/1990 prevede che, al fine di consentire l'erogazione delle prestazioni indispensabili, possa essere disposta l'astensione dallo sciopero di quote strettamente necessarie di lavoratori tenuti alle prestazioni indispensabili con l'indicazione delle modalità per l'individuazione degli stessi. Inoltre è possibile predisporre forme di erogazione periodica ed indicare gli intervalli minimi tra l'effettuazione di uno sciopero e la proclamazione del successivo al fine di evitare che sia compromessa la continuità dei servizi pubblici essenziali.

L'esercizio del diritto di sciopero è inoltre subordinato all'obbligo di preavviso, consistente nel comunicare, per iscritto, almeno dieci giorni prima, alle imprese o alle amministrazioni erogatrici del servizio e all'autorità competente ad emanare l'ordinanza di cui all'art. 8, L. n. 146/1990 la motivazione dello sciopero, la durata e le modalità attuative. La ratio del termine del preavviso si rinviene nella duplice esigenza, da un lato di esperire un tentativo di composizione del conflitto, dall'altro di consentire all'amministrazione di predisporre quanto necessario per garantire le prestazioni indispensabili agli utenti. Le amministrazioni sono tenute a comunicare lo sciopero all'utenza nelle forme adeguate almeno cinque giorni prima dell'inizio, nonché i modi, i tempi di erogazione dei servizi e le misure per la riattivazione degli stessi. E' poi ammessa la revoca dello sciopero solo fino a quando non sia stata data informazione agli utenti, poiché una revoca successiva, configurando una forma sleale di lotta sindacale, è negativamente valutata dalla Commissione di garanzia con l'applicazione di sanzioni.

A riguardo va precisato che l'apparato sanzionatorio, articolato in sanzioni civili e amministrative, è diretto a colpire non solo le associazioni sindacali, i dirigenti responsabili delle amministrazioni pubbliche, i legali rappresentanti delle imprese e degli enti che erogano i servizi pubblici, ma anche i singoli lavoratori. In tal senso la giurisprudenza di merito ha stabilito che, data la coessenzialità tra proclamazione collettiva e attuazione individuale dello sciopero, la illegittimità dello sciopero si trasferisce sull'attuazione individuale.

Casistica: le sanzioni

E' legittima la sanzione inflitta, ex lege n. 146/90 sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, al lavoratore che abbia partecipato ad uno sciopero giudicato illegittimo dalla Commissione di garanzia per mancato rispetto del termine di preavviso di dieci giorni (Corte Appello Milano 23 febbraio 2001).

È illegittima la sanzione inflitta ex art. 4 L. n. 146/1990 della Commissione di Garanzia alla O.S. proclamante uno sciopero legittimo, qualora il comportamento censurato sia ascrivibile ad un gruppo di lavoratori che, pur non essendo destinatari della proclamazione, avevano spontaneamente aderito allo sciopero (Trib. Milano 6 ottobre 2003).

Sono illegittime le sanzioni disciplinari irrogate dal datore di lavoro ai lavoratori scioperanti assumendo a presupposto la delibera della Commissione di garanzia che abbia dichiarato illegittimo lo sciopero, qualora lo stesso si sia svolto nel rispetto dell'accordo raggiunto tra le parti sull'individuazione dei servizi minimi da garantire ai sensi dell'art. 2, co. 2, L. n.146/90 (Pret. Milano 15 ottobre 1994).

(Segue): l'illegittimità dello sciopero delle mansioni

Una particolare ipotesi che sembra situarsi appena al di fuori dai confini dello sciopero è quella concernente il rifiuto di svolgere mansioni diverse ed equivalenti rispetto a quelle assegnate. Si tratta del c.d. sciopero delle mansioni ritenuto illegittimo dalla giurisprudenza poiché costituente un vero e proprio inadempimento contrattuale rispetto al quale il datore può rifiutare la parziale prestazione offerta. Invero la Suprema Corte ha rilevato che in tema di astensione collettiva dal lavoro, non costituisce legittimo esercizio del diritto di sciopero il rifiuto di rendere la prestazione, per una data unità di tempo, che non sia integrale, ma riguardi solo uno o più tra i compiti che il lavoratore è tenuto a svolgere, come ad esempio il rifiuto di sostituire un collega assente, nonostante l'obbligo in tal senso previsto dalla contrattazione collettiva (Cass. n. 23528/2013).

Giova sottolineare che, con riferimento al rifiuto di alcuni portalettere di effettuare la consegna di una parte della corrispondenza, di competenza di un collega assegnatario di altra zona della medesima area territoriale, in violazione dell'obbligo previsto dall'accordo sindacale del 29 luglio 2004, la Corte ha ribadito che tale rifiuto non costituisce astensione dal lavoro straordinario, né astensione per un orario delimitato e predefinito, ma rifiuto di effettuare una delle prestazioni dovute, sicché può dare luogo a responsabilità contrattuale e disciplinare del dipendente senza che il comportamento datoriale, di irrogazione delle sanzioni, sia qualificabile come antisindacale (Cass. n. 23672/2014).

In evidenza: Cassazione

La giurisprudenza di legittimità, con orientamento costante, ha affermato che in tema di astensione collettiva dal lavoro e con riferimento al caso in cui un accordo collettivo contenga una disposizione che obblighi il dipendente a sostituire, oltre la sua prestazione contrattuale già determinata, in quota parte oraria, un collega assente, remunerandolo con una quota di retribuzione inferiore alla maggiorazione per lavoro straordinario, la relativa astensione collettiva da tale prestazione non attiene al legittimo esercizio del diritto di sciopero, ma costituisce inadempimento parziale degli obblighi contrattuali, sicché non sono di per sé illegittime le sanzioni disciplinari irrogate dal datore ai dipendenti che hanno rifiutato la prestazione aggiuntiva loro richiesta (Cass. nn. 548/11, 12977/11, 12978/11, 12979/11 e 20273/11).

(Segue): l'astensione collettiva dalle prestazioni da parte dei lavoratori autonomi. In particolare, lo “sciopero” degli avvocati

L'art. 2-bis, L. n. 146/1990 stabilisce che l'astensione collettiva dalle prestazioni, ai fini di protesta o di rivendicazione di categoria, da parte di lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, incidente sulla funzionalità dei servizi pubblici è esercitata nel rispetto di misure dirette a consentire l'erogazione delle prestazioni indispensabili. Ne consegue che l'astensione di avvocati, farmacisti, medici convenzionati, autotrasportatori, gestori di impianti di carburante e tassisti rientra nell'alveo della L. n. 146/1990, e che la fonte di disciplina delle prestazioni indispensabili - data l'esclusione della presenza di una controparte negoziale abilitata alla stipulazione di contratti collettivi - è affidata ai codici di autoregolamentazione posti in essere dalle associazioni o dagli organismi di rappresentanza delle categorie interessate. Dibattuta è la questione della natura giuridica di tale astensione, in quanto si discute in ordine alla sua riconducibilità alternativamente al diritto di sciopero ex art. 40 Cost., alla libertà sindacale di cui all'art. 39 Cost., al diritto di associazione derivante dall'art. 18 Cost., al diritto di manifestazione di pensiero tutelato dall'art. 21 Cost. o, ancora, alla libertà di iniziativa economica privata di cui all'art. 41 Cost.

Con riferimento specifico alla controversa qualificazione giuridica dell'astensione del difensore proclamata dagli organismi rappresentativi della categoria, è opportuno richiamare la pronuncia additiva con cui la Consulta ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 2, co. 1 e 5, L. n. 146/1990 nella parte in cui non prevede, nel caso dell'astensione collettiva dall'attività giudiziaria degli avvocati e dei procuratori legali, l'obbligo di un congruo preavviso, di un ragionevole limite temporale dell'astensione, gli strumenti idonei a individuare e assicurare le prestazioni essenziali, né le procedure e le misure conseguenziali nell'ipotesi di inosservanza. Invero, il riconoscimento che la Costituzione assicura all'autonomia dei singoli e dei gruppi e all'insieme delle libertà di associazione e dell'attività sindacale vale anche per l'astensione dal lavoro di quei professionisti che svolgono - come gli avvocati e i procuratori legali - la propria attività in condizioni di indipendenza. Ribadendo la qualificazione dell'amministrazione della giustizia come servizio pubblico essenziale, volto a garantire il godimento di diritti della persona costituzionalmente tutelati, la Corte afferma che l'astensione da ogni attività defensionale, pur rappresentando una manifestazione incisiva della dinamica associativa volta alla tutela di questa forma di lavoro autonomo, non può configurarsi come diritto di sciopero e non ricade sotto la specifica protezione dell'art. 40 Cost.

In evidenza: Corte Costituzionale

Del resto, il diritto di sciopero è un mezzo di tutela dei lavoratori in condizione di subordinazione o parasubordinazione, con la conseguenza che l'astensione degli avvocati, quale espressione della libertà di associazione, se esercitata in contrasto con altri valori costituzionali, non può non arretrare risultando prevalente la tutela dei diritti fondamentali di azione e di difesa ex art. 24 Cost. (Corte Cost. n. 171/1996).

Sotto il profilo processuale, va rilevato che l'astensione collettiva degli avvocati dall'attività giudiziaria, deliberata dal Consiglio Nazionale Forense, conferisce ai professionisti la facoltà di astenersi dalla partecipazione alle attività di udienza (civile o penale),- ferma restando la previsione di svolgimento obbligatorio dell'attività di patrocinio in ipotesi puntualmente descritte – ma non legittima l'astensione dall'attività di deposito degli atti processuali. Ne consegue che va escluso il prolungamento del termine per riassumere il processo per un numero di giorni pari a quello delle giornate interessate dai c.d. scioperi degli avvocati (Cass. n. 24816/2005). Inoltre, ai fini dell'accertamento della violazione del termine di ragionevole durata del processo, non può tenersi conto del ritardo determinato dallo sciopero degli avvocati, trattandosi dell'esercizio di un diritto costituzionale che non può essere considerato come comportamento dilatorio delle parti in causa (Cass. n. 18222/2009).

In evidenza: Cassazione

La Suprema Corte ha recentemente precisato che lo sciopero delle categorie professionali di avvocati e magistrati determina un impedimento allo svolgimento dell'udienza, la quale, pertanto, pur quando non sia stata verbalizzata la presenza o meno delle parti, deve essere differita, quale rinvio d'ufficio, sicché all'udienza successiva la parte comparsa non può invocare la cancellazione della causa dal ruolo che presuppone, invece, la diserzione di un'udienza regolarmente tenuta (Cass. n. 10715/2016).

(Segue): regolamentazione del diritto di sciopero dei militari e della Polizia di Stato

In evidenza: Corte Europea dei Diritti dell'Uomo

In una recente pronuncia la Corte europea dei diritti dell'uomo ha stabilito che il diritto di sciopero, quale corollario inscindibile del diritto di associazione sindacale, rientra nell'alveo della tutela disegnato dall'art. 11 Cedu così come interpretato nell'ambito del diritto internazionale e delle prassi dei Paesi europei. Si tratta dell'esercizio di una libertà fondamentale in cui l'ingerenza dello Stato è ammissibile solo laddove sia prevista dalla legge e riguardi misure considerate necessarie in una società democratica. (Eneryi Yapi, Yol Sen c. Turchia, 21 aprile 2009, ric. n. 68959/01).

Ne consegue che i limiti all'esercizio del diritto di sciopero devono essere disposti ex lege e possono applicarsi solo a determinate categorie di lavoratori in ragione della natura delle funzioni che rivestono e dei compiti che sono chiamati a svolgere.

Per quanto concerne i militari, l'art. 8, L. n. 382/1978 “Norme di principio sulla disciplina militare” stabilisce il divieto del diritto di sciopero, di costituire associazioni professionali a carattere sindacale e di aderire ad altre associazioni sindacali.

In evidenza: Corte Costituzionale

A riguardo la Corte Costituzionale, in ordine al bilanciamento fra la natura del servizio militare che, per l'efficienza dell'organizzazione, richiede gerarchia e disciplina, e i diritti costituzionali riconosciuti a tutti i cittadini, ha precisato che la legge, pur negando ai militari la libertà sindacale, riconosce loro facoltà tipiche di essa, devolvendole a specifici organi che si pongono in posizione collaborativa, e non antagonista, rispetto all'autorità militare. Non è previsto un confronto fra le parti, ma la semplice consultazione, sì che alla carenza del diritto di sciopero si aggiunge l'impossibilità di contrastare le determinazioni della parte pubblica. Inoltre, mentre le organizzazioni sindacali del personale della Polizia, seppur private del diritto di sciopero, possono comunque respingere le proposte negoziali della parte pubblica, la medesima opportunità non è data alle rappresentanze militari (Corte Cost. n. 449/1999).

Invero, lo stesso art. 1475 del Codice dell'Ordinamento Militare di cui al D.Lgs. n. 66/2010, ribadisce che i militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali né possono esercitare il diritto di sciopero e che la costituzione di associazioni o circoli fra militari è subordinata al preventivo assenso del Ministro della Difesa. In proposito è opportuno segnalare un orientamento difforme espresso recentemente dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, la quale ha condannato la Francia per violazione dell'art. 11 Cedu con riferimento al divieto di costituire associazioni professionali militari a carattere sindacale. Invero in questo caso la Corte di Strasburgo, pur ammettendo che gli Stati possono procedere ad un adattamento dell'attività sindacale in virtù della specificità delle missioni che incombono alle forze armate, rileva come le restrizioni alla libertà di associazione non devono privare tout court i militari ed i loro sindacati del diritto generale di associarsi per la difesa dei loro interessi professionali e morali (Matelly c. Francia, 2 ottobre 2014, ric. n. 10609/10). Giova inoltre sottolineare che questo orientamento non risulta isolato poiché espresso in un'altra fattispecie (Adefromil c. Francia, 2 ottobre 2014, ric. n. 32191/09), e potrebbe quindi rappresentare la base per una c.d. sentenza pilota, vale a dire una pronuncia che, emanata a fronte di un problema strutturale o sistemico nella legislazione di un determinato Stato e volta a prescrivere specifiche misure per risolverlo, assume una portata generale idonea a trascendere il caso concreto e a produrre effetti anche in casi analoghi.

Per quanto concerne invece il diritto di sciopero del personale della Polizia di Stato, smilitarizzato dalla L. n. 121/1981, è previsto all'art. 84 della stessa un esplicito divieto per gli appartenenti alla Polizia di Stato di esercitare il diritto di sciopero o azioni sostitutive dello stesso che, effettuate durante il servizio, possano pregiudicare le esigenze di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica o le attività di polizia giudiziaria. E' opportuno rilevare che diversamente dai militari, il personale di polizia gode di una libertà sindacale circoscritta poiché ha il diritto di associarsi in sindacati, ma non può iscriversi a sindacati diversi da quelli del personale di polizia né assumere la rappresentanza di altri lavoratori, ciò al fine di evitare un'indiretta politicizzazione del personale. A riguardo può dirsi vigente un principio di libertà sindacale separata in base al quale i sindacati del personale della Polizia di Stato sono formati, diretti e rappresentati da appartenenti alla Polizia di Stato, in attività di servizio o comunque assoggettabili ad obblighi di servizio, e ne tutelano gli interessi, senza interferire nella direzione dei servizi o nei compiti operativi. Essi non possono affiliarsi o avere relazioni di carattere organizzativo con altre associazioni sindacali.

Riferimenti

Normativa:

Art. 1475, D.lgs. n. 66/2010

L. n. 83/2000

Art. 2, L. n. 146/1990

Art. 84, L. n. 121/1981

Art. 8, L. n. 382/1978

Art. 28, L. n. 300/1970

Art. 4, L. n. 604/1966

Art. 11, Cedu

Artt. 18, 21, 39, 40, 41 Cost.

Giurisprudenza:

Corte EDU, Matelly c. Francia, 2 ottobre 2014, ric. n. 10609/10

Corte EDU, Adefromil c. Francia, 2 ottobre 2014, ric. n. 32191/09

Corte EDU, Eneryi Yapi, Yol Sen c. Turchia, 21 aprile 2009, ric. n. 68959/01

Corte Costituzionale n. 449/1999

Corte Costituzionale n. 171/1996

Corte Costituzionale n. 125/1980

Corte Costituzionale n. 222/1976

Corte Costituzionale n. 290/1974

Cass. Civ. n. 10715/2016

Cass. Civ. n. 24653/2015

Cass. Civ. n. 23672/2014

Cass. Civ. n. 23528/2013

Cass. Civ. n. 20273/2011

Bibliografia:

M. Rusciano, Diritto di sciopero e assetto costituzionale, a cura di T. E. Frosini, M. Magnani, p. 39.

Camera dei deputati, La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell'Assemblea costituente, vol. II, 1970, p. 1626.

R. Nania, Sciopero e sistema costituzionale, Torino, 1995.

G. Giugni, Sciopero, I, Ordinamento italiano, in Enc. giur., Roma, Treccani, vol. XXVIII, p. 6.

G. Giugni, Diritto sindacale, Bari, 2014, p. 115.

F. Santoro Passarelli, Autonomia collettiva, giurisdizione, diritto di sciopero, in Studi in onore di F. Carnelutti, IV, Padova, 1950.

E. Gianfrancesco, “Sciopero” degli avvocati e Costituzione, Milano, 2002

G. Bronzini, nota a pronuncia della Corte europea dei diritti dell'uomo, sez. III, 21.04.2009, ric. n. 68959/2001, Eneryi Yapi, Yol Sen c. Turchia, in RIDL, 2009, II, p. 975.

F. Santoni, Lezioni di diritto del lavoro, I, Le fonti – il sindacato – lo sciopero, Edizioni Scientifiche italiane, Napoli, 2014, p. 155.

O. Roselli, La dimensione costituzionale dello sciopero. Lo sciopero come indicatore delle trasformazioni costituzionali, Torino, 2005.

L. Lorello, Diritto di sciopero e servizi pubblici essenziali, Torino, 2015.

Menghini, Le regole per il lavoro autonomo, in La nuova disciplina dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, a cura di Menghini, Miscione, Vallebona, Padova, 2000, p. 44.

M. Di Rollo, Le relazioni sindacali nel comparto sicurezza , in Lav. pubbl. amm., 1999, p. 685.

Sommario