Teresa Zappia
02 Maggio 2024

Lo sciopero è un'astensione concertata dal lavoro per la tutela di un interesse professionale collettivo. All'interruzione parziale o temporanea del lavoro, che configura la sospensione della prestazione lavorativa, corrisponde, in forza del principio sinallagmatico che governa il rapporto contrattuale di lavoro subordinato, la sospensione dell'obbligazione retributiva da parte del datore limitatamente alla durata dell'astensione.

Inquadramento

Lo sciopero è un'astensione concertata dal lavoro per la tutela di un interesse professionale collettivo. All'interruzione parziale o temporanea del lavoro, che configura la sospensione della prestazione lavorativa, corrisponde, in forza del principio sinallagmatico che governa il rapporto contrattuale di lavoro subordinato, la sospensione dell'obbligazione retributiva da parte del datore limitatamente alla durata dell'astensione.

Alla forma tradizionale di sciopero, vale a dire quello economico, finalizzato a conseguire un miglioramento delle condizioni lavorative, si affiancano altre tipologie, tra le quali quello economico-politico, volto ad ottenere provvedimenti per l'intera categoria professionale, quello di solidarietà, caratterizzato dal fatto che un gruppo di lavoratori solidarizza con le rivendicazioni di un altro gruppo, rispetto al quale sussiste quindi una comunione di interessi, nonché quello di protesta, usato dai lavoratori per reagire agli inadempimenti delle obbligazioni da parte del datore di lavoro.

La mancanza di una definizione legislativa del diritto di sciopero risulta colmata dall'intervento di dottrina e giurisprudenza, ed in particolar modo dal giudice costituzionale che, alla luce della formulazione onnicomprensiva dello sciopero, vi fa rientrare altresì quello politico, con la sola esclusione dello sciopero volto a sovvertire l'ordinamento costituzionale ovvero a impedire o ostacolare il libero esercizio dei poteri legittimi nei quali si esprime la sovranità popolare (Corte cost., n. 290/1974). 

Origini e natura del diritto di sciopero

Attraverso il riconoscimento costituzionale dell'autonomia sindacale lo sciopero, da “strumento di lotta tra capitale e lavoro” - come fu definito dall'on. Tumminelli - assurge a diritto costituzionalmente garantito, come tale bisognoso di un bilanciamento con gli altri diritti di rilievo costituzionale. L'art. 40 Cost., infatti, istituzionalizza il conflitto contrattuale tra lavoratore e datore di lavoro da cui trae origine il fenomeno economico-sociale dello sciopero. In questo contesto, all'affermazione dello sciopero, quale diritto assoluto della persona, fa da contraltare la regolamentazione legislativa del suo esercizio, così da risultare espressione di un conflitto collettivo regolato e idoneo a determinare il contemperamento degli interessi coinvolti. A riguardo autorevole dottrina (Calamandrei), qualifica il diritto di sciopero come diritto pubblico di libertà inserito nell'ambito del rapporto tra Stato e cittadino, mentre altra dottrina (F. Santoro Passarelli) delinea l'atto di esercizio di sciopero come negozio giuridico, rispetto al quale la proclamazione viene ricostruita come negozio di autorizzazione con la conseguenza che l'esercizio del diritto, la cui titolarità spetta al singolo lavoratore, sarebbe subordinato all'autorizzazione del sindacato, portatore degli interessi della collettività professionale. Diversamente, secondo altra dottrina (Mengoni) rispetto allo sciopero, quale atto unitario di natura collettiva, la proclamazione rileva solo come mero invito a scioperare.

Il diritto di sciopero ha acquistato rilevanza anche a livello europeo. Infatti, l'art. 28 CDFUE dispone che: «I lavoratori e i datori di lavoro, o le rispettive organizzazioni, hanno, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali, il diritto di negoziare e di concludere contratti collettivi, ai livelli appropriati, e di ricorrere, in caso di conflitti di interessi, ad azioni collettive per la difesa dei loro interessi, compreso lo sciopero»; l''art. 52 della stessa Carta, inoltre, dispone, al paragrafo 1, che: «Eventuali limitazioni all'esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall'Unione o all'esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui ...».

La Corte EDU ha dichiarato, invece, che le sanzioni disciplinari conservative inflitte a quattro insegnanti tedeschi muniti dello status di funzionari pubblici per avere partecipato a scioperi indetti dal sindacato di appartenenza, e, più in generale, il divieto di partecipazione a scioperi imposto ai funzionari pubblici dal diritto tedesco, su cui le sanzioni si fondano, non violano l'art. 11 CEDU. Nel respingere i ricorsi, la Corte ha affermato che lo sciopero non è un elemento essenziale della libertà di associazione sindacale, tutelata dall'art. 11 CEDU, e pertanto il suo esercizio può essere soggetto a restrizioni a condizione che tali restrizioni non svuotino di contenuto il diritto di associazione sindacale (GCUE, 14 dicembre 2023, Humpert e altri c. Germania, nn. 59433/18, n. 59477/18, 59481/18 e 59494/18).

Clausole di tregua

Alla discussione inerente alla spettanza, individuale o collettiva, del diritto di sciopero è collegata anche la pratica delle cc.dd. “clausole di tregua”, ossia quelle clausole con le quali l'organizzazione sindacale firmataria di un dato contratto collettivo si impegna a non far valere il diritto di sciopero per un certo lasso temporale. Per quella parte della dottrina che riconosce alla collettività il diritto di sciopero, l'autolimitazione contrattuale è vista non come una rinuncia a quella forma di tutela garantita dal diritto di sciopero, bensì come un'arma utile ad ottenere maggiori vantaggi per i singoli lavoratori. Diversamente, per chi qualifica il diritto di sciopero come un diritto individuale ad esercizio collettivo, tali clausole si sostanzierebbero nell'assunzione di un obbligo relativo a comportamenti riconducibili all'associazione sindacale e non ad un atto di disposizione del diritto di sciopero. 

Sul punto nell'Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011 stipulato tra Confindustria, CGIL, CISL e UIL è stato previsto (clausola 6 dell'A.I.) che i contratti aziendali - approvati nel rispetto delle procedure di cui al punto 4, o 5 dell'Accordo - possano validamente definire clausole di tregua sindacale, potendo esigersi il rispetto degli impegni assunti da parte di tutte le rappresentanze sindacali dei lavoratori firmatarie dell'Accordo Interconfederale operanti all'interno dell'azienda, restando tuttavia esclusa la loro esigibilità nei confronti dei singoli lavoratori.

Modalità attuative

Diverse possono essere le modalità attuative di uno sciopero: o si distingue tra una forma comune, in cui l'astensione dal lavoro viene posta in essere in maniera collettiva e continuata, ed una definita anomala, o meglio, articolata, nella quale l'astensione risulta discontinua con riferimento ai tempi di lavoro o ai settori aziendali in cui si esplica. Il riferimento è alle fattispecie di sciopero a singhiozzo e a scacchiera, rispettivamente caratterizzate, secondo una parte della dottrina (Carinci, De Luca Tamajo, Tosi, Treu), la prima, da un susseguirsi di brevi interruzioni e riprese dal lavoro da parte di tutti i lavoratori interessati, e la seconda dall'alternarsi di interruzioni dal lavoro da parte dei soli lavoratori appartenenti a determinati reparti o profili professionali in modo da ottenere la massimizzazione dei costi imposti al datore di lavoro con la minimizzazione di quelli sopportati dai lavoratori.

Con riferimento al c.d. sciopero pignolo (o alla rovescia), consistente nell'applicazione pedante e cavillosa di direttive e regolamenti, le condotte dei lavoratori, essendo diverse dalla mera astensione dal lavoro, non sarebbero riconducibili alla nozione di sciopero, bensì dovrebbero essere valutate nella prospettiva del corretto adempimento della prestazione effettivamente dovuta in base alla prescritta diligenza e buona fede (Trib. Forlì, sez. lav., 4 novembre 2021).

Limiti interni ed esterni

La formulazione delineata dall'art. 40 Cost. lascia al legislatore il compito di dettare una regolamentazione puntuale del diritto di sciopero. Tuttavia, fino all'emanazione della l. n. 146/1990, è stata la giurisprudenza ad occuparsi di individuare la portata concreta di un fenomeno sociale diventato ormai un diritto costituzionalizzato.

Nel nostro ordinamento giuridico ogni diritto è esercitabile nel rispetto dei limiti consentiti, rilevando altrimenti quale ipotesi di abuso, sicché è opportuno delineare i limiti interni, vale a dire quelli connaturali al contenuto del diritto, ed i limiti esterni concernenti l'esercizio del diritto ed il rapporto coordinato con gli altri valori costituzionali.

In evidenza: Corte costituzionale

A riguardo la Consulta ha osservato che i limiti al diritto di sciopero si rinvengono in relazione ai preminenti interessi dell'organizzazione sociale e giuridica, che non potrebbero essere subordinati ad un incondizionato e illimitato esercizio dello stesso (Corte cost., n. 46/1958).

Ne consegue che lo sciopero, fondandosi sull'esistenza di interessi di carattere diffuso propri di intere categorie di lavoratori, si manifesta come un'astensione collettiva dal lavoro animata dallo scopo di ottenere il conseguimento di beni economico-sociali, evitando al contempo di provocare interferenze sul diritto di lavorare per coloro che scelgono di non aderire allo sciopero e soprattutto sul diritto degli utenti a fruire dei servizi pubblici essenziali (Corte cost., n. 125/1980).

Sempre in relazione alla tematica dei limiti al diritto di sciopero, la Suprema Corte ha precisato che il diritto di sciopero, quale che sia la sua forma di esercizio e l'entità del danno arrecato, non ha altri limiti, attesa la genericità della sua nozione comune derivante dal precetto costituzionale di cui all'art. 40 Cost. e la mancanza di una legge attuativa, se non quelli che si rinvengono nelle norme che tutelano posizioni soggettive concorrenti, su un piano prioritario, come il diritto alla vita o all'incolumità personale, o, quantomeno, su un piano paritario, come il diritto alla libertà di iniziativa economica. Ne consegue che esorbitano da tali limiti, e sono illegittime, le modalità di attuazione dello sciopero rimesse totalmente agli interessati (nella specie, lasciando nella facoltà del singolo lavoratore quando e per quanto tempo astenersi dal lavoro) senza alcuna predeterminazione, poiché ne snaturano la forma e la finalità tipicamente collettive, esponendo il datore di lavoro ai pregiudizi derivanti dall'impossibilità di prevenire i rischi alla produttività e all'organizzazione gestionale dell'azienda (Cass., sez. lav., n. 24653/2015).

L'esercizio del diritto di sciopero e la repressione della condotta antisindacale

Il diritto di sciopero, quale diritto individuale ad esercizio collettivo che spetta singolarmente ad ogni lavoratore, ed il cui riconoscimento è funzionalmente orientato ad ottenere la tutela di un interesse contrattuale collettivo, comporta l'inibizione da parte del datore di lavoro dell'adozione di atti o comportamenti volti a mortificarne o limitarne indebitamente l'esercizio, potendo altrimenti gli stessi essere ascritti ad una condotta antisindacale ex art. 28, l. n. 300/1970 e, come tali, risultare passibili di sanzione (Trib. Firenze, sez. lavoro, 15 ottobre 2020)

L'esercizio del diritto di sciopero non costituisce un inadempimento dell'obbligazione lavorativa e, pertanto, non legittima l'irrogazione di sanzioni disciplinari. Ne consegue non solo l'illegittimità di un licenziamento intimato a causa di uno sciopero svoltosi legittimamente (art. 4 l. n. 604/1966), ma anche l'illegittimità, e quindi l'antisindacalità (art. 28 St. Lav.), da valutare di volta in volta, di altri comportamenti da parte del datore di lavoro diretti a reprimere la libertà di scioperare dei lavoratori. Invero, al fine di verificare la legittimità o meno della condotta datoriale è opportuno distinguere i comportamenti diretti ad impedire tout courtl'esercizio del diritto di sciopero da quelli volti solo a contenerne gli effetti pregiudizievoli. Così come, per valutare la legittimità o meno dell'esercizio del diritto di sciopero, si dovrà aver riguardo alla pregnanza del pregiudizio che lo stesso è idoneo a determinare alle ragioni del datore di lavoro, nonché alle concrete modalità di estrinsecazione dello stesso (Cass., sez. lav., n. 6787/2024: la Corte ha precisato che lo sciopero deve ritenersi legittimo qualora non determini un danno alla produttività, ma solo un eventuale nocumento alla produzione).

Come rilevato da autorevole dottrina (Giugni), l'antisindacalità della condotta datoriale si presenta quale connotato teleologico-funzionale, non già strutturale.

In evidenza: Cassazione

La giurisprudenza ha ritenuto antisindacale la condotta del datore che, in sostituzione dei lavoratori aderenti allo sciopero, impieghi in mansioni inferiori il personale non scioperante, facendo così ricadere su quest'ultimo le conseguenze negative dello sciopero. Tuttavia, a contemperamento della precedente statuizione, la Suprema Corte ha precisato che non si ravvisa il carattere antisindacale della condotta datoriale ove le mansioni inferiori cui siano assegnati i lavoratori non aderenti allo sciopero si risolvano in mansioni marginali, funzionalmente accessorie e complementari (Cass., sez. lav., n. 8670/2019).

In evidenza: Serrata e rifiuto della prestazione

La serrata, quale attività tradizionalmente suscettibile di repressione ai sensi dell'art. 28 St. Lav., che consiste nella chiusura o nell'interruzione temporale dell'attività aziendale, totale o parziale, attuata da una o più imprese con finalità di pressione e lotta sindacale. La serrata è considerata legittima, seppur entro certi limiti, quando si connoti quale serrata c.d. "di ritorsione", ossia rifiuto di ricevere le prestazioni quando i lavoratori pongano in essere uno "sciopero anomalo". Secondo la giurisprudenza, in questo caso la serrata sarebbe legittima ove la prestazione lavorativa sia del tutto inutilizzabile senza modificare l'organizzazione produttiva aziendale al fine di riceverla, oppure quando le modalità di esercizio dello sciopero siano tali da far temere il danneggiamento di impianti o beni del datore di lavoro. Sul punto la Corte di Cassazione ha dichiarato che è stato precisato che il rifiuto unilaterale del datore di lavoro di ricevere la prestazione del dipendente a causa dei disagi provocati da uno sciopero in seguito revocato, non fa venire meno il diritto del lavoratore alla prestazione retributiva, a meno che non sia oggettivamente impossibile l'utilizzazione della stessa, a causa di circostanze non imputabili al datore, imprevedibili e non riferibili a carenze organizzative (Cass., sez. lav., n. 14419/2019).

Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali

L'esercizio del diritto di sciopero nell'ambito dei servizi pubblici essenziali è regolamentato dalla l. n. 146/1990, così come modificata dalla l. n. 83/2000 che fissa i principi sostanziali della materia rimettendo alle fonti secondarie la concreta disciplina. Il riferimento è in particolare ai contratti collettivi per il settore privato e pubblico, ai codici di autoregolamentazione emanati dalle associazioni o dagli organismi di rappresentanza delle categorie per il lavoro autonomo, assoggettati ad un controllo di congruità da parte della Commissione di garanzia cui è demandato il compito di valutare l'idoneità delle misure volte ad assicurare il contemperamento dell'esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona costituzionalmente protetti (Cons. Stato, sez. VI, n. 2116/2023)

In via preliminare è opportuno precisare che per servizio pubblico essenziale si intende quello diretto al soddisfacimento dei diritti della persona costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà, alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all'assistenza e previdenza sociale, all'istruzione ed alla libertà di comunicazione. Come rilevato da una parte della dottrina (Treu), l'aggettivo “pubblico” è funzionalmente orientato a delineare la destinazione alla collettività o comunque l'essenzialità rispetto ai bisogni dei cittadini.

Alla definizione di servizio pubblico essenziale contenuta nell'art. 1, comma 1, l. n. 146/1990, segue al secondo comma l'elencazione, meramente esemplificativa, di una serie di servizi pubblici essenziali, per cui spetta di volta in volta alla Commissione di garanzia la verifica sull'essenzialità del servizio in rapporto al soddisfacimento dei diritti della persona costituzionalmente protetti. A riguardo un rilievo merita la complessa questione concernente l'individuazione, in relazione ad ogni servizio essenziale, delle attività che sono oggettivamente connesse allo stesso in quanto servizi strumentali ed ausiliari. Si pensi in tal senso alla regolamentazione provvisoria relativa al trasporto aereo (Delibera n. 92/2001) che, tra i servizi strumentali, ha ricompreso quelli di assistenza al volo, quelli professionali di supporto tecnico-legale, quelli di sicurezza aeroportuale, e molti altri. Su questo tema, concernente l'ambito dei servizi pubblici essenziali interessati da fenomeni di esternalizzazione idonei a determinare l'affiancarsi di servizi strumentali ed ausiliari rispetto a quello essenziale, la dottrina (Magnani) ha rilevato la difficoltà nell'individuare la disciplina applicabile al servizio che risulta così frazionato in attività gestite da vari soggetti, anche alla luce della diversa rappresentanza sindacale dei lavoratori coinvolti (Cass., sez. lav., n. 24633/2019)

In considerazione del fatto che in questo delicato settore il diritto di sciopero incide principalmente sui diritti degli utenti, ben si comprende come la legge, pur ammettendone la manifestazione in quanto diritto fondamentale, imponga il rispetto di limiti e procedure rigorose, volte a salvaguardare l'erogazione delle prestazioni indispensabili.

Precettazione

La precettazione (art. 8 l. n. 146/1990) è prevista nel caso in cui «sussista il fondato pericolo di un pregiudizio grave ed imminente ai diritti della persona costituzionalmente tutelati di cui all'art. 1, comma 1, che potrebbe essere cagionato dall'interruzione o dalla alterazione del funzionamento dei servizi pubblici di cui all'art. 1, conseguente all'esercizio dello sciopero o dell'astensione collettiva». Essa si sostanzia in un'ordinanza adottata da un organo del potere esecutivo su richiesta della Commissione di garanzia o, in caso di necessità e urgenza, d'ufficio, preceduta da un invito alle parti a desistere dai comportamenti che determinano la situazione di pericolo e da un tentativo di conciliazione (Cass., sez. VI-2, n. 15809/2016)

I possibili contenuti dell'ordinanza sono esemplificati nel secondo comma dello stesso art. 8.

L'inadempimento a quanto prescritto espone gli autori a sanzioni amministrative pecuniarie, irrogate dall'autorità precettante. Una volta che la Commissione di garanzia abbia dichiarato l'illegittimità dello stato di agitazione per tempi e modi della sua proclamazione ed attuazione, il singolo lavoratore non può opporvisi, esercitando una forma di autotutela individuale che l'ordinamento non consente in casi del genere (Cass., sez. lav., n. 17288/2015)

Si precisa che nell'ambito dei servizi pubblici essenziali, il potere disciplinare del datore di lavoro nei confronti dei lavoratori che aderiscono ad uno sciopero, proclamato dalle organizzazioni sindacali senza il rispetto delle modalità e delle procedure di erogazione e delle altre misure previste dall'art. 2, comma 2, l. n. 146/1990 (come modificata dalla l. n. 83/2000) è subordinato, ai sensi dell'art. 13, comma 1, lett. i) della Legge citata, alla valutazione negativa del comportamento delle parti collettive ad opera della Commissione di garanzia, che non solo rende doverosa l'attivazione del procedimento disciplinare, ma costituisce anche il presupposto per l'esercizio del potere disciplinare (Cass., sez. lav., n. 11365/2022).

In evidenza: Corte costituzionale

Questo profilo è stato fin da subito oggetto di interesse da parte della giurisprudenza costituzionale che per prima ha precisato che non vi può essere un divieto di sciopero nei servizi pubblici essenziali fino a che non vengano ad essere compromesse le prestazioni indispensabili (Corte cost., n. 222/1976).

In particolare, la legge prevede l'obbligatorio esperimento di procedure di raffreddamento e conciliazione, al fine di scongiurare lo sciopero, considerato come ipotesi eventuale che si configura solo laddove fallisca una soluzione concordata del conflitto. Va precisato che a seguito delle modifiche apportate dalla l. n. 83/2000, l'art. 2, comma 2, l. n. 146/1990 prevede che possa essere disposta l'astensione dallo sciopero di quote strettamente necessarie di lavoratori tenuti alle prestazioni indispensabili, con l'indicazione delle modalità per l'individuazione degli stessi. Inoltre, è possibile predisporre forme di erogazione periodica ed indicare gli intervalli minimi tra l'effettuazione di uno sciopero e la proclamazione del successivo al fine di evitare che sia compromessa la continuità dei servizi pubblici essenziali.

L'esercizio del diritto di sciopero è, inoltre, subordinato all'obbligo di preavviso, consistente nel comunicare, per iscritto, almeno dieci giorni prima, alle imprese o alle amministrazioni erogatrici del servizio e all'autorità competente ad emanare l'ordinanza di cui all'art. 8, l. n. 146/1990 la motivazione dello sciopero, la durata e le modalità attuative. La ratio del termine del preavviso si rinviene nella duplice esigenza, da un lato di esperire un tentativo di composizione del conflitto, dall'altro di consentire all'Amministrazione di predisporre quanto necessario per garantire le prestazioni indispensabili agli utenti. Le Amministrazioni sono tenute a comunicare lo sciopero all'utenza nelle forme adeguate almeno cinque giorni prima dell'inizio, nonché i modi, i tempi di erogazione dei servizi e le misure per la riattivazione degli stessi.

È ammessa la revoca dello sciopero solo fino a quando non sia stata data informazione agli utenti, poiché una revoca successiva, configurando una forma sleale di lotta sindacale, è negativamente valutata dalla Commissione di garanzia con l'applicazione di sanzioni.

A riguardo va precisato che l'apparato sanzionatorio, articolato in sanzioni civili e amministrative, è diretto a colpire non solo le associazioni sindacali, i dirigenti responsabili delle amministrazioni pubbliche, i legali rappresentanti delle imprese e degli enti che erogano i servizi pubblici, ma anche i singoli lavoratori.

(Segue): L'illegittimità dello sciopero delle mansioni

Una particolare ipotesi che sembra situarsi appena al di fuori dai confini dello sciopero è quella concernente il rifiuto di svolgere mansioni diverse ed equivalenti rispetto a quelle assegnate. Si tratta del c.d. sciopero delle mansioni ritenuto illegittimo dalla giurisprudenza poiché costituente un vero e proprio inadempimento contrattuale rispetto al quale il datore può rifiutare la parziale prestazione offerta. Invero, la Suprema Corte ha rilevato che in tema di astensione collettiva dal lavoro, non costituisce legittimo esercizio del diritto di sciopero il rifiuto di rendere la prestazione, per una data unità di tempo, che non sia integrale, ma riguardi solo uno o più tra i compiti che il lavoratore è tenuto a svolgere, come ad esempio il rifiuto di sostituire un collega assente, nonostante l'obbligo in tal senso previsto dalla contrattazione collettiva (Cass., sez. lav., n. 1350/2016; Cass., sez. lav., n. 25817/2014; Cass., sez. lav., n. 23528/2013).

Giova sottolineare che, con riferimento al rifiuto di alcuni portalettere di effettuare la consegna di una parte della corrispondenza, di competenza di un collega assegnatario di altra zona della medesima area territoriale, in violazione dell'obbligo previsto dall'accordo sindacale del 29 luglio 2004, la Corte ha ribadito che tale rifiuto non costituisce astensione dal lavoro straordinario, né astensione per un orario delimitato e predefinito, ma rifiuto di effettuare una delle prestazioni dovute, sicché può dare luogo a responsabilità contrattuale e disciplinare del dipendente senza che il comportamento datoriale, di irrogazione delle sanzioni, sia qualificabile come antisindacale (Cass., sez. lav., n. 27747/2020; Cass., sez. lav., n. 23672/2014).

(Segue): L'astensione collettiva dalle prestazioni da parte dei lavoratori autonomi. In particolare, lo “sciopero” degli avvocati

L'art. 2-bis, l. n. 146/1990 stabilisce che l'astensione collettiva dalle prestazioni, ai fini di protesta o di rivendicazione di categoria, da parte di lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, incidente sulla funzionalità dei servizi pubblici è esercitata nel rispetto di misure dirette a consentire l'erogazione delle prestazioni indispensabili. Ne consegue che l'astensione di avvocati, farmacisti, medici convenzionati, autotrasportatori, gestori di impianti di carburante e tassisti rientra nell'alveo della l. n. 146/1990, e che la fonte di disciplina delle prestazioni indispensabili - data l'esclusione della presenza di una controparte negoziale abilitata alla stipulazione di contratti collettivi - è affidata ai codici di autoregolamentazione posti in essere dalle associazioni o dagli organismi di rappresentanza delle categorie interessate. Dibattuta è la questione della natura giuridica di tale astensione, in quanto si discute in ordine alla sua riconducibilità alternativamente al diritto di sciopero ex art. 40 Cost., alla libertà sindacale di cui all'art. 39 Cost., al diritto di associazione derivante dall'art. 18 Cost., al diritto di manifestazione di pensiero tutelato dall'art. 21 Cost. o, ancora, alla libertà di iniziativa economica privata di cui all'art. 41 Cost. (Cass., sez. lav., n. 2298/2019).

Con riferimento specifico alla controversa qualificazione giuridica dell'astensione del difensore proclamata dagli organismi rappresentativi della categoria, è opportuno richiamare la pronuncia additiva con cui la Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 13, comma 5, Cost., l'art. 2-bis l. n. 146/1990, nella parte in cui consente che il codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati - adottato in data 4 aprile 2007 dall'Organismo Unitario dell'Avvocatura (OUA) e da altre associazioni categoriali (UCPI, ANF, AIGA, UNCC), valutato idoneo dalla Commissione di garanzia per lo sciopero nei servizi pubblici essenziali con delibera n. 07/749 del 13 dicembre 2007 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3 del 2008 - nel regolare, all'art. 4, comma 1, lett. b), l'astensione degli avvocati nei procedimenti e nei processi in relazione ai quali l'imputato si trovi in stato di custodia cautelare, interferisca con la disciplina della libertà personale dell'imputato. La norma, che era stata censurata dal Tribunale di Reggio Emilia, in quanto espressione della scelta discrezionale del legislatore di coinvolgere le associazioni di categoria mediante il richiamo del codice di autoregolamentazione che, qualificato idoneo dalla Commissione di garanzia, costituisce regola di diritto, comporta una violazione (non risolvibile in termini di disapplicazione della norma subprimaria, che si è mossa nell'ampio perimetro assegnatole da quella primaria) della riserva di legge assoluta posta dall'art. 13, comma 5, Cost., in materia di durata massima della custodia cautelare, perché consente - nel senso che non preclude - a una norma subprimaria di andare ad incidere sulla disciplina legale dei limiti di restrizione della libertà personale. La Corte ha rammentato che l'astensione dalle udienze degli avvocati e procuratori è manifestazione incisiva della dinamica associativa volta alla tutela di questa forma di lavoro autonomo, in relazione alla quale è identificabile, più che una mera facoltà di rilievo costituzionale, un vero e proprio diritto di libertà, purché bilanciato con altri valori costituzionali meritevoli di tutela, che hanno una forza prevalente (sent. n. 180/2018)

Sotto il profilo processuale, va rilevato che l'astensione collettiva degli avvocati dall'attività giudiziaria, deliberata dal Consiglio Nazionale Forense, conferisce ai professionisti la facoltà di astenersi dalla partecipazione alle attività di udienza (civile o penale) - ferma restando la previsione di svolgimento obbligatorio dell'attività di patrocinio in ipotesi puntualmente descritte – ma non legittima l'astensione dall'attività di deposito degli atti processuali. Ne consegue che va escluso il prolungamento del termine per riassumere il processo per un numero di giorni pari a quello delle giornate interessate dai c.d. scioperi degli avvocati (Cass., sez. VI-3, n. 21689/2017; Cass., sez. III, n. 24816/2005). Inoltre, ai fini dell'accertamento della violazione del termine di ragionevole durata del processo, non può tenersi conto del ritardo determinato dallo sciopero degli avvocati, trattandosi dell'esercizio di un diritto costituzionale che non può essere considerato come comportamento dilatorio delle parti in causa (Cass., sez. I, n. 18222/2009).

In evidenza: Cassazione

La Suprema Corte ha recentemente precisato che lo sciopero delle categorie professionali di avvocati e magistrati determina un impedimento allo svolgimento dell'udienza, la quale, pertanto, pur quando non sia stata verbalizzata la presenza o meno delle parti, deve essere differita, quale rinvio d'ufficio, sicché all'udienza successiva la parte comparsa non può invocare la cancellazione della causa dal ruolo che presuppone, invece, la diserzione di un'udienza regolarmente tenuta (Cass, sez. II, n. 8512/2017; Cass., sez. I,  n. 10715/2016).

(Segue): Regolamentazione del diritto di sciopero dei militari e della Polizia di Stato

In evidenza: Corte Europea dei Diritti dell'Uomo

La Corte europea dei diritti dell'uomo ha stabilito che il diritto di sciopero, quale corollario inscindibile del diritto di associazione sindacale, rientra nell'alveo della tutela disegnato dall'art. 11 CEDU così come interpretato nell'ambito del diritto internazionale e delle prassi dei Paesi europei. Si tratta dell'esercizio di una libertà fondamentale in cui l'ingerenza dello Stato è ammissibile solo laddove sia prevista dalla legge e riguardi misure considerate necessarie in una società democratica. (Eneryi Yapi, Yol Sen c. Turchia, 21 aprile 2009, n. 68959/01).

Ne consegue che i limiti all'esercizio del diritto di sciopero devono essere disposti ex lege e possono applicarsi solo a determinate categorie di lavoratori in ragione della natura delle funzioni che rivestono e dei compiti che sono chiamati a svolgere.

Per quanto concerne i militari, l'art. 8, l. n. 382/1978 «Norme di principio sulla disciplina militare” stabilisce il divieto del diritto di sciopero, di costituire associazioni professionali a carattere sindacale e di aderire ad altre associazioni sindacali».

L'art. 1475 del Codice dell'Ordinamento Militare di cui al d.lgs. n. 66/2010, ribadisce che i militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali né possono esercitare il diritto di sciopero e che la costituzione di associazioni o circoli fra militari è subordinata al preventivo assenso del Ministro della Difesa. In proposito è opportuno segnalare un orientamento difforme espresso recentemente dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, la quale ha condannato la Francia per violazione dell'art. 11 CEDU con riferimento al divieto di costituire associazioni professionali militari a carattere sindacale. Invero in questo caso la Corte di Strasburgo, pur ammettendo che gli Stati possono procedere ad un adattamento dell'attività sindacale in virtù della specificità delle missioni che incombono alle forze armate, rileva come le restrizioni alla libertà di associazione non devono privare tout court i militari ed i loro sindacati del diritto generale di associarsi per la difesa dei loro interessi professionali e morali (Matelly c. Francia, 2 ottobre 2014, n. 10609/10). Giova inoltre sottolineare che questo orientamento non risulta isolato poiché espresso in un'altra fattispecie (Adefromil c. Francia, 2 ottobre 2014, n. 32191/09).

Sulla questione si è espressa anche la Corte costituzionale che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo - per violazione dell'art. 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 11 CEDU e all'art. 5 della Carta sociale europea - l'art. 1475, comma 2, d.lgs. n. 66/2010, in quanto prevede che «I militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali» invece di prevedere che «I militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale alle condizioni e con i limiti fissati dalla legge; non possono aderire ad altre associazioni sindacali». Secondo il giudice delle leggi, la disposizione censurata, nella parte in cui vieta la costituzione di associazioni professionali a carattere sindacale da parte dei militari, non è compatibile con gli evocati parametri interposti, poiché essi riconoscono agli Stati contraenti la facoltà di introdurre restrizioni all'esercizio dei diritti sindacali dei militari, ma non di negare in radice il diritto di costituire associazioni a carattere sindacale. Al contrario, il divieto, dalla stessa disposizione previsto, di aderire ad "altre associazioni sindacali" – dal quale consegue la necessità che le associazioni in questione siano composte solo da militari e non possano aderire ad associazioni diverse – è compatibile sia con le menzionate norme internazionali, in quanto non comporta il venir meno di un elemento essenziale della libertà di associazione, sia con i principi costituzionali atteso che le specificità dell'ordinamento militare giustificano l'esclusione di forme associative ritenute non rispondenti alle esigenze di compattezza ed unità degli organismi che tale ordinamento compongono. La corretta attuazione della disciplina costituzionale della materia esige, peraltro, che il riconoscimento ai militari del diritto di associazione sindacale sia accompagnato dalla previsione di condizioni e limiti al suo esercizio, al qual fine possono già trovare applicazione, quanto alla costituzione delle associazioni sindacali, l'art. 1475, comma 1, d.lgs. n. 66/2010, alla cui stregua gli statuti delle associazioni vanno sottoposti agli organi competenti e vagliati verificandone la conformità ai principi di democraticità dell'ordinamento delle Forze armate (art. 52 Cost.) e di neutralità dei Corpi deputati alla difesa della Patria (artt. 97 e 98 Cost.); e, quanto ai limiti dell'azione sindacale, il divieto per i militari di esercizio del diritto di sciopero (sent. n. 120/2018).

Per quanto concerne, invece, il diritto di sciopero del personale della Polizia di Stato, smilitarizzato dalla l. n. 121/1981, è previsto all'art. 84 della stessa un esplicito divieto per gli appartenenti alla Polizia di Stato di esercitare il diritto di sciopero o azioni sostitutive dello stesso che, effettuate durante il servizio, possano pregiudicare le esigenze di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica o le attività di polizia giudiziaria. È opportuno rilevare che diversamente dai militari, il personale di polizia gode di una libertà sindacale circoscritta poiché ha il diritto di associarsi in sindacati, ma non può iscriversi a sindacati diversi da quelli del personale di polizia né assumere la rappresentanza di altri lavoratori, ciò al fine di evitare un'indiretta politicizzazione del personale. A riguardo può dirsi vigente un principio di libertà sindacale separata in base al quale i sindacati del personale della Polizia di Stato sono formati, diretti e rappresentati da appartenenti alla Polizia di Stato, in attività di servizio o comunque assoggettabili ad obblighi di servizio, e ne tutelano gli interessi, senza interferire nella direzione dei servizi o nei compiti operativi. Essi non possono affiliarsi o avere relazioni di carattere organizzativo con altre associazioni sindacali.

Riferimenti

Per i recenti orientamenti sul tema:

Corte EDU, 14 dicembre 2023, n. 5943318 e altre 3, con commento di N. Tritta, Il diritto di sciopero e la CEDU: ammesse le restrizioni che non privano di contenuto il diritto di associazione sindacale;

Cass., sez. lav., 7 aprile 2022, n. 11366, con commento di T. Zappia, Sciopero nei servizi essenziali: il potere disciplinare del datore non è libero;

Trib. Firenze, 15 ottobre 2020, con commento di M. T. Crotti, Regolamento aziendale sullo sciopero: tutela della libertà economica o illegittima compromissione del diritto dei lavoratori?.

Normativa:

  • Art. 1475 d.lgs. n. 66/2010
  • L. n. 83/2000
  • Art. 2, l. n. 146/1990
  • Art. 84 l. n. 121/1981
  • Art. 8  l. n. 382/1978
  • Art. 28 l. n. 300/1970
  • Art. 4 l. n. 604/1966
  • Art. 11 CEDU
  • Artt. 18, 21, 39, 40, 41 Cost

Giurisprudenza

  • Corte EDU, 14 dicembre 2023, Humpert e altri c. Germania, nn. 59433/18, n. 59477/18, 59481/18 e 59494/18
  • Corte EDU, Matelly c. Francia, 2 ottobre 2014, n. 10609/10
  • Corte EDU, Adefromil c. Francia, 2 ottobre 2014, n. 32191/09
  • Corte EDU, Eneryi Yapi, Yol Sen c. Turchia, 21 aprile 2009, n. 68959/01
  • Corte cost., n. 180/2018
  • Corte Cost., n. 120/2018
  • Corte Cost., n. 449/1999
  • Corte Cost., n. 171/1996
  • Cass., sez. lav. n. 6787/2024
  • Cass., sez. lav., n. 11365/2022
  • Cass., sez. lav., n. 27747/2020

Bibliografia

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Camera dei deputati, La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell'Assemblea costituente, vol. II, 1970, p. 1626.

R. Nania, Sciopero e sistema costituzionale, Torino, 1995.

G. Giugni, Sciopero, I, Ordinamento italiano, in Enc. giur., Roma, Treccani, vol. XXVIII, p. 6.

G. Giugni, Diritto sindacale, Bari, 2014, p. 115.

F. Santoro Passarelli, Autonomia collettiva, giurisdizione, diritto di sciopero, in Studi in onore di F. Carnelutti, IV, Padova, 1950.

E. Gianfrancesco, “Sciopero” degli avvocati e Costituzione, Milano, Giuffrè, 2002.

G. Bronzini, nota a pronuncia della Corte europea dei diritti dell'uomo, sez. III, 21 aprile 2009, n. 68959/2001, Eneryi Yapi, Yol Sen c. Turchia, in RIDL, 2009, II, p. 975.

F. Santoni, Lezioni di diritto del lavoro, I, Le fonti – il sindacato – lo sciopero, Edizioni Scientifiche italiane, Napoli, 2014, p. 155.

O. Roselli, La dimensione costituzionale dello sciopero. Lo sciopero come indicatore delle trasformazioni costituzionali, Torino, 2005.

L. Lorello, Diritto di sciopero e servizi pubblici essenziali, Torino, 2015.

Menghini, Le regole per il lavoro autonomo, in La nuova disciplina dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, a cura di Menghini, Miscione, Vallebona, Padova, 2000, p. 44.

M. Di Rollo, Le relazioni sindacali nel comparto sicurezza , in Lav. pubbl. amm., 1999, p. 685.

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