Socio lavoratore
07 Ottobre 2024
Inquadramento L'insieme normativo che regola il lavoro all'interno delle cooperative - che ha quale caposaldo la legge 3 aprile 2001 n.142 - non si allontana significativamente da quello riferibile al rapporto di lavoro subordinato. Le principali peculiarità derivano dall'intreccio con le regole del diritto societario nonché dalla speciale potestà dell'ente, costituente al contempo un suo obbligo (art. 6 legge cit.), di adottare un proprio regolamento interno contenente i criteri e le regole per l'attuazione dello scambio mutualistico con i soci. Per meglio comprendere l'essenza del fenomeno, vanno nel dettaglio esaminate le due categorie di diritti che, in ragione della doppia natura del rapporto esistente tra le parti, competono al socio lavoratore: diritti rispettivamente derivanti dallo status di socio e dalla prestazione lavorativa che egli rende in favore della società, in forma subordinata o autonoma od in qualsiasi altra forma (cfr. art. 1, comma 3, legge 142 cit.). I diritti del socio I diritti riconducibili alla posizione di socio trovano primaria fonte negli art. 2511 e segg. c.c. Si sostanziano principalmente nel diritto di informazione e di controllo sulla gestione sociale, in particolare attraverso la possibilità di esame del libro dei verbali consiliari e del comitato esecutivo (artt. 2545 e 2545-bis c.c.). Di pari importanza le attribuzioni, previste dagli artt. 2538 e segg c.c., in favore dell'assemblea della società cooperativa, sede paradigmatica della democrazia partecipativa all'interno dell'ente. Da sottolinearsi anche la regola del voto capitario (una testa un voto: qualunque sia la quota di capitale posseduta, il valore del voto del socio in assemblea è sempre uguale ad uno), volta a contrastare la concentrazione in poche mani della proprietà della società. Altre norme di particolare rilievo attengono all'estinzione del duplice rapporto tra il socio lavoratore e la cooperativa. Sia che avvenga attraverso il recesso (art. 2532 c.c.) che per esclusione del socio (art. 2533 c.c.). Ciò in considerazione della preminenza del rapporto associativo su quello di lavoro (su cui, amplius infra). I diritti del lavoratore Quanto ai diritti connessi al rapporto di lavoro, l'art. 2 legge n.142/2001 prevede espressamente che ai soci lavoratori di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato deve interamente applicarsi lo Statuto dei lavoratori, con esclusione dell'articolo 18 ogni volta che venga a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo. Dal canto suo, l'esercizio dei diritti relativi all'attività sindacale (come sanciti dal titolo III del cit. Statuto) trova applicazione compatibilmente con lo status di socio lavoratore, secondo quanto determinato da accordi collettivi tra associazioni nazionali del movimento cooperativo e organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative. La giurisprudenza ha circoscritto molto tale giudizio di compatibilità, ad esempio valutando quale comportamento antisindacale ai sensi dell'art. 28 dello Statuto medesimo il rifiuto espresso da parte della cooperativa di riconoscere ai propri soci lavoratori il diritto di partecipare ad assemblee retribuite convocate ai sensi dell'art. 20 della stessa legge 300 e dell'art. 2 legge 3 aprile 2001 n. 142 (Trib. Cuneo, 5/1/2002, in DL Riv. critica dir. lav. 2002, 71; Trib. Roma, 23/1/2003, in Riv. giur. lav. 2004, II, 388). Analoghe considerazioni valgono in tema di rappresentanze sindacali aziendali (r.s.a.), il cui diritto alla costituzione ed all'esercizio delle relative facoltà era stato peraltro riconosciuto ai soci lavoratori di cooperativa ancor prima dell'emanazione della legge 142 (cfr. Tribunale Milano, 14/07/1999, in DL Riv. critica dir. lav. 1999, 813; Pret. Roma, 28/12/1988, in Riv. Giur. Lav., 1989, II, 335). L'art. 2 cit. prevede inoltre anche per i soci "non subordinati" l'efficacia delle norme dello Statuto relative alla libertà di opinione ed espressione, al divieto di indagini sulle stesse, al diritto di associazione e di attività sindacale ed il divieto di atti discriminatori. Sempre in forza di tale disposizione, si applicano al socio lavoratore, titolare di rapporto di lavoro subordinato o meno che sia, tutte le vigenti disposizioni in materia di sicurezza e igiene del lavoro. Infine, quanto alla contribuzione previdenziale ed assicurativa, l'art 4 della legge richiama la disciplina vigente per le diverse tipologie di rapporti di lavoro adottabili dal regolamento delle società cooperative, con l'inderogabile limite che i trattamenti economici dei soci lavoratori con i quali si è instaurato un rapporto di tipo subordinato debbono essere considerati, agli effetti previdenziali, reddito da lavoro dipendente, ad eccezione dei ristorni. Il duplice rapporto e la sua fase estintiva Come accennato, le cooperative di produzione e lavoro nello svolgimento della loro attività si avvalgono prevalentemente delle prestazioni lavorative dei soci (art. 2512, c. 1 n. 2, c.c.), ai quali, in attuazione dello scopo mutualistico, offrono occasioni di lavoro a condizioni possibilmente più vantaggiose di quelle che otterrebbero sul mercato (così almeno, in proposito, si esprimeva la Relazione del Ministro Guardasigilli al Codice Civile del 1942). Tra il socio lavoratore e la cooperativa di produzione e lavoro si instaurano pertanto due distinti rapporti giuridici: quello societario o associativo, da una parte; e quello di lavoro, dall'altra. Ne discende che il socio è tenuto alla sua prestazione lavorativa in adesione allo statuto dell'ente, comprensivo quest'ultimo anche delle disposizioni del regolamento interno, e lo svolgimento della stessa si presenta come adempimento del contratto sociale, divenendo prestazione “ulteriore” rispetto al rapporto associativo-societario (art. 1, c. 3, legge n. 142/2001). Il legislatore del 2001, consapevole dei precedenti contrasti interpretativi sulla natura del lavoro cooperativo, ha poi accentuato l'inerenza della prestazione di lavoro del socio allo scopo mutualistico: attraverso un'interdipendenza asimmetrica tra i due rapporti. Secondo la nuova ed espressa disciplina, infatti, è il rapporto di lavoro ad essere influenzato, nella sua fase estintiva, dalle vicende del connesso rapporto associativo. Non viceversa. In particolare, il rapporto di lavoro si estingue automaticamente con il recesso o l'esclusione del socio deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie ed in conformità con le disposizioni del Codice Civile (oggi, gli artt. 2532 e 2533 c.c.) relative al recesso ed all'esclusione del socio di cooperativa (art. 5, c. 2, legge n. 142/2001). In tale ambito, quindi, si valorizza la dipendenza del rapporto di lavoro da quello societario: mancando quest'ultimo, il primo non può ulteriormente protrarsi. E la sua ricostituzione passa necessariamente per l'invalidazione della delibera di esclusione (Cass., SS.UU., 20 novembre 2017, n. 27436). Piena legittimità ha per contro la figura del c.d. socio inerte, ovverosia dell'associato il quale, ancorché receduto od estromesso dal rapporto di lavoro, permanga nella compagine sociale partecipando alla vita ed alle scelte dell'impresa. Cionondimeno, i due rapporti, sebbene collegati, mantengono ciascuno un'autonoma disciplina. La teoria dualistica, o del doppio binario, già prima della novella si era nel tempo sempre più affermata, in dottrina come nella giurisprudenza, ed il legislatore non poteva non prenderne atto. Tanto che, per valutazione oggi comunemente condivisa, il rapporto del socio cooperatore si considera caratterizzato da una molteplicità di cause negoziali collegate e dalla connessa coesistenza di una pluralità di tutele, quella giuslavoristica e quella societaria. Per conseguenza, nell'individuare le tutele in caso di licenziamento, l'attuale orientamento della giurisprudenza legittimità, sulla scorta della cit. propria pronuncia a Sezioni Unite n. 27436/2017, afferma che la mancata impugnazione della delibera di esclusione impedisce di applicare la tutela reale a seguito dell'impugnazione del solo licenziamento pur illegittimo. Per converso, l'avvenuta impugnazione della delibera di esclusione consente di applicare la tutela restitutoria propria della disciplina delle cooperative. Nel secondo caso, pertanto, annullata la delibera di esclusione da socio, il giudice dovrà ordinare il ripristino sia del rapporto associativo, sia di quello di lavoro, visto il collegamento “unidirezionale” fra i due rapporti come delineato dalla legge n. 142/2001. Sul piano risarcitorio, si precisa, la tutela accordabile al socio lavoratore va però rinvenuta nel regime civilistico (pagamento delle retribuzioni perdute, a decorrere dalla costituzione in mora) e non in quello dettato dall'art. 18 legge n. 300/1970, norma quest'ultima la cui applicazione come detto è espressamente esclusa dall'art. 2, co. 1, legge n. 142/2001 (cfr. Cass. n.31469/2023; conformi, Cass. n.24917/2014; Cass. 14741/2011). Da segnalare poi, in ambito processuale, la regola recentemente introdotta dall'art. 441-ter c.p.c. (in vigore per i procedimenti instaurati successivamente al 28/2/2023). Essa prevede che le controversie aventi ad oggetto l'impugnazione dei licenziamenti dei soci delle cooperative sono assoggettate alle norme previste per il rito del lavoro. Tale norma, nel riprendere un principio già consolidato nella giurisprudenza, apparentemente, stando alla lettera della disposizione, lo circoscrive alle sole controversie aventi ad oggetto l'impugnazione dei licenziamenti e le questioni relative al rapporto associativo eventualmente (e contestualmente) proposte. Il regolamento interno La legge n.141/2001, volendo incrementare le garanzie per i soci lavoratori, all'art. 6 ha previsto la necessaria adozione da parte delle cooperative di produzione e lavoro di un regolamento, approvato dall'assemblea, che anzitutto preveda la tipologia dei rapporti che si intendono attuare, in forma alternativa, con i soci stessi. Il regolamento deve essere depositato entro trenta giorni dall'approvazione presso la Direzione provinciale del lavoro competente per territorio. Tale termine, non perentorio, è da ritenersi valido anche per le modifiche apportate al regolamento. L'adozione del regolamento interno, dunque, non è facoltativa ma obbligatoria per la cooperativa. L'art. 23 sexies della legge 31 dicembre 2004 n.47 prevede al riguardo che, in caso di mancata adozione, la cooperativa è soggetta alla sanzione della gestione commissariale di cui all'art. 2545 sexiesdecies c.c.; ed in tale situazione la cooperativa non potrà stipulare con i soci rapporti di lavoro diversi da quello subordinato né deliberare i piani di crisi aziendale e di avviamento previsti dall'art.6 lett. d), e) ed f) legge n.142/2001. Quanto al contenuto “minimo”, lo stesso art.6 impone che il regolamento interno debba prevedere: a) il richiamo ai contratti collettivi applicabili, per ciò che attiene ai soci lavoratori con rapporto di lavoro subordinato; b) le modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative da parte dei soci, in relazione all'organizzazione aziendale della cooperativa e ai profili professionali dei soci stessi, anche nei casi di tipologie diverse da quella del lavoro subordinato; c) il richiamo espresso alle normative di legge vigenti per i rapporti di lavoro diversi da quello subordinato; d) l'attribuzione all'assemblea della facoltà di deliberare, all'occorrenza, un piano di crisi aziendale, nel quale siano salvaguardati, per quanto possibile, i livelli occupazionali e siano altresì previsti la possibilità di riduzione temporanea dei trattamenti economici integrativi di cui al comma 2, lettera b), dell'articolo 3 (cioè i ristorni) ed il divieto, per l'intera durata del piano, di distribuzione di eventuali utili; e) l'attribuzione all'assemblea della facoltà di deliberare, nell'ambito del piano di crisi aziendale di cui alla lettera d), f orme di apporto anche economico, da parte dei soci lavoratori, alla soluzione della crisi, in proporzione alle disponibilità e capacita finanziarie; f) al fine di promuovere nuova imprenditorialità, nelle cooperative di nuova costituzione, la facoltà per l'assemblea della cooperativa di deliberare un piano d'avviamento alle condizioni e secondo le modalità stabilite in accordi collettivi tra le associazioni nazionali del movimento cooperativo e le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative. Il trattamento economico Anche per il socio lavoratore, come per ogni lavoratore subordinato, il trattamento retributivo è proporzionato alla quantità ed alla qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale (art. 3, comma 1, legge n.142/2001). La regola è ribadita all'art. 6 della medesima legge: ove, dopo essersi stabilita al primo comma la necessità che il regolamento interno della cooperativa richiami i contratti collettivi applicabili ai soci lavoratori con rapporto di lavoro subordinato, al comma 2 si prescrive che detto regolamento non contenga, a pena di nullità, disposizioni derogatorie in pejus rispetto al solo trattamento economico minimo di cui all'art. 3 comma 1 della stessa legge. Il rimando nella sostanza riguarda i minimi retributivi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine ovvero, per i rapporti di lavoro diversi da quello subordinato, in assenza di contratti o accordi collettivi specifici, ai compensi medi in uso per prestazioni analoghe rese in forma di lavoro autonomo. Tale disciplina è senz'altro volta a garantire ai soci lavoratori di cooperativa un trattamento economico adeguato al valore della prestazione svolta, in aderenza ai principi costituzionali di proporzionalità e sufficienza della retribuzione (art. 36 Cost.). Inoltre, essa corrisponde a ragioni di equità nel campo dell'iniziativa economica: essendo volta a favorire la leale e libera concorrenza tra imprese ed a contrastare deleteri fenomeni originati dall'erogazione di retribuzioni inferiori a quelle generalmente praticate. A tal fine, il legislatore è ulteriormente intervenuto dettando il criterio per individuare lo specifico CCNL a cui parametrare la retribuzione del socio lavoratore. Le società cooperative debbono infatti applicare i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria (art. 7, c. 4, D.L. n.248/2007). Si è così affermato il principio della prevalenza del contratto collettivo leader, ritenuto, meglio di altri, capace di recepire l'andamento delle dinamiche retributive nei vari settori in cui operano le società cooperative. La Corte Costituzionale ha confermato la legittimità della soluzione rispetto ai canoni dettati dall'art. 39 Cost.: il rinvio normativo in questione, lungi dall'assegnare ai contratti stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative efficacia erga omnes, secondo la Consulta si limiterebbe a richiamare i trattamenti economici complessivi minimi previsti dagli stessi quale parametro esterno di commisurazione, da parte del giudice, della proporzionalità e sufficienza ex art. 36 Cost. del trattamento economico da corrispondere al socio lavoratore (C. Cost. 26 marzo 2015 n.51). A tale affermato principio costituzionale si è in seguito attenuta la giurisprudenza (cfr. Cass. 6 dicembre 2021 n. 3866/2021; Cass. n.4621/2020; Cass. n.28289/2019). Importante opera dell'interprete è inoltre quella di delimitare, nell'ambito di ciascun CCNL, il minimo contrattuale di riferimento. Il che involge i rapporti tra regolamento interno di cooperativa e contratto collettivo: in particolare, la possibilità per il primo di derogare al secondo. L'opinione al riguardo prevalente (cfr. Cass. n.5189/2019; Cass. n. 17583/2014) indica che in tale “minimo” debba ricomprendersi non soltanto la retribuzione di livello o tabellare (paga base, contingenza EDR e tredicesima) ma anche le altre voci retributive contrattuali concorrenti a formare il trattamento complessivo previsto dallo stesso CCNL. Esemplificando, nel novero rientrano le voci retributive fisse in relazione all'orario contrattuale, il numero delle mensilità e gli scatti di anzianità, con l'obbligo altresì di applicare gli istituti normativi che la legge disciplina per la generalità dei lavoratori, quali TFR, ferie, etc. (cfr. Circ. Min. Lav. 17 giugno 2002 n. 34 e 18 marzo 2004n.10). Secondo altri, invece, deroghe peggiorative per il socio lavoratore potrebbero, in sede regolamentare, essere introdotte con riferimento alle voci retributive non fisse, quali ad esempio le maggiorazioni per il lavoro straordinario e notturno (cfr. Trib. Perugia 25/2/2010, in Banca dati Leggi d'Italia – Corti di merito). Inoltre, previa deliberazione assembleare di un piano di crisi aziendale (necessariamente temporaneo, cfr. Cass. 8 febbraio 2021 n.2967), la cooperativa può prevedere la riduzione momentanea dei trattamenti economici integrativi ed il divieto di distribuzione degli utili (art. 6, c.1. lett. d, L. 142/2001). Va inoltre dato conto che, sempre a cagione della duplicità del rapporto intercorrente tra il socio lavoratore e la cooperativa, il legislatore ha ritenuto opportuno affiancare all'equa e proporzionata retribuzione del socio lavoratore modalità di remunerazione del medesimo tipiche del rapporto associativo, le quali rappresentano forme di compenso ulteriori rispetto a quelle riconducibili all'art. 36 Cost. La legge prevede che gli accordi collettivi possano stabilire maggiorazioni retributive quale corrispettivo del rapporto di lavoro (comma 2, lett. a, art. 3 cit.). La natura dei particolari emolumenti è confermata dalla Circ. Min Lav. 17 giugno 2002 n.34 che li qualifica, appunto, come un secondo livello retributivo. La relativa corresponsione, eventualmente anche in favore dei soci con rapporto di lavoro non subordinato, deve essere deliberata dall'assemblea della coop. nella misura e secondo modalità d'erogazione previste negli accordi collettivi. Ulteriore vantaggio mutualistico, previsto dall'art .3, comma 2, lett. b, legge 142/2001, è il ristorno. I ristorni rappresentano una delle modalità tipiche con cui la cooperativa riconosce ai soci cooperatori il vantaggio mutualistico ovverosia la restituzione, differita e parziale, in termini di risparmio di spesa o di maggiore retribuzione, dei ricavi realizzati in proporzione all'apporto reso. L'istituto, nei suoi tratti generali, è disciplinato dall'art. 2545-sexies c.c. La giurisprudenza, nel determinarne la nozione, afferma che i ristorni vanno tenuti distinti dagli utili in senso proprio: costituendo questi ultimi una remunerazione del capitale e, pertanto, da distribuirsi in proporzione ai conferimenti effettuati da ciascun socio (Cass. n. 10641/2015; Cass. n. 9513/1999; App. Milano, 10 giugno 2003). Nelle cooperative di produzione e lavoro, pertanto, il ristorno costituisce una integrazione della retribuzione del socio. Caratteristica comune ai ristorni ed agli utili è l'aleatorietà, in quanto la società può distribuirli solo se la gestione mutualistica dell'impresa si chiuda con un'eccedenza dei ricavi rispetto ai costi. Ed in effetti la legge non riconosce al socio di cooperativa un diritto soggettivo al ristorno, così come non riconosce ad ogni altro socio di società di capitali un diritto alla distribuzione degli utili, restando in entrambi i casi le aspettative del socio subordinate alle deliberazioni della assemblea, su proposta degli amministratori, in sede di approvazione del bilancio (Cass. n. 9513/1999). Altra caratteristica del ristorno è la corresponsione differita. Tale remunerazione integrativa non è attuata con la periodica retribuzione della prestazione lavorativa ma in sede di approvazione bilancio di esercizio. I ristorni non possono superare il 30% del trattamento retributivo complessivo corrisposto ai soci lavoratori in corso d'anno (lett. b art. 3, c.2, cit.); in esso compresi, quindi, sia eventuali superminimi attribuiti singolarmente o collettivamente ai soci, sia i trattamenti economici ulteriori erogati a titolo di maggiorazione retributiva, di cui alla citata lett. a). Qualora l'erogazione avvenga per percentuali superiori, il ristorno costituisce, quantomeno per la parte eccedente, una distribuzione di utili o dividendi, dovendosi in tal caso applicare il relativo regime giuridico. In quanto elemento integrativo della retribuzione, il ristorno non ė assoggettato a contribuzione previdenziale (art. 4, c. 2, L. 142/2001) ma solo a ritenuta fiscale, secondo l'ordinaria imposizione prevista per il tipo di reddito conseguente alla tipologia contrattuale adottata nell'espletamento della prestazione lavorativa. Tale esonero contributivo, circoscritto agli “effetti previdenziali”, non si estende pertanto ai premi assicurativi INAIL. Riferimenti Normativa:
Giurisprudenza:
Prassi:
|