Associazione in partecipazione

Marco Giardetti
15 Marzo 2023

L'associazione in partecipazione, regolata dall'art. 2549 c.c. e seguenti, è il negozio giuridico con il quale una parte (l'associante) attribuisce ad un'altra (l'associato) il diritto ad una partecipazione agli utili della propria impresa o, in base alla volontà delle parti contraenti, di uno o più affari determinati, dietro il corrispettivo di un apporto da parte dell'associato. Tale apporto, mentre in passato, secondo la giurisprudenza prevalente, poteva essere di natura patrimoniale ma anche consistere nell'apporto di lavoro, o nell'apporto misto capitale/lavoro, oggi invece potrà essere solo in capitale se l'associato risulti una persona fisica. Diversamente, in caso di persona giuridica, la precedente disciplina resta immutata.

Inquadramento

L'associazione in partecipazione è il contratto con il quale una parte (l'associante) attribuisce all'altra (l'associato) una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari, verso il corrispettivo di un determinato apporto.

Dunque, elementi essenziali ed indefettibili del contratto, sono da considerarsi quelli desumibili dall'art. 2549 c.c. che delinea i confini del sinallagma contrattuale: da parte dell'associante, l'attribuzione all'associato di una partecipazione agli eventuali utili dell'impresa o di uno o più affari, e, da parte dell'associato, l'apporto.

Invero, in mancanza del citato apporto da parte dell'associato, si configurerebbe non un rapporto di associazione in partecipazione ma un contratto ex art. 2554 c.c., secondo comma, ovvero un contratto con il quale un contraente attribuisce la partecipazione agli utili e alle perdite della sua impresa, senza il corrispettivo di alcun determinato apporto.

In buona sostanza, l'associazione in partecipazione si distingue per essere caratterizzata dal sinallagma necessario tra partecipazione al rischio di impresa gestita dall'associante (che, per granitica giurisprudenza, non è da ritenersi escluso neppure nelle ipotesi in cui le parti abbiano concordato la partecipazione dell'associato ai soli utili e non alle perdite, atteso che l'associato comunque risulta soggetto al rischio economico legato ai risultati negativi conseguiti dall'impresa) e il conferimento dell'apporto da parte dell'associato.

Il contratto permette perciò all'associante, che è di regola un imprenditore, di reperire mezzi finanziari per lo svolgimento della propria attività o anche per il compimento di determinate operazioni economiche, senza gravarsi di oneri fissi in quanto, diversamente, parametrati sulla base della misura degli (eventuali) utili conseguiti.

Inoltre, l'associato, salva diversa pattuizione tra le parti, è esposto al corrispondente rischio di perdere il capitale apportato dato che, di regola, partecipa anche alle perdite dell'impresa associante o dell'affare, sia pure solo nei limiti dell'ammontare dell'apporto, secondo quanto previsto dall'art. 2553 c.c., il quale stabilisce, quale regola inderogabile, il divieto di porre a carico del medesimo perdite in misura superiore rispetto allo stesso.

Sulla disciplina dell'associazione in partecipazione in materia lavoro

L'associazione in partecipazione è un istituto toccato ben tre volte negli ultimi tre anni da Leggi di riforma.

Anzitutto la Legge n. 92/2012 (cd. Legge Fornero) che abrogando la previsione contenuta nella Legge Biagi all'art. 86, comma 2, ed al contempo, mediante un intervento sull'art. 2549 c.c. al fine di rafforzarne la disciplina antielusiva:

  • ha introdotto un numero massimo di tre associati in partecipazione nelle ipotesi di prestazione lavorativa, con l'importante esclusione da tale previsione delle ipotesi di impresa familiare in particolare nell'ipotesi in cui gli associati siano legati all'associante da rapporto coniugale, di parentela entro il terzo grado o di affinità entro il secondo. La violazione di tali limiti numerici comporta una presunzione assoluta circa la natura subordinata del rapporto di lavoro con tutti gli associati;
  • ha stabilito direttamente una presunzione assoluta ed una relativa di subordinazione,

eliminando la semplice sanzione dell'applicazione in favore dell'associato dei trattamenti economici previsti per il lavoratore subordinato e mantenendo condizioni al verificarsi delle quali il rapporto di lavoro degli associati in partecipazione deve intendersi, salvo prova contraria, di natura subordinata a tempo indeterminato, quali nello specifico:

  • assenza di partecipazione dell'associato agli utili dell'impresa o dell'affare;
  • mancata consegna del rendiconto previsto dell'art. 2552 c.c. che l'associante è obbligato a consegnare all'associato al compimento dell'affare, o dopo un anno se la gestione si protrae oltre tale limite;
  • prestazione dell'associato caratterizzata dalla mancanza dei requisiti di cui all'art. 69bis, comma 2, lettera a) introdotto proprio dalla riforma, ossia caratterizzata da una non elevata competenza tecnica e/o specializzata dell'associato.

Anche la Legge Giovannini è intervenuta sulla materia:

  • integrando l'articolo 2549 del codice civile, al fine di escludere dall'ambito applicativo della sanzione (consistente nella trasformazione del rapporto in contratto a tempo indeterminato) per violazione del numero massimo di associati (tre) in una medesima attività, gli associati nell'ambito di imprese mutualistiche individuati mediante elezione dell'assemblea (il cui contratto sia comunque certificato dagli appositi organismi di certificazione), nonché i rapporti tra produttori e artisti, interpreti ed esecutori, volto alla realizzazione di registrazioni (sonore, audiovisive o di sequenze di immagini in movimento);
  • estendendo le tutele introdotte dall'articolo 4, commi da 16 a 23, della legge n. 92 del 2012 in materia di contrasto del fenomeno delle cosiddette “dimissioni in bianco” anche ai contratti di associazione in partecipazione (di cui all'articolo 2549, secondo comma, del codice civile);
  • stabilizzando infine gli associati in partecipazione con apporto di lavoro.

L'art. 53 del Jobs Act (D.Lgs. n. 81/2015) ha invece abrogato ed eliminato dal panorama giuridico l'associazione in partecipazione con apporto di lavoro, esclusivo o in concorrenza con l'apporto di capitale, da parte delle persone fisiche.

Invero, il secondo comma dell'art. 2549 c.c., è sostituito come segue: “Nel caso in cui l'associato sia una persona fisica l'apporto di cui al primo comma non puo' consistere, nemmeno in parte, in una prestazione di lavoro”.

Pertanto tale contratto potrà essere stipulato solo laddove l'apporto di lavoro pervenga da una persona giuridica.

Se una disposizione di tal fatta potrebbe adombrare l'ipotesi di una totale abrogazione in quanto, in pratica, non ci sarebbero più rischi di contenziosi inerenti la subordinazione del rapporto, al contrario non elimina il problema atteso che in ogni caso sebbene l'associato sia una persona giuridica, non v'è dubbio che le prestazioni siano rese da dipendenti della stessa i quali potranno comunque andare a rivendicare nei confronti dell'associante la subordinazione mediante l'istituto della interposizione di manodopera.

Apporto dell'associato e presunzioni

Già la Riforma Fornero, prima dell'attuale totale abrogazione della possibilità da parte delle persone fisiche di concorrere all'associazione in partecipazione con apporto lavorativo, aveva già notevolmente circoscritto i casi di utilizzo dell'associazione in partecipazione con mero apporto di lavoro.

Invero, la citata riforma aveva introdotto, qualora l'apporto dell'associato consistesse anche od esclusivamente in una prestazione di lavoro, una presunzione assoluta di subordinazione laddove il numero degli associati impegnati in una medesima attività fosse superiore a tre.

In caso di superamento di tale limite numerico, tutti i rapporti (e non solo quelli eccedenti i tre) di associazione in partecipazione sarebbero stati considerati di natura subordinata.

Importante eccezione a tale limite numerico era data dalle ipotesi di impresa familiare, in particolare nell'ipotesi in cui gli associati fossero legati all'associante da rapporto coniugale, di parentela entro il terzo grado o di affinità entro il secondo.

In buona sostanza gli elementi del contratto di associazione in partecipazione sono:

  • gestione in capo all'associante;
  • diritto agli utili e di controllo sull'attività dell'associante in capo all'associato.

L'associante rimane, dunque, titolare dell'impresa, e come tale è l'unico soggetto a cui siano riferibili i rapporti giuridici (debiti – crediti) nei confronti dei terzi.

Ed infatti: “Il contratto di associazione in partecipazione, che si qualifica per il carattere sinallagmatico fra l'attribuzione da parte di un contraente (associante) di una quota di utili derivanti dalla gestione di una sua impresa e di un suo affare all'altro (associato) e l'apporto da quest'ultimo conferito, non determina la formazione di un soggetto nuovo e la costituzione di un patrimonio autonomo, né la comunanza dell'affare o dell'impresa, i quali restano di esclusiva pertinenza dell'associante. Ne deriva che soltanto l'associante fa propri gli utili e subisce le perdite, senza alcuna partecipazione diretta ed immediata dell'associato, il quale può pretendere unicamente che gli sia liquidata e pagata una somma di denaro corrispondente alla quota spettante degli utili e all'apporto, ma non che gli sia attribuita una quota degli eventuali incrementi patrimoniali, compreso l'avviamento, neppure se ciò le parti abbiano previsto nel contratto, in quanto una clausola di tal fatta costituisce previsione tipica dello schema societario, come tale incompatibile con la figura disciplinata dagli art. 2549 ss. c.c., con la conseguenza che al contratto complesso, in tal modo configurabile, deve applicarsi soltanto la disciplina propria del contratto di associazione in partecipazione, ove sia accertato che la funzione del medesimo sia quella in concreto prevalente.” (Cass. Lavoro sentenza n. 13968/2011)

Al contrario, nei rapporti interni (tra associante ed associato), in linea di principio e salvo patto contrario, l'associato si assume il rischio di impresa.

In ogni caso: “Il contratto di associazione in partecipazione prevede una serie di elementi (partecipazione agli utili, gestione da parte dell'associante, rendiconto), al contrario per la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato occorre provare la subordinazione almeno nella fase operativa del rapporto.” (Tribunale Lavoro di Bologna, sentenza del 20 maggio 2015).

Presunzione relativa di subordinazione

La Riforma Fornero aveva introdotto una presunzione relativa di subordinazione al ricorrere di determinati requisiti quali la mancata partecipazione agli utili o la mancata consegna del rendiconto della gestione. Tale presunzione tuttavia, poteva esser vinta qualora l'Associante avesse fornito la prova contraria, o qualora, l'attività oggetto della prestazione lavorativa dell'associato si fosse caratterizzata per elevate competenze teoriche o capacità tecnico – pratiche. Pertanto era importante inserire in un eventuale contratto la clausola in virtù della quale:

  • l'Associante esprimeva la sua volontà di assegnare le attività oggetto del contratto ad un soggetto dotato di competenze tecniche di grado elevato;
  • l'Associato dal canto suo riconosceva espressamente che le attività alle quali era chiamato richiedono preparazione tecnico – professionale estremamente elevata al contempo dichiarando di essere in possesso delle relative competenze indicando altresì le esperienze professionali da cui le aveva tratte ed acquisite.

Agendo in tal modo sarebbe stato possibile superare qualsivoglia presunzione relativa di parasubordinazione avesse dovuto risultare operante in relazione al contratto.

In evidenza: giurisprudenza

“Il rapporto di lavoro subordinato si distingue da altri tipi di rapporto, quale, nella specie, l'associazione in partecipazione con apporto di prestazioni lavorative, in ragione dello specifico assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro, il quale non può esprimersi in un generico coordinamento, mediante direttive di carattere generale, potendo anche l'associato in partecipazione essere assoggettato a direttive e istruzioni di carattere generale, nonché ad un'attività di coordinamento organizzativa, dovendo invece consistere nell'adozione di ordini specifici, reiterati e intrinsecamente inerenti la prestazione di lavoro, contestualmente, all'effettivo inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale (Cass. Lav. Sentenza n. 1692/2015)

Come anticipato, a seguito della riforma introdotta con il D.Lgs. n. 81/2015, dette accortezze non sono più necessarie, in quanto attualmente è totalmente esclusa a livello normativo la possibilità di concorrere all'associazione in partecipazione da parte delle persone fisiche mediante l'apporto, anche non esclusivo, di prestazioni di lavoro.

Ad oggi, le accortezze di cui sopra dovranno certamente essere sostituite da altre volte ad evitare che i lavoratori alle dipendenze dell'associato persona giuridica possano rivendicare un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze dell'associante, secondo i criteri dell'interposizione di manodopera.

Partecipazione agli utili

Di particolare importanza è la previsione concernente la partecipazione agli utili da parte dell'Associato. Rappresenta come già visto in precedenza un elemento imprescindibile di tale tipologia contrattuale.

In particolare l'associato, quale corrispettivo dell'apporto fornito, avrà diritto, alla scadenza del contratto, al capitale apportato aumentato degli eventuali utili realizzati, nella percentuale pattuita. In assenza di diversa pattuizione, il contratto comporterà la partecipazione dell'associato alle eventuali perdite registrate dalla gestione dell'affare (o degli affari) oggetto del contratto, partecipazione che non potrà, in alcun caso, superare l'ammontare dell'apporto vale a dire del capitale o del lavoro apportato, suscettibile, anche quest'ultimo, di una valutazione economica.

Obbligo di rendiconto

Essenziale sarà la previsione dell'obbligo di rendiconto in capo all'associante. Ciò vuol dire che è diritto dell'associato prendere visione dello stesso e la mancata presentazione è indice di subordinazione (presunzione relativa) come stabilito dalla recente Riforma Fornero. Il rendiconto è sostanzialmente il conto dei profitti e delle perdite e per essere analizzato comporta, in concreto, il diritto a poter esaminare tutti i documenti relativi all'amministrazione della società.

Esame scritture contabili

Anche il diritto di prendere visione delle scritture contabili è un importante tassello volto ad eliminare, almeno in linea di principio e salvo lo svolgimento reale del rapporto, una presunzione di subordinazione, in quanto è attraverso anche tale diritto che si consente all'associato di avere la diretta gestione dell'affare unitamente all'associante;

Durata del contratto

La durata del contratto di associazione in partecipazione varia a seconda della forma che lo stesso andrà ad assumere. Ed infatti qualora lo si voglia limitare al compimento di un singolo affare allora sarà opportuno indicare un termine finale. Qualora invece si intenda stipulare il contratto a tempo indeterminato, allora non sarà necessaria indicazione di alcun termine, ma la semplice specificazione che il contratto deve intendersi stipulato in tale ultima forma.

Orientamenti a confronto

ORIENTAMENTI A CONFRONTO

La possibilità delle parti di legare la partecipazione dell'associato ai ricavi di impresa anziché agli utili.

Poiché le parti sono libere di determinare la partecipazione economica dell'associato, questa può ben essere commisurata ai soli ricavi, perche anche in tal caso, (...), non v'è dubbi che sussiste pur sempre un diretto coinvolgimento dell'associato nelle fortune dell'impresa (Cass. Sentenza n. 3894/2009)

Partecipazione dell'associato agli utili dell'impresa, e non ai ricavi.

Nel contratto di associazione in partecipazione, che mira, nel quadro di un rapporto sinallagmatico con elementi di aleatorietà, al perseguimento di finalità in parte analoghe a quelle dei contratti societari, è elemento costitutivo essenziale, come si evince chiaramente dall'art. 2549 c.c., la pattuizione a favore dell'associato di una prestazione correlata agli utili dell'impresa, e non ai ricavi, i quali ultimi rappresentano in se stessi un dato non significativo circa il risultato economico effettivo dell'attività dell'impresa. (Cass. Sentenza n. 1420/2002)

Casistica

CASISTICA

Limitazione o esclusione della partecipazione alle perdite da parte dell'associato

E' associazione in partecipazione anche quando il guadagno dell'associato è collegato al fatturato. La partecipazione dell'associato, infatti, può essere commisurata anche ai soli ricavi. (Cass. Sentenza n. 3894/2009)

Controllo della gestione d'impresa da parte dell'associato

La partecipazione al rischio d'impresa da parte dell'associato caratterizza la causa tipica dell'associazione in partecipazione. Ulteriori elementi caratterizzanti il contratto di associazione in partecipazione sono il controllo della gestione dell'impresa da parte dell'associato (art. 2552 comma 2 c.c.) e il periodico rendiconto dell'associante (art. 2552 comma 3 c.c.). (Cass. Lavoro, Sentenza n. 2496/2012)

Riferimenti

Giurisprudenza:

Per i recenti orientamenti sul tema, v. Cass. sez. trib., 15 marzo 2023, n.7514

Cass., sez. lav., 16 dicembre 2022, n.37019

Normativi:

Art. 53, D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81

Art. 2549 c.c.

Art. 2550 c.c.

Art. 2551 c.c .

Art. 2552 c.c .

Art. 2553 c.c.

Art. 2554 c.c.

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