Orario di lavoroFonte: D.Lgs. 8 aprile 2003 n. 66
02 Aprile 2024
Inquadramento Sul piano europeo, la direttiva 2003/88 è oggi la fonte principale di disciplina in materia. La ratio della direttiva era quella di fissare alcune prescrizioni minime in materia di orario di lavoro a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori da far valere in tutti gli Stati membri. I principi generali in materia di orario di lavoro sono stati “costituzionalizzati” con la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea che all'art. 31 prevede il diritto di ogni lavoratore «a una limitazione della durata massima di lavoro, a periodi di riposo giornaliero e settimanale e alle ferie annuali retribuite». L'Italia ha dato attuazione alla normativa europea con il D.lgs. n. 66/2003 (da ultimo modificato con la L. n. 145/2018). Introduzione La disciplina dell'orario di lavoro è stata riformata dal D.lgs. 8 aprile 2003, n. 66, introducendo principi innovativi e una disciplina organica dei tempi di lavoro. Recependo le indicazioni delle direttive comunitarie, viene stabilita una nozione flessibile di orario di lavoro, perdendo la caratteristica di schema rigido e adattandosi alle mutevoli esigenze produttive. Tale provvedimento, entrato in vigore dal 29 aprile 2003, ha abrogato tutte le disposizioni legislative e regolamentari in materia di orario di lavoro e di riposi giornalieri, settimanali e annuali, fatte salve le disposizioni espressamente richiamate nel decreto e le disposizioni aventi carattere sanzionatorio. Le parti sociali assumono un ruolo centrale nella definizione dell'orario di lavoro in quanto, in sede di contrattazione collettiva, possono stabilirne la regolamentazione sulla base delle esigenze dell'impresa. Le disposizioni contenute nel D.lg. n. 66/2003 si applicano a tutti i settori pubblici e privati, fatte salve le eccezioni previste all'art. 2 del medesimo decreto (es. il personale di volo nell'aviazione civile; personale della scuola; forme armate) Il datore di lavoro, nell'esercizio del suo potere direttivo ed organizzativo, in assenza di limitazioni di origine contrattuale (sia individuale che collettiva), può distribuire l'orario di lavoro in modo libero e discrezionale, ma non arbitrario. L'orario individuale di lavoro deve comunque essere sempre specificato nella lettera di assunzione. Definizione Si considera orario di lavoro qualsiasi periodo il un cui il lavoratore sia sul luogo di lavoro, a disposizione del datore e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni.
Per i lavoratori che non abbiano una sede di lavoro fissa o abituale il tempo di spostamento che gli stessi impiegano per gli spostamenti quotidiani tra il loro domicilio ed i luoghi dove si trovano il primo e l'ultimo cliente indicati dal loro datore di lavoro costituisce orario di lavoro (Corte Giust. UE 10 settembre 2015, causa C-266/14). Il Ministero del Lavoro, con risposta ad interpello n. 15 del 2 aprile 2010, ha precisato che il tempo impiegato dal lavoratore per raggiungere la sede di lavoro durante la trasferta non costituisce esplicazione dell'attività lavorativa. Il disagio che ne deriva al lavoratore è assorbito dall'indennità di trasferta. Tempo tuta Gli orientamenti più recenti affermano che non vi è eterodirezione se il lavoratore è libero di compiere la procedura nel momento e nel luogo che preferisce (ad es. presso la propria abitazione), poiché in tale ultima ipotesi essa rientra negli atti di diligenza preparatoria allo svolgimento dell'attività lavorativa (Cass., sez. lav., n. 33937/2023; Cass., sez. lav., n. 37286/2019; Cass., sez. lav., n. 7738/2018; Cass., sez. lav., n. 12935/2018; Cass., sez. lav., n. 27799/2017; CdgUE 10 settembre 2015, C-266/14) Modifica orario di lavoro Le modifiche dell'orario di lavoro possono avere ad oggetto la durata e la distribuzione dello stesso. Relativamente alle variazioni in aumento, posto che non si possono unilateralmente superare i limiti previsti dalla legge o dalla contrattazione collettiva, il datore di lavoro potrà richiedere lo svolgimento di prestazioni straordinarie (si veda infra). Le variazioni in diminuzione dell'orario di lavoro non possono essere unilateralmente disposte dalla parte datoriale, salvo ipotesi espressamente previste dalla legge (es. casi di cassa integrazione). Sul punto è stato precisato che la previsione dell'art. 8, comma 1, D.lgs. n. 81/2015 sebbene escluda che il rifiuto da parte del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro da full time a part time possa costituire, ex se, un giustificato motivo di licenziamento, non è preclusa in termini assoluti la facoltà di recesso datoriale quale conseguenza di tale rifiuto. Il datore di lavoro, infatti, dovrà dimostrare le esigenze economiche e organizzative che non consentano il mantenimento della prestazione a tempo pieno, l'avvenuta proposta al dipendente della trasformazione a tempo parziale del rapporto e il rifiuto da parte dello stesso di aderire a una tale proposta, nonché il nesso causale tra le esigenze di riduzione dell'orario e il licenziamento (Cass., sez. lav., n. 4350/2024; Cass., sez. lav., n. 12244/2023; Cass., sez. lav., n. 28862/2023; Cass., sez. lav., n. 29337/2023). Durata settimanale dell'orario di lavoro L'orario normale di lavoro viene definito dall'art. 3 D.lgs. n. 66/2003 come il periodo oltre il quale le prestazioni rese devono qualificarsi come lavoro straordinario. L'orario di lavoro settimanale è fissato in 40 ore, laddove per “settimanale” deve intendersi un periodo di 7 giorni. L'art. 16 del D.lgs. n. 66/2003 individua, fatte salve le condizioni di miglior favore stabilite dai contratti collettivi, le ipotesi di esclusione dall'ambito di applicazione della disciplina della durata settimanale dell'orario di lavoro. I contratti collettivi possono stabilire l'orario normale, non sulla singola settimana, ma su di un periodo medio che non può essere superiore all'anno. Tale criterio, obbliga di qualificare come ore di lavoro straordinario solo le ore di lavoro eccedenti rispetto alla media alla fine dell'intero periodo considerato. Con riferimento al lavoro straordinario, il datore di lavoro non può richiederne lo svolgimento senza che vi sia stato un qualche accordo collettivo o individuale. Allo stesso modo, non è consentito al lavoratore effettuare di propria iniziativa prestazioni straordinarie. Alla imprescindibilità di un accordo sul lavoro straordinario è correlata la possibilità per il dipendente di rifiutarsi di svolgere la prestazione straordinaria. In presenza di accordo collettivo o individuale e, dunque, di una clausola contrattuale che autorizzi il datore alla richiesta, il rifiuto dovrà essere ritenuto illegittimo. Tuttavia, qualora la clausola negoziale subordini il potere datoriale di richiedere lo straordinario all'espletamento di particolari procedure e/o obblighi di informazione, concedendo al lavoratore anche la facoltà di opporre il rifiuto a fronte di giustificati motivi, la suddetta illegittimità non potrà ritenersi sussistente in modo automatico. Si precisa che la prova dell'effettivo svolgimento di lavoro straordinario e della durata spetta, ai sensi dell'art. 2697 c.c., al lavoratore che deve, quindi, dimostrare i fatti costitutivi del proprio diritto (Cass., sez. lav., n. 23506/2022; Cass., sez. lav., n. 4076/2018; Cass., sez. lav., n. 16150/2018)
Orario massimo L'art. 4 del D.lgs. n. 66/2003 definisce l'orario massimo di lavoro come il quantitativo totale di ore che possono essere effettuate. La sua durata viene fissata in 48 ore per un periodo di 7 giorni ed in tale limite sono comprese le ore di lavoro straordinarie. Il limite delle 48 ore non deve essere rispettato nella singola settimana lavorativa, in quanto lo stesso costituisce un valore medio che deve essere parametrato su un periodo di 4 mesi. Tale periodo di riferimento è fissato dalla legge, ma può essere aumentato a 6 o 12 mesi mediante specifica previsione del contratto collettivo. Nella media non vanno computate le assenze per ferie e malattie, mentre devono essere considerati i restanti periodi di assenza con diritto alla conservazione del posto. Pertanto, il criterio della media rende possibile lo svolgimento, in una singola settimana, di un quantitativo di ore eccedenti le 48, che può essere compensato in altre settimane durante le quali l'orario deve essere ridotto in misura tale da consentire il rispetto della media di 48. Tuttavia, il contratto collettivo può limitare la flessibilità di tale sistema, fissando un limite di ore che, in assoluto, possono essere lavorate nella singola settimana. L'orario massimo della singola settimana costituisce un vincolo inderogabile, mentre l'orario massimo medio deve essere rispettato sulla base della media nel periodo di riferimento (4, 6 o 12 mesi), consentendo, quindi, il superamento delle 48 ore nelle singole settimane lavorative. Si può dedurre che tra le due tipologie di “limiti” viene a crearsi uno stretto rapporto, poiché la possibilità di calcolare l'orario massimo medio risulta tanto più minimizzata, quanto più è ridotta la durata della singola settimana lavorativa. A seguito dell'approvazione del D.L. n. 138/2011 (conv. con mod. L. n. 148/2011), è stata ammessa la possibilità della contrattazione collettiva aziendale e territoriale di derogare sia la contrattazione collettiva (anche in assenza di delega), sia alla legge in materia di orario di lavoro, facendo comunque salvo il rispetto delle norme costituzionali e comunitarie. Pause Il riposo intermedio è un diritto del lavoratore finalizzato al recupero delle energie psico-fisiche e della eventuale consumazione del pasto. La regolamentazione di tale diritto è demandata alla contrattazione collettiva e, in difetto di disciplina negoziale, nel caso di prestazione lavorativa superiore alle 6 ore è prevista una pausa minima di 10 minuti (art. 8 D.lgs. n. 66/2003). Una disciplina specifica è prevista per i lavoratori cc.dd. videoterminali (artt. 173 ss. D.lgs. n. 81/2008). È opportuno precisare che ove sia prevista una pausa nello svolgimento dell'attività lavorativa, in difetto di una previsione di legge o contrattuale che ricomprenda il tempo da dedicare alla pausa nell'orario di lavoro, è onere del lavoratore allegare e dimostrare, ai fini della sua remunerazione, che tale tempo è connesso o collegato alla prestazione, è eterodiretto e non è lasciato, per la sua durata, nella disponibilità autonoma del lavoratore medesimo (Cass., sez. lav., n. 21562/2018) Lavoro notturno Non esiste una vera e propria definizione di lavoro notturno. L'art. 2108 c.c. si limita a riconoscere una maggiorazione per la prestazione notturna ove essa non sia ricompresa in regolari turni periodici, rinviando alla Legge ed alle pattuizioni collettive la determinazione del quantum. Il D.lgs. n. 66/2003 si limita a definire il “periodo notturno” (periodo di almeno 7 ore consecutive comprendenti l'intervallo tra la mezzanotte e le 5 del mattino) e il “lavoratore notturno”. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha precisato, con la circ. n. 8/2005, che deve considerarsi lavoratore notturno anche colui che non sia impiegato in modo normale durante il periodo notturno, ma che nell'arco dell'anno, svolga almeno 80 giorni di lavoro notturno, ossia, alla luce della modifica introdotta dalla L. n. 133/2008, in difetto di previsione collettiva, renda una prestazione giornaliera per almeno 3 ore). L'eventuale consenso alla prestazione notturna può essere reso anche oralmente o per fatti concludenti, considerato che solo per la manifestazione del proprio dissenso alla richiesta di lavoro notturno è prevista dall'art. 18-bis D.lgs. n. 66/2003 la forma scritta ed un preavviso di 24 ore al datore di lavoro. Si precisa che dall'accertamento dello stato di gravidanza le donne non possono essere svolgere la prestazione lavorativa dalle ore 24 alle ore 6. Non sono, inoltre, obbligati a prestare lavoro notturno:
In evidenza: Cass. sez. lav., n. 22384/2023 L'esonero dall'obbligo di lavoro notturno per ragioni di genitorialità di cui all'art. 53, comma 2, del D.lgs. n. 151/2001, si applica anche al personale di volo dell'aviazione civile, nonostante l'inapplicabilità delle disposizioni sull'orario di lavoro che disciplinano il lavoro notturno, atteso che con tale disposizione si è predisposto un nucleo minimo di tutela, assicurando indistintamente alla lavoratrice madre/lavoratore padre la facoltà di sottrarsi al lavoro notturno in ragione dell'intenso rapporto che lega il genitore al minore in tenera età. Sanzioni L'art. 18-bisdel D.lgs. n. 66/2003, da ultimo modificato con la L. n. 145/2018, prevede un articolato regime sanzionatorio per la violazione delle diverse norme in materia di orario di lavoro. La precitata L. n. 145/2018 (art. 1, co. 445) ha disposto un aumento delle sanzioni in materia di orario di lavoro. In particolare, sono state riviste le sanzioni applicabili in caso di violazione della disciplina dell'orario massimo di lavoro, nonché dei periodi di riposo. Sulla base del principio del tempus regit actum, suddetta maggiorazione trova applicazione in relazione a condotte realizzate a partire dal 1° gennaio 2019 (INL circ. n. 2 del 14 gennaio 2019, integrata con nota n. 1148 del 5 febbraio 2019, a chiarimento del regime della recidiva: le percentuali si intendono raddoppiate laddove il datore di lavoro, nei tre anni precedenti, sia stato destinatario di sanzioni amministrative o penali per i medesimi illeciti). Con lanota n. 2594 del 14 marzo 2019, l'INL ha ulteriormente precisato che la recidiva va individuata laddove l'illecito sia commesso dal "trasgressore" persona fisica ex L. n. 689/1981 che agisce per conto della persona giuridica. Non si avrà, dunque, un'ipotesi di recidiva qualora le sanzioni, pur riferibili indirettamente alla medesima persona giuridica, siano commesse da trasgressori diversi. Ai fini della recidiva devono essere considerati anche gli illeciti commessi prima dell'entrata in vigore della L. n. 145/2018, purché divenuti definitivi nei tre anni precedenti rispetto al nuovo illecito. Tale arco triennale si intende sia quale periodo in cui l'illecito è stato commesso sia quale periodo in cui lo stesso è stato definitivamente accertato. Banca ore Tale istituto costituisce una forma di flessibilizzazione dell'orario che consente al lavoratore di accantonare, su di un conto individuale, le ore prestate oltre le 40 settimanali e di utilizzarle, in un momento successivo, come riposi aggiuntivi. In aggiunta allo straordinario e alla maggiorazione retributiva, la contrattazione collettiva ha, dunque, la possibilità di regolamentare l'applicazione dell'istituto della “banca ore”. Le ore accantonate potranno essere: a) godute dal lavoratore in un momento successivo come riposo compensativo, senza l'utilizzo del monte ore di ferie o permessi e senza riduzione della retribuzione; b) oppure, convertite in denaro, per scelta del lavoratore, per scadenza dei termini contrattualmente previsti, o per cessazione del rapporto di lavoro. In sintesi, se il dipendente presta ore aggiuntive rispetto al normale orario di lavoro, tali ore potranno: - essere considerate come lavoro straordinario ed essere retribuite con le maggiorazioni previste dal contratto collettivo in base alla loro collocazione e durata; - essere accantonate nel conto banca ore individuale e solo eventualmente retribuite. Riferimenti Per i recenti orientamenti sul tema: Cass., sez. lav., 9 maggio 2023, n. 12244, con commento di E. Licciardi e E. Lorusso, Licenziamento per rifiuto della trasformazione del rapporto in part-time: legittimo solo se la richiesta datoriale è giustificata da ragioni oggettive; Cass., sez. lav., 20 aprile 2023, n. 10623, con commento di T. Zappia, Lavoro straordinario: è inammissibile il rifiuto da parte del lavoratore se la richiesta del datore rispetta i limiti previsti dal CCNL; Cass., sez. lav., 22 novembre 2023, n. 32418, con commento di V. M. Manzotti e G. Lavizzari, La retribuzione del periodo di guardia notturna in regime di reperibilità; Cass., sez. lav., 21 luglio 2023, n. 21934, con commento di D. Tambasco, Risarcibile in re ipsa il danno da usura psico-fisica in caso di significativa interferenza nella vita privata del lavoratore Normativa: Art. 1, co. 445, L. n. 145/2018 D. lgs. n. 81/2015 D.L. n. 138/2011 D.lgs. n. 81/2008 Art. 41, co. 2 e 3, D.L. n. 112/2008 Direttiva 2003/88 D.lgs. n. 66/2003 D.lgs. n. 151/2001 Art. 13, L. n. 196/1997 R.D.L. 15 marzo 1923, n.692 Giurisprudenza:
Prassi: Ispettorato Nazionale del Lavoro, Circolare 14 gennaio 2019, n. 2 Ministero del Lavoro, Circolare 28 agosto 2014, prot. 14876 Ministero del Lavoro, Circolare 4 marzo 2014, n. 5 Ministero del Lavoro, Circolare 3 marzo 2005, n. 8 INPS Circolare 17 febbraio 2000 n. 39 |