Part-time

Francesco Baldi
22 Novembre 2016

Scheda in fase di aggiornamento

Il c.d. part-time (o lavoro a tempo parziale) costituisce una peculiare modalità di svolgimento del rapporto di lavoro subordinato in cui la prestazione viene resa per un orario inferiore rispetto a quello indicato dalla legge (in media, quaranta ore settimanali) o, eventualmente, dai contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali (come prevede l'art. 3, co. 1 e 2, D.Lgs. n. 66/2003). La differenza rispetto al lavoro a tempo pieno, quindi, attiene solo alla durata della prestazione, ovvero ad un profilo quantitativo e non qualitativo. In linea generale, il lavoro part-time risulta compatibile tanto con un contratto di lavoro a tempo indeterminato quanto con uno a termine (art. 4, D.Lgs. n. 81/2015) ed è utilizzabile da ogni tipo di datore di lavoro (privato e pubblico, seppur quest'ultimo con le limitazioni previste dall'art 12 del D.Lgs. n. 81/2015) salvo che le peculiarità di alcune fattispecie contrattuali (es: apprendisti) ovvero disposizioni speciali, rendano incompatibile lo svolgimento della prestazione ad orario ridotto.

Inquadramento

Il c.d. part-time (o lavoro a tempo parziale) costituisce una peculiare modalità di svolgimento del rapporto di lavoro subordinato in cui la prestazione viene resa per un orario inferiore rispetto a quello indicato dalla legge (in media, quaranta ore settimanali) o, eventualmente, dai contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali (come prevede l'art. 3, co. 1 e 2, D.Lgs. n. 66/2003).

La differenza rispetto al lavoro a tempo pieno, quindi, attiene solo alla durata della prestazione, ovvero ad un profilo quantitativo e non qualitativo.

In linea generale, il lavoro part-time risulta compatibile tanto con un contratto di lavoro a tempo indeterminato quanto con uno a termine (art. 4, D.Lgs. n. 81/2015) ed è utilizzabile da ogni tipo di datore di lavoro (privato e pubblico, seppur quest'ultimo con le limitazioni previste dall'art 12 del D.Lgs. n. 81/2015), salvo che le peculiarità di alcune fattispecie contrattuali (es. apprendisti) ovvero disposizioni speciali, rendano incompatibile lo svolgimento della prestazione ad orario ridotto.


Da un punto di vista operativo, è indubbio che il part-time risulta funzionale ad esigenze di flessibilità del rapporto: infatti, è prevalentemente utilizzato da coloro (es. lavoratori anziani, lavoratori studenti, lavoratrici madri) che necessitano di conciliare la prestazione lavorativa con altre occupazioni, pur nell'ambito di uno stabile rapporto di lavoro. È pur vero, tuttavia, che nell'attuale contesto occupazionale e produttivo, il part-time è utilizzato anche nei riguardi di figure di alto profilo (es. dirigenti), disposte a sacrificare parte del proprio tempo di lavoro per investire in formazione diretta ad una loro crescita professionale.

Tutta la materia del part time è stata recentemente riformata dal decreto attuativo della delega del Jobs Act, “Riforma Contratti” (artt. 4-12, D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81) che ha riscritto l'intera normativa abrogando la precedente (D.Lgs. n. 61/2000). Lo scopo perseguito dal Legislatore è stato quello di favorirne l'utilizzo attraverso una semplificazione della disciplina, nella convinzione che il part-time possa contribuire in maniera importante alla ripresa occupazionale del nostro paese.

Certo è che sono diversi gli aspetti dell'istituto che, nel passaggio dalla vecchia alla nuova regolamentazione, possono produrre incertezze, e che la contrattazione collettiva, cui spesso il Legislatore rimanda per la concreta regolamentazione del rapporto, potrebbe non risolvere, almeno (se) e quando gli stessi contratti collettivi si saranno conformati alle modifiche (molte) introdotte dalla nuove norme.

Forma del contratto

Con riferimento al requisito della forma del contratto, la legge prescrive la forma scritta ad probationem (art. 5 co. 1, D.Lgs. n. 81/2015).

Ne deriva che, in caso di smarrimento del documento, la prova dell'assunzione con contratto a tempo parziale può essere fornita, secondo le regole generali di cui all'art. 2725 c.c. Gli unici mezzi di prova ammessi, in mancanza del documento scritto, saranno la confessione (art. 2730 c.c.) ed il giuramento decisorio (art. 2736, n. 1, c.c.), mentre la prova per testimoni sarà ammissibile sono in caso di smarrimento incolpevole del documento.

In mancanza di prova, le legge consente al lavoratore di ottenere una pronuncia giudiziale che dichiari la ricorrenza di un rapporto a tempo pieno tra le parti. Tali effetti, tuttavia, si produrranno solo dall'emissione del provvedimento, e quindi con efficacia non retroattiva (ex nunc), facendo salvo il periodo pregresso.

Si tratta, a ben vedere, di una vera e propria sanzione civile per il datore di lavoro che contravviene all'onere (o non assolve alla prova) di stipulare per iscritto il contratto di lavoro part-time.

Diversamente, qualora il lavoratore voglia rivendicare lo svolgimento di un rapporto di lavoro a tempo pieno (anche con riferimento al pregresso) e, conseguentemente, veder riconosciuto il diritto alla retribuzione ed al versamento dei contributi previdenziali per le prestazioni effettivamente rese, dovrà egli stesso dimostrare di aver lavorato per un numero di ore maggiore rispetto al quelle concordate (art. 10, co. 1, D.Lgs. n. 81/2015).

Contenuto

Il contratto di lavoro part-time, oltre a tutti gli elementi propri del contratto di lavoro, deve contenere la durata della prestazione lavorativa e la distribuzione dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese o all'anno (art. 5 co. 2 D.Lgs. n. 81/2015). Ciò rappresenta, conformemente alla natura dell'istituto, la garanzia per il lavoratori ad una precisa determinazione dei tempi di lavoro.

In evidenza: Tribunale di Milano 12/9/2008, dott. Mariani, in Lav. nella giur. 2009, 201

“Nel contratto di lavoro a tempo parziale devono essere indicate, oltre le mansioni, anche la distribuzione dell'orario di lavoro, con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno. Il ricorso al termine distribuzione e il riferimento congiunto a tutti i parametri temporali denotano con chiarezza che il Legislatore non ha considerato sufficiente che il contratto specifichi il numero di ore di lavoro al giorno in cui la prestazione lavorativa deve svolgersi, ma ha inteso stabilire che, se le parti si accordano per un orario giornaliero di lavoro inferiore a quello ordinario, di tale orario giornaliero deve essere determinata la distribuzione e cioè la collocazione nell'arco della giornata; se le parti hanno convenuto che il lavoro abbia a svolgersi in un numero di giorni alla settimana inferiore a quella normale, la distribuzione di tali giorni nell'arco della settimana deve essere preventivamente stabilita; se le parti hanno pattuito che la prestazione lavorativa debba occupare solo alcune settimane o alcuni mesi, deve essere preventivamente determinato dal contratto quali sono le settimane e i mesi in cui l'impegno lavorativo dovrà essere adempiuto. In definitiva il Legislatore ha escluso l'ammissibilità di qualunque forma di contratto a chiamata o a comando"

Nel caso in cui il lavoro sia organizzato in turni, il Legislatore, recependo le istanze che erano pervenute anche nella prassi, consente che la determinazione dei tempi di lavoro e della collocazione temporale della prestazione possa avvenire anche mediante rinvio ai turni programmati di lavoro articolati su fasce orarie prestabilite (art. 5 co. 2 D.Lgs. 81/2015).

In evidenza: Tribunale Milano 11/6/2007, Est. Di Ruocco, in Lav. nella giur. 2008, 319

“Nella nuova disciplina del part-time non c'è alcuna norma che vieti il lavoro su turni avvicendati, sicché, ove questo sia concordato preventivamente o a livello individuale o a livello collettivo e siano specificate le fasce orarie entro le quali può essere collocata la prestazione di lavoro del dipendente, il requisito legale di cui all'art. 2 del D.Lgs. n. 61/2000 può dirsi soddisfatto”

La mancata indicazione dei suddetti elementi, pur non portando alla nullità, determina l'invalidità del contratto, con conseguenze differenti a seconda dell'omissione riscontrata. In particolare:

  • la mancata indicazione della durata della prestazione legittima il lavoratore ad agire in giudizio per ottenere una sentenza dichiarative dell'esistenza di un rapporto a tempo pieno tra le parti, anche in tal caso a far data dalla pronuncia giudiziale (art. 10, co. 2 del D.Lgs. n. 81/2015).
  • In caso di mancata indicazione della collocazione temporale dell'orario, la legge prevede che sia lo stesso giudice a determinare le modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa a tempo parziale cercando di contemperare gli opposti interessi. A tal fine, il giudice deve tener conto delle responsabilità familiari del lavoratore interessato e della sua necessità di integrazione del reddito mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa, nonché delle esigenze del datore di lavoro (art. 10, co. 2 del D.Lgs. n. 81/2015).

Certo è che, riguardo a tale ultima previsione, sarebbe auspicabile una maggiore chiarezza da parte del Legislatore, onde circoscrivere il potere discrezionale riconosciuto al giudice nella determinazione dei tempi di lavoro, anche in considerazione dell'ampiezza e genericità dei criteri contemplati.

Con riferimento al periodo precedente alla pronuncia giudiziale, inoltre, il Legislatore ha previsto - in aggiunta alla retribuzione dovuta per le prestazioni effettivamente rese - un'ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno da liquidarsi dal giudice con valutazione equitativa (art. 10, co. 2 del D.Lgs. 81/2015).

Clausole elastiche

Elemento essenziale di un contratto di lavoro a tempo parziale è l'esatta indicazione dei tempi di lavoro, al fine di consentire al lavoratore di liberamente organizzare le proprie occupazioni ed evitare un uso fraudolento a suo danno.

Ne deriva che la possibilità di modificare quanto originariamente concordato, con riferimento all'organizzazione dell'orario, deve essere accompagnata da particolari cautele.

Le nuove norme, riformando incisivamente la vecchia disciplina di cui al D.Lgs. n. 66/2000, prevedono:

  • la formale eliminazione della distinzione tra clausole elastiche e flessibili (con assimilazione delle seconde nelle prime);
  • la definizione dei limiti entro cui è possibile ricorrere alle clausole elastiche anche in assenza di previsione collettiva;
  • le condizioni in cui il lavoratore può lecitamente revocare il consenso prestato.

Pertanto, la variazione della collocazione temporale ovvero della durata della prestazione risultante dal contratto, è ammessa solo su accordo delle parti e con riferimento al rispetto della disciplina della clausole elastiche, mentre è esclusa qualunque iniziativa unilaterale del datore di lavoro, anche se sorretta da legittimo motivo di carattere organizzativo.

Ai fini della validità delle clausole, quindi, è essenziale il consenso del lavoratore prestato per iscritto, consenso libero e non dovuto, per cui il rifiuto del lavoratore di fornire la propria disponibilità alla variazione dell'orario di lavoro non può costituire un giustificato motivo di licenziamento.

Il Legislatore delegato, inoltre (potenziando quanto già stabilito dall'art. 3, co. 7, D.Lgs. n. 61/2000) attribuisce ampia delega ai contratti collettivi che potranno disciplinare il potere del datore di lavoro di determinare la variazione degli elementi e il periodo di eventuale preavviso, una eventuale maggiorazione retributiva, nonché il potere da parte del lavoratore di revocare il consenso prestato in caso della ricorrenza di particolari condizioni, come pure prevedere limiti all'utilizzo di clausole flessibili.

Nell'ipotesi, poi, in cui il contratto collettivo applicato al rapporto nulla stabilisca al riguardo (ovvero le parti non siano tenute e non intendano fare applicazione, neanche spontanea, di nessun contratto collettivo), le clausole elastiche potranno essere stipulate davanti alle commissioni di certificazione con facoltà del lavoratore di farsi assistere un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro di sua fiducia.

In tal caso, la regolamentazione delle clausole elastiche sarà specificatamente contenuta nell'accordo sottoscritto tra le parti.

In ogni caso, la legge detta una tutela minima, per cui:

  • la misura massima dell'aumento, che non può eccedere il limite del 25% della normale prestazione annua a tempo parziale;
  • le modifiche dell'orario comportano il diritto del lavoratore ad una maggiorazione del 15% della retribuzione oraria globale di fatto, comprensiva dell'incidenza della retribuzione sugli istituti retributivi indiretti e differiti il preavviso di due giorni (art. 6, co. 6, D.Lgs. n. 81/2015).

Il mancato rispetto delle suddette prescrizioni importa, a carico del datore di lavoro, anche l'onere di corresponsione di una somma a titolo di risarcimento del danno.

La legge, infine, prevede anche in quali casi il lavoratore può revocare il proprio consenso alle clausole elastiche, in particolare qualora ricorrano le seguenti condizioni:

  • patologie oncologiche o cronico-degenerative ingravescenti del lavoratore/lavoratrice da cui derivi una ridotta capacità lavorativa, accertata da una commissione medica istituita dalla azienda sanitaria locale competente;
  • Patologie oncologiche o cronico-degenerative ingravescenti riguardanti il coniuge, i figli o i genitori, nonché necessità di assistere un convivente con inabilità totale e permanente;
  • convivenza con figlio di età non superiore a 13 anni o portatore di handicap;
  • iscrizione e frequenza di corsi regolari di studio (scuole di istruzione, qualificazione professionale, università) (art. 6, co. 7, D.Lgs. n. 81/2015).
Principio di non discriminazione

La riforma prevede che il lavoratore part time non deve ricevere un trattamento meno favorevole previsto per il lavoratore assunto a tempo pieno, per quanto compatibile (Art. 7, co. 1 del D.Lgs. n. 81/2015).

A ben vedere, però, la riforma ha ridotto le tutele rispetto alla vecchia disciplina (l'art. 4 del D.Lgs. n. 61/2000) che era più coerente con la normativa comunitaria (clausola 4 della Direttiva 97/81/CE)

Oggi, infatti, l'art. 7, co. 2, prevede che ogni istituto economico e normativo del contratto sia riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione, salvo che in materia contributiva.

In evidenza: Cassazione del 10 novembre 2016, n. 22936

Con la sent. n. 22936 del 10 novembre 2016, la Corte di Cassazione ha affermato che in caso di rapporto part-time verticale annuo, i periodi di riposo vanno riconosciuti ai fini del pieno accredito della contribuzione sulla base del presupposto, derivante dalla disciplina comunitaria e dalla sentenza della Corte di giustizia europea del 10 giugno 2010, della non discriminazione rispetto al rapporto a tempo pieno.

Coerente con la natura dell'istituto, trattandosi - come detto - di una prestazione quantitativamente inferiore, il lavoratore part-time riceverà un trattamento economico rapportato alla ridotta entità della prestazione offerta.

Certamente, ciò non risulta in contrasto con il principio di retribuzione minima sufficiente di cui all'art. 36 Cost. Sostenendo il contrario si dovrebbe anche ammettere l'assurdo che due lavoratori che prestano attività per numero di ore differente abbiano diritto alla stessa retribuzione.

E del resto, il lavoratore part-time potrebbe stipulare anche più di un contratto di lavoro, rispettando, tuttavia, i limiti in materia di durata massima della prestazione settimanale (da intendersi anche come media nel periodo di riferimento in caso di adozione dell'orario multiperiodale ex art. 4 del D.Lgs. n. 66/2003), del riposo settimanale (che la legge quantifica in 24 ore consecutive, di regola coincidenti con la domenica, ogni 7 giorni anche come media in un periodo non superiore a 14 giorni - art. 9, D.Lgs. n. 66/2003) ed al riposo giornaliero (ovvero 11 ore consecutive ogni 24 ore che non ammette deroghe - art. 7, D.Lgs. n. 66/2003).

Per quanto sopra, allora, sul lavoratore che si accinge a stipulare un contratto a tempo parziale, incombe l'onere di fornire al proprio datore tutte le informazioni utili in ordine alla propria disponibilità di tempo, se già impiegato in altri rapporti part-time.

In evidenza: Circolare del Ministero del Lavoro, 3 marzo 2005 n. 8

Peraltro, poiché non esiste alcun divieto di essere titolari di più rapporti di lavoro non incompatibili, il lavoratore ha l'onere di comunicare ai datori di lavoro l'ammontare delle ore in cui può prestare la propria attività nel rispetto dei limiti indicati e fornire ogni altra informazione utile in tal senso.

In evidenza: Ministero del Lavoro, risposta all'interpello del 10.10.2006. prot. 25/I/0004581

Con risposta all'interpello prot. 25/I/0004581, il Ministero del Lavoro ribadisce che, nelle ipotesi di cumulo di più rapporti di lavoro a tempo parziale con più datori di lavoro, rimane fermo l'obbligo di rispettare i limiti di orario di lavoro e il diritto al riposo settimanale del lavoratore, come disciplinati dal D.Lgs. n. 66/2003: “Si ricorda peraltro che, nelle ipotesi di cumulo di più rapporti di lavoro a tempo parziale con più datori di lavoro, resta fermo l'obbligo del rispetto dei limiti di orario di lavoro e del diritto al riposo settimanale del lavoratore, come disciplinati dal D.Lgs. n. 66/2003

Lavoro supplementare

Istituto tipico del lavoro part-time è il lavoro supplementare.

La legge definisce il lavoro supplementare come quello prestato oltre l'orario di lavoro concordato tra le parti, anche con riferimento alle giornate, settimane e mesi, ma pur sempre nei limiti dell'orario di lavoro previsto dalla legge o dai contratti collettivi per l'orario di lavoro normale. Sotto la vigenza della vecchia disciplina (D.Lgs. n. 61/2000), il lavoro supplementare era applicabile solamente ai rapporti a tempo parziale cd. orizzontali, in cui la riduzione di orario rispetto al tempo pieno è prevista in relazione all'orario normale giornaliero di lavoro. Invece, il lavoro straordinario era applicabile solo ai rapporti a tempo parziale cd. verticali e misti, in cui l'attività lavorativa viene svolta a tempo pieno, ma limitatamente ai periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell'anno ovvero a quei rapporti di lavoro risultanti dalla combinazione delle due diverse tipologie.

Ora, il D.Lgs. n. 81/2015 consente al datore di lavoro di richiedere lo svolgimento di lavoro supplementare secondo le modalità previste dai contratti collettivi di lavoro, cui viene conferita, quindi, un'amplissima delega (i contratti collettivi potranno, ad esempio, prevedere il numero massimo di ore effettuabili, eventuali ragioni giustificative e maggiorazioni retributive).

In evidenza: Previsioni dei contratti collettivi in materia di lavoro supplementare

In molti casi, i contratti collettivi prevedono limiti allo svolgimento di lavoro supplementare e specifiche maggiorazioni retributive. Es: CCNL terziario prevede che il lavoro supplementare non possa superare il limite di orario previsto per i lavoratori assunti a tempo pieno e venga retribuito con una maggiorazione pari a 33% della retribuzione di fatto, comprensiva dell'incidenza degli istituti retributivi, contrattuali e legali, indiretti e differiti; il CCNL del settore metalmeccanico prevede un limite pari al raggiungimento delle 40 ore settimanali e comunque nel limite del 50 % della normale prestazione annua a tempo parziale. La maggiorazione prevista è pari al 10%, da computare sugli elementi utili al calcolo delle maggiorazioni per lavoro straordinario, notturno e festivo, e al 20% per le prestazioni eccedenti il limite del 50%della normale prestazione annua a tempo parziale.

La legge ha previsto una disciplina minima, nel caso in cui il contrato collettivo nulla stabilisca in ordine al lavoro supplementare.

In applicazione della nuova disciplina, il datore di lavoro può richiedere lo svolgimento di lavoro supplementare nei limiti del 25% delle ore di lavoro concordate. Il lavoro supplementare viene retribuito con una maggiorazione del 15% della retribuzione oraria globale di fatto, comprensiva dell'incidenza delle retribuzione delle ore supplementari sugli istituti retributivi indiretti e differiti. In ogni modo, il lavoratore può rifiutare lo svolgimento del lavoro supplementare ove giustificato da comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale (art. 6, co. 1 e 2, D.Lgs. n. 81/2015).

Lavoro straordinario

Nel caso in cui, invece, il lavoro supplementare si protragga oltre le ore del lavoro ordinario si tratta lavoro straordinario. In tal caso si applica la disciplina prevista per la generalità dei lavoratori, con le maggiorazioni previste dai contratti collettivi.

Anche con riferimento a tale aspetti, si registra una differenza rispetto alla previdente disciplina. Sino alla entrata in vigore del D.Lgs. n. 81/2015, il lavoro straordinario era consentito solo con riferimento al part time verticale e misto. Per effetto della riforma, invece, il lavoro straordinario è compatibile per tutte le tipologie di part-time. Si introduce, in tal modo, un criterio di uniformità tra i lavoratori assunti con contratto a tempo parziale rispetto al passato, in particolare con riferimento alla maggiorazione retributive che è prevista dalla legge per le ore straordinarie e in via meramente eventuale (dai contratti collettivi) per le ore di lavoro supplementari.

Tipologie

La riduzione dell'orario di lavoro può avvenire in base a diverse modalità cui corrispondono diverse tipologie di lavoro part-time:

  • orizzontale: quando la riduzione d'orario è prevista in relazione al normale orario giornaliero (es: il lavoratore è tenuto a lavorare tutti i giorni ma con orario 9,00 – 14);
  • verticale: quando l'attività lavorativa è svolta a tempo pieno ma limitatamente a periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell'anno (es: il lavoratore è tenuto a prestare la propria attività tutti i giorni della settimana ma esclusivamente dal lunedì al mercoledì);
  • misto: quando il rapporto di lavoro a tempo parziale si svolge secondo una combinazione delle due modalità sopra indicate (orizzontale e verticale).

Tali articolazione, ad oggi, hanno perso parte del loro significato e assumono solo una rilevanza di tipo organizzativo. Il D.Lgs. n. 81/2015, del resto, non definisce le tre tipologie di part time in quanto tutti gli istituti che rendono più flessibili lo svolgimento del rapporto (lavoro supplementare, lavoro straordinari, clausole flessibili ed elastiche) sono applicabili a tutte le tipologie senza distinzioni.

Trasformazione del rapporto

Il rapporto di lavoro può caratterizzarsi sin dall'inizio per un orario ridotto, oppure può anche verificarsi che un rapporto di lavoro originariamente stipulato a tempo pieno si trasformi, in presenza di determinati requisiti, in rapporto a tempo parziale, come pure l'opposto.

In linea generale, l'intera disciplina della trasformazione del rapporto (art. 8 del D.Lgs. n. 81/2015) è volta a tutelare il lavoratore al fine di impedire eventuali abusi. Per cui la legge prevede che la trasformazione di un rapporto a tempo parziale è ammessa solo su accordo delle parti che risulti da atto scritto.

1. In generale, nel caso in cui il datore di lavoro voglia assumere personale a tempo parziale, è tenuto ad informare il personale già occupato a tempo pieno e a prendere in considerazione le domande di trasformazione trasmesse dai dipendenti a tempo pieno (art. 8, co. 8).

2. La legge, però, riconosce un diritto soggettivo alla trasformazione del rapporto da tempo pieno a part-time al fine di tutelare la dignità del lavoratore in particolari ipotesi: ovvero quando lo stesso lavoratore risulti affetto da gravi patologie oncologiche o cronico-degenerative ingravescenti (ipotesi introdotta dall'art. 8, co. 3), con possibili previsioni estensive da parte del contratti collettivi.

In evidenza: CCNL degli Studi Professionali, 17 aprile 2015, art. 38

IPOTESI DI TRASFORMAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO A TEMPO PIENO IN RAPPORTO DI LAVORO A TEMPO PARZIALE

1. I lavoratori affetti da patologie oncologiche, […], e altre patologie invalidanti, [..]

2. I genitori di portatori di handicap grave, comprovato dai Servizi Sanitari competenti per territorio […].

È necessario che, nei confronti di costoro, residui una capacità lavorativa da accertare da parte di una commissione medica.

Inoltre, qualora la situazione lo consenta, è ammessa nuovamente la trasformazione in rapporto di lavoro a tempo pieno a semplice richiesta del lavoratore ed il datore di lavoro non può opporsi adducendo ragioni di carattere organizzativo, anche se legittime.

Un problema che la novella legislativa non risolve è quello della pluralità di domande degli aventi diritto. Deve reputarsi, tuttavia, come sotto il vigore delle previgente disciplina (art. 5, co. 3 del D.Lgs. n. 61/2000), che i contratti collettivi possano individuare criteri per determinare una graduatoria degli aventi diritto.

3. In via gradata rispetto all'ipotesi precedente, poi, la legge prevede anche una priorità nella trasformazione (art. 8, co. 4 e 5) da tempo pieno a tempo parziale a beneficio di quei lavoratori i cui coniugi, figli o genitori siano affetti da patologia oncologica o da grave patologia cronico-degenerativa ingravescente, i lavoratori che assistano una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa, i lavoratori con figli conviventi di età non superiore ai tredici anni o con figlio convivente portatore di handicap ai sensi dell'art. 3, L. n. 104/1992.

Infine, le legge accorda al lavoratore il cui rapporto sia stato precedentemente trasformato da tempo pieno a part-time, un diritto di precedenza in caso in cui il datore di laro intenda effettuare nuove assunzioni a tempo pieno.

La legge prevede, inoltre, che, nel caso in cui il datore di lavoro intenda effettuare di assunzione di personale a tempo parziale è tenuto a darne tempestiva comunicazione al personale già dipendente con rapporto a tempo pieno occupato in unità produttive site nello stesso ambito comunale, anche mediante comunicazione scritta in luogo accessibile a tutti nei locali dell'impresa, al fine di prendere in considerazione le domande di trasformazione a tempo parziale dei rapporti dei dipendenti a tempo pieno (art. 8, co. 8, D.Lgs. n. 81/2015)

In ogni caso, e proprio al fine di scongiurare indebite forme di pressione, il Legislatore ha stabilito che il rifiuto da parte del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro non costituisce giustificato motivo di licenziamento (art. 8 co. 1, D.Lgs. 81/2015).

In evidenza: Cass. sez. lav., 27 ottobre 2015 n. 21875

Con sentenza in oggetto la Corte di Cassazione ha affermato che è illegittimo (come già previsto nel D.Lgs. n. 61/2000 e recentemente riprodotto nell'art. 8, co. 1 del D.Lgs. n. 81/2015) il licenziamento adottato dal datore di lavoro, giustificato in base al rifiuto del lavoratore a modificare il regime del proprio orario di lavoro. Il licenziamento, invece, in linea con l'applicazione della Direttiva Comunitaria sul tempo parziale, può essere ammesso solo se il datore di lavoro dimostra che sussistono effettive esigenze economico- organizzative in base alle quali la prestazione non può essere mantenuta a tempo pieno, ma solo con l'orario ridotto, nonché il nesso causale tra queste esigenze e il licenziamento.

4. Ipotesi particolare di trasformazione è quella prevista dalla legge per i neogenitori. In base a tale previsione, il lavoratore può chiedere, per una sola volta, in luogo del congedo parentale od entro i limiti del congedo ancora spettante, la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, purché con una riduzione d'orario non superiore al 50%. Il datore di lavoro è tenuto a dar corso alla trasformazione entro quindici giorni dalla richiesta (art. 8, co. 7). Quindi la norma introduce un vero e proprio diritto del lavoratore alla trasformazione. Per entrambi i genitori, inoltre, la durata massima del part-time può essere pari a 6 mesi nel caso di mancato fruizione di un periodo di congedo parentale dopo quello maternità. Se entrambi i genitori usufruiscono del part-time c'è il limite di dieci mesi (undici se il padre utilizza più di tre mesi) tra diversi rapporti.

Part-time ed anticipo della pensione

La Legge di Stabilità 2016 (art. 1, co. 284 della L. 28 dicembre 2015, n. 208 e del D. M. del 21 marzo 2016, n. 7) ha previsto - nei limite massimo di 60 milioni di euro per il 2016, 120 per il 2017 e 60 per il 2018 - che i lavoratori del settore privato (cui si sono aggiunti anche i lavoratori pubblici con c.d. legge di conversione del dl milleproroghe 2015) in possesso dei seguenti requisiti:

  • iscritti all'AGO (o alle forme sostitutive o esclusive, es: gestione ex INPDAP);
  • titolari di un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato (anche alle dipendenze di un soggetto che non riveste la qualifica di imprenditore, es: partito politici o sindacati, professionisti ecc.);
  • che maturano il diritto alla pensione di vecchiaia (quindi non pensione anticipata) entro il 31 dicembre 2018 e già in possesso del requisito contributivo al momento della domanda,

possono sottoscrivere un accordi con il proprio datore di lavoro al fine di trasformare il proprio rapporto di lavoro da tempo pieno e indeterminato a tempo parziale e determinato (la riduzione dell'orario sarà compresa tra il 40 ed il 60 percento del normale orario di lavoro).

L'accesso al beneficio comporta, per il lavoratore, il riconoscimento della contribuzione figurativa previdenziale (a carico della finanza pubblica) commisurata alla retribuzione corrispondente alla prestazione lavorativa non effettuata (entro l'ammontare dei limiti sopra indicati).

La disciplina dettata dal Legislatore prevede, inoltre, l'erogazione al dipendente, che accede al citato beneficio, di una somma pari alla contribuzione previdenziale ai fini pensionistici (IVS) a carico del datore di lavoro commisurata alla prestazione lavorativa non effettuata. Tale somma, erogata dal datore di lavoro, non concorre alla formazione del reddito da lavoro dipendente e non è assoggettata ad alcuna forma di contribuzione previdenziale, ivi inclusa quella relativa all'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (INPS, Circ. n. 90/16).

I datori di lavoro potranno presentare l'istanza di autorizzazione al part-time agevolato, avvalendosi della procedura telematica sopra descritta, a partire dal 2 giugno 2016.

Riferimenti

Normativi:

  • D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81 (artt. 4-12);
  • D.Lgs. n. 61/2000;
  • Art. 2725 c.c.

Prassi:

  • INPS, Circolare n. 90/16;
  • CCNL degli Studi Professionali, 17 aprile 2015, art. 38;
  • Ministero del Lavoro, Interpello 10 ottobre 2006, prot. 25/I/0004581;
  • Ministero del Lavoro, Circolare 3 marzo 2005 n. 8;
  • Ministero del Lavoro, Circolare 24 novembre 2003, n. 37.

Giurisprudenza:

  • Cass. sez., lav., 10 novembre 2016, n. 22936;
  • Cass. sez., lav., 27 ottobre 2015, n. 21875;
  • Tribunale di Milano 12/9/2008, dott. Mariani, Milano, 2009, 201;
  • Tribunale Milano 11/6/2007, Est. Di Ruocco, Milano, 2008, 319.