Previdenza complementare
23 Gennaio 2017
Inquadramento
Il sistema pensionistico italiano - come la maggior parte dei sistemi in atto negli altri Paesi della CE - si articola in un “doppio pilastro”: la previdenza di base, attuata da Enti pubblici e obbligatoria sin dal momento di prima costituzione di un rapporto di lavoro, dal 1993 (d.lgs. n. 124/93) è stata affiancata da un secondo pilastro, della previdenza complementare, non obbligatorio, ma rimesso in ampia misura alle scelte effettuate a livello di autonomia privata, collettiva e individuale. Mentre la previdenza obbligatoria si caratterizza quale sistema a ripartizione basato su un patto di solidarietà intergenerazionale (i contributi dei lavoratori sono utilizzati per erogare i trattamenti ai pensionati), la previdenza complementare realizza, tipicamente, un sistema a capitalizzazione individuale: la prestazione finale del singolo è correlata ai contributi, dallo stesso, tempo per tempo versati e ai rendimenti prodotti a seguito di impiego in investimenti finanziari. Quanto a fonti normative della materia, la previdenza complementare – che trova un inquadramento costituzionale nell'art. 38 – è attualmente disciplinata dal d.lgs. n. 252/2005 (in vigore dal 1° gennaio 2007) che rappresenta una sorta di Testo unico della materia, in quanto in esso trovano disciplina tutti i principali profili regolamentari: civilistici, giuslavoristici, previdenziali, fiscali, amministrativi e pubblicistici. Competenza legislativa concorrente è assegnata alle Regioni dall'art. 117 Cost. Notevole rilievo regolatorio rivestono le fonti normative secondarie: decreti ministeriali e determinazioni della Commissione di vigilanza sui fondi pensione (Covip). Quest'ultima è l'autorità preposta al Settore della previdenza complementare e svolge un importante ruolo di indirizzo, vigilanza e orientamento anche interpretativo/applicativo della normativa. Obiettivo della previdenza complementare è quello di concorrere con quella di base alla garanzia di un reddito adeguato, per i lavoratori, al momento della pensione; tale obiettivo era appannaggio del solo pilastro pensionistico pubblico sino alle riforme degli anni Novanta, che hanno inciso significativamente sui livelli di copertura da questo assicurati. Invero i fondi pensione, oltre a quelle pensionistiche, erogano anche prestazioni differenti, quali le anticipazioni sul montante accumulato (collegate solo in parte a finalità di rilevanza sociale: così per le spese sanitarie o l'acquisto della prima casa di abitazione) e i riscatti della posizione che, ove cessino i requisiti di partecipazione al fondo, sono possibili a certe condizioni. La legislazione più recente ha inoltre introdotto la rendita integrativa temporanea anticipata (RITA): si tratta della possibilità di ottenere in via anticipata (5 anni prima, ma in taluni casi anche 10 anni) la disponibilità, in maniera frazionata, del montante accumulato, sotto forma di rendita erogata direttamente dal fondo pensione. Con la RITA si viene a creare una sfasatura, almeno parziale, fra il momento in cui diventano esigibili la prestazione integrativa e quella di base, il che rimette, almeno in parte, in discussione il ruolo “integrativo” dei fondi pensione. Vanno altresì evidenziate quali novità della legislazione degli ultimi anni: i) la possibilità di aderire a fondo pensione senza un conferimento totale del Tfr maturando (purché ciò sia previsto dalle fonti istitutive); ii) la soppressione di Fondinps quale fonde residuale per il Tfr conferito tacitamente da lavoratori non destinatari di un fondo pensione negoziale o assimilato, il cui ruolo è ora assegnato a uno dei maggiori fondi negoziali di settore (Cometa); iii) maggiori spazi ai fondi regionali. Ancora più recenti sono le modifiche introdotte in materia con il Decreto legislativo 13 dicembre 2018, n. 147 “Attuazione della direttiva (UE) 2016/2341 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 dicembre 2016, relativa alle attività e alla vigilanza degli enti pensionistici aziendali o professionali” che ha recepito e dato attuazione alla Direttiva UE/2016/2341 relativa alle attività di vigilanza degli enti pensionistici aziendali o professionali (c.d. Direttiva IORP II). Si tratta di un complesso di disposizioni, che vanno a inserirsi nel corpus del D.lgs. n. 252 del 2005, afferenti soprattutto alla organizzazione e governance dei fondi pensione per garantirne una operatività secondo regole di maggior garanzia in termini di compliance, di controlli, di uniformazione al modello prefigurato dal legislatore. In tale prospettiva viene in particolare prevista, per i fondi negoziali con soggettività giuridica, anche preesistenti, la necessaria presenza della figura del direttore generale del Fondo e l'introduzione di apposite funzioni: quella di revisione interna, quella di gestione dei rischi e, in talune fattispecie, la funzione attuariale. Tali funzioni intervengono, ognuna per rispettive linee di competenza, in un insieme articolato di attività che necessitano di apposita traduzione in un ampio set di documenti formali da predisporre e rinnovare periodicamente (documento di politica di governance, documento di valutazione dei rischi, documento di politiche di remunerazione, documento sulle politiche di esternalizzazione). Sempre in sede di riforma “Iorp II” sono stati introdotti più stringenti adempimenti in termini di informazione degli aderenti, degli iscritti e di coloro che sono prossimi all'integrazione dei requisiti pensionistici del fondo. Maggiore considerazione è anche riservata a strategie di investimenti in prospettiva Enviroment, Social, Government (EDG). La figura del Responsabile del Fondo resta per i fondi aperti, per i quali è anche previsto un organismo di rappresentanza degli iscritti in caso di adesione collettiva, diverso dal precedente organo per composizione e compiti. Regole semplificate sono previste per i fondi pensione interni e possibili esenzioni per quelli con meno di 100 aderenti. Peso fondamentale, ai fini della attuazione del dettato legislativo n. 147 cit., hanno le disposizioni dettate dalla Covip con le direttive generale 29 luglio 2020, adottate a valle di apposite procedure di consultazione con gli stakeholder del Settore. Risulta evidente come l'intervento normativo menzionato - mentre non prospetta effetti diretti sulla previdenza complementare oggettivamente intesa, quale insieme di regole che disciplinano il momento contributivo, di gestione finanziaria e i diritti pensionistici di secondo pilastro dei lavoratori - ha un notevole impatto quanto a organizzazione dei fondi quali enti deputati a perseguire gli obiettivi di loro pertinenza, sulla base di percorsi notevolmente predeterminati e confrontabili. Con il DM 11 giugno 2020 n. 108, che abroga il pregresso DM n. 79 del 2007, sono stati individuati nuovi requisiti di idoneità per ricoprire ruoli di responsabilità all'interno dei Fondi pensione. Profili generali
La previdenza complementare ha formato oggetto di una disciplina organica da parte del legislatore italiano soltanto all'inizio degli anni Novanta con il decreto legislativo n. 124/1993 (attuativo della delega contenuta nella legge n. 503/1992), il quale ha inteso promuovere la affermazione di un secondo pilastro previdenziale per i lavoratori, che si affiancasse a quello della previdenza obbligatoria. Negli stessi anni, con successivi interventi legislativi culminati nella legge n. 335/1995 (c.d. riforma Dini), il sistema pensionistico obbligatorio è stato assoggettato a rilevanti modifiche volte a porre sotto controllo la relativa spesa pubblica, con l'effetto, fra l'altro, di ridurre in maniera significativa i livelli del trattamento atteso dai lavoratori al momento del pensionamento. La previdenza complementare ha quindi assunto una funzione compensativa rispetto alla contrazione reddituale da pensione pubblica. Tale rinnovato scenario ha determinato una riconsiderazione dello stesso inquadramento costituzionale della materia, nel senso che all'obiettivo della adeguatezza pensionistica – da garantire ai lavoratori nella vecchiaia ai sensi dell'art. 38, comma 2 Cost. – si ritiene adesso concorrano sia la previdenza obbligatoria che quella complementare (v. sentenze Corte Costituzionale nn. 421/1995, 178/2000 e 393/2000): in precedenza, si riteneva che solo la pensione di base fosse chiamata a garantire tale obiettivo (la previdenza integrativa era pacificamente ricondotta al comma 5 dell'art. 38 Cost. che recita “l'assistenza privata è libera”). Prima dell'organico intervento del legislatore, i fondi pensione erano limitati a pochi settori produttivi (in particolare, quelli bancario e assicurativo) e avevano fonte regolativa quasi esclusiva nella autonomia privata intersindacale, posto che, a livello legislativo, non si andava al di là degli artt. 2117 e 2123 c.c. e di talune norme di natura fiscale. La legificazione della materia nel 1993 ha quindi mutato profondamente lo scenario con una disciplina estesa e complessa che interessa tutti i profili organizzativi e operativi dei fondi pensione, costituiti in un vero e proprio “settore” cui è preposta la Covip quale autorità di riferimento, con ampi poteri di indirizzo, vigilanza, nonché potestà normativa (oltretutto la Commissione svolge anche un ruolo di orientamento interpretativo nella materia: cfr. sito Covip nella sezione dedicata ai pareri). Comunque, il connotato distintivo della materia è che la previdenza complementare, a differenza di quella obbligatoria, è informata al principio di libertà: spetta al lavoratore decidere se aderire o non aderire a un fondo pensione (eventualmente attraverso il meccanismo del silenzio-assenso: vedi oltre) e, d'altra parte, la stessa istituzione dei fondi pensione è rimessa alla autonoma determinazione dei soggetti titolati dall'ordinamento, in primis le parti sociali in sede di esercizio dell'autonomia contrattuale collettiva. Non è sopito il dibattito circa l'opportunità di rendere obbligatorio anche il secondo pilastro pensionistico. Il decreto legislativo n. 124/1993 è stato riformato dal d.lgs. n. 252/2005 (legge delega n. 243/2005) - attualmente in vigore - che, abrogando il primo, ha ritarato il sistema in una direzione volta, almeno in via tendenziale, a favorire una maggiore concorrenzialità fra le varie tipologie di fondo pensione, ad ampliare le possibilità di scelta dei lavoratori, a incoraggiare la confluenza del Tfr alla previdenza complementare quale forma di finanziamento principale. A parte ciò, il decreto legislativo più recente ricalca nella struttura complessiva il precedente e conserva la fisionomia del Testo Unico della materia, nel quale sono condensati tutte i principali, complessi profili regolamentari. La complessità è data dal carattere trasversale della previdenza complementare la quale chiama in causa norme e nozioni di vari ambiti giuridici. In una prospettiva orientata soprattutto ai risvolti giuslavoristici e previdenziali, è possibile concentrare l'attenzione su tre principali momenti: la fase della istituzione e costituzione dei fondi pensione, con riguardo alle varie categorie di destinatari; la fase dell'approvvigionamento delle risorse di finanziamento, cioè i contributi degli iscritti e aderenti (che sono poi fatti oggetto di investimenti finanziari da parte dei gestori autorizzati secondo le regole dell'art. 6 e ss. d.lgs. n. 252: ma ciò è appannaggio del diritto degli strumenti finanziari); la fase della erogazione del montante individuale venutosi a formare nel periodo di partecipazione al fondo, a titolo di prestazione pensionistica e previdenziale. I profili relativi alla istituzione e costituzione dei fondi pensione, nella parte afferente alla loro struttura organizzative e alla governance, sono stati fatti oggetto di penetrante intervento con il D.lgs. n. 147/2018, che ha ampiamente novellato il corpus del D.lgs. n. 252/2005 (v. oltre). Nomenclatura della materia
L'approccio alla materia è favorito dalla acquisizione di taluni termini ed espressioni che rappresentano cognizioni di base. Una distinzione fondamentale è quella fra fondi pensione aperti e fondi pensione negoziali o chiusi: i primi sono i regimi di previdenza complementare approntati direttamente da banche, società di gestione del risparmio, società di intermediazione mobiliare e compagnie di assicurazione e sono rivolti indistintamente a tutti i potenziali destinatari (v. oltre). I fondi pensione negoziali sono quelli promossi all'interno e con limitato riguardo a determinati gruppi di lavoratori, da soggetti che si trovano a rappresentarne gli interessi, quali anzitutto le parti sindacali nell'ambito di accordi di contrattazione collettiva (art. 3, comma 2 lett. a). I fondi pensione negoziali, a differenza di quelli aperti, non attuano la gestione diretta delle risorse, ma sono tenuti a conferirla a soggetti esterni, che sono poi quelli cui compete l'istituzione di fondi aperti (art. 6). Il valore aggiunto dei fondi negoziali è quello di realizzare, attraverso l'approntamento di un apposito apparato organizzativo, forme di partecipazione (indiretta/rappresentata) degli interessati (i lavoratori) alla vicenda pensionistico-complementare che li riguarda e quindi di assicurare una maggiore garanzia anche nello svolgimento della complessiva gestione. La rubrica dell'art. 13 d.lgs. n. 252/2005 suggerisce la distinzione fra forme pensionistiche collettive e forme pensionistiche individuali. In maniera più appropriata, lo spartiacque è da porre fra forme ad adesione collettiva e ad adesione individuale. In particolare, con accordi collettivi (di vario livello) le parti sindacali, invece di dar vita a n fondo negoziale, possono attuare una adesione a fondo aperto riferita a tutti i lavoratori destinatari dell'accordo stesso. I fondi aperti sono quindi passibili di adesione collettiva oltre che individuale (artt. 12 e 13). Non è invece ammessa l'adesione collettiva ai Pip, piani pensionistici assicurativi, che rappresentano quindi solo forme di previdenza individuale (o ad adesione individuale). Fra i fondi pensione negoziali hanno un autonomo rilievo i fondi pensione preesistenti, cioè già in essere al 15 novembre 1992 (data di entrata in vigore della legge n. 503 dello stesso anno, sulla base della cui delega è stato adottato il citato d.lgs. n. 124/1993). I fondi preesistenti - essi stessi di regola frutto dell'autonomia collettiva - formano oggetto di una disciplina legale differenziata volta a preservarne talune specificità e, comunque, a attuarne una uniformazione in tempi e per tappe progressive alla normativa generale. Affianca tale categoria quella dei c.d. vecchi iscritti, cioè dei lavoratori iscritti a fondo pensione già prima del 28 aprile 1993 (data di entrata in vigore del d.lgs. n. 124 cit.): anche in questo caso la legge preserva talune prerogative invece escluse nei riguardi dei nuovi iscritti. Al riguardo, si deve far riferimento alle situazioni enucleate nell'art. 20 (nonché DM attuativo n. 62/2007) che, quanto ai fondi preesistenti, preserva la possibilità della gestione diretta e non convenzionata, lo schema a prestazioni definite (applicabile però ai soli vecchi iscritti: art. 20, comma 5), il mantenimento della eventuale gestione assicurativa (rami I e V), e prevede, in taluni casi, la permanenza dei fondi preesistenti interni (siano essi patrimonio di destinazione o meno). Quanto ai vecchi iscritti è mantenuta, fra l'altro, la liquidazione della pensione interamente in capitale, regimi fiscali di maggior favore, la possibilità di una destinazione solo parziale del Tfr (v. oltre: la possibilità di conferimento parziale del Tfr, attraverso la mediazione della contrattazione collettiva, è stata ampliata con dalla legge 4 agosto 2017, n. 124). Un'altra distinzione rilevante è quella fra fondi pensione a ripartizione e fondi pensione a capitalizzazione: la legge rende cogente per i fondi di nuova istituzione quest'ultimo regime (in termini di capitalizzazione individuale), mentre regola i criteri di superamento dei possibili dissenti economici dei fondi preesistenti improntati al modello “a ripartizione” (art. 20, comma 7). Ancora, si distingue fra fondi pensione a contribuzione definita e fondi pensione a prestazioni definite (art. 2, comma2). In quest'ultimo caso il fondo assume l'obbligo di erogare una prestazione certa e predefinita (es.: una determinata integrazione della pensione di base), ragion per cui il fondo stesso – e per esso le parti tenute alla contribuzione – si deve far carico degli eventuali maggiori oneri contributivi necessari per mantenere fede a tale obbligo; nei fondi a contribuzione definita, non vi è alcun impegno del fondo a garantire un certo livello di prestazione, ma solo a effettuare - con i contributi raccolti - il tipo di gestione prevista, erogando, alla maturazione dei requisiti, un trattamento corrispondente al risultato ottenuto (il quale in casi estremi potrebbe anche essere “in perdita”). In relazione a ciò si suole affermare che nei fondi a prestazione definita la contribuzione è una variabile dipendente della prestazione, mentre è il contrario per i fondi a contribuzione definita e che nel primo caso il fondo sopporta il rischio sottostante, mentre nel secondo caso il rischio è sopportato dagli iscritti. Nell'ambito del lavoro subordinato, è utilizzabile solo il modello a contribuzione definita (art. 2, comma 2, lett. a), eccezion fatta per i fondi preesistenti che adottassero già il modello a prestazione definita (e, comunque, limitatamente ai vecchi iscritti). Un'ulteriore distinzione è fra fondi pensione con gestione di tipo finanziario e fondi pensione con gestione assicurativa. I fondi negoziali preesistenti già improntati alla gestione assicurativa possono mantenerla, mentre cioè è precluso a quelli di nuova istituzione. I Pip sono gestioni assicurative (art. 13). Esempio tipico sono i contratti di assicurazione ramo vita (primo o quinto) in forza dei quali i contributi di finanziamento vengono, dalle Compagnie incaricate, investiti in gestioni separate; tali contratti prevedono determinate garanzie quali rendimento minimo, conservazione delle tabelle attuariali acquisite, capitalizzazione dei rendimenti, ecc. Istituzione e organizzazione dei fondi pensione per le varie categorie di destinatari
1. Destinatari. Nonostante la previdenza complementare abbia un ruolo speculare a quella obbligatoria, l'adesione ai fondi pensione - a differenza che la partecipazione ai regimi di previdenza pubblici - è riferita anche a soggetti che lavoratori non sono. Infatti, la delimitazione contenuta nell'art. 2, che individua i destinatari nella sola cerchia dei lavoratori, è ampliata in successive norme del decreto; in tal senso, mentre l'adesione a fondi pensione aperti è resa possibile a chiunque, lavoratori o non (cfr. art. 13, comma 2), anche rispetto ai fondi pensione negoziali vi è un allargamento di ambito, con riguardo ai soggetti fiscalmente a carico dei lavoratori iscritti (art. 8, comma 1). A parte ciò, l'adesione ai fondi pensione negoziali è delimitata in funzione delle tipologie lavorative, distinguendosi, in particolare, fra lavoro autonomo e subordinato e - all'interno di ciascuna delle due fattispecie - fra le varie categorie produttive e professionali. Riguardo al lavoro dipendente, l'ambito dei destinatari di un fondo pensione si determina in funzione delle sfere e livelli di competenza ed effettualità della contrattazione collettiva da cui promana l'iniziativa. Le principali tipologie sono i fondi pensioni aziendali, i fondi di gruppo, i fondi interaziendali, i fondi di categoria e di comparto nel pubblico impiego (v. art. 2, lett. a). I soci di cooperativa il cui rapporto sia regolato quale lavoro subordinato possono essere destinatari del fondo pensione indirizzato ai lavoratori dipendenti (della medesima azienda o comparto).
2. Istituzione del fondo pensione. Il profilo genetico dei fondi pensione si articola nella fase istitutiva e nella fase costitutiva (art. 3 e 4): la distinzione è evidente soprattutto per i fondi pensione negoziali nei quali, mentre la fase istitutiva si concreta in un atto di autonomia negoziale (per lo più un contratto o accordo collettivo) contenente il programma previdenziale e i suoi elementi fondanti; la fase costitutiva si sostanzia nella pratica attuazione dello strumento operativo - in tutte le sue componenti - conformato secondo i criteri e le modalità previsti dalla normativa. In generale, l'art. 3 enumera le c.d. fonti istitutive dei fondi pensione: al riguardo è utile distinguere a seconda che si tratti di istituzione di fondi negoziali, fondi aperti e altre situazioni. Per i primi, come già accennato, nel lavoro dipendente privato viene in rilievo, primariamente, la contrattazione collettiva e cioè le parti sociali titolate ad esercitare le relative prerogative negoziali negli ambiti e ai livelli previsti. Laddove la contrattazione collettiva non operi o non possa operare, fonte istitutiva supplementare sono: gli accordi plurisoggettivi fra impresa e dipendenti (cioè sottoscritti dal datore e i lavoratori interessati senza la mediazione del sindacato, non presente in azienda); il regolamento aziendale; gli accordi fra i lavoratori promosso da sindacati firmatari di contratti collettivi nazionali di lavoro. Solo la prima di tali alternative ha una qualche diffusione. Si è già visto che abilitati alla istituzione dei fondi aperti sono le banche, le sgr, le società di intermediazione mobiliare e le compagnie assicurative. Nel lavoro autonomo l'iniziativa istitutiva promana dalle relative organizzazioni o, ove presenti, anche dalle rispettive Casse di previdenza (cfr. art. 3, lett. f, g, che richiama il d.lgs. n. 565/1996, il d.lgs. n. 509/1994 e il d.lgs. n. 103/1996). Per il personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche contrattualizzato (art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165/2001) l'istituzione spetta alla contrattazione collettiva di riferimento, mentre per quello non contrattualizzato (art.3, comma 1 d.lgs. 165 cit.) spetta alle norme dei rispettivi ordinamenti (ovvero, in mancanza, ad accordi tra i dipendenti stessi promossi da loro associazioni). Anche le Regioni possono istituire fondi pensione (ad estensione regionale), disciplinati con legge (la previdenza complementare, ai sensi dell'art. 117 Cost., appartiene alla competenza legislativa concorrente di Stato e Regioni). A livello territoriale, le iniziative attuate sono quelle di Solidarietà Veneto, Laborfonds, Fonligure e Fapadiva. Merita di accennare che i commi 171 e 172 della legge n. 205/2017 prevedono il conferimento ai fondi pensione negoziali territoriali esistenti dei contributi aggiuntivi rispetto a quelli ordinari individuati dall'art. 8 del D.Lgs. n. 252/2005, determinati dalla contrattazione collettiva o specifiche disposizioni normative e destinati a fondi pensione negoziali di categoria operanti su base nazionale. L'Inps, conformandosi al disposto di legge (art. 9), ha istituito al proprio interno il fondo pensione residuale previsto dal D.Lgs. n. 252 cit. per “ricevere” il Tfr dei lavoratori silenti (conferimento tacito) non destinatari di un fondo pensione di riferimento. Da ultimo la legge di bilancio 2018 (art. 1, commi 173-176, L. n. 205/2017) ha previsto il venir meno di FondInps; ai fini della effettiva attuazione della soppressione di tale fondo è stata prevista l'emanazione di un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, per definirne la data di decorrenza e individuare, sentite le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale dei diversi comparti del settore privato, la nuova forma pensionistica alla quale far affluire le adesioni tacite. In tal senso, viene in evidenza il decreto interministeriale 31 marzo 2020, n. 85, che ha trovato pratica attuazione dal mese di ottobre 2020, con il subentro di Cometa nel ruolo di fondo residuale per i lavoratori silenti. Il Decreto regola anche il passaggio dei lavoratori già iscritti a FondInps e le procedure di liquidazione del fondo.
3. Costituzione del fondo pensione. Una volta esaurita l'iniziativa istitutiva nei termini appena precisati, si passa alla pratica attuazione della forma previdenziale e cioè alla costituzione del fondo pensione: a tal fine è necessario conformare lo strumento al modello organizzativo previsto dal legislatore, differente a seconda delle ipotesi (v. artt. 4 e 5). La distinzione di base è qui i fra fondi aperti e gli altri fondi: per i primi è obbligatoria la configurazione quali patrimoni di destinazione all'interno del complessivo patrimonio dell'ente promotore (non è invece qui ammesso procedere alla costituzione di un soggetto giuridico autonomo). I fondi diversi da quelli aperti (cioè tutti gli altri) devono essere al contrario apprestati quali autonome soggettività giuridiche (eccezion fatta per i fondi preesistenti già interni a società e i fondi per professionisti), secondo le modalità previste dall'art. 12 e ss. cod. civ. (c.d. soggetti giuridici di diritto civile). In particolare, nell'ambito del lavoro subordinato, i fondi pensione sono, nella quasi totalità, configurati secondo lo schema delle associazioni di persone riconosciute o non (il riconoscimento - e quindi la personalità giuridica - è obbligatorio nel caso in cui si tratti di fondi di categoria, comparto o raggruppamento: art. 4, comma 5). Sono però presenti anche talune ipotesi di fondi pensione costituiti quali fondazioni (artt. 12, 14, 15 cod. civ.), nei quali l'elemento patrimoniale, per definizione, prevale su quello personale, salvi gli adattamenti del caso realizzati dalla autonomia privata in una logica partecipativa. Va detto che al profilo afferente alla costituzione dei fondi pensione sono in certa misura riconducibili anche le importanti novità introdotte dal già menzionato D.lgs. n. 147/2018, il quale ha arricchito la struttura organizzativa e la governance dei fondi, e i cui contenuti hanno formato oggetto delle dettagliate Direttive generali Covip 29 luglio 2020, emanate anche sulla base di consultazione preventiva di tutte le parti interessate. Il nuovo framework normativo rende, fra l'altro, necessaria nei fondi dotati di soggettività giuridica (negoziali o preesistenti) la figura del Direttore generale (art. 5) e introduce taluni funzioni necessarie - definite fondamentali - aventi sostanzialmente un “ruolo di garanzia”: si tratta della Funzione di Gestione dei rischi e della Funzione di Revisione interna; per i fondi che si fanno direttamente carico di rischi biometrici e di garanzie degli investimenti è inoltre richiesta la Funzione attuariale. La presenza di tali nuovi “interlocutori” (art. 5-bis e ss.), che possono essere interni al fondo o incaricati esterni – e la cui collocazione è comunque improntata a criteri di indipendenza e autonomia – crea una fitta trama dialettica fra gli stessi e con gli organi apicali di governance, nonché con le altre componenti del fondo; a tale dialettica si associa una notevole serie di adempimenti, anche documentali, a carico delle parti coinvolte. Si è di fronte a un vero e proprio sistema di governo dei fondi pensione (come definito dagli artt. 4 bis e ss.) volto a realizzare una esatta e più visibile ripartizione di compiti e responsabilità fra gli attori, a realizzare un monitoraggio costante di tutti i fattori di rischio rilevanti per il fondo (non solo i rischi finanziari), a garantire circolarità di informazioni, a attuare un sistema di controlli interni (a vario livello), ad assicurare continuità operativa anche sulla base di appositi piani di emergenza. Il tutto riscontrabile sulla base di apposita documentazione di tutti gli aspetti di rilievo nella organizzazione dei fondi (v. art. 4-bis, comma 2 e ss. per i documenti sul sistema di governo e sulle politiche di governance e altri).
4. Organi. L'art. 5 individua gli organi dei fondi pensione. Per i fondi per cui è richiesta la soggettività giuridica e che siano frutto della contrattazione collettiva (o anche di regolamento aziendale unilaterale) gli organi devono soddisfare il requisito della bilateralità e pariteticità: metà dei componenti sono nominati in rappresentanza dei lavoratori iscritti (secondo il metodo elettivo) e, rispettivamente, in rappresentanza delle relative aziende. In questo caso gli organi sono il consiglio di amministrazione, l'organismo di controllo (corrispondente al collegio sindacale), l'assemblea (per i fondi associativi) e il responsabile del fondo, figura questa però soppressa, per i fondi negoziali e preesistenti soggettivizzati, e sostituita, come detto, con il Direttore generale (v. nuovo testo art. 5). La necessità dell'assemblea, nei fondi associativi, non deriva dal d.lgs. n. 252, che non la contempla, ma direttamente dal codice civile (art. 20 cod. civ.). In primis attraverso l'assemblea, i lavoratori - in via diretta o mediata (da loro rappresentanti) - hanno la possibilità di prender parte alle determinazioni fondamentali riguardanti il fondo pensione. Il Responsabile del Fondo resta fermo per i fondi aperti e per i Pip, con l'aggiunta che in caso di adesione collettiva a fondi aperti con almeno cinquecento iscritti di una medesima azienda o gruppo è prevista una forma di partecipazione paritetica degli stessi in apposito organo di rappresentanza (art. 5, comma 6), che “svolge funzioni di collegamento tra le collettività che aderiscono al fondo e la società che gestisce il fondo pensione aperto e responsabile”. Per i fondi con meno di cento iscritti è possibile una applicazione ampiamente derogatoria del D.lgs. n. 252/2005 (art. 15 quinquies). Altre notevoli novità introdotte dal D.lgs. n. 147 cit. afferiscono alla traduzione in norma primaria (legge) di una serie di adempimenti informativi nei confronti dei potenziali aderenti, degli iscritti, degli iscritti in prossimità dei requisiti pensionistici (tre anni prima) dei beneficiari delle prestazioni pensionistiche (artt. da 13 bis a 13 quinquies). Su un altro versante, va evidenziato che nel corso del 2020, a fronte della grave crisi ingenerata dalla pandemia la Covid ha emanato apposita circolare con la quale sono state fornite indicazioni ai fondi in ordine alla ampia possibilità di effettuare le riunioni degli organi “a distanza”. Nel caso di fondi aperti - trattandosi di patrimoni autonomi, ma non autonome soggettività - gli organi sono gli stessi della società titolare, cui si aggiungono il responsabile del fondo e l'organo di sorveglianza, nel quale, in caso di adesione collettiva di aziende/gruppi con almeno di 500 dipendenti, sono presenti (seppure in numero limitato) rappresentanti aziendali e dei lavoratori (v. art. 5, comma 5 e Deliberazione Covip 28 ottobre 2009). I contributi di finanziamento e la posizione previdenziale
1. Retribuzione e contributi a previdenza complementare. L'art. 8 d.lgs. n. 252/2005 è la norma che disciplina le fonti di finanziamento dei fondi pensione. Nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato, contribuire a un fondo pensione significa utilizzare a tali effetti una parte o percentuale della retribuzione: poiché i livelli - e aumenti - retributivi formano oggetto della contrattazione collettiva, è in tale sede che normalmente vengono adottate le determinazioni sul quantum di trattamento economico da “indirizzare” a contribuzione (salva la possibilità anche di accordi individuali o di scelte unilaterali), con obbligo ricadente su entrambe le parti del rapporto. Di norma il datore di lavoro assume l'impegno di convertire in contribuzione importi altrimenti diretti ad incrementi economici, mentre il lavoratore sottrae i contributi a suo carico alle sue spettanze correnti. L'aliquota contributiva è determinata in percentuale sulla retribuzione su cui si calcola il Tfr (può però anche essere in cifra fissa o riferita a specifici elementi della retribuzione). Per i lavoratori autonomi e i liberi professionisti, la contribuzione si determina in percentuale del reddito d'impresa o di lavoro autonomo dichiarato ai fini IRPEF, relativo al periodo d'imposta precedente; per i soci lavoratori di società cooperative, secondo la tipologia del rapporto di lavoro, in percentuale della retribuzione assunta per il calcolo del TFR ovvero degli imponibili considerati ai fini dei contributi previdenziali obbligatori ovvero in percentuale del reddito di lavoro autonomo dichiarato ai fini IRPEF relativo al periodo d'imposta precedente. La legge n. 232/2016 (legge di bilancio 2017) ha previsto che si possano convertire in contributi a fondo pensione quote dei premi di produttività fiscalmente incentivati (art. 1, commi 160-160 l. n. 232 cit.), e in tal caso la detrazione fiscale sui contributi è applicata anche se risulta superato, nel complesso, il limite di cui all'art. 8, comma 4, d.lgs. n. 252. La giurisprudenza e la dottrina sono in prevalenza orientate a ritenere che la contribuzione datoriale ai fondi pensione (seppure risultante dalla destinazione di quote di retribuzione) non abbia natura retributiva. A supporto di tale impostazione vengono richiamate le sentenze costituzionali su menzionate fra cui in particolare C. Cost. n. 421/1995, secondo cui a decorrere dalla legislazione degli anni Novanta, “le contribuzioni degli imprenditori ... non possono più definirsi emolumenti retributivi con funzione previdenziale, ma costituiscono, strutturalmente, contributi di natura previdenziale, come tali estranei alla nozione di retribuzione imponibile agli effetti dell'assicurazione Inps” (si rammenta altresì che i contributi a fondo pensione sono oggetto, ex art. 16, di un contributo di solidarietà del 10%). Nonostante ciò, sino a tempi recenti si sono registrate sentenze di legittimità (v. per es. Cass. 20105/2011) che, affermando la natura retributiva dei contributi in parola, li ritenevano rilevanti ai fini della determinazione della base retributiva al calcolo del Tfr; tale indirizzo è stato poi sconfessato dalle S.U. n. 5157/2015, che ha ribaltato l'impostazione. L'art. 5, L. n. 80/1992 ha istituito, presso l'Inps, il Fondo di garanzia per i casi di omesso o insufficiente versamento di contributi dovuti dai datori di lavoro ai fondi pensione.
2. Tfr a previdenza complementare. Nel complesso, la fattispecie dei contributi a fondo pensione – nel lavoro subordinato – ha una incidenza in termini di cuneo contributivo e di costo del lavoro. Per tale evidenza, il legislatore, sin dal 1993, ha seguito la strada di “puntare” soprattutto sul Tfr per attuare l'affermazione del secondo pilastro pensionistico. L'idea è che l'utilizzo del Tfr, da una parte, resta neutro agli effetti del costo del lavoro e, dall'altra, che la sua destinazione a investimenti finanziari possa essere resa appetibile da prospettive di maggior remunerazione rispetto a quanto previsto dall'art. 2120 cod. civ. (rivalutazione annua degli accantonamenti pari al 75% del costo della vita più 1,5 fisso).
3. Modalità espresse e tacite di conferimento del Tfr maturando. Pertanto, l'art. 8 ha il suo fulcro nei commi che regolano il conferimento del Tfr. Entro 6 mesi dall'assunzione in servizio, il lavoratore – utilizzando un modulo consegnatogli dal datore (v. D.M. 30 gennaio 2007) – è chiamato a scegliere se versare il Tfr a fondo pensioni o se mantenerlo nella configurazione di cui all'art. 2120 c.c. (per i lavoratori già in servizio all'entrata in vigore del d.lgs. n. 252/2005 è stato previsto l'esercizio della scelta entro 6 mesi da tale data, ma ciò limitatamente ai soggetti che non fossero già tenuti a versare il Tfr in forza della normativa precedente; regole particolari interessano i lavoratori di prima iscrizione alla previdenza obbligatoria ante legislazione del 1993: art. 8, comma 7, lett. c, nn. 1 e 2). È noto peraltro che a far tempo dalla legge di stabilità per il 2007 (art. 1, comma 755, L. n. 296/2006) per le aziende con 50 dipendenti e più, il Tfr è dirottato al fondo di Tesoreria gestito dall'Inps. Sino alla legge 4 agosto 2017 n. 124 (v. oltre), tale decisione riguardava il Tfr maturando nella sua integrità e, se positiva, non era reversibile (mentre lo è sempre la decisione di conservare il Tfr nella forma di retribuzione differita ex art. 2120 c.c.). Il favor dell'ordinamento per l'opzione pensionistica del Tfr è tuttavia evidente nel meccanismo del silenzio-assenso: il difetto di manifestazione di volontà nei 6 mesi è equiparato alla scelta favorevole (art. 8, comma 7, lett. b). Nel qual caso, l'art. 8 enuclea criteri legali che portano a indirizzare il Tfr al fondo negoziale di riferimento (o, se più di uno, a quello con maggiori iscritti dell'azienda di appartenenza) o, in mancanza, al Fondo pensione residuale (un tempo, istituito presso l'Inps ai sensi dell'art. 9, ora operativo nell'ambito del Fondo Cometa: v. supra). Onde favorire una scelta esplicita e consapevole, sono posti a carico del datore di lavoro obblighi di informativa (art. 8, comma 8). In caso di conferimento tacito il fondo deve assicurare all'iscritto rendimenti comparabili a quelli che trovano attuazione ai sensi dell'art. 2120 c.c. (cioè il Tfr destinato va indirizzato alle linee del fondo a contenuto più prudenziale tali da garantire la restituzione del capitale e rendimenti comparabili). La materia del conferimento del Tfr è stata, come accennato, di recente modificata dall'art. 1, comma 38, lett. a) della L. n. 124 2017 (c.d. legge sulla concorrenza), con il quale è stato modificato l'art. 8 D.Lgs. n. 252/2005, aggiungendo al comma 2 un ultimo periodo in forza del quale: "Gli accordi [collettivi o assimilati] possono anche stabilire la percentuale minima di TFR da destinare a previdenza complementare. In assenza di tale indicazione il conferimento è totale”. Quindi il conferimento integrale del Tfr non è più una conditio sine qua non per l'adesione a fondo pensione, nei casi in cui le fonti istitutive contemplino la possibilità del conferimento parziale. Sul tema è intervenuta la circolare Covip n. 5027/2017 che ha fornito chiarimenti fra l'altro sulle fonti istitutive abilitate, sulle modalità secondo cui può essere modulato il conferimento parziale del Tfr, sull'esclusione di limitazioni imposte alla destinazione integrale del trattamento, sulla possibilità per chi già destina il 100% di modificare la percentuale, sulla posizione dei vecchi iscritti rispetto alla novità, sugli adempimenti formali.
4. Ripetizione della destinazione del Tfr in caso di riscatto totale. La scelta favorevole alla destinazione del Tfr a previdenza complementare, effettuata - ai sensi del d.lgs. 252 - nel corso del primo rapporto di lavoro, non deve essere rinnovata in successivi rapporti, ma resta ferma e immodificabile (mentre, in caso di cambiamenti lavorativi, è possibile che venga rinnovata la scelta del fondo pensione cui aderire, anche perché potrà essere diversa la forma pensionistica correlata al nuovo rapporto), salva, ove prevista dalle fonti istitutive, la possibilità di modificare la percentuale di destinazione. Fa eccezione a tale regola l'ipotesi del riscatto totale della posizione maturata (art. 14, comma 2 e 5), al ricorrere del quale – essendo venuto meno in radice l'assetto dato – va ripetuta ex novo la “scelta di base”, se destinare il Tfr (maturando nel nuovo rapporto di lavoro) a fondo pensione (e eventualmente in che misura) o se conservarlo ex art. 2120 c.c.
5. Cenni sui profili fiscali. Da quanto detto emerge che, in una situazione ideale, i mezzi di finanziamento del fondo pensione sono tre: il contributo datoriale, quello del lavoratore e il Tfr maturando. La destinazione pensionistico-complementare di quote della retribuzione (quali contributi di finanziamento) e del Tfr è incentivata in termini contributivi e fiscali: nel primo caso si applica, come visto, solo un contributo di solidarietà del dieci per cento ed è prevista una complessiva deduzione fiscale entro un tetto di 5.164,57 euro (art. 8, comma 4); il Tfr è escluso da entrambe le imposizioni. Anche il montante individuale beneficia di un regime di esenzione, tranne il fatto che sono sottoposti a prelievo fiscale i rendimenti della gestione finanziaria delle risorse (imposta sostitutiva del 20%). Si ha quindi una parziale deviazione dallo schema-tipo di tassazione c.d. EET (esenzione dei contributi; esenzione dell'accumulo; tassazione delle prestazioni, in ordine alle quali v. oltre). La legge di bilancio n. 232/2016 individua condizioni per l'utilizzo delle somme erogate a titolo di premio di produttività a finanziamento dei fondi pensione in esenzione fiscale oltre il limite di 5.164,57 euro. I diritti sulla posizione individuale e le prestazioni di previdenza complementare
La partecipazione del lavoratore a un fondo comporta la titolarità di diritti di natura economica sulla posizione individuale, anticipatori rispetto al diritto pensionistico finale (a differenza di ciò che accade sul fronte della previdenza obbligatoria). Tali diritti economici sono qui di seguito richiamati.
1. Diritto ad ottenere anticipazioni sul montante (art. 11, comma 7). È ipotesi articolata in tre distinte situazioni e spetta: a) nella misura del 75%, per spese sanitarie relative a terapie e interventi riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche, che interessino il lavoratore, il coniuge o i figli; b) decorsi 8 anni di partecipazione a previdenza complementare, nella misura del 75%, per acquisto della prima casa di abitazione, anche per i figli, sulla base di apposita documentazione notarile; c) decorsi 8 anni, nel limite del 30%, per ulteriori esigenze (che non è necessario siano indicate). La richiesta di anticipazione può essere reiterata ma nei limiti di un plafond complessivo pari al 75% del totale dei versamenti. Sugli importi di cui a b) e c) viene applicata una ritenuta a titolo di imposta del 23%, mentre su quelli di cui all'ipotesi sub a) del 15%, che può scendere a 9% dopo 35 anni di iscrizione. È evidente il parallelismo con le analoghe anticipazioni sul Tfr ex art. 2120 c.c.
2. Diritto a trasferire la posizione ad altro fondo. È previsto il diritto dell'iscritto alla “portabilità” della posizione individuale: ciò vale anzitutto nel caso di venir meno dei requisiti di partecipazione al fondo (art. 14, comma 2, lett. a), presupposto che si verifica, tipicamente, con il cambiamento lavorativo cui consegua una diversa forma pensionistica “di riferimento”. Ma il diritto alla trasferimento assume un pregio particolare – mettendo al centro del sistema le regole della concorrenza e della massimizzazione del vantaggio economico, quindi previdenziale – nella misura in cui esso è attribuito all'iscritto a prescindere dal venir meno dei requisiti di partecipazione (art. 14, comma 6): dopo due anni dal momento di iniziale iscrizione a un dato fondo, vi è la possibilità di trasferire il montante maturato ad altro fondo, con il consentaneo trasferimento a quest'ultimo del Tfr maturando e della contribuzione di finanziamento; ciò con l'unico (ma grave) limite che la portabilità del contributo datoriale è ammissibile “nei limiti e secondo le modalità stabilite dai contratti o accordi collettivi, anche aziendali”, il che – seppure è coerente con la centralità della contrattazione collettiva (art. 39 Cost.) – finisce per rappresentare un deterrente alla attuazione della portabilità. Al momento dell'emanazione del d.lgs. n. 252, si dubitò della legittimità costituzionale di tale norma in quanto i criteri di delega ex l. n. 243/2004 attribuiscono ampiezza piena e incondizionata alla portabilità del contributo datoriale. 3. Diritto al riscatto della posizione. Tale diritto insorge al venir meno dei requisiti di partecipazione (art. 14, comma 2, lett. b, c e comma 5) quando, ovviamente, non sia stato ancora maturato il diritto alla prestazione pensionistica. Si distingue fra ipotesi di riscatto causale e acausale: in pratica, è sempre possibile riscattare subito (al venir meno dei requisiti di partecipazione), “ad libitum”, l'intera posizione, ma subendo una forte abbattimento sul versante fiscale (aliquota del 23%, quasi un quarto del maturato). Se si vuole evitare tale effetto e beneficiare di un trattamento fiscale di maggior favore (fra il 15 e il 9% a seconda della durata della partecipazione alla previdenza complementare), l'esercizio del riscatto deve essere giustificato dagli eventi previsti dal legislatore: riscatto parziale (50%) correlato a disoccupazione per un periodo fra i 12 e i 48 mesi e di interessamento, del dipendente, da procedura di mobilità, o Cigo e Cigs a zero ore; riscatto totale nei casi di disoccupazione per più di 48 mesi o di invalidità al lavoro.
4. Diritto al riscatto in favore dei congiunti dell'iscritto. Spetta in caso di decesso del titolare della posizione nel fondo, prima della maturazione del diritto pensionistico (art. 14, comma 3): in tal caso, l'intera posizione è riscattata dagli eredi, ovvero dai diversi beneficiari designati dal lavoratore; in assenza di essi, la posizione è acquisita al fondo, mentre nel caso di forme pensionistiche individuali viene destinata alle finalità sociali individuate con DM (ipotesi differente è quella della morte del titolare della prestazione pensionistica: gli statuti dei fondi possono prevedere la restituzione ai beneficiari designati del montante residuo o una rendita calcolata su di esso: cfr. art. 11, comma 5). Si è dibattuto in giurisprudenza se i diritti in parola (riscatto e trasferimento) incontrassero limitazioni nel caso di fondi preesistenti (quali certi fondi a ripartizione, a prestazioni definite e a capitalizzazione collettiva) non articolati per struttura in conti individuali dei singoli iscritti; mentre in un primo momento la giurisprudenza aveva condiviso una interpretazione volta a limitare le prerogative dell'iscritto, un più recente, autorevole filone interpretativo di legittimità ha rigettato tale impostazione (v. S.U. n. 477/2015 e sentenze successive). Nel caso di mancata diretta indicazione dei beneficiari, come visto la posizione è devoluta agli eredi. Al riguardo, la Covip aveva in passato (risposta a quesito dell'ottobre 2009) rilasciato indicazioni interpretative tali per cui il richiamo normativo agli eredi non implicasse, nella fattispecie, l'applicazione del diritto successorio di cui al Libro II del Codice civile. In pratica, per i soggetti (potenzialmente) legittimati a concorrere sulla eredità dell'iscritto, la Commissione aveva ritenuto che acquisissero (iure proprio e non iure successionis) un diritto sul montante presso il Fondo, a prescindere dalla effettiva accettazione dell'eredità. Tale impostazione non risulta condivisa da recente giurisprudenza di legittimità (Cass. 19571/2019) ai sensi della quale ai fini considerati “per eredi deve intendersi– coloro che, chiamati all'eredità l'abbiano accettata. Con la conseguenza che, in caso di più chiamati, il diritto di riscatto (ex art. 14, comma 3, D.lgs. n. 252) non va ripartito in parti uguali per ciascun chiamato, ma solo tra coloro che, con l'accettazione dell'eredità, sono diventati eredi ed in parti uguali non essendo applicabili le norme relative alla successione ereditaria”.
5. Trattamento pensionistico del fondo. La finalità per cui nasce la previdenza complementare, come già accennato, è quella di compensare i minori livelli di tutela che (in termini di reddito pensionistico disponibile) le riforme degli anni Novanta hanno comportato sul fronte della pensione obbligatoria. È chiaro che l'esercizio dei diritti anticipatori menzionati (seppur volti per lo più a soddisfare esigenze anch'esse previdenziali o comunque di rilievo sociale) incide su tale finalità primaria. In ragione della complementarietà, il diritto alle prestazioni pensionistiche dei fondi si acquisisce al momento della maturazione dei requisiti di accesso alle prestazioni stabiliti nel regime obbligatori di appartenenza, con almeno 5 anni di partecipazione (art. 11); il testo originario dell'art. 11, comma 4, d.lgs. n. 252 cit. prevedeva un possibile anticipo di 5 anni in caso di disoccupazione per più di 48 mesi, ma tale evenienza è venuta meno a seguito della introduzione della RITA (v. oltre). Le prestazioni pensionistiche finali in regime di contribuzione definita o di prestazione definita possono essere erogate in capitale sino al 50% del montante finale accumulato, e per il resto in rendita (è prevista la totale capitalizzazione in caso di importi modesti: v. art. 11, comma 3, ultimo periodo e, come sopra accennato, per i vecchi iscritti). Con la Legge di bilancio per il 2018 (art. 1, commi 168 e 169, L. n. 205/2017) – che novella l'art. 11, comma 4, d.lgs. n. 252/2005 – è stata introdotta la RITA inserita, in modo strutturale, nella disciplina della previdenza complementare. La nuova formulazione dell'art. 11, comma 4 e ss., cit. definisce i requisiti per accedere alla erogazione della rendita temporanea: anzitutto, per avanzare richiesta di RITA è necessaria la cessazione dell'attività lavorativa e la maturazione, entro i cinque anni successivi, dell'età anagrafica per la pensione di vecchiaia nel regime obbligatorio di appartenenza; inoltre, è necessario aver raggiunto, alla data di presentazione della domanda, un requisito contributivo complessivo di almeno 20 anni nel regime di appartenenza medesimo. La RITA è riconosciuta, inoltre, alle medesime condizioni, sino a 10 anni prima rispetto al momento di maturazione dell'età anagrafica per la pensione di vecchiaia, nel caso di lavoratori inoccupati per un periodo di tempo superiore a 24 mesi. La rendita temporanea decorre dal momento dell'accoglimento della richiesta fino al conseguimento dell'età anagrafica prevista per la pensione di vecchiaia e consiste nell'erogazione frazionata, per il periodo considerato, di un capitale pari al montante accumulato richiesto. Si consideri, ancora, che la normativa in commento, disponendo l'abrogazione dell'art. 14, comma 2, lett. c), ultimo periodo, D.Lgs. n. 252/2005 rende ora possibile esercitare il riscatto totale ivi disciplinato, anche nei 5 anni anteriori alla maturazione dei requisiti pensionistici, cosa in precedenza esclusa (al ricorrere delle riferite condizioni, il lavoratore ha quindi la possibilità di scegliere se accedere al riscatto del montante accumulato o se fruire della rendita frazionata).Alla RITA si applica l'imponibilità fiscale più vantaggiosa (quella fissata nel 15% e decrescente con l'anzianità di iscrizione alla forma sino a un minimo del 9%). In tema di criteri di erogazione della RITA sono stati forniti chiarimenti da parte della Covip con la circolare n. 4209 del 17 settembre 2020 (che fanno seguito a Circolare Covip 8 febbraio 2018 n. 888). L'art. 11, comma 10, d.lgs. n. 252/2005 dispone che le prestazioni pensionistiche in capitale e rendita, e le anticipazioni per spese sanitarie sono sottoposte ai limiti di cedibilità, sequestrabilità e pignorabilità in vigore per le pensioni obbligatorie, mentre i crediti relativi alle altre fattispecie di anticipazione e a riscatto non soggiacciono a limitazione alcuna.
6. Fiscalità. La rendita pensionistica e il capitale erogati dal fondo pensione sono sottoposti a ritenuta a titolo di imposta del 15%, misura che può scendere al 9% in caso di partecipazione a forme di previdenza complementare protratta sino a 35 anni e oltre. Il medesimo trattamento fiscale interessa la rendita integrativa temporanea anticipata. Normativa di riferimento
- Legge delega 23 agosto 2004 n. 243 “Norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all'occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria” (art. 1, comma 1, lett. c) e comma 2, lett. e) e ss.). - Decreto legislativo 5 dicembre 2005 n. 252 “Disciplina delle forme pensionistiche complementari”, come modificata dal D.lgs. 13 dicembre 2018, n. 147 “attuazione della Direttiva UE/2016/2341 relativa alle attività di vigilanza degli enti pensionistici aziendali o professionali”. - Legge 4 agosto 2017 n. 124 “Legge annuale per il mercato e la concorrenza” art. 38. - Legge 27 dicembre 2017 n. 205 “Legge di bilancio dello Stato per il 2018”, art. 1, commi 168-169 e 173-176. - D.M. 30 gennaio 2007 “Attuazione dell'articolo 1, comma 765, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. Procedure di espressione della volontà del lavoratore circa la destinazione del Tfr maturando e disciplina della forma pensionistica complementare residuale presso l'Inps (FondInps)”. - D.M. 10 maggio 2007, n. 62 “Regolamento per l'adeguamento alle disposizioni del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, in materia di forme pensionistiche complementari preesistenti alla data di entrata in vigore della legge. 23 ottobre 1992, n. 421”. - DM 11 giugno 2020 n. 108 contenente nuovi requisiti di idoneità (professionalità, onorabilità, ecc.) per gli Amministratori, Sindaci, Direttore generale e altri organi e funzioni di Fondi pensione (sostituisce e abroga il D.M. 15 maggio 2007, n. 79 “Regolamento recante norme per l'individuazione dei requisiti di professionalità e di onorabilità dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso le forme pensionistiche complementari, ai sensi dell'articolo 4, comma3, del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252[s1] ”). - DM 7 dicembre 2012 n. 259 “Regolamento recante attuazione dell'art. 7-bis, comma 2, del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, recante i principi per la determinazione dei mezzi patrimoniali di cui debbono dotarsi i fondi pensione che coprono rischi biometrici, che garantiscono un rendimento degli investimenti o un determinato livello di prestazioni”. - DM 2 settembre 2014 n.166 “Regolamento di attuazione dell'art. 6, comma 5-bis del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, recante norme sui criteri e limiti di investimento delle risorse dei fondi pensione e sulle regole in materia di conflitti di interesse”. - Deliberazione Covip 29 luglio 2020 “Direttive alle forme pensionistiche complementari in merito alle modifiche e integrazioni recate al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, dal decreto legislativo 13 dicembre 2018, n. 147, in attuazione della direttiva (UE) 2016/2341” - Delibera Covip 25 maggio 2016 “Regolamento sulle modalità di adesione alle forme pensionistiche complementari” (in vigore dal 1° aprile 2017). - Delibera Covip 15 luglio 2010 (come modificata con delibera 7 maggio 2014) “Regolamento sulle procedure relative all'autorizzazione all'esercizio delle forme pensionistiche complementari, alle modifiche degli statuti e regolamenti, al riconoscimento della personalità giuridica, alle fusioni e cessioni e all'attività transfrontaliera”. - Deliberazione Covip 28 ottobre 2009 “Disposizioni in materia di composizione e funzionamento dell'organismo di sorveglianza dei fondi pensione aperti. Allegato n.2 allo Schema di regolamento dei fondi pensione aperti”. - Delibera Covip 24 aprile 2008 “Direttive recanti chiarimenti sulle scelte di destinazione del TFR da parte dei lavoratori che attivano un nuovo rapporto di lavoro”. - Delibera Covip 28 novembre 2007 “Regolamento relativo all'istituzione del Registro dei fondi pensione dotati di personalità giuridica e alle procedure per l'iscrizione nel Registro”. - Delibera Covip 23 maggio 2007 “Direttive in materia di attuazione da parte delle forme pensionistiche preesistenti delle previsioni del decreto ministeriale 10 maggio 2007, n. 62, recante il regolamento per l'adeguamento alle disposizioni del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252”. - Delibera Covip 31 ottobre 2006, come modificata con Delibera 1° aprile 2015 (v. sopra) “Adozione degli schemi di statuto, di regolamento e di nota informativa, ai sensi dell'articolo 19, comma 2, lettera g) del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252”. - Circolare Covip 26 ottobre 2017 n. 5027, di commento alla Legge n. 124/2017 (sul mercato e la concorrenza). - Circolare Covip 8 febbraio 2018 n. 888 sulla RITA - Circolare Covip n. 4209 del 17 settembre 2020 su RITA |