Malattia

Marco Giardetti
16 Febbraio 2015

Scheda in fase di aggiornamento

La malattia costituisce una delle più importanti cause di sospensione del rapporto lavorativo per sopravvenuta impossibilità della prestazione di lavoro, in virtù di specifiche forme di alterazione della salute che non consentono al lavoratore di svolgere la stessa. La nozione di malattia, secondo la dottrina ormai consolidata, si identifica in: "uno stato morboso determinato da una patologia che impedisce l'esecuzione della prestazione lavorativa".

Inquadramento

Per malattia del lavoratore deve intendersi ogni stato di alterazione della salute fisica e psichica che determini una incapacità parziale o totale al proficuo svolgimento della propria prestazione lavorativa e che, quindi, richieda l'utilizzo di cure sanitarie.

Un lavoratore può dirsi in malattia solo allorquando non sia in grado di svolgere le mansioni cui è addetto senza una significativa sofferenza fisica, in buona sostanza quindi lo stesso è essenzialmente legato alla concreta attività svolta dal lavoratore.

In base all'art. 2110 c.c., in caso di

malattia

, il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro per un certo periodo di tempo, denominato periodo di comporto, e di assentarsi dallo stesso e può godere di un trattamento economico adeguato, stabilito dalla legge e dai contratti collettivi.

Durante tale periodo non si interrompe l'anzianità di servizio e il lavoratore ha diritto alla retribuzione o a un'indennità nella misura e nel tempo individuati dalla legge, dai contratti collettivi, dagli usi o secondo equità.

Come accennato, il periodo di sospensione del rapporto di lavoro, e di contestuale conservazione del medesimo, è stabilito dalla contrattazione collettiva e la sua durata varia in funzione dell'anzianità di servizio.

Può essere unico o frazionato, nel caso di più periodi di malattia in un determinato arco temporale, intervallati dalla ripresa dell'attività lavorativa.

Decorso tale periodo e perdurando lo stato di malattia, o qualora la sommatoria dei singoli episodi morbosi superi il periodo massimo stabilito, il datore di lavoro può procedere al licenziamento riconoscendo al lavoratore l'indennità sostitutiva del preavviso.

Trattamento economico

La disciplina del trattamento economico spettante al lavoratore trova il suo fondamento direttamente nel diritto al sostentamento e all'assistenza previsto dall'

art. 38 Cost.

Le retribuzioni sono a carico del datore di lavoro per quanto riguarda lavoratori ammalati aventi la qualifica di impiegato e quadro (con esclusione di quelli operanti nel commercio) che hanno diritto:

  • dell'intera retribuzione per il primo mese e della metà per i successivi due mesi nel caso di anzianità di servizio non superiore a dieci anni;
  • dell'intera retribuzione per i primi due mesi e della metà per i successivi quattro mesi nel caso di anzianità di servizio superiore a dieci anni.

Per tutte le altre categorie il trattamento economico è a carico dell'Istituto Previdenziale INPS, con la possibile previsione di integrazione da parte del datore di lavoro.

In particolare, in questo ultimo caso, l'INPS è tenuto a garantire un'indennità giornaliera di malattia dal quarto giorno di malattia fino a un massimo di 180 giornate nell'anno solare. I primi tre giorni di malattia (c.d. periodo di carenza) sono a carico del datore di lavoro sulla base di quanto stabilito dal contratto collettivo, mentre il restante periodo è a carico dell'INPS.

Le attività consentite

In via generale, lo stato di malattia non permetterebbe al lavoratore lo svolgimento di alcuna attività lavorativa durante lo stesso.

Tuttavia, ai fini dell'individuazione delle attività lecite o illecite del lavoratore in malattia, la giurisprudenza ha affermato la non sussistenza, a carico del dipendente assente per malattia, di un divieto assoluto di svolgere un'altra attività, tranne nel caso in cui questa evidenzi una simulazione di infermità o comporti, anche attraverso la compromissione della guarigione, l'inosservanza dei suoi doveri, ed in particolare, del dovere di fedeltà.

In buona sostanza, l'attività svolta in corso di assenza per malattia può giustificare il licenziamento quando la stessa è tale da rendere evidente l'inesistenza della malattia stessa o comunque tale da pregiudicare o ritardare la guarigione.

Riassumendo:

  • l'attività svolta non deve appalesare l'incompatibilità della stessa con la malattia certificata, in quanto, in caso contrario, ne sconfesserebbe la veridicità;
  • il lavoratore ha l'obbligo di astenersi dal compiere tutte quelle attività che possano finire per compromettere la sua guarigione o anche solo rallentarla.

Quanto sopra, risulta peraltro in linea con i principi di correttezza e buona fede che regolano tra le parti lo svolgimento del rapporto di lavoro, che consistono nel dovere di ciascuna di salvaguardare l'interesse della controparte alla prestazione dovuta ed all'utilità che la stessa assicura, nei limiti in cui ciò non importi un apprezzabile sacrificio della propria posizione giuridica.

In relazione a quanto sopra, è da considerarsi pienamente legittimo l'adozione e l'incarico dato ad agenzie investigative affinché controllino se il lavoratore in stato di malattia stia svolgendo al contempo altre attività atteso che gli stessi sono diretti ad accertare un illecito disciplinare del dipendente.

In evidenza

: giurisprudenza

L'espletamento di altra attività, lavorativa ed extralavorativa, da parte del lavoratore durante lo stato di malattia è idoneo a violare i doveri contrattuali di correttezza e buona fede nell'adempimento dell'obbligazione e a giustificare il recesso del datore di lavoro, laddove si riscontri che l'attività espletata costituisca indice di una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute ed ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione, oltre ad essere dimostrativa dell'inidoneità dello stato di malattia ad impedire comunque l'espletamento di un'attività ludica o lavorativa. (Cass. sez. lav. n. 13955/2015)

L'esercizio, durante il periodo di assenza dal lavoro per malattia o per infortunio, di attività, lavorative o no, tali da poter porre in pericolo, anche senza concreto ed effettivo pregiudizio, la guarigione entro il tempo di assenza giustificata, integra un inadempimento dell'obbligo derivante dal contratto di lavoro e precisamente la violazione dei doveri generali di correttezza e di buona fede e degli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, di gravità tale da giustificare il licenziamento, anche in difetto di previsione del contratto collettivo o del codice disciplinare. (Cass. sez. lav. n. 21438/2015)

Certificazione medica e controllo ispettivo delle assenze

Dopo aver informato il datore di lavoro circa la propria assenza, il lavoratore deve ottenere dal proprio medico curante apposita certificazione di malattia che deve essere trasmessa in via telematica direttamente all'Istituto previdenziale, il quale provvederà a sua volta a comunicarla al datore di lavoro.

A seguito della trasmissione telematica, il lavoratore è esonerato dall'obbligo di invio dell'attestato al proprio datore di lavoro che potrà usufruire dei servizi messi a disposizione dall'INPS per la visualizzazione o la ricezione dell'attestato stesso. Qualora la trasmissione telematica non sia possibile, il lavoratore deve, entro due giorni dalla data del rilascio, presentare o inviare il certificato di malattia all'INPS e l'attestato al proprio datore di lavoro.

In attesa dell'estensione delle modalità di rilascio e di invio telematico della certificazione di malattia anche da parte delle Strutture ospedaliere, nel caso di degenza ospedaliera, i certificati di ricovero e dimissioni, redatti in modalità cartacea, possono essere consegnati alla Struttura territoriale INPS anche oltre i 2 giorni dalla data del rilascio, ma comunque nel termine di prescrizione della prestazione.

Le attestazioni di ricovero e della giornata di pronto soccorso carenti di diagnosi non sono ritenute certificative. Per essere considerate certificative dovranno contenere le generalità dell'interessato, la data del rilascio, la firma leggibile del medico e l'indicazione della diagnosi comportante incapacità lavorativa.

Ai fini dell'erogazione dell'indennità di malattia, il lavoratore ha l'onere di rendersi reperibile al proprio domicilio per essere sottoposto, nelle fasce di reperibilità previste dalla legge, ai controlli aventi come scopo quello di verificarne l'effettiva temporanea incapacità lavorativa, avviati per iniziativa diretta dell'INPS o su richiesta all'Istituto da parte del datore di lavoro.

Invero, l'

art. 5 della L. 300/70

, c.d.

Statuto dei Lavoratori

, prevede la possibilità per il datore di lavoro di controllare le assenze per infermità del lavoratore dipendente soltanto attraverso i servizi ispettivi degli Istituti Previdenziali competenti, i quali sono tenuti a compierli quando siano richiesti.

In buona sostanza, si tratta di un accertamento atto a verificare non la presenza del dipendente presso il proprio domicilio, ma l'esistenza o meno della patologia per la quale è stata emessa la certificazione.

In ragione di quanto sopra, nei casi in cui si verifichi l'effettiva necessità per il lavoratore di dover cambiare il proprio indirizzo di reperibilità, durante il periodo rientrante nella prognosi del certificato, egli dovrà darne avviso tempestivamente, con congruo anticipo, oltre che al datore di lavoro, anche all'Istituto Previdenziale cui è demandato il controllo, secondo le modalità dallo stesso previste.

Per quanto riguarda il personale dipendente da privato, le fasce di reperibilità alla visita medica di controllo domiciliare sono, per tutti i giorni compresi nella certificazione di malattia, dunque anche durante festivi e weekend:

  • dalle ore 10,00 alle ore 12,00;
  • dalle ore 17,00 alle ore 19,00.

L'assenza immotivata o l'impossibilità all'accesso o alla visita medica di controllo, se non giustificata, comporterà l'applicazione di sanzioni e quindi la non indennizzabilità delle giornate di malattia nel seguente modo:

  • per un massimo di 10 giorni di calendario, dall'inizio dell'evento, in caso di 1° assenza a visita di controllo non giustificata;
  • per il 50% dell'indennità nel restante periodo di malattia in caso di 2° assenza a visita di controllo non giustificata;
  • per il 100% dell'indennità dalla data della 3° assenza a visita di controllo non giustificata.

Il medico di controllo domiciliare riscontra l'assenza mediante il rilascio (in busta chiusa) di invito a visita medica di controllo ambulatoriale.

Vi sono comunque 15 giorni di tempo per fornire una giustificazione in merito all'assenza.

A tal proposito, la legge consente al lavoratore di assentarsi dal proprio domicilio anche durante le fasce orarie di reperibilità in ipotesi di “giustificato motivo”, il quale non può essere inteso come qualunque motivo di convenienza o di opportunità, ma deve consistere in una improvvisa e indefettibile necessità che richieda la presenza del lavoratore in un luogo diverso dal proprio domicilio.

Sono state peraltro recentemente precisate dal Ministero del Lavoro con Decreto dell'11 gennaio 2016, per i lavoratori del settore privato, specifiche ipotesi di esenzione dal rispetto delle fasce di reperibilità in caso di malattia.

Ciò in ragione delle novità introdotte dal Jobs Act e nello specifico dall'art. 25 del D.L. n. 151/2015, rubricato “Esenzione reperibilità” del Titolo II Disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, Capo I, Disposizioni in materia di rapporto di lavoro.

In particolare, sono esclusi dal citato obbligo i dipendenti di datori di lavoro privati per i quali l'assenza è eziologicamente riconducibile o a patologie gravi che richiedono terapie salvavita (es. malati oncologici, sieropositivi, diabetici, ecc…), risultanti da idonea documentazione, o a stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità già riconosciuta che abbia determinato una riduzione della capacità lavorativa, nella misura pari o superiore al 67%.

Sotto altro profilo, granitica giurisprudenza ha riconosciuto che reiterate visite di controllo sul lavoratore assente per malattia, richieste dal datore di lavoro, possono configurare un comportamento vessatorio e persecutorio nei confronti dello stesso e dunque generare il diritto in capo al dipendente al risarcimento del danno subito a causa di tale comportamento.

Ciò significa che la predetta condotta del datore di lavoro, astrattamente di per sé lecita, a certe condizioni può essere ritenuta illecita – nel caso di specie perché esercitata con modalità vessatorie – e, per questo, il presupposto di un risarcimento di danno, ivi compreso quello biologico.

In evidenza

: giurisprudenza

L'assenza alla visita di controllo, per non essere sanzionata dalla perdita del trattamento economico di malattia ai sensi dell'art. 5, comma 14, del D.L. n. 463 del 1983, convertito nella legge n. 638 del 1983, può essere giustificata oltre che dal caso di forza maggiore, da ogni situazione, la quale, ancorché non insuperabile e nemmeno tale da determinare, ove non osservata, la lesione di beni primari, abbia reso indifferibile altrove la presenza personale dell'assicurato, come la concomitanza di visite mediche, prestazioni sanitarie o accertamenti specialistici, purché il lavoratore dimostri l'impossibilità di effettuare tali visite in orario diverso da quello corrispondente alle fasce orarie di

reperibilità. La valutazione del giudice di merito in proposito si risolve in un apprezzamento di fatto che, se adeguatamente motivato sotto il profilo logico - giuridico, è incensurabile in sede di legittimità. (Nella specie la S.C. ha ritenuto che fosse incensurabile, perché sorretta da corretta motivazione la valutazione con cui il giudice di merito aveva ritenuto che fosse giustificata l'assenza alla visita fiscale di un lavoratore che aveva dato dimostrazione di essersi recato, su indicazione del proprio medico curante, presso uno stabilimento termale per un ciclo di cure diretto ad ottenere un più pronto ristabilimento dello stato di salute, corrispondente anche agli interessi economici del datore di lavoro). (Cass. sez. lav. n. 8544/2001)

L'assenza alla visita di controllo, per non essere sanzionata dalla perdita del trattamento economico di malattia, può essere giustificata, oltre che dal caso di forza maggiore, da ogni situazione la quale, ancorché non insuperabile e nemmeno tale da determinare, ove non osservata, la lesione di beni primari, abbia reso indifferibile altrove la presenza personale dell'assicurato, per soddisfare un'esigenza di solidarietà e di vicinanza familiare, senz'altro meritevole di tutela nell'ambito dei rapporti etico-sociali garantiti dalla Costituzione (art. 29 cost.). (Cass. sez. lav. n. 5718/2010)

II lavoratore ha diritto al risarcimento del danno per l'aggravamento della malattia causato dall'illegittimo e chiaramente persecutorio comportamento del datore di lavoro consistito nella continua ed immotivata richiesta di visite fiscali per l'accertamento dello stato di malattia, nonostante l'effettività della patologia fosse già stata accertata da controlli precedenti. (Cass. sez. lav. n. 479/1999)

Periodo di comporto e licenziamento

Come anticipato, l'

art. 2110 c.c.

prescrive, per il lavoratore in malattia, il diritto alla conservazione del posto di lavoro per il periodo c.d. di comporto.

Allo stesso modo, nel predetto periodo, al lavoratore è assicurato il diritto alla retribuzione o ad una indennità alternativa, nonché la prosecuzione della maturazione dell'anzianità di servizio.

In buona sostanza, in caso di malattia, il rapporto di lavoro viene sospeso e il datore di lavoro non può procedere al licenziamento del dipendente in malattia se non alla scadenza del termine di comporto e, dunque, il lavoratore non può essere destinatario di un provvedimento espulsivo per il semplice fatto di essere ammalato.

Il licenziamento per superamento del periodo di comporto rientra nell'ambito del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e il lavoratore destinatario del suddetto recesso ha diritto al preavviso o, più concretamente, al pagamento dell'indennità sostitutiva dello stesso.

A tutela dei lavoratori – in caso di accertamento da parte del Giudice della violazione dell'

art. 2110 c.c.

e qualora la fattispecie rientri nell'ambito di applicazione dell'

art. 18 dello Statuto dei Lavoratori

– la legge prevede l'applicazione in favore degli stessi della tutela reintegratoria c.d. “attenuata”, la quale comporta, oltra alla reintegra nel posto di lavoro, una tutela risarcitoria da computarsi entro il limite massimo delle 12 mensilità.

Al fine di rafforzare ulteriormente la tutela dei lavoratori in caso di malattia (ed in particolare in caso di malattie particolarmente serie e di lungo periodo), spesso la contrattazione collettiva prevede la possibilità per il dipendente malato di ricorrere all'istituto dell'aspettativa non retribuita.

In buona sostanza, per un periodo massimo indicato dal contratto collettivo, il rapporto di lavoro può proseguire, sebbene in assenza di retribuzione, anche una volta superato il termine di comporto.

Peraltro, il datore di lavoro non potrà non concedere la suddetta aspettativa, salvo il ricorrere di seri motivi impeditivi alla fruizione della stessa.

Ed ancora, la giurisprudenza ha riconosciuto l'illegittimità del licenziamento per superamento nel periodo di comporto, nei casi nei quali è dimostrato che la malattia del dipendente è imputabile a responsabilità del datore di lavoro.

Invero, il licenziamento comminato per superamento del periodo di comporto è ingiustificato quando l'infermità trovi causa nella nocività delle mansioni assegnate al lavoratore o dell'ambiente di lavoro o in comportamenti di cui il datore di lavoro sia responsabile ai sensi dell'

art. 2087 c.c.

In questi casi, infatti, l'impossibilità della prestazione non è imputabile al lavoratore, ma al datore di lavoro stesso, parte destinataria della prestazione.

In evidenza

: giurisprudenza

Ai fini del calcolo del periodo di comporto, superato il quale il datore può recedere dal rapporto, vanno calcolate le sole assenze per malattia e non anche quelle per infortunio sul lavoro o malattia professionale. (Cass. sez. lav. n. 14756/2013)

Perché l'assenza possa essere detratta dal periodo di comporto, non è sufficiente che si tratti di malattia professionale, meramente connessa cioè alla prestazione lavorativa, ma è necessario che in relazione a tale malattia, e alla sua genesi, sussista una responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell'art. 2087 c.c. (riconosciuta l'illegittimità del licenziamento per superamento del periodo di comporto in capo alla lavoratrice che si era assentata dal lavoro per uno sforzo compiuto nel sollevamento di pesi). (Cass. sez. lav. n. 26307/2014)

Lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia è idoneo a giustificare il recesso del datore di lavoro per violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà ove tale attività esterna, prestata o meno a titolo oneroso, sia per sé sufficiente a far presumere l'inesistenza della malattia, dimostrando, quindi, una sua fraudolente simulazione, ovvero quando, valutata in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, l'attività stessa possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore, ferma restando la necessità che, nella contestazione dell'addebito, emerga con chiarezza il profilo fattuale, così da consentire una adeguata difesa da parte del lavoratore (Cass. sez. lav., n. 12902/2017)

Il “Jobs Act del lavoro autonomo” (L. n. 81/2017) e le novità in tema di malattia

Come noto la L. n. 81/2017, il c.d. “Jobs Act del lavoro autonomo”, ha inteso promuovere una disciplina organica delle tutele economiche e sociali a favore dei lavoratori autonomi non imprenditori, con particolar riguardo alla tutela del diritto alla salute del lavoratore.

La legge in questione, infatti, prevede che, in caso di malattia o infortunio di gravità tale da impedire lo svolgimento della attività lavorativa per oltre sessanta giorni, venga sospeso il versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi per l'intera durata della malattia o dell'infortunio, fino ad un massimo di due anni, decorsi i quali il lavoratore è tenuto a versare i contributi e i premi maturati durante il periodo di sospensione in un numero di rate mensili pari a tre volte i mesi di sospensione.

Inoltre, al fine di garantire un rafforzamento ed un'integrazione delle prestazioni previdenziali a favore dei lavoratori iscritti alla Gestione separata, l'odierno Provvedimento legislativo ha delegato al Governo l'adozione di uno più Decreti legislativi orientati a garantire la modifica dei requisiti dell'indennità di malattia di cui all'art. 1, comma 788, della L. 27 dicembre 2006, n. 296, e all'art. 24, comma 26, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, ovvero le norme che disciplinano le modalità e l'ammontare dell'indennità giornaliera di malattia a carico dell'INPS e a favore dei professionisti, lavoratori a progetto e categorie assimilate, iscritti alla gestione separata di cui all'art. 2, comma 26, della L. 8 agosto 1995, n. 335, non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie.

Obbiettivo del Governo dovrà essere incrementare la platea dei beneficiari anche comprendendovi soggetti che abbiano superato il limite del 70 per cento del massimale di cui all'articolo 2, comma 18, della L. 8 agosto 1995, n. 335, ed eventualmente prevedendo l'esclusione della corresponsione dell'indennità per i soli eventi di durata inferiore a tre giorni.

L'art. 8, comma 10 della Legge in questione stabilisce inoltre che per gli iscritti alla Gestione separata i periodi di malattia, certificata come conseguente a trattamenti terapeutici di malattie oncologiche, o di gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti o che comunque comportino una inabilità lavorativa temporanea del 100 per cento, sono equiparati alla degenza ospedaliera.

L'art. 14 inoltre introduce rilevanti novità in favore dei lavoratori autonomi in materia di gravidanza, malattia e infortunio stabilendo che i lavoratori autonomi che prestano la loro attività in via continuativa per il committente non perderanno il loro posto di lavoro in casi di gravidanza, malattia e infortunio, non comportando gli stessi l'estinzione del rapporto di lavoro.

La prestazione lavorativa, inoltre, su richiesta del lavoratore, rimane sospesa, senza diritto al corrispettivo, per un periodo non superiore a centocinquanta giorni per anno solare, fatto salvo il venir meno dell'interesse del committente.

Ulteriore novità introdotta è la possibilità per le lavoratrici autonome, previo consenso del committente, di farsi sostituire, totalmente o parzialmente, da altre “lavoratrici autonome di fiducia” delle lavoratrici stesse, purché in possesso dei necessari requisiti professionali, nonché dai soci, anche mediante forme di compresenza della lavoratrice e del suo sostituto.

Orientamenti a confronto

ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Assenza di un obbligo di reperibilità del lavoratore in caso di infortunio sul lavoro

Le norme relative alle fasce orarie di reperibilità che il lavoratore deve osservare ai fini del controllo del suo stato di malattia in caso di assenza dal lavoro (di cui all'art. 5, comma 14, del D.L. n. 463 del 1983, convertito nella legge n. 638 del 1983) riguardano soltanto gli accertamenti relativi alle malattie ordinarie (espressamente previsti dalla citata disposizione) e non anche quelli sullo stato di inabilità conseguente ad infortuni sul lavoro, non potendo la disposizione stessa non interpretarsi restrittivamente, data la sua incidenza sul diritto del lavoratore quale cittadino alla libertà di movimento sul territorio dello Stato, previsto dall'art. 16 Cost. Né tale contenuto precettivo pone la disposizione considerata in contrasto con gli art. 3 e 41 Cost. atteso che: l'esigenza di collaborazione del lavoratore per rendere possibile il controllo della condizione di infermità che comporta l'impossibilità della prestazione lavorativa si pone nelle due ipotesi considerate in modo rispettivamente diverso e che il datore di lavoro può sempre richiedere il controllo della condizione di infermità conseguente ad un infortunio sul lavoro, sia in base all'art. 5 della legge n. 300 del 1970, sia in base alla contrattazione collettiva che eventualmente lo consenta espressamente. (Cass. sez. lav. n. 1247/2002)

Visite di controllo anche in caso di infortunio sul lavoro

In materia di controlli delle infermità del lavoratore, ai sensi dell'art. 5 comma 2 L. n. 300 del 1970, il controllo delle assenze per infermità riguarda anche l'ipotesi in cui l'infermità dipenda da infortunio sul lavoro; con la conseguenza che, l'obbligo di disponibilità del lavoratore assente per infortunio sul lavoro, pur non direttamente disciplinato dalle fasce orarie previste dalle disposizioni di legge che regolano l'accertamento delle infermità da malattia, può essere legittimamente regolato dal contratto collettivo, atteso che dette fasce orarie non rientrano nella riserva di legge costituzionalmente garantita. (Cass. sez. lav. n. 15773/2002)

Casistica

CASISTICA

Malattia e attività lavorativa presso terzi

Non sussiste per il lavoratore assente per malattia un divieto assoluto di prestare - durante tale assenza - attività lavorativa in favore di terzi, purché questa non evidenzi una simulazione di infermità, ovvero importi violazione al divieto di concorrenza, ovvero ancora, compromettendo la guarigione del lavoratore, implichi inosservanza al dovere di fedeltà imposto al prestatore d'opera (Cass. sez. lav. n. 4237/2015)

Malattia, omessa comunicazione al datore di lavoro e sanzioni disciplinari

Ove il contratto collettivo preveda che il lavoratore, che si assenta dal servizio per malattia, abbia l'obbligo di comunicare al datore di lavoro l'inizio della malattia, la omessa comunicazione vale ad integrare una infrazione suscettibile di sanzione disciplinare, essendo irrilevante il fatto che il lavoratore abbia comunque inviato il certificato medico giustificativo dell'assenza

Legittimità del licenziamento del lavoratore in malattia sorpreso a svolgere attività che ritardino la sua guarigione

È pienamente legittimo il licenziamento del lavoratore in malattia sorpreso a lavorare i campi. Così facendo, infatti, costui ritarda la sua guarigione e, soprattutto, mette in dubbio la futura correttezza dell'adempimento della prestazione lavorativa, denotando scarsa inclinazione all'attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza. Ad affermarlo è la Cassazione per la quale, a fronte di un comportamento irregolare di tale portata del prestatore, la misura del licenziamento deve ritenersi assolutamente corretta (Cass. sez. lav., n. 17636/2017).

Le assenze per malattia dovuta alla nocività delle lavorazioni non rientrano nel periodo di comporto

In tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto, le assenze del lavoratore per malattia non giustificano il recesso del datore di lavoro ove l'infermità dipenda dalla nocività delle mansioni o dell'ambiente di lavoro che lo stesso datore di lavoro abbia omesso di prevenire o eliminare, in violazione dell'obbligo di sicurezza di cui all'art. 2087 c.c. (Cass. sez. lav., n. 15972/2017).

Riferimenti

Normativa

  • L. n. 81/2017

  • A

    rt.

    2110 c.c.

  • Ministero del Lavoro, Decreto 11 gennaio 2016

  • Art. 25, L. 4 novembre 2010, n. 183

    (c.d. collegato lavoro)

Giurisprudenza

  • Cass. sez. lav., 7 luglio 2015, n. 13955
  • Cass. sez. lav., 15 dicembre 2014, n. 26307
  • Cass. sez. lav., 9 marzo 2010, n. 5718
  • Cass. sez. lav., 9 novembre 2002, n. 15773
  • Cass. sez. lav., 30 gennaio 2002, n. 1247

Sommario