Maternità

Marco Giardetti
19 Settembre 2016

Scheda in fase di aggiornamento

La maternità è uno stato della lavoratrice cui l'ordinamento appronta e garantisce la più ampia tutela sotto tutti i fronti. E ciò sia in tema di divieto di determinate condotte (discriminazioni, mobbing, licenziamento) sia in tema di tutele, previste ed accordate in virtù della semplice sussistenza dello stato di gravidanza ed a prescindere della conoscenza che dello stesso abbia il datore di lavoro.Una delle maggiori espressioni della tutela garantita a tale stato è il congedo di maternità, ossia un periodo di astensione obbligatoria in cui è fatto divieto assoluto di adibire al lavoro le donne e che normalmente comprende i 2 mesi precedenti la data presunta del parto e i tre mesi dopo il parto.

Inquadramento

La Costituzione sancisce all'art. 37 la parità normativa e retributiva fra lavoratori e lavoratrici al fine di evitare ingiuste conseguenze discriminatorie e penalizzanti per la madre lavoratrice e tutelando quindi l'assolvimento dei compiti di maternità e cura dei figli.

Inoltre la norma richiede che le condizioni lavorative siano tali da consentire alla lavoratrice "l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione”.

Vi è, dunque, un duplice riconoscimento costituzionale, mediante l'affermazione, da un lato, della specialità della tutela riguardante la lavoratrice madre e, dall'altro, del principio fondamentale di uguaglianza fra sessi.

Il riflesso di tali principi è tutto nelle fortissime guarentigie poste a tutela della maternità sul luogo di lavoro, forti a tal punto da dar rilevanza allo stato oggettivo a scapito della conoscenza che dello stesso abbia il datore di lavoro.

Divieto di licenziamento

Una delle maggiori esplicazioni dei principi enunciati è certamente il divieto di licenziamento in maternità.

In particolare, è fatto divieto al datore di lavoro di licenziare la lavoratrice madre dall'inizio del periodo di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino e ciò a prescindere dalla conoscenza o meno della situazione oggettiva di maternità che lo stesso datore di lavoro abbia.

Qualora ciò avvenga, infatti, la lavoratrice avrà diritto al ripristino del rapporto di lavoro sulla base del certificato medico dal quale risulti che essa, all'epoca del licenziamento, era già in stato di gravidanza.

Tale principio subisce delle eccezioni specifiche ed individuate quali:

  • licenziamento per giusta causa, ossia al verificarsi di un inadempimento della più forte gravità;
  • cessazione dell'attività aziendale;
  • scadenza dei termini nei contratti a tempo determinato;
  • esito negativo del periodo di prova.
Divieto di adibizione al lavoro

Come si vedrà in seguito, il legislatore ha introdotto espresse previsioni volte a far sì che le lavoratrici madri, in periodi ben definiti o al verificarsi di situazioni particolari siano esentate dall'attività lavorativa.

I divieti in relazione allo stato temporale della gravidanza sono i seguenti:

  • nei due mesi precedenti la data presunta del parto e nei tre mesi successivi al parto;
  • nel caso in cui le lavoratrici siano adibite a mansioni pregiudizievoli in relazione al loro stato avanzato di gravidanza;

Le situazioni che comportano l'anticipazione del divieto sono le seguenti:

  • gravi complicanze della gravidanza o preesistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza;
  • condizioni di lavoro o ambientali pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino;
  • impossibilità di spostare la lavoratrice a mansioni non pregiudizievoli del suo stato di gravidanza.

Il capitolo relativo al congedo di maternità fornirà elementi più specifici al riguardo.

Divieto di discriminazione

Altro corollario della tutela della maternità è il divieto di discriminazione delle donne in stato di gravidanza od al rientro dalla stessa.

Ed infatti risulta fattispecie assai frequente quella per cui una lavoratrice si veda svuotata di mansioni o subisca decurtazioni di elementi della retribuzione variabili al momento del rientro dalla maternità od addirittura nel mentre della stessa.

Classico è l'esempio del licenziamento proprio in ragione dello stato di gravidanza della lavoratrice, discriminazione che viene colpita con la massima sanzione prevista dall'ordinamento in caso di licenziamento e disciplinata dall'art. 18, comma 1, Legge n. 300/70 ossia la nullità con conseguente reintegra nel posto di lavoro.

Naturalmente tali condizioni e situazioni sono stigmatizzate dalla giurisprudenza in maniera oltremodo radicale e senza lasciar spazio a dubbi di sorta.

Se ne elencano alcune di seguito.

La modificazione delle mansioni della lavoratrice al rientro dal periodo di congedo di maternità e parentale della durata complessiva di sei mesi, con il passaggio da responsabile del controllo qualità a quello di addetta al data entry fornitori è da considerarsi discriminatoria previa verifica della riduzione dei contenuti professionali delle mansioni assegnate, che non sono di concetto secondo la declaratoria del Ccnl applicato, senza che la qualifica di coordinatrice del servizio attribuita valga a riequilibrare l'ascrivibilità delle attività assegnate a mansioni esecutive. Tale trattamento vìola la ratio di tutela che ispira il legislatore costituzionale e speciale, in coerenza con l'idem sentire della collettività che ripudia la disincentivazione dell'essenziale ruolo materno” (Trib. Lavoro di Bologna, sentenza n. 2/2010).

La mancata valutazione dell'attività della lavoratrice (perché in maternità per un periodo superiore al limite fissato arbitrariamente dall'amministrazione pubblica), valutazione nella specie funzionale al passaggio di carriera, ha determinato la violazione non solo della normativa contrattuale che prevede che i periodi di aspettativa per gravidanza e maternità obbligatoria siano considerati a tutti gli effetti quale servizio effettivamente prestato, ma anche della norma di cui all'art. 42, D.Lgs. n. 198/2006, che al comma 2, punto a), prevede la possibilità di azioni positive per le pari opportunità e l'uguaglianza sostanziale tra uomini e donne nel lavoro per eliminare le disparità […] nella progressione di carriera” (Corte Appello Lavoro Torino, sentenza n. 564/2008).

Interventi della Riforma Fornero

I principi su enunciati sono presenti anche nel Testo Unico per la tutela e il sostegno della maternità e della paternità emanato con D.Lgs. n. 151/2001 che, inoltre, ha riconosciuto anche al padre lavoratore la possibilità di fruire delle forme di tutela previste per le lavoratrice, garantendo così una più equilibrata ripartizione dei carichi familiari.

La Riforma Fornero (L. n. 92/2012) è intervenuta in particolare sull'art. 55 del D.Lgs. n. 151/2001. Infatti mantenendo fermo il divieto di licenziamento della lavoratrice dall'inizio del periodo di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino, si sono modificati gli scaglioni temporali relativi alla possibilità della convalida delle dimissioni o della risoluzione consensuale del rapporto.

Per "dimissioni in bianco", in particolare, si intende una pratica assai diffusa, consistente nel far firmare al lavoratore o alla lavoratrice le proprie dimissioni in anticipo, al momento dell'assunzione. Dimissioni che saranno poi completate riempiendo il foglio con la data desiderata a fronte di una malattia, un infortunio, un comportamento sgradito, o - caso più diffuso - una gravidanza.

La legge di riforma è intervenuta quindi modificando proprio la disciplina sulla preventiva convalida delle dimissioni presentate dalla lavoratrice o dal lavoratore in alcune circostanze al fine di tutelare sia la libertà negoziale del lavoratore, sia il legittimo affidamento del datore di lavoro derivante dal comportamento del prestatore di lavoro.

A tal fine, per garantire la corrispondenza tra la dichiarazione di volontà del lavoratore e l'intento risolutorio, viene rafforzato il regime della convalida con due modalità:

  • rendendo la convalida condizione sospensiva della risoluzione del rapporto;
  • aumentando il periodo di tempo entro cui la convalida stessa può avvenire.

Ed infatti la versione precedente dell'art. 55, comma 4, D.Lgs. n. 151/2001 prevedeva che la richiesta di dimissioni presentata dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante il primo anno di vita del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento, deve essere convalidata dal servizio ispettivo del Ministero del Lavoro, competente per il territorio. La convalida costituisce condizione per la risoluzione del rapporto di lavoro. Per tali dimissioni non è dovuto il preavviso.

Il nuovo art. 55 invece prevede:

  • che la disciplina ivi dettata si applichi sia alle dimissioni, come in passato, che alla risoluzione consensuale del rapporto;
  • estende da uno ai primi tre anni di vita del bambino la durata del periodo in cui opera l'obbligo di convalida delle dimissioni volontarie e/o della risoluzione consensuale del rapporto;
  • estende da uno ai primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento la durata dl periodo in cui opera l'obbligo di convalida delle dimissioni volontarie e/o della risoluzione consensuale del rapporto;
  • in tutti i casi sopra indicati, la convalida costituirà condizione sospensiva per l'efficacia della cessazione del rapporto di lavoro, a differenza del passato quando pur ponendola come condizione non se ne specificava la natura.

Modalità alternative di convalida previste dalla riforma sono:

  • convalida effettuata presso la Direzione territoriale del lavoro o il Centro per l'impiego territorialmente competenti, ovvero presso le sedi individuate dalla contrattazione collettiva;
  • sottoscrizione di apposita dichiarazione apposta in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro di cui all'art. 21 della legge n. 264/1949, rinviandosi a un decreto ministeriale di natura non regolamentare per l'individuazione di ulteriori modalità semplificate di accertamento della veridicità della data e della autenticità della dichiarazione del lavoratore.

Laddove non si proceda alla convalida in tali due ipotesi alternative il rapporto di lavoro si intende risolto, per il verificarsi della condizione sospensiva, qualora il lavoratore non aderisca, entro il termine di sette giorni dalla ricezione:

  • all'invito a presentarsi presso la Direzione territoriale del lavoro i il Centro per l'impiego territorialmente competenti, ovvero presso le sedi individuate nella contrattazione collettiva;
  • all'invito di apporre la predetta sottoscrizione, trasmesso dal datore di lavoro tramite comunicazione scritta;
  • all'effettuazione della revoca delle dimissioni con offerta delle proprie prestazioni lavorative.

È prevista poi la facoltà di revocare le dimissioni e la risoluzione consensuale, offrendo le proprie prestazioni al datore di lavoro nel termine di sette giorni dalla ricezione dei citati avvisi.

È stabilita, inoltre, una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 ad euro 30.000, di competenza delle Direzioni territoriali del Lavoro competenti, nelle ipotesi in cui il datore di lavoro abusi del foglio firmato in bianco dalla lavoratrice o dal lavoratore al fine di simulare le dimissioni o la risoluzione consensuale del rapporto, salvo che il fatto costituisca reato.

Interventi del Jobs Act

La Legge n. 183/2014

Una delle finalità annunciate dal Jobs Act (L. n. 183/2014) riguarda il sostegno e il rilancio dell'occupazione femminile e la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro.

A tal fine si prevedono una serie di interventi che riguardano l'estensione del diritto alla prestazione di maternità alle lavoratrici madri cd. “parasubordinate” anche in assenza di versamento dei contributi, la promozione del telelavoro nonché l'incentivazione di accordi collettivi volti a facilitare la flessibilità dell'orario di lavoro e l'impiego di premi di produttività.

I commi 8 e 9 allo scopo di garantire adeguato sostegno alle cure parentali delle misure intese a tutelare la maternità e le forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro delegavano il Governo a seguire, in materia, una serie di principi e criteri direttivi:

  • la ricognizione delle categorie di lavoratrici beneficiarie dell'indennità di maternità, nella prospettiva di estendere, eventualmente anche in modo graduale, tale prestazione a tutte le categorie di donne lavoratrici;
  • l'estensione alle lavoratrici madri "parasubordinate" del diritto alla prestazione di maternità anche in assenza del versamento dei contributi da parte del datore di lavoro;
  • l'introduzione di un credito d'imposta per le donne lavoratrici, anche autonome, che abbiano figli minori o figli disabili non autosufficienti e che si trovino al di sotto di una determinata soglia di reddito individuale complessivo, nonché l'armonizzazione del regime delle detrazioni per il coniuge a carico;
  • l'incentivazione di accordi collettivi intesi a facilitare la flessibilità dell'orario di lavoro e dell'impiego di premi di produttività, al fine di favorire la conciliazione tra l'esercizio delle responsabilità di genitore, l'assistenza alle persone non autosufficienti e l'attività lavorativa, anche attraverso il ricorso al telelavoro;
  • la promozione dell'integrazione dell'offerta di servizi per le cure parentali forniti dalle aziende e dai fondi o enti bilaterali nel sistema pubblico-privato dei servizi alla persona, in coordinamento con gli enti locali titolari delle funzioni amministrative, anche mediante la promozione dell'impiego ottimale di tali servizi da parte dei lavoratori e dei cittadini residenti nel territorio in cui sono attivi;
  • la ricognizione delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, ai fini di poterne valutare la revisione, per garantire una maggiore flessibilità dei relativi congedi obbligatori e parentali, favorendo le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, anche tenuto conto della funzionalità organizzativa all'interno delle imprese;
  • l'estensione dei principii e dei criteri direttivi, in quanto compatibili e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, con riferimento al riconoscimento della possibilità di fruizione dei congedi parentali in modo frazionato ed alle misure organizzative intese al rafforzamento degli strumenti di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro;
  • l'introduzione di congedi dedicati alle donne inserite nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere;
  • la semplificazione e razionalizzazione degli organismi, delle competenze e dei fondi operanti in materia di parità e pari opportunità nel mondo del lavoro, nonché il riordino delle procedure relative alla promozioni di azioni positive per cui è competente il Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
  • l'eventuale riconoscimento, compatibilmente con il diritto ai riposi settimanali ed alle ferie annuali retribuite, della possibilità di cessione fra lavoratori dipendenti dello stesso datore di lavoro di tutti o parte dei giorni di riposo aggiuntivi (rispetto a quelli previsti dalle norme statali) spettanti in base al contratto collettivo nazionale, in favore del lavoratore genitore di figlio minore che necessiti di presenza fisica e cure costanti per le particolari condizioni di salute.

Il D.Lgs. n. 80/2015

Il decreto attuativo della legge delega n. 183/2014 in tema di maternità, il D.Lgs. n. 80/2015 ha toccato la materia in più punti. Le modifiche, nella linea e nel solco della legge delega, sono state diverse e molteplici. Tuttavia solo alcune delle modifiche introdotte hanno carattere strutturale atteso che alcune di esse hanno efficacia solo sino al 31 dicembre 2015.

Tra quelle strutturali, e quindi a carattere definitivo, viene introdotta la possibilità per i genitori affidatari e adottivi:

  • di rifiutarsi di svolgere lavoro notturno nei primi tre anni di ingresso del minore nel nucleo familiare e comunque non oltre il 12 anno di età del bambini;
  • di usufruire del congedo di paternità anche qualora la madre non sia lavoratrice.

Ed infine, il lavoratore o la lavoratrice che svolge la sua prestazione in modalità di telelavoro per esigenze di conciliazione con la maternità, viene escluso dal computo di limiti numerici previsti dalla legge o dai contratti collettivi per l'applicazione di particolari istituti (art. 23, D.Lgs. n. 80/2015).

In evidenza: giurisprudenza

“In tema di congedo parentale frazionato, l'art. 32, comma 1, del D.Lgs. n. 151 del 2001 stabilisce che la fruizione del beneficio — che risponde ad un diritto potestativo del lavoratore o della lavoratrice — si interrompe allorché l'interessato rientri al lavoro, e ricomincia a decorrere dal momento in cui il medesimo riprende il periodo di astensione. Ne consegue che, ai fini della determinazione del periodo di congedo parentale, si tiene conto dei giorni festivi solo nel caso in cui gli stessi rientrino interamente e senza soluzione di continuità nel periodo di fruizione e non anche nel caso in cui l'interessato rientri al lavoro nel giorno precedente a quello festivo e riprenda a godere del periodo di astensione da quello immediatamente successivo, senza che rilevi che, per effetto della libera decisione del lavoratore o della lavoratrice, possa esservi un trattamento differente (e peggiorativo), con fruizione effettiva di un minor numero di giorni di congedo parentale, per effetto della decisione di rientrare al lavoro in un giorno non seguito da una festività, dovendosi ritenere tale soluzione conforme ai principi di cui agli art. 30 e 31 Cost., che, nel dettare norme a tutela della famiglia e nel fissare il diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare la prole, impongono una applicazione non restrittiva dell'istituto” (Cass. Civ. Lav. 6856/2012).

Il congedo di maternità

Il congedo di maternità è un periodo di astensione obbligatoria in cui è fatto divieto assoluto di adibire al lavoro le donne e che normalmente comprende i 2 mesi precedenti la data presunta del parto e i tre mesi dopo il parto.

Inoltre l'astensione obbligatoria comprende anche:

  • il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto, ove esso avvenga oltre la data presunta;
  • gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta.

Ferma restando la durata, le lavoratrici possono posticipare l'inizio del congedo al mese precedente la data presunta del parto e proseguire nei quattro mesi successivi al parto, condizioni di salute permettendo.

L'astensione obbligatoria è riconosciuta anche in caso di interruzione di gravidanza verificatesi dopo il 180° giorno dall'inizio della gestazione, potendo tuttavia, in questo caso, rinunciare all'astensione obbligatoria e riprendere in qualsiasi momenti l'attività lavorativa.

Per tutto il periodo dell'astensione obbligatoria spetta alle lavoratrici un'indennità giornaliera pari all'80% della retribuzione, risultando, inoltre, tali periodi computati nell'anzianità di servizio a tutti gli effetti (ferie, TFR etc.).

Sull'istituto è intervenuto il Jobs Act, con il Decreto attuativo n. 80/2015 su due punti:

  • in caso di parto avvenuto in data anticipata rispetto alla data presunta, i giorni non goduti si aggiungono al periodo di maternità dopo il parto anche se laddove la somma dei giorni goduti ante parto e post parto superi i 5 mesi;
  • la lavoratrice madre (ma non il padre) potrà sospendere il godimento del congedo di maternità nell'ipotesi in cui il neonato sia ricoverato in struttura pubblica o privata fino alla data delle dimissioni del bambino a condizione sia presente una attestazione medica che certifichi la compatibilità dello stato di salute della madre con la ripresa dell'attività lavorativa.
I chiarimenti della Circolare INPS n. 128 dell'11 luglio 2016

Il D.Lgs. n. 80/2015 aveva introdotto, oltre le modifiche precedentemente dette, anche importanti istituti regolamentandoli ex novo. Procediamo ad analizzarli nello specifico alla luce dei chiarimenti espressi dall'INPS nella Circolare n. 128/2016;

Lavoratrici autonome con qualità di madri adottive o affidatarie
Il Jobs Act ha introdotto la possibilità per le lavoratrici autonome, che siano madri adottive od affidatarie, di percepire l'indennità di maternità così come previsto per le lavoratrici dipendenti, equiparandone quindi la disciplina nonché la durata ed il momento di accesso al beneficio.

La modifica, come giustamente chiarisce l'INPS nella Circolare n. 128/2016, è sostanziale in quanto mentre prima dell'intervento riformatore del Jobs Act per le citate categorie l'indennità di maternità spettava solo se il minore all'ingresso in famiglia avesse meno di 6 anni e per un periodo pari a tre mesi da tale data, oggi il diritto a tale indennità spetta:

- a prescindere dall'età di ingresso del minore in Italia;

- per un periodo pari a 5 mesi;

- anche se durante il congedo per maternità il minore adottato raggiunga la maggiore età;

Evidente quindi la disciplina di maggior favore non solo per le lavoratrici autonome ma anche per i minori rispetto ai quali l'ordinamento ha quindi allargato i tempi e le possibilità di affiancamento della madre.

Padri lavoratori autonomi con madre lavoratrice dipendente od autonoma
Il Jobs Act ha stabilito che anche il padre lavoratore autonomo può accedere al beneficio del congedo di paternità laddove la madre sia lavoratrice dipendente od autonoma ma al ricorrere di determinate e ben precise condizioni, ossia che lo stesso rimanga l'unico genitore a seguito di:

- morte o grave inferimtà della madre;

- abbandono del figlio da parte della madre;

- affidamento esclusivo del figlio al padre.

Al verificarsi di tali condizioni il padre lavoratore autonomo potrà beneficiare dell'indennità per il periodo post-partum che sarebbe spettato alla madre, ossia:

- tre mesi dopo il parto più eventuali periodi di congedo ante partum non usufruiti, se trattasi di lavoratrice dipendente;

- tre mesi dopo il parto, invece, se si tratta di lavoratrice autonoma

È importante chiarire il motivo per cui, per i lavoratori autonomi si parla di indennità di paternità e non di congedo di paternità. Infatti, sia le madri che i padri lavoratori autonomi, a differenza dei loro omologhi dipendenti, non hanno l'obbligo di astenersi dal lavoro durante i periodi oggetto di indennizzo.

L'INPS chiarisce efficacemente, infine, quali siano le categorie di lavoratori autonomi rientranti nella disciplina del congedo, ossia quelli previsti dall'art. 66 del Testo Unico sulla maternità/paternità e quindi:

- artigiano;

- commerciante;

- coltivatore diretto, colono, mezzadro, imprenditore agricolo a titolo principale pescatore autonomo della piccola pesca marittima e delle acque interne.

In buona sostanza, nel mentre sino ad oggi solo il padre lavoratore dipendente poteva usufruire del congedo di paternità in caso in cui gli eventi di cui sopra avessero colpito la madre lavoratrice autonoma, oggi tale disciplina è estesa anche al padre lavoratore autonomo.

Il “Jobs Act del lavoro autonomo” (L. n. 81/2017) e la tutela della maternità

Come noto la Legge n. 81/2017, il c.d. “Jobs Act del lavoro autonomo”, ha inteso promuovere una disciplina organica delle tutele economiche e sociali a favore dei lavoratori autonomi non imprenditori, con particolar riguardo alla tutela della genitorialità, al fine di meglio conciliare non solo il diritto costituzionalmente garantito alla salute, ma anche la possibilità per il lavoratore di meglio conciliare l'attività lavorativa con quella familiare.

In particolare la riforma in questione prevede la mancata estinzione del rapporto di lavoro in caso di gravidanza, malattia e infortunio dei lavoratori autonomi che prestano la loro attività lavorativa in via continuativa per il committente e la cui esecuzione, su richiesta del lavoratore, rimane sospesa, senza diritto di corrispettivo, per un periodo non superiore a centocinquanta giorni per anno solare, fatto salvo il venir meno dell'interesse del committente

Inoltre, con specifico riferimento alla maternità, e previo consenso del committente, è prevista la possibilità per la lavoratrice autonoma di farsi sostituire da altri lavoratori autonomi di fiducia, in possesso dei requisiti professionali, nonché dei soci, anche attraverso il riconoscimento di forme di compresenza della lavoratrice e del suo sostituto.

L'art. 6 della L. n. 81/2017 in oggetto dispone, inoltre, la delega al Governo in materia di rafforzamento delle prestazioni di sicurezza e protezione sociale a favore dei professionisti iscritti a ordini o collegi e ciò attraverso l'abilitazione degli enti di previdenza di diritto privato, relativi a professionisti iscritti ad ordini o a collegi, “ad attivare, anche in forma associata, ove autorizzati dagli organi di vigilanza, oltre a prestazioni complementari di tipo previdenziale e socio-sanitario, altre prestazioni sociali, finanziate da apposita contribuzione, con particolare riferimento agli iscritti che abbiano subìto una significativa riduzione del reddito professionale per ragioni non dipendenti dalla propria volontà o che siano stati colpiti da gravi patologie”.

Con riferimento alla tutela della genitorialità, tale finalità trova concreta realizzazione in un rafforzamento ed un'integrazione delle prestazioni previdenziali a favore dei lavoratori e delle lavoratrici iscritti alla Gestione separata e in particolare nella delega al Governo all'adozione di uno o più decreti legislativi orientati a garantire la riduzione dei requisiti di accesso alle prestazioni di maternità, incrementando il numero di mesi precedenti al periodo indennizzabile entro cui individuare le tre mensilità di contribuzione dovuta, nonché introduzione di minimali e massimali per le medesime prestazioni.

L'art. 4 modifica la disciplina del congedo parentale per le lavoratrici e i lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata dell'INPS, non iscritti ad altra forma pensionistica obbligatoria né titolari di trattamento pensionistico.

Infatti, al fine di garantire un rafforzamento delle tutele previste a favore dei lavoratori autonomi, la L. n. 81/2017, stabilisce che le lavoratrici ed i lavoratori iscritti alla Gestione separata di cui sopra, non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie, tenuti al versamento della contribuzione maggiorata di cui all'art. 59, comma 16, della L. 27 dicembre 1997, n. 449, hanno diritto ad un trattamento economico per congedo parentale per un periodo massimo pari a sei mesi entro i primi tre anni di vita del bambino.

Inoltre tali trattamenti economici per congedo parentale, ancorché fruiti in altra gestione o cassa di previdenza, non possono complessivamente superare tra entrambi i genitori il limite complessivo di sei mesi e sono erogati a condizione che risultino accreditate almeno tre mensilità della predetta contribuzione maggiorata nei dodici mesi precedenti l'inizio del periodo indennizzabile.

L'art. 13 della Legge in oggetto consente inoltre alla lavoratrici iscritte alla Gestione separata, e dunque non iscritte ad altre forme obbligatorie, di usufruire dell'indennità di maternità indipendentemente dall'effettiva astensione dall'attività lavorativa e dunque le stesse avranno la possibilità di ricevere tale indennità pur continuando a lavorare nei periodi che, normalmente, sono adibiti all'astensione obbligatoria per maternità.

L'art. 14 infine, come sopra già accennato, introduce rilevanti novità in favore dei lavoratori autonomi in materia di gravidanza, malattia e infortunio stabilendo che i lavoratori autonomi che prestano la loro attività in via continuativa per il committente non perderanno il loro posto di lavoro in casi di gravidanza, malattia e infortunio, non comportando gli stessi l'estinzione del rapporto di lavoro.

Orientamenti a confronto

ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Congedo di maternità anche al padre libero professionista

Sono costituzionalmente illegittimi gli art. 70 e 72 D.Lgs. 26 marzo 2001 n. 151, nella parte in cui non prevedono il principio che al padre spetti di percepire in alternativa alla madre l'indennità di maternità, attribuita solo a quest'ultima. La previsione che solo alle madri libere professioniste iscritte ad un ente che gestisce forme obbligatorie di previdenza, e non anche al padre libero professionista, sia riconosciuta un'indennità di maternità (art. 70), estesa dall'art. 72 comma 1, all'ipotesi di adozione o affidamento, laddove l'art. 31 del medesimo D.Lgs. n. 151 del 2001 stabilisce, per il caso di adozione o affidamento, che il congedo di maternità di cui ai precedenti art. 26 comma 1, e 27 comma 1, nonché il congedo di paternità di cui all'art. 28 spettano, a determinate condizioni, anche al padre lavoratore, rappresenta un "vulnus" sia del principio di parità di trattamento tra le figure genitoriali e fra lavoratori autonomi e dipendenti, sia del valore della protezione della famiglia e della tutela del minore, apparendo discriminatoria l'assenza di tutela che si realizza nel momento in cui, in presenza di una identica situazione e di un medesimo evento, alcuni soggetti si vedono privati di provvidenze riconosciute, invece, in capo ad altri che si trovano nelle medesime condizioni. Rimane comunque riservato al legislatore il compito di approntare un meccanismo attuativo che consenta anche al lavoratore padre un'adeguata tutela. (Corte Cost. 385/2005)

No al congedo di maternità al padre libero professionista nel caso di filiazione biologica in alternativa alla madre

Non è fondata la q.l.c. dell'art. 70 D.Lgs. 26 marzo 2001 n. 151, sollevata in relazione agli art. 3, 29 e 31, cost., nella parte in cui, nel fare esclusivo riferimento alle "libere professioniste", non prevede il diritto del padre libero professionista di percepire, in alternativa alla madre biologica l'indennità di maternità. Premesso che l'uguaglianza tra i genitori deve intendersi riferita a istituti in cui l'interesse del minore riveste carattere assoluto o, comunque, preminente, e, quindi, rispetto al quale le posizioni del padre e della madre risultano del tutto fungibili tanto da giustificare identiche discipline, tale esigenza non ricorre con riferimento alle norme poste direttamente a protezione della filiazione biologica, le quali, oltre ad essere finalizzate alla protezione del nascituro, hanno come scopo la tutela della salute della madre nel periodo anteriore e successivo al parto, risultando, quindi, di tutta evidenza che, in tali casi, la posizione di quest'ultima non è assimilabile a quella del padre (sentt. n. 1 del 1987, 405 del 2001, 197 del 2002, 371 del 2003). (Corte Cost. 285/2010)

Casistica

CASISTICA

Maternità e tutela del minore in caso di adozione

Gli istituti a tutela della maternità mirano a realizzare anche l'interesse preminente del minore, che va garantito non solo in relazione ai bisogni fisiologici, ma anche allo sviluppo della personalità. Tale principio vale soprattutto per l'affidamento preadottivo e l'adozione, poiché la più intensa presenza degli adottandi è tesa ad agevolare il processo di crescita del bambino e il suo ingresso nella nuova famiglia. (Cons. Stato n. 1899/2014)

Congedo di maternità in caso di parto prematuro con ricovero del neonato

È costituzionalmente illegittimo l'art. 16 comma 1 lett. c) D.Lgs. 26 marzo 2001 n. 151, nella parte in cui non consente, nell'ipotesi di parto prematuro con ricovero del neonato in una struttura sanitaria pubblica o privata, che la madre lavoratrice possa fruire, a sua richiesta e compatibilmente con le sue condizioni di salute attestate da documentazione medica, del congedo obbligatorio che le spetta, o di parte di esso, a far tempo dalla data d'ingresso del bambino nella casa familiare. Premesso che il congedo obbligatorio, oggi previsto dall'art. 16 D.Lgs. n. 151 del 2001, non solo ha il fine di tutelare la salute della donna nel periodo immediatamente susseguente al parto, per consentirle di recuperare le energie necessarie a riprendere il lavoro, ma considera e protegge anche il rapporto che in tale periodo si instaura tra madre e figlio, e ciò non soltanto per quanto attiene ai bisogni più propriamente biologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale e affettivo collegate allo sviluppo della personalità del bambino, nel caso di parto prematuro con ricovero del neonato in una struttura sanitaria pubblica o privata, la madre, una volta dimessa e pur in congedo obbligatorio, non può svolgere alcuna attività per assistere il figlio ricoverato, e comunque il periodo di astensione obbligatoria decorre ed ella è obbligata a riprendere l'attività lavorativa quando il figlio deve essere assistito a casa. Poiché rimane così eluso il fine di proteggere il rapporto che dovrebbe instaurarsi tra madre e figlio nel periodo immediatamente successivo alla nascita, la disposizione censurata si pone in contrasto sia con l'art. 3 cost., sotto il profilo della disparità di trattamento - privo di ragionevole giustificazione - tra il parto a termine e il parto prematuro, sia con i precetti costituzionali posti a tutela della famiglia (art. 29 comma 1, 30, 31 e 37 comma 1 cost.) (sentt. n.1 del 1987, 332 del 1988, 270 del 1999, 495 del 2002). (Corte Cost. n. 116/2011)

Sull'assenza volontaria della lavoratrice per congedo per la formazione e perdita dell'indennità di maternità

In tema di tutela delle lavoratrici madri, l'art. 17 della L. n. 1204 del 1971 contiene un'articolata regolamentazione delle diverse fattispecie di interruzione dell'attività di lavoro prima dell'inizio del periodo di astensione obbligatoria, ed in relazione alle loro cause disciplina variamente il diritto delle lavoratrici al godimento dell'indennità di maternità; in particolare, nelle ipotesi di assenza volontaria dal lavoro della lavoratrice madre protratta oltre due mesi, esclude il godimento della suddetta indennità (Cass. sez. lav., n. 17524/2017).

Inoperatività del divieto di licenziamento della lavoratrice madre

Il divieto di licenziamento della lavoratrice madre è reso inoperante ove ricorra la colpa grave della lavoratrice, che non può ritenersi integrata dalla sussistenza di un giustificato motivo soggettivo, ovvero di una situazione prevista dalla contrattazione collettiva quale giusta causa idonea a legittimare la sanzione espulsiva. È necessario, invece, verificare se sussista suddetta colpa e diversa, per l'indicato connotato di gravità, da quella prevista dalla disciplina pattizia per i generici casi d'inadempimento del lavoratore sanzionati con la risoluzione del rapporto. Consegue che il giudice di merito è tenuto a svolgere una rigorosa valutazione al fine di accertare se la condotta contestata sia, oltre che di gravità tale da giustificare la risoluzione del rapporto di lavoro, anche causa di esclusione del divieto di licenziamento posto a tutela costituzionale della maternità. (Cass. sez. lav., n. 2004/2017).
Riferimenti

Normativi:

  • L. 22 maggio 2017, n. 81
  • D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 80
  • L. 10 dicembre 2014, n. 183
  • L. 28 giugno 2012, n. 92
  • D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151

Prassi:

  • INPS, Circolare 11 luglio 2016, n. 128

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