MaternitàFonte: D.Lgs. 26 marzo 2001 n. 151
19 Settembre 2016
Inquadramento
La Costituzione sancisce all'art. 37 la parità normativa e retributiva fra lavoratori e lavoratrici al fine di evitare ingiuste conseguenze discriminatorie e penalizzanti per la madre lavoratrice e tutelando quindi l'assolvimento dei compiti di maternità e cura dei figli.
Inoltre la norma richiede che le condizioni lavorative siano tali da consentire alla lavoratrice "l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione”.
Vi è, dunque, un duplice riconoscimento costituzionale, mediante l'affermazione, da un lato, della specialità della tutela riguardante la lavoratrice madre e, dall'altro, del principio fondamentale di uguaglianza fra sessi.
Il riflesso di tali principi è tutto nelle fortissime guarentigie poste a tutela della maternità sul luogo di lavoro, forti a tal punto da dar rilevanza allo stato oggettivo a scapito della conoscenza che dello stesso abbia il datore di lavoro. Divieto di licenziamento
Una delle maggiori esplicazioni dei principi enunciati è certamente il divieto di licenziamento in maternità.
In particolare, è fatto divieto al datore di lavoro di licenziare la lavoratrice madre dall'inizio del periodo di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino e ciò a prescindere dalla conoscenza o meno della situazione oggettiva di maternità che lo stesso datore di lavoro abbia.
Qualora ciò avvenga, infatti, la lavoratrice avrà diritto al ripristino del rapporto di lavoro sulla base del certificato medico dal quale risulti che essa, all'epoca del licenziamento, era già in stato di gravidanza.
Tale principio subisce delle eccezioni specifiche ed individuate quali:
Divieto di adibizione al lavoro
Come si vedrà in seguito, il legislatore ha introdotto espresse previsioni volte a far sì che le lavoratrici madri, in periodi ben definiti o al verificarsi di situazioni particolari siano esentate dall'attività lavorativa.
I divieti in relazione allo stato temporale della gravidanza sono i seguenti:
Le situazioni che comportano l'anticipazione del divieto sono le seguenti:
Il capitolo relativo al congedo di maternità fornirà elementi più specifici al riguardo. Divieto di discriminazione
Altro corollario della tutela della maternità è il divieto di discriminazione delle donne in stato di gravidanza od al rientro dalla stessa.
Ed infatti risulta fattispecie assai frequente quella per cui una lavoratrice si veda svuotata di mansioni o subisca decurtazioni di elementi della retribuzione variabili al momento del rientro dalla maternità od addirittura nel mentre della stessa.
Classico è l'esempio del licenziamento proprio in ragione dello stato di gravidanza della lavoratrice, discriminazione che viene colpita con la massima sanzione prevista dall'ordinamento in caso di licenziamento e disciplinata dall'art. 18, comma 1, Legge n. 300/70 ossia la nullità con conseguente reintegra nel posto di lavoro.
Naturalmente tali condizioni e situazioni sono stigmatizzate dalla giurisprudenza in maniera oltremodo radicale e senza lasciar spazio a dubbi di sorta. Se ne elencano alcune di seguito.
“La modificazione delle mansioni della lavoratrice al rientro dal periodo di congedo di maternità e parentale della durata complessiva di sei mesi, con il passaggio da responsabile del controllo qualità a quello di addetta al data entry fornitori è da considerarsi discriminatoria previa verifica della riduzione dei contenuti professionali delle mansioni assegnate, che non sono di concetto secondo la declaratoria del Ccnl applicato, senza che la qualifica di coordinatrice del servizio attribuita valga a riequilibrare l'ascrivibilità delle attività assegnate a mansioni esecutive. Tale trattamento vìola la ratio di tutela che ispira il legislatore costituzionale e speciale, in coerenza con l'idem sentire della collettività che ripudia la disincentivazione dell'essenziale ruolo materno” (Trib. Lavoro di Bologna, sentenza n. 2/2010).
“La mancata valutazione dell'attività della lavoratrice (perché in maternità per un periodo superiore al limite fissato arbitrariamente dall'amministrazione pubblica), valutazione nella specie funzionale al passaggio di carriera, ha determinato la violazione non solo della normativa contrattuale che prevede che i periodi di aspettativa per gravidanza e maternità obbligatoria siano considerati a tutti gli effetti quale servizio effettivamente prestato, ma anche della norma di cui all'art. 42, D.Lgs. n. 198/2006, che al comma 2, punto a), prevede la possibilità di azioni positive per le pari opportunità e l'uguaglianza sostanziale tra uomini e donne nel lavoro per eliminare le disparità […] nella progressione di carriera” (Corte Appello Lavoro Torino, sentenza n. 564/2008). Interventi della Riforma Fornero
I principi su enunciati sono presenti anche nel Testo Unico per la tutela e il sostegno della maternità e della paternità emanato con D.Lgs. n. 151/2001 che, inoltre, ha riconosciuto anche al padre lavoratore la possibilità di fruire delle forme di tutela previste per le lavoratrice, garantendo così una più equilibrata ripartizione dei carichi familiari.
La Riforma Fornero (L. n. 92/2012) è intervenuta in particolare sull'art. 55 del D.Lgs. n. 151/2001. Infatti mantenendo fermo il divieto di licenziamento della lavoratrice dall'inizio del periodo di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino, si sono modificati gli scaglioni temporali relativi alla possibilità della convalida delle dimissioni o della risoluzione consensuale del rapporto.
Per "dimissioni in bianco", in particolare, si intende una pratica assai diffusa, consistente nel far firmare al lavoratore o alla lavoratrice le proprie dimissioni in anticipo, al momento dell'assunzione. Dimissioni che saranno poi completate riempiendo il foglio con la data desiderata a fronte di una malattia, un infortunio, un comportamento sgradito, o - caso più diffuso - una gravidanza.
La legge di riforma è intervenuta quindi modificando proprio la disciplina sulla preventiva convalida delle dimissioni presentate dalla lavoratrice o dal lavoratore in alcune circostanze al fine di tutelare sia la libertà negoziale del lavoratore, sia il legittimo affidamento del datore di lavoro derivante dal comportamento del prestatore di lavoro.
A tal fine, per garantire la corrispondenza tra la dichiarazione di volontà del lavoratore e l'intento risolutorio, viene rafforzato il regime della convalida con due modalità:
Ed infatti la versione precedente dell'art. 55, comma 4, D.Lgs. n. 151/2001 prevedeva che la richiesta di dimissioni presentata dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante il primo anno di vita del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento, deve essere convalidata dal servizio ispettivo del Ministero del Lavoro, competente per il territorio. La convalida costituisce condizione per la risoluzione del rapporto di lavoro. Per tali dimissioni non è dovuto il preavviso.
Il nuovo art. 55 invece prevede:
Modalità alternative di convalida previste dalla riforma sono:
Laddove non si proceda alla convalida in tali due ipotesi alternative il rapporto di lavoro si intende risolto, per il verificarsi della condizione sospensiva, qualora il lavoratore non aderisca, entro il termine di sette giorni dalla ricezione:
È prevista poi la facoltà di revocare le dimissioni e la risoluzione consensuale, offrendo le proprie prestazioni al datore di lavoro nel termine di sette giorni dalla ricezione dei citati avvisi.
È stabilita, inoltre, una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 ad euro 30.000, di competenza delle Direzioni territoriali del Lavoro competenti, nelle ipotesi in cui il datore di lavoro abusi del foglio firmato in bianco dalla lavoratrice o dal lavoratore al fine di simulare le dimissioni o la risoluzione consensuale del rapporto, salvo che il fatto costituisca reato. Interventi del Jobs Act
La Legge n. 183/2014
Una delle finalità annunciate dal Jobs Act (L. n. 183/2014) riguarda il sostegno e il rilancio dell'occupazione femminile e la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro.
A tal fine si prevedono una serie di interventi che riguardano l'estensione del diritto alla prestazione di maternità alle lavoratrici madri cd. “parasubordinate” anche in assenza di versamento dei contributi, la promozione del telelavoro nonché l'incentivazione di accordi collettivi volti a facilitare la flessibilità dell'orario di lavoro e l'impiego di premi di produttività.
I commi 8 e 9 allo scopo di garantire adeguato sostegno alle cure parentali delle misure intese a tutelare la maternità e le forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro delegavano il Governo a seguire, in materia, una serie di principi e criteri direttivi:
Il D.Lgs. n. 80/2015
Il decreto attuativo della legge delega n. 183/2014 in tema di maternità, il D.Lgs. n. 80/2015 ha toccato la materia in più punti. Le modifiche, nella linea e nel solco della legge delega, sono state diverse e molteplici. Tuttavia solo alcune delle modifiche introdotte hanno carattere strutturale atteso che alcune di esse hanno efficacia solo sino al 31 dicembre 2015.
Tra quelle strutturali, e quindi a carattere definitivo, viene introdotta la possibilità per i genitori affidatari e adottivi:
Ed infine, il lavoratore o la lavoratrice che svolge la sua prestazione in modalità di telelavoro per esigenze di conciliazione con la maternità, viene escluso dal computo di limiti numerici previsti dalla legge o dai contratti collettivi per l'applicazione di particolari istituti (art. 23, D.Lgs. n. 80/2015).
Il congedo di maternità è un periodo di astensione obbligatoria in cui è fatto divieto assoluto di adibire al lavoro le donne e che normalmente comprende i 2 mesi precedenti la data presunta del parto e i tre mesi dopo il parto.
Inoltre l'astensione obbligatoria comprende anche:
Ferma restando la durata, le lavoratrici possono posticipare l'inizio del congedo al mese precedente la data presunta del parto e proseguire nei quattro mesi successivi al parto, condizioni di salute permettendo.
L'astensione obbligatoria è riconosciuta anche in caso di interruzione di gravidanza verificatesi dopo il 180° giorno dall'inizio della gestazione, potendo tuttavia, in questo caso, rinunciare all'astensione obbligatoria e riprendere in qualsiasi momenti l'attività lavorativa.
Per tutto il periodo dell'astensione obbligatoria spetta alle lavoratrici un'indennità giornaliera pari all'80% della retribuzione, risultando, inoltre, tali periodi computati nell'anzianità di servizio a tutti gli effetti (ferie, TFR etc.).
Sull'istituto è intervenuto il Jobs Act, con il Decreto attuativo n. 80/2015 su due punti:
Il D.Lgs. n. 80/2015 aveva introdotto, oltre le modifiche precedentemente dette, anche importanti istituti regolamentandoli ex novo. Procediamo ad analizzarli nello specifico alla luce dei chiarimenti espressi dall'INPS nella Circolare n. 128/2016; Lavoratrici autonome con qualità di madri adottive o affidatarie La modifica, come giustamente chiarisce l'INPS nella Circolare n. 128/2016, è sostanziale in quanto mentre prima dell'intervento riformatore del Jobs Act per le citate categorie l'indennità di maternità spettava solo se il minore all'ingresso in famiglia avesse meno di 6 anni e per un periodo pari a tre mesi da tale data, oggi il diritto a tale indennità spetta: - a prescindere dall'età di ingresso del minore in Italia; - per un periodo pari a 5 mesi; - anche se durante il congedo per maternità il minore adottato raggiunga la maggiore età; Evidente quindi la disciplina di maggior favore non solo per le lavoratrici autonome ma anche per i minori rispetto ai quali l'ordinamento ha quindi allargato i tempi e le possibilità di affiancamento della madre.
Padri lavoratori autonomi con madre lavoratrice dipendente od autonoma - morte o grave inferimtà della madre; - abbandono del figlio da parte della madre; - affidamento esclusivo del figlio al padre.
Al verificarsi di tali condizioni il padre lavoratore autonomo potrà beneficiare dell'indennità per il periodo post-partum che sarebbe spettato alla madre, ossia: - tre mesi dopo il parto più eventuali periodi di congedo ante partum non usufruiti, se trattasi di lavoratrice dipendente; - tre mesi dopo il parto, invece, se si tratta di lavoratrice autonoma È importante chiarire il motivo per cui, per i lavoratori autonomi si parla di indennità di paternità e non di congedo di paternità. Infatti, sia le madri che i padri lavoratori autonomi, a differenza dei loro omologhi dipendenti, non hanno l'obbligo di astenersi dal lavoro durante i periodi oggetto di indennizzo. L'INPS chiarisce efficacemente, infine, quali siano le categorie di lavoratori autonomi rientranti nella disciplina del congedo, ossia quelli previsti dall'art. 66 del Testo Unico sulla maternità/paternità e quindi: - artigiano; - commerciante; - coltivatore diretto, colono, mezzadro, imprenditore agricolo a titolo principale pescatore autonomo della piccola pesca marittima e delle acque interne. In buona sostanza, nel mentre sino ad oggi solo il padre lavoratore dipendente poteva usufruire del congedo di paternità in caso in cui gli eventi di cui sopra avessero colpito la madre lavoratrice autonoma, oggi tale disciplina è estesa anche al padre lavoratore autonomo.
Come noto la Legge n. 81/2017, il c.d. “Jobs Act del lavoro autonomo”, ha inteso promuovere una disciplina organica delle tutele economiche e sociali a favore dei lavoratori autonomi non imprenditori, con particolar riguardo alla tutela della genitorialità, al fine di meglio conciliare non solo il diritto costituzionalmente garantito alla salute, ma anche la possibilità per il lavoratore di meglio conciliare l'attività lavorativa con quella familiare.
In particolare la riforma in questione prevede la mancata estinzione del rapporto di lavoro in caso di gravidanza, malattia e infortunio dei lavoratori autonomi che prestano la loro attività lavorativa in via continuativa per il committente e la cui esecuzione, su richiesta del lavoratore, rimane sospesa, senza diritto di corrispettivo, per un periodo non superiore a centocinquanta giorni per anno solare, fatto salvo il venir meno dell'interesse del committente
Inoltre, con specifico riferimento alla maternità, e previo consenso del committente, è prevista la possibilità per la lavoratrice autonoma di farsi sostituire da altri lavoratori autonomi di fiducia, in possesso dei requisiti professionali, nonché dei soci, anche attraverso il riconoscimento di forme di compresenza della lavoratrice e del suo sostituto.
L'art. 6 della L. n. 81/2017 in oggetto dispone, inoltre, la delega al Governo in materia di rafforzamento delle prestazioni di sicurezza e protezione sociale a favore dei professionisti iscritti a ordini o collegi e ciò attraverso l'abilitazione degli enti di previdenza di diritto privato, relativi a professionisti iscritti ad ordini o a collegi, “ad attivare, anche in forma associata, ove autorizzati dagli organi di vigilanza, oltre a prestazioni complementari di tipo previdenziale e socio-sanitario, altre prestazioni sociali, finanziate da apposita contribuzione, con particolare riferimento agli iscritti che abbiano subìto una significativa riduzione del reddito professionale per ragioni non dipendenti dalla propria volontà o che siano stati colpiti da gravi patologie”.
Con riferimento alla tutela della genitorialità, tale finalità trova concreta realizzazione in un rafforzamento ed un'integrazione delle prestazioni previdenziali a favore dei lavoratori e delle lavoratrici iscritti alla Gestione separata e in particolare nella delega al Governo all'adozione di uno o più decreti legislativi orientati a garantire la riduzione dei requisiti di accesso alle prestazioni di maternità, incrementando il numero di mesi precedenti al periodo indennizzabile entro cui individuare le tre mensilità di contribuzione dovuta, nonché introduzione di minimali e massimali per le medesime prestazioni.
L'art. 4 modifica la disciplina del congedo parentale per le lavoratrici e i lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata dell'INPS, non iscritti ad altra forma pensionistica obbligatoria né titolari di trattamento pensionistico.
Infatti, al fine di garantire un rafforzamento delle tutele previste a favore dei lavoratori autonomi, la L. n. 81/2017, stabilisce che le lavoratrici ed i lavoratori iscritti alla Gestione separata di cui sopra, non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie, tenuti al versamento della contribuzione maggiorata di cui all'art. 59, comma 16, della L. 27 dicembre 1997, n. 449, hanno diritto ad un trattamento economico per congedo parentale per un periodo massimo pari a sei mesi entro i primi tre anni di vita del bambino.
Inoltre tali trattamenti economici per congedo parentale, ancorché fruiti in altra gestione o cassa di previdenza, non possono complessivamente superare tra entrambi i genitori il limite complessivo di sei mesi e sono erogati a condizione che risultino accreditate almeno tre mensilità della predetta contribuzione maggiorata nei dodici mesi precedenti l'inizio del periodo indennizzabile.
L'art. 13 della Legge in oggetto consente inoltre alla lavoratrici iscritte alla Gestione separata, e dunque non iscritte ad altre forme obbligatorie, di usufruire dell'indennità di maternità indipendentemente dall'effettiva astensione dall'attività lavorativa e dunque le stesse avranno la possibilità di ricevere tale indennità pur continuando a lavorare nei periodi che, normalmente, sono adibiti all'astensione obbligatoria per maternità.
L'art. 14 infine, come sopra già accennato, introduce rilevanti novità in favore dei lavoratori autonomi in materia di gravidanza, malattia e infortunio stabilendo che i lavoratori autonomi che prestano la loro attività in via continuativa per il committente non perderanno il loro posto di lavoro in casi di gravidanza, malattia e infortunio, non comportando gli stessi l'estinzione del rapporto di lavoro.
Orientamenti a confronto
Casistica
Riferimenti
Normativi:
Prassi:
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